20 dicembre 1976
Non è certo una formalità esteriore, e tanto meno una usanza mediata da moduli profani che qui ci riunisce:
è la prossimità ormai imminente della solennità del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo che ci chiama;
è la celebrazione della sua venuta tra di noi, rivestitosi della nostra fragile povertà umana per portarla al livello stesso della sua divinità e dotarla della sua ricchezza ( Cfr. 2 Cor 8,9 );
è il ricordo della Notte Santa di Betlem, il cui prodigio di luce e di grazia si rinnoverà e si ripresenterà nella sua misteriosa realtà nei divini misteri della Liturgia del Natale:
tutto questo, come ogni anno, ci invita a scambiarci gli auguri, ad esprimere anche all'esterno, nella consueta e sia pur impari forma consentita alla nostra umana limitatezza, quella pienezza di gioia e di vita che ci è stata recata dalla nascita terrena del Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria.
Egli è inviato del Padre, il dono per eccellenza del suo amore ( Cfr. Gv 3,16 ), l'Agnello venuto a immolarsi per il peccato del mondo ( Gv 1,29.36 ), l'Alfa e l'Omega, il principio e la fine, il primo e l'ultimo ( Cfr. Ap 1,8; Ap 21,6; Ap 22,13 ), la chiave di David ( Cfr. Is 22,22; Ap 3,7 ) che apre e suggella i segreti dell'economia della salvezza scaturita dal seno del Padre, il Centro e il Cardine della storia del mondo: se la letizia spirituale ci pervade, se consuetudine vuole che ci esprimiamo i voti che l'affetto reciproco suscita nei nostri cuori, è perché Lui è venuto a salvarci, a imbandire il banchetto messianico dei beni supremi alla moltitudine dei poveri di Jahvè , e siamo tutti noi, che lo imploriamo « nell'attesa della sua venuta ».
E questo augurio si estende graziosamente anche a tutto l'arco, ancora sconosciuto e misterioso, degli eventi della vita civile, per l'anno che sta per iniziare: nella luce del Verbo, nella potenza della sua Mano che tutto regge, anche il corso di questi avvenimenti non può che racchiudere un segreto della sua Provvidenza, che, con la collaborazione degli uomini di buona volontà, ci guiderà alla realizzazione della pace e del progresso, per il bene dell'umana famiglia.
E anche per tutto questo, l'augurio germina dal cuore, nella luce del Verbo Incarnato.
In questa luce Noi siamo soliti a guardare all'anno che sta per concludersi, per trarne come un bilancio per la vita della Chiesa, considerata sia nei suoi rapporti col mondo e nel dipanarsi della sua vita tra le vicende della città terrena, sia nella sua intima e autonoma pienezza.
Con voi, venerati Fratelli e figli carissimi, vogliamo brevemente percorrere insieme questo cammino comune di esame e di verifica.
La preferenza che vogliamo dare ai problemi della vita interna della Chiesa non ci fa certo dimenticare anzitutto quelli che vaste porzioni della comunità ecclesiale, nell'Europa e nell'Asia, come anche in alcuni Paesi dell'America e dell'Africa, continuano - o incominciano - a dover affrontare a causa delle limitazioni, delle pressioni, talvolta delle oppressioni delle quali sono vittime l'istituzione ecclesiastica ed i singoli fedeli.
Ancora una volta, nell'imminenza dell'annuale commemorazione della venuta di Colui che è la forza e la speranza di quanti in Lui credono, vogliamo dire a questi dilettissimi fra i nostri figli il ricordo costante che di loro abbiamo, assicurarli del nostro particolare affetto e della nostra preghiera, animarli alla fedeltà e alla fiducia, mentre nuovamente manifestiamo la nostra ferma volontà di nulla omettere di quanto è nelle possibilità di questa Sede Apostolica a sostegno del loro buon diritto ed a tutela dei fondamentali diritti di ogni popolo e di ogni persona umana.
