Linee comuni per la vita dei nostri seminari |
L'esigenza di elaborare e offrire una riflessione teologica è stata, è e sarà una dimensione imprescindibile della vita e della missione della Chiesa.
Essa ha un suo proprio statuto spirituale.
« L'impegno teologico esige uno sforzo spirituale di rettitudine e di santificazione ».54
Se l'esigenza non è nuova, siamo chiamati a rispondervi in novità di spirito, nel solco della viva e autentica tradizione della Chiesa, così come la grande esperienza del Concilio Vaticano II ha cercato di fare e ci ha insegnato a fare.
« Il servizio alla dottrina, che implica la ricerca credente dell'intelligenza della fede e cioè la teologia, è pertanto un'esigenza alla quale la Chiesa non può rinunciare ».55
Grandi sono la portata e il significato di questa continua impresa, che si consegna ai nostri giorni e ci rende disponibile la conoscenza della salvezza, chiamando i credenti con i loro pastori ad appropriarsene e a comunicarla a loro volta, secondo i carismi ricevuti.
« In ogni epoca la teologia è importante perché la Chiesa possa rispondere al disegno di Dio [ … ].
In tempi di grandi mutamenti spirituali e culturali essa è ancora più importante, ma è anche esposta a rischi, dovendosi sforzare di "rimanere" nella verità ( cf. Gv 8,31 ) e tener conto nel medesimo tempo dei nuovi problemi che si pongono allo spirito umano ».56
È abbastanza comunemente acquisito che la riflessione teologica, ossia l'esperienza conoscitiva del depositum fidei, che si estende ininterrotta lungo il cammino e la tradizione della Chiesa, è avvenuta e si è trasmessa grazie a tre dimensioni o coordinate fondamentali:
nella fedeltà alla relazione con Dio, nell'inaudita familiarità con cui egli stesso ce l'ha donata: è la dimensione liturgico-simbolica.
In essa il popolo di Dio dimora e mantiene alta la tensione del desiderio, nutrendo la propria vita e riconoscendovi la sorgente delle propria crescita spirituale;
come luogo privilegiato della rivelazione di Dio, attraverso la quale si comprende il senso delle rotture e della continuità, si mantiene la memoria del vissuto e si scorge l'attrazione verso un compimento: è la dimensione storica della coscienza credente;
grazie al quale si raggiunge la dimensione dell'essenza, dove si afferra ciò che permane e non va soggetto a variazione: è la dimensione del pensiero concettuale, con il quale la Chiesa affronta il compito di proporre le grandi verità della fede.
Di fatto i pensieri e le sintesi teologiche si differenziano o divergono per come sono accentuate o si compongono tra loro queste dimensioni.
La conoscenza di come si siano sviluppati e intrecciati nella storia i percorsi della celebrazione liturgica, dell'agire pastorale e della riflessione teologica, che hanno costituito l'eredità giunta fino a noi, possiede oggi una strumentazione particolarmente affinata.
Imparare a servirsene richiede un cammino paziente e accurato, sostenuto da una responsabile passione pastorale.
L'insieme dei movimenti teologici recenti – prima, durante e dopo il Concilio Vaticano II – ha implicato, più o meno consapevolmente, una rivalutazione dell'importanza di tutte le dimensioni conoscitive sopra ricordate, integrandole profondamente e ottenendo così una maggiore vitalità del pensiero teologico, senza impoverimento del suo vigore veritativo.
I presbiteri, dunque, devono essere ben preparati e la formazione che li deve condurre verso l'esercizio del ministero pastorale deve saper sviluppare anche un serio esercizio dell'intelligenza pastorale.
È urgente che i giovani in formazione siano guidati a cogliere subito la pertinenza pastorale di ciò che viene loro insegnato e che richiede la fatica di una diuturna applicazione di studio.
La formazione dei preti, anche sotto il profilo dello studio della teologia, è un compito mai ultimato: essa abbraccia in un medesimo disegno la formazione in seminario e la formazione permanente.
La Chiesa, infatti, non cessa di svilupparsi, di essere messa di fronte a nuovi aspetti teorici e pratici della fede e della vita.
Riprese, riletture, progetti fanno parte integrante del ministero sacerdotale.
Fa problema il fatto che, una volta nel ministero, molti preti si disamorano della lettura e dello studio.
Questa carenza non può non avere qualche legame con il problema della "partenza" dei giovani preti: forse essi non si sentono più in contatto reale con la vita della società né con quella della Chiesa in ordine alla sua incarnazione nel mondo.
