23 dicembre 1991
A tutti sono grato per la testimonianza di comunione
1. "Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto ancora, rallegratevi … Il Signore è vicino!" ( Fil 4,4-5 ).
Signori Cardinali, venerati e cari Fratelli!
Il clima gioioso, che caratterizza il nostro tradizionale incontro in prossimità del Natale, ci rende particolarmente sensibili a questa esortazione dell'apostolo Paolo, che la Liturgia ci ha riproposto durante il tempo sacro di Avvento.
In queste ore di trepida vigilia noi avvertiamo che veramente "il Signore è vicino": vicino a coloro che, consapevoli della loro indigenza, vivono nell'attesa di "Colui che deve venire".
Per accoglierlo bene è necessario unirsi alla schiera dei poveri ed umili che si incontrano nei testi biblici dell'Avvento.
Sono essi che, illuminati come il vecchio Simeone dallo Spirito Santo, hanno occhi per vedere "la salvezza", che Dio ha preparato davanti a tutti i popoli ( cf. Lc 2,30-31 ).
Tra queste persone, che mantengono vigile il senso dell'attesa del Salvatore, vogliamo e dobbiamo essere anche noi: io e voi, carissimi membri della Curia Romana, che siete miei diretti collaboratori nel gravoso servizio all'intero Popolo di Dio e, come tali, quotidianamente condividete con me le preoccupazioni e le speranze connesse all'annuncio del Vangelo nel mondo.
Nel ripetervi, pertanto, l'invito apostolico a rallegrarvi nel Signore, saluto l'interprete dei vostri sentimenti, il Signor Cardinale Agnelo Rossi, al quale, mentre porgo le più vive condoglianze per il recente lutto, esprimo un grazie cordiale per gli auguri che, a nome di tutti, ha formulato.
Il Concistoro dello scorso 28 giugno ha reso il volto del Collegio Cardinalizio, di cui ella, Signor Cardinale, è Decano ancor più universale, arricchendolo di testimoni coraggiosi della fede, che hanno pagato con lunghi anni di sofferenza la loro fedeltà a Cristo, e di generosi servitori della Sede apostolica.
A voi Signori Cardinali qui presenti, e all'intero Collegio Cardinalizio, rivolgo il mio saluto grato e fraterno
Saluto poi tutti gli Arcivescovi e Vescovi, gli Officiali e i Collaboratori che prestano servizio nella Curia Romana e nel Vicariato.
A tutti sono grato per la testimonianza di comunione che la stessa presenza odierna mi rinnova, ed insieme con tutti do lode al Signore per i molti doni da lui concessi nel corso di questo anno, che ormai volge al suo termine.
Basta un rapido sguardo retrospettivo al 1991 per riconoscere l'intervento provvidenziale del Signore nei molti eventi che hanno segnato la storia dell'umanità, all'interno della quale il popolo di Dio, fedele al Vangelo, procede tra "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi" ( Gaudium et spes, 1 ).
La chiesa non intende venir meno al suo compito di promuovere ed elevare tutto quello che di vero, di buono, di positivo si trova sulla terra, opponendosi, al tempo stesso, a ciò che minaccia, da varie parti, l'autentico bene dell'uomo.
Essa, infatti, "cammina unitamente a tutta l'umanità e sperimenta insieme al mondo la medesima sorte terrena" ( Gaudium et spes, 40; EV 1/1443 ).
La missione, a essa conferita da Cristo, la spinge a esser presente in ogni campo dell'attività umana, proclamando l'annuncio evangelico, fonte di integrale liberazione, anche sociale.
In ossequio a tale mandato, i sommi pontefici, soprattutto a partire da Leone decimoterzo - il papa della Rerum novarum -, non hanno esitato a levare la loro voce a difesa e a promozione della dignità della persona.
I loro interventi, tanto numerosi quanto ponderati, hanno avviato un grande movimento in favore dell'uomo, "il che nelle alterne vicende della storia ha contribuito a costruire una società più giusta o, almeno, a porre argini e limiti all'ingiustizia" ( Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 3 ).
