Linee comuni per la vita dei nostri seminari |
Uno sguardo attento all'intero svolgimento del percorso formativo permette ai candidati al ministero di riconoscervi il disegno di una consegna progressiva di sé alla vita del presbiterio diocesano, maturando così il profilo spirituale della propria vocazione.
Si tratta di una progressione che, anche attraverso i riti e le implicazioni giuridiche del conferimento dei ministeri e dell'incardinazione, coinvolge profondamente il modo d'essere della persona.
La personalità dei candidati, infatti, nei propri orizzonti culturali e affettivi, nell'attitudine relazionale e nei discernimenti quotidiani, nella gestione del proprio tempo e nella configurazione dei propri interessi e delle proprie comunicazioni, si plasma secondo un modello di vita che è quello della comunione presbiterale.
La pedagogia ha obiettivamente la possibilità, in quest'arco di trasformazioni, di sottolinearne con adeguata presa simbolica i passaggi.
A mano a mano che il cammino avanza, i segni visibili dell'effettiva maturazione presbiterale della propria vita esprimono e custodiscono il significato della scelta compiuta.
La formazione, per quanto possa essere accurata e provvista di un attento discernimento, condotto nell'ascolto anche degli apporti esterni al seminario, non può in alcun modo anticipare la prova di responsabilità che solo l'assunzione del ministero e delle sue condizioni di vita consente di affrontare.
Nessun accorgimento pedagogico sarà mai in grado di attenuare la portata di questo passaggio.
Certo, saranno garanzie promettenti le testimonianze fornite dai candidati dinanzi agli impegni e alle fatiche quotidiane del tempo della formazione e della relazione comunitaria: la laboriosità, la lealtà, la buona indole, la propensione a leggere senza distorsioni e senza fughe in avanti le circostanze e le richieste del proprio cammino.
Sarà decisiva la controprova di una fede nitida e paziente nell'assumere gli atteggiamenti del dialogo e nel saper soffrire le contrarietà e i tempi lunghi della maturazione delle persone e dell'evoluzione dei contesti.
Né sarà superfluo un discreto esercizio di sdrammatizzazione dinanzi all'esperienza fluttuante del mare aperto della vita pastorale.
Ma c'è un apprendimento dell'uso del proprio tempo e dell'investimento delle proprie energie, della cura della propria persona e della propria abitazione, della gestione dei luoghi, dei beni e degli strumenti, della programmazione lungimirante e della decisione tempestiva, che avviene solo nel vivo del ministero.
Ci sono ritorni impensati alle radici della propria vocazione e al già vissuto della fede, che possono contare su aiuti pronti, saggi e cordiali; ma vi sono dei momenti in cui è necessario attraversare qualche passaggio di solitudine profonda, in cui, come nel deserto, si rinnova un'alleanza e si converte la vita.
Tutto questo non è prefigurabile nel momento della prima formazione.
Non sarà poco se, grazie al cammino compiuto, si potrà contare sulla fiducia dei passaggi già superati, sulle risorse apprese come vere e rivelatrici dell'agire di Dio nella vita dei suoi figli.
Ci si potrà affidare ai giorni a venire, se si è confortati dalla lealtà del periodo in cui ci si è dedicati alla prima formazione e si è imparato a consegnarsi fiduciosamente: « Dio non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza.
Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il Vangelo, aiutato dalla forza di Dio » ( 2 Tm 1,7-8 ).
Nelle circostanze attuali è tuttavia prudente pensare a un progetto di esercitazioni pastorali non approssimative e vaghe.
Esse siano tali da poter abbinare progressivamente l'aspetto dell'acquisizione di qualche abilità e attitudine ad entrare nei contesti della vita e delle attività pastorali più comuni e quello, forse più rilevante, dell'apprendere i modi spirituali e lo stile di discernimento con cui un pastore si pone nella sua comunità come guida servizievole, autorevole e umile insieme.