Se passiamo a considerare il panorama che il mondo offre, sul finire del presente anno, e le previsioni per quello che sta per incominciare, non possiamo nascondere la nostra preoccupazione per certe inquietudini che qua e là si manifestano e che potrebbero mettere in pericolo la tranquillità, se non generale, almeno di alcuni territori.
Vogliamo, ad ogni modo, confidare nella buona volontà e nella saggezza di coloro che presiedono ai destini dei popoli, ed in particolare di quelli sui quali gravano le maggiori responsabilità nell'evitare conflitti e salvaguardare la pace.
Per parte nostra, confermiamo il nostro impegno al servizio di uno scopo così nobile e tanto necessario, e la volontà di continuare ad offrire tutta la collaborazione a noi possibile a quanti sinceramente con noi condividono pensieri di pace e auspicano un'attiva, benefica solidarietà fra i popoli.
Con un profondo sentimento di sollievo e di soddisfazione – benché oscurato da timori non ancora sufficientemente sopiti – abbiamo visto avviarsi alla fine i combattimenti, che così a lungo hanno insanguinato il Libano.
Il nostro pensiero va a quanti di tali combattimenti sono stati vittime ed a quanti ne risentono tuttora, nella carne e nello spirito, le dolorose conseguenze.
Gli sforzi della buona volontà di tutti i responsabili debbono ora essere diretti alla soluzione dei problemi che hanno originato il conflitto ed all'opera della ricostruzione: la Santa Sede, che ha procurato già di fare il possibile a tale intento, continuerà volentieri a dare tutta la sua collaborazione volonterosa.
È nostro auspicio che la ricostruzione materiale e la ripresa della normale vita del Paese siano accompagnate da una non meno intensa ripresa nell'ordine spirituale e morale: sicché l'immagine del Libano torni a risplendere quale esempio di rispettosa e fruttuosa convivenza fra comunità distinte per confessione religiosa, ma unite nell'amore alla patria comune e alle sue nobili tradizioni.
La crisi libanese ha messo ancor maggiormente in risalto l'urgenza che sia risolto, nel suo complesso, l'annoso problema del Medio Oriente, sicché possa finalmente essere superato, in spirito di giustizia e di equità, lo stato di pericolosa tensione che permane nella regione.
Opinioni autorevolmente espresse hanno giudicato particolarmente propizio, alla ricerca di una composizione negoziata, il momento presente.
Ci auguriamo che ciò risponda alla realtà e, soprattutto, che tutti i responsabili vogliano e sappiano avvalersene.
Noi non possiamo, in questa prospettiva, non ripetere l'auspicio e non ricordare ancora una volta l'esigenza che - per il rispetto dovuto al diritto, e per la solidità stessa della pace - una adeguata soluzione sia trovata al problema dei Luoghi Santi cristiani, come pure di quelli ebraici e musulmani, ed in primo luogo al problema di Gerusalemme.
Non vogliamo omettere di accennare alla questione della Rodesia.
I recenti avvenimenti, che hanno portato alla ribalta la figura di un Presule - Monsignor Donald Raymond Lamont, Vescovo di Umtali - impegnato sino al sacrificio nella rivendicazione dei diritti della popolazione autoctona, ci spingono a farlo.
Ma ci muove, soprattutto, la speranza che la Conferenza indetta per risolvere il problema rodesiano possa, con la necessaria sollecitudine, portare a positivi risultati, in modo da assicurare reali condizioni di giustizia, di pacifica convivenza e di buona collaborazione tra tutte le popolazioni del Paese.
Tale è l'auspicio che noi, per l'affetto che portiamo all'Africa, fervidamente formuliamo.
Questo rapidissimo sguardo al mondo che ci circonda sarebbe troppo incompleto se nulla dicessimo dell'Italia, a Noi, e per tanti titoli, così vicina.
Non per riferirci qui ai problemi della sua vita nazionale, che pure seguiamo con particolare interesse e non senza trepidazione.