Essi corrono così il rischio di non sentirsi in grado né di continuare sulla linea formativa precedente né di assumerne un'altra.
Lo sforzo oggi più necessario è senz'altro quello rivolto a mettere in primo piano gli elementi fondamentali della Rivelazione: proprio di fronte ad essi è posto il giovane prete, sia quando cerca di approfondire il significato della sua sequela, sia quando esercita la sua missione, per vivere e operare secondo lo spirito del Vangelo.
Non è difficile indicare qualche nucleo significativo per questo orientamento.
Accade spesso, soprattutto alle nuove generazioni, non allenate alla fatica liberante del pensiero, che il numero ingente di discipline da studiare fin dall'inizio dei corsi curricolari procuri allo studente disagio e disorientamento, acuiti dalla percezione di una loro fredda distanza da quel mondo simbolico, specialmente biblico, che il più delle volte è all'origine della vocazione presbiterale dei giovani.
Né li aiuta la frammentazione delle analisi e delle specializzazioni con cui si presentano le diverse discipline, quasi in competizione tra loro.
Per questo motivo è raccomandabile che come avvio al sapere teologico vi sia un'introduzione ampia e saporosa al mistero di Cristo, « il quale compenetra tutta la storia del genere umano, agisce continuamente nella Chiesa e opera principalmente attraverso il ministero sacerdotale ».57
Un tale corso adempie alla funzione di una visione sintetica e orientativa della teologia intera ed è come una forma anticipata e stimolante del lavoro che si affronterà nel cantiere degli anni della formazione.
Questa introduzione dovrà pure costituire la necessaria premessa affinché, durante tutto il tempo della formazione si generi quella necessaria e feconda osmosi tra la vita spirituale e la ricerca dell'intelligenza del dato rivelato, ottenendo così una visione integrale e unitaria: « Formazione intellettuale teologica e vita spirituale, in particolare vita di preghiera, s'incontrano e si rafforzano a vicenda, senza nulla togliere né alla serietà della ricerca né al sapore spirituale della preghiera.
San Bonaventura ci avverte.
"Nessuno creda che gli basti
la lettura senza l'unzione,
la speculazione senza la devozione,
la ricerca senza lo stupore,
l'osservazione senza l'esultanza,
l'attività senza la pietà,
la scienza senza la carità,
l'intelligenza senza l'umiltà,
lo studio senza la grazia divina,
l'indagine senza la sapienza dell'ispirazione divina" ».58
La profonda integrazione di questi aspetti della formazione sarà volta ad evitare il rischio sia di uno spiritualismo emozionale sia di un intellettualismo disincarnato.
Una introduzione alla Bibbia e alla sua lettura dev'essere solidamente sviluppata.
Domande apparentemente elementari come: che cos'è la Bibbia, perché un libro, quale rapporto tra la Parola ( orale ) e il Libro ( scritto ), che cosa s'intende per ispirazione, in realtà aprono percorsi molto esigenti e irrinunciabili.59
E tra questi, la sollecitazione che la Bibbia ottiene in vista di un serio confronto con i libri delle altre religioni.
Si deve essere introdotti inoltre a un'ampia riflessione sul compito inesauribile dell'interpretazione e sulla diversità dei metodi.
Diversità lungo la storia: patristica, medioevo, età moderna.
Diversità nei metodi attuali: storico-critico, retorico, strutturale, narrativo.
La lectio divina, sempre più concordemente ricordata come privilegiato e multiforme esercizio di assimilazione della Parola di Dio e di discernimento ecclesiale,60 deve essere presentata con la massima accuratezza teologica.
Solo grazie a una lucida angolatura di appropriato accostamento al testo biblico si può raggiungere una solida disposizione a comprendere la natura di quel Libro che tutti i cristiani e il prete stesso hanno nelle proprie mani e i modi con cui leggerlo: in altre parole, a trovarsi a proprio agio con la Bibbia e a mantenersi aperti alla sua continua lettura.
Il seminarista ha diritto a una preparazione adeguata, per sé e per gli altri, al celebrare liturgico, che è fonte e culmine del suo ministero di domani.
Non può mancare una teologia liturgica che sappia rispondere ad alcuni interrogativi essenziali:
perché la Rivelazione passa attraverso i segni/simboli;
qual è la relazione essenziale che intercorre tra la liturgia e la fede e tra la liturgia, la vita cristiana e la missione.
Similmente non può mancare un'antropologia della liturgia:
corrispondenza tra il desiderio umano e l'uso dei simboli;
specificità dei simboli cristiani e forza di significazione umana della liturgia, con attenzione alle altre simboliche che cercano di interpretare l'esistenza.
