Comunità e l'accoglienza della vita umana nascente |
4. - La Chiesa, alla luce della Parola di Dio e della retta ragione, ha sempre giudicato l'aborto procurato, cioè l'interruzione deliberata e diretta del processo generativo della vita umana, un grave crimine morale.
5. - La Chiesa crede che Dio è il Creatore provvidente di ogni vita umana.
« Egli ci ha fatti e noi siamo suoi » ( Sal 100,3 ); siamo così un dono del Dio vivente.
La vita ci è stata data non in assoluta proprietà, ma come un tesoro da amministrare e di cui dovremo rendere conto al Signore ( cfr. Mt 25,14-30; Lc 19,12-27 ).
Dio vigila con il suo amore sulla vita umana ( cfr. Gen 9,5-6 ) e la difende con il suo comandamento: « Non uccidere » ( Es 20,13; Mt 5,21 ).
Per questo la vita dell'uomo è sacra ed intangibile in tutto il suo arco di sviluppo, dall'origine alla fine.
Gesù Cristo, figlio e immagine del Padre, perfezionando la legge antica e riassumendola nel precetto dell'amore del prossimo, obbliga a rispettare la vita degli altri, a soccorrerla e a promuoverla.
Perciò la soppressione della vita del fratello è una radicale contraddizione con il comandamento dell'amore, che spinge il discepolo di Cristo sino al punto di dare la propria vita per amore dei fratelli.
6. - La Chiesa, in ogni tempo e in ogni paese, ha sempre accolto e riproposto la parola e il comandamento di Dio circa l'assoluta inviolabilità della vita umana innocente, anche solo concepita.
La Tradizione si presenta, in tema di giudizio morale sull'aborto, con una unanimità che non conosce discrepanze e con una fermezza che non ammette eccezioni.
Sin dalle sue origini, la comunità cristiana, accogliendo la parola e l'esempio di Cristo nel suo amore per i bambini, si è coraggiosamente contrapposta al mondo pagano difendendo il valore della vita umana non-ancora-nata.
Leggiamo ad esempio nella Didachè: « Non ucciderai … non farai perire il bambino con l'aborto nè l'ucciderai dopo che è nato …
La via della morte è questa: … non riconoscono il loro Creatore, uccidono i figli e fanno perire con l'aborto creature di Dio ».1
Per denunciare la gravità morale dell'aborto e per scoraggiare i credenti dal farvi ricorso, la Chiesa non è mancata di intervenire in diversi Concili, comminando anche pene spesso assai severe.2
7. - Confermando il senso di fede della comunità cristiana, il Magistero ha più volte autorevolmente dichiarato la grave illiceità morale dell'aborto: Pontefici, Conferenze Episcopali, singoli Vescovi sono concordi e fermi su questo giudizio morale.3
Il Concilio Vaticano II afferma: « Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missisone di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo umano.
Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti … » ( Gaudium et spes, n. 51 ).
Sull'argomento dell'aborto, Paolo VI ha dichiarato che l'insegnamento della Chiesa « non è mutato ed è immutabile » ( Allocuzione del 9 dicembre 1972 ).
Lo stesso Pontefice, al chiudersi del suo quindicesimo anno di pontificato, ha potuto affermare: « E noi, che riteniamo nostra precisa consegna l'assoluta fedeltà agli insegnamenti del Concilio, abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può essere minacciata, turbata o addirittura soppressa …
Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza …
Di qui le ripetute affermazioni della dottrina della Chiesa cattolica sulla dolorosa realtà e sui penosissimi effetti del divorzio e dell'aborto, contenute nel nostro magistero ordinario come in particolari atti della competente Congregazione.
Noi le abbiamo espresse, mossi unicamente dalla suprema responsabilità di maestro e di pastore universale, e per il bene del genere umano! » ( Omelia del 29 giugno 1978 ).
8. - Non solo la fede cristiana ma anche la retta ragione condanna moralmente l'aborto, in quanto esso costituisce una soppressione violenta di un essere umano innocente, indifeso, bisognoso di tutto e di tutti.
L'aborto è certamente una delle ingiustizie più radicali che possono essere compiute verso l'uomo: lungi dall'essere riconosciuto nella sua originalità di persona, egli viene calpestato nel suo diritto all'esistenza quale diritto primo, fondante tutti gli altri e irrecuperabile una volta perso.
L'ingiustizia dell'aborto risulta poi aggravata dal fatto che il concepito è un innocente senza alcuna possibilità di difendersi, e dal fatto che viene soppresso da coloro che l'hanno chiamato all'esistenza e da coloro che dovrebbero custodire e difendere la vita, come i sanitari.