Vogliamo invece alludere al lavoro, al quale per parte sua la Santa Sede si è volonterosamente prestata, per una revisione del Concordato Lateranense che faccia di questo storico atto di conciliazione uno strumento meglio idoneo a garantire, nelle odierne circostanze, il corretto e amichevole rapporto fra lo Stato e la Chiesa: cosa, ancor più che altrove, necessaria in un Paese nel quale storia e realtà presente esigono che entrambi sappiano non solo lealmente riconoscere i rispettivi spazi di competenza, ma mantenere altresì - salva la mutua autonomia ed indipendenza - la strada dell'armonia e della buona cooperazione, per la pace religiosa e per il vantaggio spirituale e morale del popolo.
Tale è lo spirito e l'intendimento con il quale la Santa Sede si è accinta - dandone prova concreta con il suo atteggiamento - all'opera della revisione consensuale del Patto: e non animo di rivendicazione di privilegi, o sete di predominio, come da qualche parte si è voluto con manifesta ingiustizia insinuare.
Facciamo voti che l'iniziativa, di portata realmente storica, possa presto giungere a felice conclusione.
E ora, sull'atto di gettare lo sguardo sulla vita della Chiesa in se stessa, non possiamo non ricordare brevissimamente gli avvenimenti che hanno caratterizzato l'anno che sta per concludersi.
E non possiamo anzitutto non riandare col pensiero all'irradiazione di santità, che, a continuazione ideale di quel grande movimento di preghiera che è stato l'Anno Santo, si è come riversata sul mondo nei modelli di eroica vita cristiana, da Noi proposti a tutti i nostri figli, anzi a tutti gli uomini:
i nuovi Santi,
Beatrice da Silva Meneses, Vergine, Fondatrice delle Monache Francescane della Santissima Concezione di Maria, e
Giovanni Ogilvie, Martire, della Compagnia di Gesù, canonizzati rispettivamente il 3 e il 17 ottobre;
e i nuovi Beati,
Leopoldo da Castelnuovo, Confessore, dell'ordine dei Frati Minori Cappuccini, il 2 maggio scorso, e
la Carmelitana Scalza, Maria di Gesù Lopea de Rivas, Vergine, contemporanea e consorella di Santa Teresa d'Avila, il 14 novembre:
sono raggi che ci giungono da epoche remote nonché da quella contemporanea per confortarci nella preminente ricerca di Dio, nell'amore ai fratelli, che caratterizza la vita della Chiesa fin dal « comandamento nuovo » ( Gv 13,34 ) ricevuto ineffabilmente dal suo Divino Fondatore.
Così ricordiamo le giornate di fede eucaristica, che abbiamo vissuto con la celebrazione del Congresso Eucaristico internazionale di Filadelfia, culminate, la domenica 8 agosto, in una profonda unione di preghiera attorno all'altare della Messa che ci ha uniti dalla città del Miracolo, Bolsena, con le folle convenute nella città statunitense per la conclusione del Congresso.
Se la santità è il cuore della Chiesa, essa trova il suo alimento continuo nella rinnovazione eucaristica del Sacrificio del Calvario: qui il cumine dell'esistenza cristiana, qui la pienezza della comunione nell'unica fede, qui l'apoteosi visibile della vita comunitaria della Chiesa, come la fonte inesausta del rinnovamento interiore, che continuamente deve operarsi nel segreto di ciascuno dei fedeli.
Vorremmo ancora almeno menzionare fatti salienti e significativi, dell'anno ormai al tramonto: la chiamata di venti nuovi Membri, possiamo ben dire da ogni parte del mondo, a far parte del Collegio dei Cardinali come espressione visibile e culminante, dicemmo il 24 maggio, dell'esperienza di fede vissuta durante l'Anno Santo, della collegialità messa in nuova luce dal Concilio Vaticano II, e della fedeltà alla Chiesa.
E il ricordo di questa accessione di nuovi Cardinali non ci fa dimenticare i vuoti dolorosi che, lungo l'anno, si sono creati nel vostro veneratissimo e rappresentativo Collegio Cardinalizio.