Ricordando il centenario dell'enciclica leoniana, ho voluto che il 1991 fosse l'"anno della dottrina sociale della chiesa", non solo per commemorare degnamente tale storico documento, ma anche per illuminare con un puntuale atto di magistero le specifiche problematiche emergenti dalle nuove circostanze che l'umanità si trova oggi a vivere in ordine al lavoro e allo sviluppo dei popoli.
Varie manifestazioni, convegni e incontri - come sapete - hanno segnato, in molte parti del mondo, questo storico giubileo, che è stato accolto con interesse e ha avuto vasta eco.
Al riguardo, desidero ricordare il seminario interdisciplinare sul tema della destinazione universale dei beni e la solenne commemorazione dell'enciclica di Leone XIII, promossa dal Pontificio consiglio della giustizia e della pace e la successiva celebrazione eucaristica con i lavoratori in piazza San Pietro, nonché la beatificazione di padre Adolph Kolping, precursore e promotore di un coraggioso apostolato tra i lavoratori, nel quale l'impegno sociale appare esemplarmente coordinato con la tensione verso la santità.
A sottolineare la storica portata del centenario di quella enciclica, ho promulgato la Centesimus annus, mettendo in luce la fecondità dei principi già espressi dal mio predecessore ed esaminando per dovere pastorale alcuni degli avvenimenti contemporanei.
In essa, pur tenendo presente mobilità e complessità delle situazioni, ho invitato a "guardare al futuro, quando già s'intravede il terzo millennio dell'era cristiana, carico di incognite, ma anche di promesse" ( Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 3 ).
Debbo rendere grazie al Signore, che elargisce ogni bene, per l'attenzione prestata all'enciclica da non pochi uomini di stato, dai responsabili dell'economia e dai capi di diverse confessioni religiose.
L'ONU ha inscritto la Centesimus annus tra i suoi documenti ufficiali, diffondendola come strumento di riflessione per la costruzione di una società sempre più umana e giusta.
Debbo rendere grazie al Signore anche per le varie iniziative pastorali, intraprese in molte diocesi, nell'intento di approfondire la dottrina sociale della chiesa e di applicarla alle concrete condizioni della società.
In questo quadro si inserisce anche il progetto di fondazione, che è in fase di studio, dell'Accademia pontificia delle scienze sociali, che avrà il compito di offrire alla sede apostolica il contributo qualificato della ricerca per una tempestiva e aggiornata elaborazione della dottrina in un campo tanto importante.
Non sarà mai sottolineato abbastanza che l'interesse rivolto alla chiesa in questo ambito deve costituire per essa un continuo stimolo a rispondere coraggiosamente, con spirito di reale servizio, alle attese dell'uomo e alle sfide dell'ora presente.
La chiesa sa bene di doversi confrontare con i bisogni della comunità internazionale, nell'intento di contribuire, da parte sua, a estendere il raggio d'azione della giustizia e dell'amore all'interno di ciascuna nazione e nei rapporti delle nazioni tra loro.
Essa è consapevole, inoltre, che tali valori non possono in alcun modo essere disgiunti, nel suo insegnamento e nella sua testimonianza, dall'annuncio chiaro ed esplicito di Cristo, che "è la via a ciascun uomo", la via sulla quale "la chiesa non può essere fermata da nessuno" ( Ioannis Pauli PP. II, Redemptor hominis, 13 ).
Il crollo dei regimi collettivistici nei paesi dell'Europa orientale sta a dimostrare che la libertà e la creatività della persona umana debbono essere messe al centro anche dell'ordine economico.
Ove questo non avviene, ove la responsabilità di ogni essere umano non è rispettata né adeguatamente valorizzata, ne risente e ne soffre tutta la compagine sociale, con grave pregiudizio della stessa attività economica.
L'economia libera, d'altro canto, ha bisogno per sussistere di importanti virtù morali, come la laboriosità, la sincerità e la lealtà nei reciproci rapporti, la fortezza nel prendere decisioni impegnative, la capacità di assumere con coraggio oneri e rischi.
È importante ricordare tutto questo nel momento in cui non pochi paesi d'Europa intraprendono il difficile cammino verso la costruzione di nuove strutture economiche, più idonee a soddisfare le esigenze e le attese della gente.