La retta coscienza di ogni uomo trova dentro di sè, come principio incontestabile e sacro, il rispetto di ogni vita umana sin dal suo concepimento; e il mondo della medicina, fin dai tempi più antichi, ha fatto di tale principio il fulcro luminoso della sua fatica e della sua arte.4
9. - Non manca chi pretende di giustificare l'aborto fondandosi sul fatto che il nascituro non è ancora un essere umano.
Questa posizione è del tutto inaccettabile, perché dal concepimento non può trarre origine che un concreto essere umano.
Lo rileva la stessa riflessione e analisi razionale, che valuta il concepito come un essere umano a partire dalla sua origine e struttura e dalla sua destinazione tipicamente ed esclusivamente umana.
Lo riconosce il diritto che si dichiara a servizio di tutti e di ciascuno e protegge giuridicamente anche i nascituri: « Il fanciullo, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale, ha bisogno di una particolare protezione e di cure speciali compresa una adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita ».5
Lo conferma la scienza moderna secondo cui in tutto il processo generativo, dalla cellula fecondata sino alla nascita del bambino, non c'è passaggio qualitativo di specie da uno stadio di generica animalità all'umanità vera e propria, bensì uno sviluppo individuale unico e continuo di maturazione della persona.
È da ricordare, infine, come « dal punto di vista morale, questo è certo: anche se ci fosse un dubbio concernente il fatto che il frutto del concepimento sia già una persona umana, è oggettivamente un grave peccato osare di assumere il rischio di un omicidio.
È già un uomo colui che lo sarà ( Tertulliano ) ».6
10. - Per ragioni ora riportate, le persone che chiedono l'aborto, lo compiono o collaborano a compierlo, in consapevolezza e libertà, si macchiano di gravissimo peccato.
Come per ogni altro peccato, il giudizio morale su chi ricorre all'aborto o vi collabora dovrà formularsi in riferimento sia al valore della vita umana, sia alla diversa situazione delle persone.
Quest'ultima dovrà essere accuratamente valutata in termini realistici, senza cadere aprioristicamente né in condanne né in assoluzioni, e riservando una più delicata considerazione per tutte quelle persone che sono sconvolte dall'angoscia e dal dramma.
11. - Al cristiano che si macchia gravemente di aborto la Chiesa commina la pena della scomunica: « Coloro che procurano l'aborto, non esclusa la madre, nel caso si raggiunga l'effetto, incorrono nella scomunica "latae sententiae" riservata all'Ordinario » ( C.J.C., can. 1398 ).
A motivo della scomunica, il cristiano è privato dei Sacramenti, in particolare dell'Eucaristia ( C.J.C., can. 1331; can. 915 ).
Per superare interpretazioni distorte, e ancor più per cogliere positivamente il contenuto e lo spirito profondo dell'intervento « penale» della Chiesa, rileviamo quanto segue:
a ) con la scomunica, il cristiano peccatore resta escluso dalla pienezza della comunione ecclesiale, e quindi non può partecipare al sacramento dell'Eucaristia.
La gravità di questa pena risulta dalla gravità stessa dell'esclusione dall'Eucaristia, come impossibilità a partecipare al momento vertice della vita cristiana, al momento cioè nel quale si rinnova l'Alleanza e la Chiesa viene edificata dallo Spirito di Cristo in comunità religiosa e fraterna, riconciliata con Dio e nei suoi membri;
b ) come ogni pena nella Chiesa, anche la scomunica per l'aborto ha soprattutto uno scopo preventivo e « medicinale », o pedagogico.
In realtà, con essa la Chiesa denuncia l'aborto come un'azione che è assolutamente incompatibile con le esigenze del Vangelo ed intende aiutare nel suo cammino di conversione chi ha fatto ricorso all'aborto.
Prendendo atto che il cristiano colpevole di aborto si esclude dalla pienezza della sua comunione, la Chiesa gli rivolge un appello particolarmente forte perché si penta del suo peccato, riveda la sua posizione e ritorni alla vita nuova della grazia.
Nello stesso tempo, la scomunica diventa un « richiamo » ai credenti perché siano trattenuti di fronte alla tentazione di chiedere e di compiere l'aborto.
Il significato autentico della scomunica può essere compreso solo alla luce della dimensione ecclesiale del peccato del cristiano e della sua riconciliazione.
Il cristiano, che è membro del corpo di Cristo, con il suo peccato non solo offende Dio Padre, ma anche ed insieme « ferisce » la Chiesa santa di Dio ( cfr. Lumen gentium, n. 11 ).
Chi poi è colpevole di aborto contraddice gravemente ad un aspetto della missione della Chiesa quale quello di porsi al servizio della vita nascente, e ne rende perciò meno credibile ed efficace l'attuazione concreta.