Ricordiamo altresì
il passaggio delle Chiese di un intero Continente, vogliamo dire la giovane e dinamica Australia, al diritto comune;
la riunione del CELAM a Portorico;
gli atti incessanti della Santa Sede, tra cui piace ricordare la recentissima ristrutturazione, che dà loro la definitiva fisionomia ad essi spettante, di due organismi della Curia Romana, istituiti dopo il Concilio: il « Pontificium Consilium pro Laicis », unitamente al Comitato per la Famiglia, che a questo fa capo, e la Pontificia Commissione « Iustitia et Pax ».
Ma lo sguardo si dilata a tutta la Chiesa, in questo particolare momento.
Essa è segno di speranza e sicuro punto di riferimento, oggi specialmente, quando si moltiplicano segni inquietanti e paurosi di una società che sembra usare del dono stupendo e fragile della libertà per divenir schiava di ideologie pervertitrici, alle quali soccombere senza resistenza.
Il terrorismo freddamente organizzato da oscure forze, che si nascondono vilmente nell'ombra, semina la morte, costernando la coscienza dei più, inerme e disorientata, in tante nazioni del mondo; in non pochi paesi gli istituti di pena sono diventati scuola di delinquenza.
Eppure, di fronte a tutte queste minacce ricorrenti, di pensiero o di azione, che sembrano voler disgregare l'ordinata vita pubblica e le forme della sua pacifica convivenza volta al bene di tutti, la Chiesa non cessa di essere il « signum elevatum in nationibus procul » ( Cfr. Is 5,26; Is 11,12 ).
La sua vitalità è pacifica e maestosa come lo scorrere di un grande fiume di pace messianica, effuso dal Signore ( Is 66,12 ); e questa vitalità si manifesta nella difesa del patrimonio della fede, che la Chiesa con cura gelosa custodisce intatto, come la pupilla dei propri occhi, dalle critiche corrosive e dalle interpretazioni in qualunque modo riduttive, come dai pregiudizi e dalle chiusure preconcette, che in un caso e nell'altro si risolvono sempre e soltanto nella disobbedienza ai legittimi Pastori del corpo episcopale e all'umile successore di Pietro che sta alla loro testa.
Si manifesta, questa vitalità, nella tutela impavida e intemerata della Legge morale, inscritta nel cuore dell'uomo e garantita dalla Rivelazione dell'Antico e del Nuovo Testamento: e ciò avviene mediante l'insegnamento di questa Sede Apostolica - che non teme né il rumore, né l'ostilità, e tanto meno l'umiliazione e l'ironia di quel mondo per cui Cristo non ha pregato come per i suoi discepoli ( Cfr. Gv 17,9 ) ma che pur ha amato fino a dare la sua vita per esso ( Gv 3,17; Gv 6,51; Gv 14,31 ) - nel proclamare il diritto alla vita, l'indissolubilità del matrimonio, le norme sane, ascetiche e liberatrici della vita sessuale.
Si manifesta ancora, questa vitalità, nell'impulso evangelizzatore che sorregge la Chiesa nella sua missione, e ch'essa a sua volta sostiene con sforzo immane per essere testimone tra i popoli della verità e della santità di Dio;
si manifesta nelle varie forme della vita ecclesiale e religiosa;
nella fedeltà delle famiglie agli impegni quotidiani in cui si esplica la grazia sacramentale del matrimonio;
nella fecondità spirituale delle anime consacrate;
nel fervore che permea i giovani specialmente con lietissimi sintomi di bontà incoraggiante, di pensosità costruttiva, di coscienza comunitaria;
nel lieto risveglio delle vocazioni sacerdotali e religiose, in particolar modo all'apostolato missionario e alla vita contemplativa.
Questa vitalità della Chiesa, di cui abbiamo ogni giorno tacite ma significative e consolantissime prove, si può paragonare alla vita organica che pulsa nell'universo.
Come un grande albero, che ha le estremità profondamente affondate nel suolo che da secoli lo nutre, anche la Chiesa getta le sue radici nel passato, per giungere fino a Cristo e agli apostoli.