Ma è altrettanto importante ricordare che la libertà economica è solo un aspetto o una dimensione della libertà umana e va perciò coordinata con le altre, se non vuole diventare essa stessa strumento di oppressione.
Esistono beni che non si possono acquistare al mercato: fondamentale tra essi è la dignità della persona umana.
Oltre ai bisogni materiali ci sono pure esigenze spirituali ben più alte, che per loro natura debbono essere soddisfatte nella gratuità di uno scambio, in cui la persona è riconosciuta e amata per se stessa.
Occorre, pertanto, superare la mentalità meramente utilitaristica, che ignora le dimensioni trascendenti della persona umana e la riduce al circolo angusto della produzione e del consumo.
Una società così concepita non è capace di integrare i più deboli e poveri, né riesce a soddisfare ciò che attendono le nuove generazioni, anche per superare una certa diffusa cultura che le rinchiude in se stesse, le porta a ricercare paradisi artificiali e a sfuggire alle responsabilità della vita familiare e sociale.
Occorre adoperarsi per una società nuova, in cui le persone possano contare di più, in cui alla lotta sia sostituito l'incontro di libertà e responsabilità, l'alleanza tra libero mercato e solidarietà, per promuovere un tipo di sviluppo che tuteli la vita, difenda l'uomo, specie il povero e l'emarginato, rispetti il creato, ch'è opera della mano di Dio.
All'attuazione di tale progetto, da perseguire con realismo alieno da facili utopie, la comunità dei cristiani non dovrà lasciar mancare il proprio contributo che si ispira al Vangelo, messaggio di salvezza per ogni uomo e per tutto l'uomo.
"Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni" ( Mt 28,19 ): il Signore ha lasciato questa consegna ai suoi discepoli, ed essa, se mantiene il suo valore lungo i secoli, tuttavia è fatta oggi particolarmente urgente, alle soglie ormai del Duemila, di fronte ai molti bisogni dell'uomo moderno, talora non dichiarati, alle volte persino dissimulati o repressi.
Si tratta di riaccendere la speranza là dove ombre di morte minacciano la serenità e la stessa vita dell'uomo.
Si tratta di riconoscere i segni dei tempi e di rilanciare, con spirito missionario, la nuova evangelizzazione dell'Europa.
Ho colto questa impellente esigenza nel corso dei viaggi pastorali, che mi hanno condotto quest'anno in vari Paesi europei come il Portogallo, la Polonia, l'Ungheria.
Da Fatima a Jasna Gora è la stessa "missione" che si delinea, tendente a far sì che all'est e all'ovest del vecchio Continente risuoni l'annuncio sempre vivo e vivificante di Cristo, il Salvatore di tutti.
Il suo trascendente messaggio deve giungere in ogni angolo della terra, perché grande è l'attesa di salvezza!
Oltre all'Europa, penso, ad esempio, all'America Latina.
Durante la mia visita in Brasile ho avvertito, tra enormi potenzialità di bene e preoccupanti contraddizioni sociali, il desiderio di Cristo, del suo messaggio di verità e di liberazione.
Proprio per venire incontro a tali esigenze spirituali ci apprestiamo a celebrare, il prossimo anno, il quinto centenario dell'evangelizzazione del Continente latinoamericano.
Ricorre anche il centenario dell'arrivo dei missionari in alcune Nazioni dell'Africa, mentre prosegue alacremente il lavoro preparatorio del Sinodo per questo Continente.
In particolar modo ho potuto sperimentare l'urgenza ed insieme la possibile fecondità della nuova evangelizzazione nella Giornata Mondiale della Gioventù, celebrata nell'agosto scorso.
Si può affermare che presso il Santuario di Czestochowa ci è stato dato di vivere, in una certa misura, la nuova realtà dell'Europa dopo il crollo delle barriere ideologiche e politiche.
Migliaia di giovani dell'est, del centro e dell'ovest dell'Europa, giovani di oltre ottanta Nazioni per la prima volta si sono riuniti liberamente a pregare e proclamare la propria fede in Cristo Gesù.
Tale evento ha segnato una tappa nell'iter dell'evangelizzazione in questo scorcio di secolo, che invita a riflettere e ad agire.