La scomunica caratterizza così, in modo aperto e forte, l'aborto compiuto dal cristiano come un grave atto antiecclesiale;
c ) si comprende allora perché lo « scioglimento » di tale scomunica sia riservato all'Ordinario, ossia al Vescovo della Chiesa locale, o ad un sacerdote da lui autorizzato;
d ) si incorre nella scomunica ad alcune condizioni.
La pena della Chiesa presuppone sia la reale gravità della colpa personale di chi è ricorso all'aborto e l'ha compiuto, sia la conoscenza dell'esistenza di questa stessa pena.
La scomunica per aborto procurato è « latae sententiae ».
Ciò significa che non ha bisogno di essere pronunciata per ogni singolo caso di aborto, ma si pone come norma generale, cosicché vi incorre chi procura l'aborto per il solo fatto di procurarlo volontariamente;
e ) in un contesto sociale e culturale assai poco sensibile al significato positivo della pena, non mancano alcuni che si interrogano sull'opportunità o meno che la Chiesa conservi questa scomunica, ed altri che la rifiutano come storicamente superata e come aliena dal genuino spirito del Vangelo.
In realtà non è difficile risolvere l'interrogativo e l'obiezione, se si coglie il significato autentico della scomunica entro il contesto della missione e della vita della Chiesa.
Per la gravità del delitto e la mentalità corrente poco incline ad avvertirla, la Chiesa con la scomunica mantiene vivo e operante il senso del valore della vita e agisce a difesa dei più deboli e innocenti;
f ) altri ancora si domandano perché la Chiesa conservi la scomunica per l'aborto procurato e non la commini invece per delitti di altra natura, non meno gravi dell'aborto stesso.
A chi ben rifletta non può sfuggire il fatto che l'aborto è un omicidio qualificato, perché il nascituro è del tutto incapace di una difesa personale; l'intervento penale della Chiesa si pone a difesa del nascituro, tanto più che lo Stato, almeno in alcuni casi, come da noi, non considera più l'aborto come reato, mentre conserva la qualifica di reato per l'omicidio.
12. - Il discorso sull'aborto non può essere ristretto alla sua dimensione morale in rapporto alla singola persona che lo chiede o lo compie: lo si deve considerare anche in una prospettiva sociale.
In realtà, l'aborto è un fenomeno sociale per molteplici motivi: coinvolge in profondità la relazione che lega tra loro i due esseri umani, la donna e il figlio; ha ripercussioni sulla coppia e sulla famiglia e, ancor più ampiamente, sull'ambiente sociale entro cui si è inseriti.
Per questo l'aborto non può non sollecitare !'interesse e l'intervento dell'intera comunità politica.
13. - Nel suo intervento circa la vita nascente, la comunità politica non può restringersi all'emanazione di una legge, peraltro necessaria, che proibisca come reato l'aborto, da punirsi tuttavia con giustizia ed equità, tenendo conto delle situazioni concrete, in cui è stato commesso.
Tale legge, infatti, non risolverebbe da sola tutto il complesso e difficile fenomeno sociale dell'aborto.
Lo Stato deve piuttosto puntare primariamente su di un intervento educativo, elaborando e diffondendo una cultura rispettosa e promotrice del valore della vita e del senso di responsabilità nei suoi confronti.
Deve inoltre puntare su di un intervento sociale, stimolando e offrendo una serie di iniziative, sussidi e possibilità di prevenzione e di sostegno delle gravidanze indesiderate e difficili.
14. - Spesso però la comunità politica, anche per il suo inadeguato impegno culturale e sociale, deve affrontare l'increscioso fenomeno degli aborti clandestini, con le risultanze negative dei pericoli per la salute e la vita della donna, della speculazione economica di un certo personale medico e paramedico, di una discriminazione fra le classi sociali, ecc.
Diventa cosi necessario anche un intervento legislativo: è il problema della « regolamentazione legale », ossia della posizione della legge civile di fronte a questo fenomeno sociale.
15. - Per questo problema viene spesso invocato il principio della tolleranza civile, in forza del quale lo Stato può, o addirittura deve, tollerare qualche male per evitare mali più gravi.7
Ma il principio della tolleranza civile, nella sua concreta applicazione, non giustifica affatto la positiva autorizzazione a sopprimere direttamente un innocente, come se lo Stato potesse concedere il « diritto » ad alcuni di chiedere e ad altri di compiere l'aborto: « La legge umana può rinunciare a punire, ma non può rendere onesto quel che sarebbe contrario al diritto naturale, perché tale opposizione basta a far si che una legge non sia più una legge ».8
L'applicazione del principio della tolleranza civile all'aborto legalizzato è illegittima e inaccettabile perché lo Stato non è la fonte originaria dei diritti nativi ed inalienabili della persona, né il creatore e l'arbitro assoluto di questi stessi diritti, ma deve porsi al servizio della persona e della comunità mediante il riconoscimento, la tutela e la promozione dei diritti umani.