Su questo sfondo sarà importante l'apporto della storia della liturgia, quanto ai riti e alla loro interpretazione.
A partire da qui si può meglio analizzare e comprendere l'iniziazione cristiana e la prefigurazione degli atti liturgici ulteriori, sacramentali e non sacramentali.
Infine, si sarà più disposti a curare un'iniziazione concreta alla pratica del celebrare e del presiedere, che tenga conto anche della capacità e dei gesti.
Spesso, infatti, i preti celebrano in modo inadeguato, sia perché non sono entrati nella vitale comprensione del mistero liturgico, sia perché non si trovano a proprio agio con i segni e con la propria gestualità.
Attorno al perno di una buona introduzione alla storia della teologia, la sistematica articolerà il linguaggio della rivelazione biblica e la sua accoglienza storica nella fede celebrata della Chiesa ( Scrittura e liturgia ), cioè il senso della verità di Dio comunicata in Gesù per l'uomo.
La teologia sistematica si proporrà di dire il senso del mistero della salvezza ( mediante una corretta ermeneutica della dottrina della fede, e in essa del dogma e del suo carattere vincolante ) dentro una riflessione antropologico-fondamentale che favorisca una lettura alla luce della fede dei molti frammenti di verità dispersi nella cultura contemporanea.
Accade sovente, come già si è accennato, che nella formazione seminaristica si generi una sorta di schizofrenia tra gli studi teologici e la vita spirituale.
La componente culturale non sembra fondare e animare una vita secondo lo Spirito.
Talora la spiritualità si alimenta a sorgenti devozionali, scarsamente bibliche e poco in sintonia con il sentire della Chiesa.
Di qui una sorta di vita spirituale asfittica e debole, e uno studio sopportato e scarsamente finalizzato a nutrire la vita e il ministero pastorale.
Per questo si rendono necessarie una solida teologia spirituale e una seria iniziazione alla mistica cristiana, come dono a cui lo Spirito chiama ogni figlio di Dio e come aspetto costitutivo dell'esperienza di fede.
I preti, talvolta, o si defilano dinanzi a questo tratto della vita cristiana, perché ne hanno paura, oppure si lasciano condurre senza sufficiente discernimento nella scia di movimenti o persone più o meno misticheggianti, o verso fenomeni di presunte apparizioni o simili.
I contesti pastorali odierni domandano in forma inedita una buona iniziazione teorica e pratica del prete alle "relazioni" nella vita della Chiesa.
Di fatto si tratta di sviluppare una buona teologia dei diversi carismi, con particolare attenzione al laicato e alla vita religiosa.
Quanto ai laici, occorre prendere sul serio ciò che dice il Concilio Vaticano II circa la responsabilità loro propria nella vita del mondo.61
Occorre dunque formare i preti a considerarli capaci di individuare, non senza l'aiuto dei pastori, e di formulare adatte risposte cristiane alle domande etiche che sono poste dai diversi ambienti di vita: quello della famiglia ( con le relative questioni di morale sessuale ), dell'educazione e dell'arte, della vita sociale, politica ed economica.62
È giusto che il presbitero sviluppi una seria capacità di ascolto e si lasci istruire dai laici ancor prima di offrire loro indicazioni, in vista di una condivisa ricerca della volontà del Signore su di essi.
Inoltre, per quel che concerne il carisma dei laici nella vita ecclesiale, occorre superare il concetto improprio di "collaborazione dei laici al ministero del prete", per attenersi piuttosto a quello di "collaborazione dei preti e dei laici nell'unica missione della Chiesa".
Il cambiamento di impostazione, più ecclesialmente corretta, può avviare la Chiesa a forme più autentiche di corresponsabilità.
Quanto alla vita religiosa, al suo carisma proprio, alla sua storia, alle sue forme attuali, bisogna riconoscere che circolano, e non solo nei seminari, presentazioni assai lacunose.
Eppure i futuri preti incontreranno costantemente nella vita della Chiesa numerose persone con questa specifica vocazione e dovranno essere anche capaci di promuoverla.
Occorre, pertanto, una più adeguata conoscenza del mistero della Chiesa, come comunione di carismi diversi da riconoscere, promuovere e coltivare per una nuova vitalità delle comunità cristiane.
Il prete non è il solo a esercitare il carisma dell'accompagnamento spirituale, e non tutti i preti lo possiedono nel medesimo grado.
Tuttavia è indispensabile che ne sia data una formazione di base: almeno una conoscenza teorica e pratica dei criteri fondamentali di discernimento che corrono lungo la storia della Chiesa, dai Padri del deserto, agli Esercizi di Sant'Ignazio, fino ai tempi più recenti.