Di fronte ad un mondo che cambia rapidamente occorre insistere nell'annunciare il Vangelo con rinnovato coraggio: Cristo deve giungere alla mente e al cuore delle nuove generazioni, perché il futuro sia illuminato e vivificato dalla sua presenza.
La giornata della gioventù è stata come il prologo di un altro importante evento: il Sinodo straordinario dei vescovi per l'Europa, conclusosi dieci giorni fa.
Ne annunciai la convocazione nell'aprile dello scorso anno, durante la visita pastorale in Cecoslovacchia, presso il celebrato santuario di Velehrad.
All'indomani dei grandi rivolgimenti sociali, che stavano mutando il volto politico di una parte considerevole del continente europeo, mi si presentò quasi spontaneamente il tema della liberazione.
La libertà esteriore - pensavo - dopo la lunga oppressione non può prescindere dalla libertà interiore: se sono cadute le catene nel campo politico, è necessario operare per ristabilire la prima e preliminare libertà, l'autentica libertà che è quella con cui Cristo ci ha liberati ( cf. Gal 5,1 ).
E i credenti - pensavo ancora - sono chiamati a essere presso i loro fratelli gli annunciatori e i testimoni di tale fondamentale libertà.
Questa è stata la genesi a un tempo soggettiva e oggettiva della recente assemblea, che, con l'aiuto di Dio, vuol essere un contributo che la chiesa offre ai popoli d'Europa, perché riscoprano le loro radici comuni e possano edificare la loro casa comune.
Anche il simposio presinodale, organizzato dal Pontificio consiglio della cultura in Vaticano, si è inserito in questo processo, segnando la preparazione quasi immediata dell'assemblea, perché ha messo a fuoco le tematiche culturali e spirituali di maggior interesse.
È avvenuto così che il recente sinodo ha permesso per la prima volta, dopo anni di forzata separazione, l'incontro tra le chiese dell'est, del centro e dell'ovest dell'Europa.
Davvero esso è stato un provvidenziale kairós che ai rappresentanti dei cristiani delle nazioni europee ha consentito di dialogare in fraterna libertà, di conoscersi meglio, di crescere nella comunione e di sperimentare la forza operante dello Spirito che parla - come sempre, oggi come ieri - alle chiese ( cf. Ap 2,7 ).
Grazie a questi multiformi contatti, si è verificato un fecondo scambio dei doni.
I padri sinodali, nella loro coscienza pastorale, non hanno mancato di chiedersi come rispondere alle sfide del mondo moderno.
Come negare che la caduta dei regimi atei ha lasciato nelle persone e nei gruppi un vuoto spirituale, incertezza e anche vulnerabilità nei confronti delle seduzioni che derivano dal materialismo sia teorico che pratico?
Il pericolo - come sapete - si avverte non solo all'est, ma anche all'ovest, per cui si profilano analoghi e gravi problemi pastorali per la chiesa in entrambe le aree.
La nuova evangelizzazione si impone per tutte le contrade del continente.
La chiesa guarda al duemila e tiene presente lo "stampo cristiano" che alla storia bimillenaria dell'Europa hanno impresso tanti coraggiosi testimoni della fede, i quali hanno pagato spesso con la vita - all'origine del cristianesimo, come anche ai nostri giorni - la loro fedeltà al Vangelo.
"Testimoni di Cristo che ci fa liberi": questo il tema che conduce, da una parte, a interpretare il contesto socioculturale nel quale viviamo e, dall'altra, a risalire alle sorgenti della salvezza, riscoprendo la figura di Cristo, unico Salvatore dell'uomo.
Nel sinodo è stata riaffermata la volontà di proclamare la croce di Cristo quale conferma della verità sull'uomo, perché nella sua morte è posto il sigillo incancellabile della risurrezione e della vita.
Il problema centrale - come ha rilevato la dichiarazione conclusiva - è la sintesi tra libertà dell'uomo e verità, tra verità, giustizia e solidarietà.
Le sfide del progresso moderno interpellano la fede: c'è nell'odierna cultura uno sviluppo del senso critico, fatto, questo, positivo, che, tuttavia, può sfociare nel relativismo culturale ed etico.