In questo senso è indubitabile - ed è irragionevole contestarlo - l'immutabilità del deposito, che la Chiesa custodisce nel proporre il dogma, la morale, e la stessa liturgia nel principio luminoso della « lex orandi, lex credendi ».
Una rimane la vita della Chiesa, stabile e salda, perché « unum corpus et unus Spiritus … Unus Dominus, una fides, unum baptisma.
Unus Deus et Pater omnium, qui est super omnes et per omnia et in omnibus nobis » ( Ef 4,4ss ).
In questa linea noi siamo stati finora, noi siamo, noi saremo sempre, secondo le parole di Paolo: « solliciti servare unitatem Spiritus in vinculo pacis » ( Ef 4,3 ).
Ma come questa immutabilità nasce dalle radici stesse della Chiesa che attingono la loro linfa dal passato, mediante il Cristo, fino a giungere al seno stesso di Dio, così essa non è assolutamente in contrasto con la vita che da quelle radici pullula e fiorisce.
Non c'è contrapposizione alcuna tra vita e immutabilità; al contrario, è la vita che assicura l'immutabilità essenziale di un essere vivente.
L'immutabilità della pietra, della materia insensibile, è tutt'altra cosa da quella che assicura l'identità continua dell'essere vivente attraverso la sua crescita fisica e intellettuale, e nel suo confrontarsi con le circostanze dell'esistenza.
Una pianta, un corpo organico, restano sostanzialmente gli stessi a mano a mano che crescono.
È l'antico e sempre calzante paragone di Vincenzo di Lérin, a tutti noto ( Vincentii Lerinensis Commonitorium Primum, 23: PL 50, 667 ss. ); è l'idea che già era stata illustrata da Cipriano con immagini suggestive: « Ecclesia Domini … ramos suos in universam terram copia ubertatis extendit, profluentes largiter rivos latius pandit: unum tamen caput est et origo una et una mater fecunditatis successibus copiosa » ( S. Cypriani De Unitate Ecclesiae, 5: PL 4, 518 ).
Dalle radici profonde si sviluppano i rami di uno stesso tronco, sempre antichi e sempre nuovi: dalle linfe del passato essi si protendono verso l'avvenire, in avanti, per raccogliere gli stormi degli uccelli che vi cercano ombra e riposo ( Cfr. Mc 4,32 ).
Lo sviluppo è essenziale nella vita della Chiesa.
La Chiesa rimane immobilmente fedele a se stessa; ma al tempo stesso essa si arricchisce continuamente.
Di qui si dimostra la fecondità, la necessità, il ruolo del Concilio Vaticano II, che, non meno di tutte le altre assise ecumeniche, ha dato una risposta chiara, dogmaticamente ineccepibile, pastoralmente prudente e innovatrice, alle istanze degli uomini del nostro tempo.
Non si potrebbero ragionevolmente mettere in dubbio i suoi risultati positivi, anche se, com'è sempre avvenuto nella vita della Chiesa, vi sono state e vi sono penose deviazioni, che, pur procedendo forse da sentimenti nobili, provocano nella Chiesa conseguenze assai gravi: da una parte, lo sviluppo della Chiesa è inteso in un senso tale che non si riesce più a scorgerne i confini, tanto che se n'è persa la stessa nozione; dall'altra, invece, un malinteso motivo di fedeltà porta a negare e a rifiutare ogni sviluppo, contro l'evidenza stessa della tradizione vivente della Chiesa.
Nell'uno e nell'altro caso il male nasce fondamentalmente, oltre che da una vera mancanza di umiltà e di obbedienza, dall'ignorare di fatto la garanzia assicurata allo sviluppo, nella continuità, dall'Autore medesimo della Chiesa: si pretende di farla da giudici, da soli, di ciò che sembra essere o meno nella linea autentica della tradizione.
Certo, l'immutabilità della fede è oggi messa in pericolo dal relativismo in cui alcuni autori sono caduti.