Il prete non può essere sprovvisto di una buona sensibilità all'accompagnamento spirituale.
Deve maturare nella sua competenza una certa prontezza a riconoscere le molteplici forme della santità cristiana, anche nelle sue espressioni popolari.
Si consideri che il prete si troverà a contatto con persone di buona volontà che cercano altrove, rispetto a Cristo e alla Chiesa, un cammino di vita spirituale e di salvezza.
Una conoscenza approfondita del decreto conciliare Unitatis redintegratio, delle dichiarazioni Nostra aetate e Dignitatis humanæ, della lettera enciclica di Giovanno Paolo II Ut unum sint, dei loro fondamenti e delle loro conseguenze teologiche, è oggi più urgente di ieri.
Valgono in questo ambito le considerazioni che abbiamo svolto a proposito dell'iniziazione al testo biblico e alla mistica cristiana.
Uno degli espliciti intendimenti del Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo63 riguarda esattamente la formazione ecumenica nei seminari e nelle facoltà di teologia.
La pastorale viene considerata dai seminaristi come esperienza vissuta nel giorno del Signore in una comunità parrocchiale, e già in seminario non manca la fatica di coniugare in modo equilibrato lo studio con il vissuto nel servizio pastorale: con il facile esito di considerare accademiche le discipline teologiche e di scadere nell'empirismo o nel pragmatismo pastorale.
In realtà la pastorale va considerata come dimensione trasversale e operativa del sapere teologico e va esplicitata in una riflessione capace di motivare l'azione della Chiesa sia nei suoi aspetti strutturali di parola, liturgia e carità, sia nelle diverse forme del suo essere ed operare per il Regno attraverso la cura della comunità credente, attraverso la nuova evangelizzazione e attraverso la missio ad gentes.64
Tutto ciò richiede una chiara consapevolezza in chi è chiamato dal vescovo al ministero della docenza: la coscienza di essere educatore.
Agli alunni deve arrivare un messaggio trasparente da parte dei docenti: che il professore non è solo esperto nelle sue discipline da proporre e da difendere gelosamente da possibili interferenze, ma è un testimone della fede, sapientemente attento alla persona dell'alunno, capace di significare una "fraternità educante" in vera sintonia con gli altri colleghi, con il rettore e il vescovo.
Anche il docente deve favorire il discernimento nell'ambito del sapere che trasmette, per aiutare a cogliere le questioni più importanti ed essenziali.
Allora la gioiosa fatica del percorso teologico si aprirà senz'altro all'esperienza di Dio e sarà capace di maturare nei candidati al presbiterato una viva passione per il Regno nella chiara consapevolezza che ogni presbitero è « ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo capo e pastore ».65
Questo, d'altra parte, richiede una qualche forma di confronto tra gli educatori delle comunità seminaristiche e i responsabili delle facoltà teologiche.
I docenti delle scuole teologiche non possono ritenersi estranei rispetto alla formazione dei loro alunni che sono candidati al futuro ministero: anch'essi sono dei formatori.
Il confronto con gli educatori dei seminari sui contenuti da trasmettere e sulle valutazioni complessive da esprimere nei confronti degli alunni è quanto mai necessario per evitare quella sorta di distanza tra formazione spirituale, formazione pastorale e studi accademici; ma soprattutto per favorire quella sintesi personale, condizione assolutamente necessaria per il costituirsi di personalità motivate e mature.
Indice |
54 | Congr. Dottrina Fede, Istruz. Donum veritatis, 9 ( 1990 ) |
55 | Ibid., 1 |
56 | Ibid., 1 |
57 | Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Optatam totius, 14 |
58 | Giovanno Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, 53 |
59 | Cf. Comm. Episc. Dottrina Fede, La Bibbia nella vita della Chiesa. Nota pastorale ( 1995 ) |
60 | Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Dei Verbum, 25; Giovanno Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, 47; Comm. Episc. Dottrina Fede, La Bibbia nella vita della Chiesa, 31. Nota pastorale |
61 | Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum ordinis, 9; Giovanno Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 63 ( 1988 ) |
62 | Cf. Giovanno Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, 59 |
63 | Cf. Pont. Cons. Unità Cristiani, Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo ( 1993 ); Lo stesso Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani ha raccolto ed esplicitato il contenuto del Direttorio nel documento di studio La dimensione ecumenica nella formazione di chi si dedica al ministero pastorale ( 1997 ) |
64 | Cf. Giovanno Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, 57 |
65 | Ibid., 15 |