L'appartenenza sempre più decisa del seminarista alla dimensione del presbiterio diocesano e alla sua legge di comunione e fraternità suggerirà qualche forma e alcuni tempi di dimora presso sacerdoti sperimentati e accoglienti, nel dialogo e nella preghiera, nella confidenza e nella lettura comune degli impegni da affrontare.
La varietà delle situazioni, l'elasticità nell'attuazione dei progetti, la percezione del significato testimoniale dell'agire solidale, pensando e pregando insieme, educheranno persuasivamente al superamento di estemporanei protagonismi e di aridi individualismi.
A questo proposito è importante prevedere una più stretta e verificata collaborazione educativa con parroci disposti a seguire questo delicato passaggio dal seminario al graduale inserimento pastorale.
Allo scopo, possono essere individuate alcune "parrocchie laboratorio", particolarmente significative e idonee per la ricchezza di presenze e progettualità pastorali, in cui il futuro presbitero viene fraternamente avviato, nella collaborazione con i laici, a un inserimento parrocchiale attento alla complessità culturale e pastorale.
Una difficoltà non irrilevante nel passaggio dal seminario al ministero pastorale attivo è costituita dall'impegno concreto di gestire la propria vita in modo autonomo e di guidare una comunità.
L'imperizia e soprattutto il mancato rodaggio a questo riguardo possono causare seri disagi, soprattutto nei primi anni di ministero, e talora anche comportamenti impropri che possono tornare a danno anche dello stesso servizio pastorale.
Il presbitero non è solo un animatore di un gruppo, ma guida di una comunità, la quale non è solo fatta di persone, ma anche di beni e di opere da amministrare.
Di qui la necessità di un'adeguata conoscenza delle norme canoniche e di un congruo avvio all'esercizio della pratica amministrativa nella gestione di una comunità o di un ente ecclesiastico.
« Il sacerdote deve offrire anche la testimonianza di una totale "trasparenza" nella amministrazione dei beni della comunità stessa ».66
Ciò significa rispetto della comunità: nella destinazione dei beni, nella disponibilità a rendere conto, e soprattutto nel coinvolgimento dei laici competenti; senza dimenticare che quando si cede all'individualismo, all'approssimazione o alla confusione spunta inevitabilmente l'ombra del sospetto e viene compromessa la stessa efficacia del ministero pastorale.
Pur senza diventare specialisti, i futuri presbiteri devono acquisire sufficienti capacità per la cura e l'amministrazione dei beni culturali storico-artistici delle nostre comunità, sia pure con l'aiuto di persone competenti.
Si tratta infatti di un patrimonio di importanza vitale, sia perché in larga misura continua a svolgere il suo servizio in attività fondamentali per la vita delle comunità cristiane, sia perché ne testimonia la storia religiosa e culturale di fronte alla società civile.
Per diventare utente e amministratore responsabile del patrimonio culturale il presbitero va formato a operare nel rispetto delle leggi canoniche e civili vigenti, a ricercare la collaborazione degli organismi diocesani incaricati dal vescovo ( ufficio e commissione per i beni culturali, archivio, biblioteca e museo diocesano ) e a valorizzare la competenza di studiosi, professionisti e imprese veramente preparate.
La cura responsabile dei beni culturali comprende la conoscenza di tale patrimonio, l'aggiornata e completa inventariazione, l'attenta e costante manutenzione, la tutela e la valorizzazione.
Il patrimonio culturale infatti non è solo un tesoro da conservare gelosamente, ma una risorsa a vantaggio dell'azione evangelizzatrice pastorale della comunità.
Lo spirito con cui si era pensato al carattere singolare dell'anno diaconale, ancora seminaristico ma già avviato a sostenere qualche impatto significativo e qualche ritmo esigente in contesti aperti di ministero, mirava appunto a promuovere un progressivo inserimento nella logica di responsabilità e di partecipazione, nella quale si svolge ogni forma di vita presbiterale.