Ma, in opposizione a tale atteggiamento, noi abbiamo fermamente ricordato che la rivelazione divina ha un senso preciso e determinato, un'immutabile verità, che ci è proposta da credere da parte di Cristo, della tradizione apostolica e degli atti del Magistero; e abbiamo ammonito che nessuna ermeneutica ha il diritto - per adattare la Buona Novella a mentalità che differiscono secondo le epoche e gli ambienti - di sostituire a questo significato altri pretesi significati equivalenti, benché parzialmente opposti, o funestamente ridotti.
Eppure ci si obietta - e lo diciamo con grande pena – che varie dottrine o direttive del Concilio Vaticano II, da noi confermate e riprese, si distaccano dalla fede tradizionale.
Non possiamo soffermarci sui diversi punti, tanto più che non abbiamo mancato di farlo altre volte: ma vogliamo almeno menzionare quello del diritto alla libertà religiosa.
Si tratta di un diritto nei confronti delle autorità umane, in particolare di quella dello Stato; e di un diritto - che è allo stesso tempo, ancor più, un grave dovere morale - che ha per oggetto la ricerca della vera religione, come pure la scelta e l'impegno a cui tale ricerca è rivolta.
Il Concilio, in nessun modo, fonda questo diritto sul fatto che tutte le religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, che riguardano questo campo, avrebbero un valore più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona umana, la quale esige di non essere sottoposta a costrizioni esteriori che tendono a opprimere la coscienza nella ricerca della vera religione e nell'adesione ad essa.
Venerati Fratelli e Figli carissimi!
Ecco quanto abbiamo desiderato confidarvi in questa trepidante attesa della festività del Verbo che viene a salvarci.
In questi giorni il nostro cuore è presso la grotta santa della Natività, il pensiero e la preghiera sgorgano attorno al presepio: Gesù è sceso in quella nudità per fondare la Chiesa, sacramento della salvezza; il Padre, come ha detto il Concilio, « mandò infatti suo Figlio … affinché dimorasse tra gli uomini e ad essi spiegasse i segreti di Dio ( Cfr. Gv 1,1-18 ).
Gesù Cristo, dunque, Verbo fatto carne, mandato come " uomo agli uomini" ( Epistola ad Diognetum, 7, 4 ) "parla le parole di Dio" ( Gv 3,34 ) e porta a compimento l'opera della salvezza affidatagli dal Padre ( Cfr. Gv 5,36; Gv 17,4 ) » ( Dei Verbum, 4 ).
Di là, da quel presepio è cominciato a germogliare il seme che ora, albero frondoso, si distende su tutta la terra; di là l'inizio, di là l'impulso motore, di là la spiegazione di tutta la storia della Chiesa e del mondo, nella corrente di santità e di grazia che ha preso origine dalla sua venuta.
Così lo aspettiamo, così lo vedremo a Natale, così pregheremo presso la santa Culla: e lo troveremo là, a sorriderci e a incoraggiarci dalle braccia della sua immacolata Madre Maria.
A Lei, Madre di Cristo e Madre della Chiesa, affidiamo con invitta speranza l'avvenire della Chiesa stessa, anzi dell'umanità intera, per la quale da Lei è nato il Cristo; a Lei chiediamo di poter amare la Chiesa com'Ella l'ha amata, di imitare nell'apostolato la sua missione materna.
Sì, venerati Fratelli, come ha sottolineato il Concilio, « nella sua opera apostolica, la Chiesa giustamente guarda a Colei che generò Cristo, concepito dallo Spirito Santo e nato dalla Vergine appunto per nascere e crescere, mediante la Chiesa, nel cuore dei fedeli.
La Vergine … fu modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli, che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini » ( Lumen Gentium, 65 ).
Dell'intensità e della sincerità di questo amore dovremo rendere tutti conto davanti a Colui che verrà a giudicarci nella maestà della gloria del Padre, come ora viene a redimerci nell'umiltà incomprensibile dei suoi abbassamenti.
In quest'attesa vigile e orante, tutti ci benedica dalle braccia della Vergine Madre il Figlio di Dio fatto Uomo, nel cui Nome santo, ora, a nostra volta noi vi benediciamo, augurandovi « Buon Natale! ».