Cosi quando autorizza l'aborto, lo Stato contraddice radicalmente il senso stesso della sua presenza e compromette in modo gravissimo l'intero ordinamento giuridico, perché introduce in esso il principio che legittima la violenza contro l'innocente indifeso.
16. - Da quanto precede emerge chiaro il giudizio morale sulla legge civile che autorizza l'aborto: è una legge intrinsecamente e gravemente immorale.
Tale legge, diversamente da quelle giuste e oneste, non ha potere di vincolare la coscienza: non può quindi minimamente intaccare il principio della inviolabilità di ogni vita umana innocente, che resta immutato e immutabile.
L'uomo si sente vincolato unicamente dalla legge scritta da Dio nel suo cuore, la quale, comandando di non uccidere, autorevolmente giudica e assolutamente rifiuta una simile legge umana.
17. - Il giudizio morale negativo sulla legge abortista italiana risulta anche dai seguenti elementi:
a) la sua contraddizione con i valori e i principi fondamentali della legge morale naturale-divina, per la mancata o comunque insufficiente tutela giuridica del « diritto alla vita » proprio di ogni essere umano;
b) l'aberrante facoltà attribuita alla libertà della donna di decidere in termini unicamente individualistici, al di fuori e contro ogni responsabilità verso il « diritto » del nascituro;
c) la grave deformazione di alcuni ruoli fondamentali della convivenza sociale: risultano, infatti, violati i diritti del padre del concepito e i diritti e doveri dei genitori rispetto alla figlia minorenne; così pure la professione medica di servizio alla vita viene piegata con violenza non solo a prestazioni del tutto estranee, ma anche e più gravemente ad un compito che si oppone in forma diretta alla tutela e alla promozione della vita umana;
d) l'individualismo esasperato che ispira la legge abortista risulta ancor più grave dal fatto di essere riconosciuta dallo Stato, il quale a sua volta costringe tutti i cittadini, anche quelli dichiaratamente contrari all'aborto, a dare un qualche contributo;
e) il pericolo, non affatto ipotetico e nonostante le esplicite asserzioni contrarie, di fare dell'aborto legalizzato un mezzo di regolazione delle nascite;
f) i limiti e le ambiguità del riconoscimento del diritto all'obiezione per il medico e per il personale esercente le attività ausiliarie;
g) la contraddizione della legge all'etica professionale, perché essa fa obbligo a chi non formula ufficialmente l'obiezione di coscienza di operare l'interruzione della gravidanza in ogni caso, anche se la sua coscienza in un caso singolo glielo vieti.
Indice |
1 | Didachè II, 2 e
V, 2; Cfr. anche Atenagora, Apologia per i Cristiani, 35; Tertulliano, Apologeticum IX, 8; Basilio, Lettera 18S, Ad Anfilochio, can. 2; Ambrogio, Esamerone 5, 18, 58; ecc. |
2 | Cfr. Concilio di Elvira, can. 63; Concilio di Ancira, can. 21; Concilio di Magonza, can, 21; ecc. |
3 | Cfr. G. Caprile, Non uccidere. Il Magistero della Chiesa sull'aborto, Roma, 1973. |
4 | Cfr. Il Giuramento di Ippocrate, che dice: « Non darò a nessuno, a richiesta, un farmaco mortale, né impartirò consiglio in tal senso; similmente non darò ad una donna un pessario abortivo. Pura e pia manterrò la mia vita e la mia professione ». Vedi E. Nardi, Procurato aborto nel mondo greco romano, Milano 1971, pp. 58-66. |
5 | Dichiarazione dei diritti del fanciullo, votata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 20 novembre 1959. Si noti come anche la legislazione civile italiana riconosca i diritti del nascituro ( Codice civile, artt. 1, 339, 462, 687, 715, 784 ). |
6 | S. Congr. Dottrina Fede, Dichiarazione sull'aborto procurato, n. 13. |
7 | Cosi si esprime la S. Congregazione per la Dottrina della Fede: « La legge civile non può abbracciare tutto l'ambito della morale, o punire tutte le malefatte: nessuno pretende questo da essa. Spesso essa deve tollerare ciò che, in definitiva, è un male minore, per evitarne uno più grande» ( n. 20 ). |
8 | Ibidem, n. 21. |