Risulta che l'attuazione dell'anno diaconale ha incontrato da più parti molte difficoltà.
Certo, non si vede perché ci si dovrebbe arrendere senza aver tentato di aggiustare correttamente la rotta: in tempi che segnalano la ripresa del ministero diaconale permanente sarebbe difficile ipotizzare un approdo al presbiterato senza un esercizio conveniente dell'ordine diaconale.
Piuttosto ci sembra importante caratterizzare bene e dare spessore spirituale e ministeriale all'anno diaconale, prestando attenzione ad esperienze sapientemente animate dalla diaconia della carità.
I giovani diaconi vanno aiutati a cogliere il nesso strutturale tra Parola, Eucaristia e carità, come attitudine al servizio, come attenzione privilegiata agli ultimi sempre presenti nei contesti concreti del territorio.
L'anno diaconale non va inteso come una sorta di anticipo della destinazione presbiterale.
Anche se il tempo destinato all'esperienza pastorale si è fatto più consistente rispetto a quello normale dei seminaristi, il diacono ha bisogno ancora di sapiente accompagnamento, di seria formazione e di puntuale verifica del suo servizio pastorale.
È opportuno guardare con attenzione all'esperienza di alcune Chiese particolari nelle quali è previsto un tempo di sosta prima dell'accesso al diaconato, fuori dal contesto seminaristico, presso una parrocchia o in qualche comunità presbiterale, per un'esperienza forte di responsabilità più diretta.
Potrebbe essere un tempo di decantazione pacata e realistica, in condizioni meno istituzionalmente protette, tale da favorire una preparazione più personalizzata e provata alla consegna di sé nel sacramento dell'Ordine.
Le Chiese locali possono certo valutare i vantaggi d'una tale configurazione del percorso conclusivo della formazione e la possibilità di offrire contesti e accompagnamenti idonei allo scopo che si vuole perseguire.
Una sperimentazione non casuale, ma adeguatamente pensata e sostenuta, soprattutto per quel che riguarda i riferimenti e le responsabilità di ammissione all'Ordine sacro, potrebbe fornire qualche utile indicazione alla ricerca di tutti.
La prima destinazione del prete appena ordinato è da sottoporre a un discernimento particolarmente accurato e va preparata con metodo attento e leale.
Il coinvolgimento del rettore del seminario non può essere puramente formale.
L'individuazione di una comunità, che possa proporsi come stimolante accompagnatrice dell'inizio di un ministero, è un obiettivo da perseguire con ogni sforzo.
Essa può essere anche molto impegnativa, purché la rischiarino condizioni di trasparenza evangelica e sia capace di sviluppare un articolato progetto pastorale.
La qualità del presbitero o dei presbiteri ai quali è da affidare un giovane prete può essere riconosciuta in base ad alcuni tratti, quali: spirito di accoglienza, franchezza e apertura di mente e di cuore, lungimirante disponibilità a promuovere il discernimento comune e all'incoraggiamento paterno.
Pertanto più che una parrocchia ideale è necessario assicurare al giovane presbitero la disponibilità di un sacerdote capace di fraterna collaborazione e di un serio e sereno accompagnamento.
C'è una costante di cui rendere consapevole il futuro candidato al ministero presbiterale: che il curricolo del seminario non va inteso come percorso compiuto, ma prepara ad un ministero sempre aperto all'urgenza di rinnovamento, di conversione, di attenzione avveduta ai mutamenti culturali e sociali per incarnare efficacemente l'annuncio evangelico.
Ciò richiede anche attenzione al passaggio dal seminario ai primi anni del ministero per un agevole e pieno inserimento nel presbiterio al servizio della Chiesa.
La stessa formazione permanente mira a tener viva la coscienza di un ministero presbiterale sollecitato costantemente ad affrontare con motivazioni evangelicamente robuste le sfide dei tempi.
Indice |
66 | Ibid., 30 |