La nuova evangelizzazione deve proclamare la verità che ci fa liberi mediante il dialogo e l'ascolto di tutti, con spirito di discernimento e con coraggio.
La recente assemblea è stata caratterizzata dalla presenza di delegati fraterni di diverse confessioni cristiane, i quali a pieno titolo hanno preso parte ai lavori.
Gli incontri, i colloqui e le preghiere in comune - vorrei, in particolare, ricordare la liturgia ecumenica svoltasi nella Basilica Vaticana il 7 dicembre - hanno posto in rilievo la necessità di continuare il dialogo ecumenico, ricercando l'unità e la comunione.
Un dialogo paziente e sincero, animato dalla verità e dalla carità, inteso ad eseguire il comando di Cristo di esser "tutti una sola cosa", perché il mondo creda ( Gv 17,21 ).
Sarà un tale ecumenismo della verità e carità a far dei cristiani i credibili profeti della speranza e della solidarietà agli occhi del mondo.
Sostengano questo cammino difficile i santi patroni d'Europa, san Benedetto, san Cirillo e san Metodio.
Interceda, in particolare, santa Brigida, di cui abbiamo celebrato recentemente il sesto centenario di canonizzazione.
Questa ricorrenza ha assunto un valore significativo, costituendo un passo importante nel dialogo ecumenico.
L'esempio di questa santa e la memoria della missione da lei svolta al servizio dell'unità della chiesa, rappresentano un motivo di incoraggiamento per quanti sono impegnati nella nuova evangelizzazione dell'Europa.
Quest'anno abbiamo anche celebrato il quarto centenario della morte di un altro santo europeo, san Giovanni della Croce.
Ho voluto che l'evento fosse commemorato con l'invio di un mio delegato sia all'inizio sia alla chiusura delle celebrazioni giubilari in Spagna e con la lettera apostolica Maestro en la fe.
L'umile e austera figura di questo carmelitano irradia con i suoi scritti, che si rivelano tuttora di grande attualità, una grande luce per penetrare nel mistero di Dio e nel mistero dell'uomo.
Egli, che ebbe un particolare senso della trascendenza divina, orienti il nostro sguardo nell'ora della nuova evangelizzazione.
Maestro nella fede e nella vita teologale, Giovanni della Croce ci ha inculcato la necessità di essere purificati dallo Spirito del Signore, per svolgere un'azione apostolica incisiva ed efficace.
C'è, infatti, una stretta connessione tra la contemplazione e l'impegno per la trasformazione del mondo.
Consapevole di ciò, la chiesa ha sempre attribuito speciale importanza alla funzione delle anime contemplative che, nel raccoglimento, nella preghiera, nel sacrificio nascosto, offrono la loro vita a Dio per la salvezza dei fratelli.
Auspico che, anche oggi, siano numerose le persone generosamente disposte ad accogliere la chiamata di Dio e ad affrontare - nella solitudine dei carmeli e dei diversi monasteri di vita contemplativa - l'avventura, esigente e affascinante insieme, della ricerca esclusiva del colloquio con colui che è la fonte di ogni umana esistenza.
Mentre sta per chiudersi il periodo di avvento, i nostri cuori già sono illuminati dal chiarore della notte santa: notte della venuta, nella fede, di Cristo Salvatore.
"Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce …; hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia" ( Is 9,1.2 ).
Questa luce, che l'antico profeta annunciava al popolo ebraico, brilla ancor oggi dinanzi all'umanità.
"Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" ( Gv 1,14 ).
È tra noi il Principe della pace; è con noi il Redentore dell'uomo.
L'augurio che rivolgo di cuore a ciascuno è che non si affievolisca mai il vigore di questa certezza, che diviene ragione di impegno ascetico, pastorale e missionario.
Viene il Signore Gesù!
Viene a noi per mezzo della vergine Maria, madre di Dio e madre nostra.
A lei, vergine dell'ascolto e dell'obbedienza, affido ciascuno di voi e tutte le persone a voi care.
A lei affido il nuovo anno, ormai vicino.
Ella, aurora della salvezza e stella della nuova evangelizzazione, ci guidi, ci sostenga e ci protegga.