Providentissimus Deus |
Noi quindi, come curammo, non senza frutto, con l'aiuto di Dio, di far progredire, con frequenti lettere ed esortazioni, alcuni altri generi di discipline che sembravano poter molto giovare all'incremento della gloria divina e alla salvezza del genere umano, così già da lungo tempo pensavamo di spronare e raccomandare questo studio altissimo delle sacre Lettere e dirigerlo anche più conformemente alle necessità dei tempi presenti.
Ci sentiamo mossi e spinti dalla sollecitudine del nostro ufficio apostolico non solo a desiderare che in modo sempre più sicuro e abbondante si renda manifesta, per l'utilità dei gregge del Signore, questa fonte della rivelazione cattolica, ma ci sentiamo anche spinti a non tollerare che venga violata in alcuna parte da coloro che con empia audacia inveiscono apertamente contro la sacra Scrittura, o tramano a suo danno ingannevoli o imprudenti innovazioni.
Non ignoriamo, venerabili fratelli, come fra i cattolici non pochi siano gli uomini d'ingegno e di dottrina che si adoperano alacremente sia per la difesa dei Libri divini, sia per contribuire ad una più ampia cognizione e intelligenza di essi.
Mentre elogiamo grandemente la loro opera e i loro frutti, non possiamo fare a meno, tuttavia, di esortare vivamente a meritare l'elogio di così santo scopo anche tutti coloro la cui solerzia, dottrina e pietà ottimamente promettono in questo campo.
Vivamente desideriamo e bramiamo che molti rettamente intraprendano e costantemente si occupino della difesa delle divine Lettere e che quelli, soprattutto, che la divina grazia chiamò al sacri ordini, si applichino ogni giorno con diligenza e solerzia sempre maggiori nel leggerle, meditarle e spiegarle, come è loro preciso dovere.
La ragione per cui tanto sembra da raccomandarsi questo studio, a parte la sua eccellenza e l'ossequio dovuto alla parola divina, sta nella molteplicità dei vantaggi che sappiamo dovranno derivarne, secondo l'infallibile promessa dello Spirito Santo: "Ogni Scrittura divinamente ispirata è utile a insegnare, a redarguire, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l'uomo di Dio sia perfetto e pronto ad ogni opera buona" ( 2 Tm 3,16-17 ).
Che le Scritture siano state date certamente da Dio agli uomini a tal fine, lo dimostrano gli esempi del Cristo Signore e degli apostoli.
Gesù, infatti, che "con i miracoli si conciliò l'autorità e con l'autorità si acquistò la fede e con la fede attrasse la moltitudine",6 soleva, nell'ufficio dei suo divino mandato, appellarsi alle sacre Scritture.
Infatti quando gli si offre l'occasione, prova con le sacre Scritture di essere stato mandato da Dio, e si proclama Dio; da esse prende gli argomenti per ammaestrare i suoi discepoli e per confermare la sua dottrina; da esse rivendica testimonianze contro le calunnie dei suoi denigratori e le oppone, per redarguirli, ai sadducei e ai farisei, e le ritorce anzi contro lo stesso satana che impudentemente osa tentarlo.
Di esse si servì anche alla fine della sua vita, e, risuscitato, le spiegò ai discepoli, sino a che ascese alla gloria del Padre.
4 Ammaestrati dalla sua parola e dal suoi precetti, gli apostoli, sebbene Gesù concedesse che "segni e prodigi si operassero per mano loro" ( At 14,3 ), grande efficacia traevano tuttavia dai Libri divini, per diffondere largamente tra le genti la sapienza cristiana, per infrangere la pertinacia dei giudei e per soffocare le eresie nascenti.
Ciò appare apertamente dai loro stessi discorsi, primo fra tutti quello del beato Pietro, che composero quasi interamente con detti dell'Antico Testamento, come fermissima prova della nuova legge.
E ciò è pure dimostrato dai vangeli di Matteo e Giovanni, e dalle lettere cosiddette cattoliche; molto chiaramente, poi, appare dalla testimonianza di colui che "si gloria di aver appreso la legge di Mosè e profeti ai piedi di Gamaliele, da poter poi, come armato di armi spirituali, fiduciosamente affermare: Le armi della nostra milizia non sono carnali, ma ogni nostra potenza ci viene da Dio". ( At 22,3; 2 Cor 10,4 )7
Per mezzo dunque degli esempi del Cristo Signore e degli apostoli, comprendiamo tutti, e specialmente i novizi della sacra milizia, quanto siano da tenersi in conto le Lettere divine, e con quale diligenza e con quale pietà debbano accedere allo studio di esse come ad un arsenale.
Per coloro, infatti, che abbiano da trattare la dottrina della verità cattolica, sia presso i dotti come gli indotti, nessun altro luogo, più delle Scritture, offre numerose e più ampie testimonianze su Dio, sommo e perfettissimo bene, e sulle sue opere, che manifestano la gloria e l'amore di lui.
Riguardo poi al Salvatore del genere umano, nulla vi è di più eloquente e più evidente delle testimonianze contenute in tutto il contesto della Bibbia, onde Girolamo giustamente poteva affermare che "l'ignoranza delle Scritture è ignoranza del Cristo".8
Dalla Scrittura, infatti, balza viva e palpitante l'immagine di lui, dal quale si diffonde, in un modo del tutto meraviglioso, la liberazione dal male, l'incitamento alle virtù, l'invito all'amore divino.
Per ciò che riguarda la chiesa, e cioè la sua istituzione, la sua natura, le sue funzioni, i suoi carismi, tanto spesso se ne fa menzione nelle Scritture, e tanto numerosi si trovano in essa gli argomenti fermi ed evidenti a suo favore, da far esclamare giustamente san Girolamo: "Colui che è corroborato da testimonianze delle sacre Scritture, questi è certamente un potente baluardo per la chiesa".9
Che se poi si cercassero norme di disciplina di vita e di costumi, abbondanti e ottimi sussidi troveranno in essa gli uomini apostolici: prescrizioni piene di santità, esortazioni condite di soavità e di forza, insigni esempi per ogni genere di virtù.
A tutto ciò si aggiunge un'autorevolissima promessa e una minaccia, fatte nel nome e con le Parole dello stesso Dio, di premi o di pene per l'eternità.
E questa virtù propria e singolare delle Scritture, che viene dalla divina ispirazione dello Spirito Santo, è quella che conferisce autorità all'oratore sacro, offre l'apostolica libertà di parole, dona vigorosa e vittoriosa eloquenza.
Chi, infatti, nel predicare comunica lo spirito e la forza del Verbo divino, "non predica soltanto a parole, ma anche nella virtù e nello Spirito Santo e in molta pienezza" ( 1 Ts 1,5 ).
6 Si può dunque affermare che agiscono senza ordine e improvvidamente coloro che tengono prediche sulla religione ed enunciano precetti divini servendosi quasi esclusivamente di parole di scienza e di prudenza umana, appoggiandosi più su argomenti propri che non su quelli divini.
Di conseguenza tali prediche, per quanto appoggiate sullo splendore dello stile, riescono fiacche e fredde, perché mancanti del fuoco della parola di Dio ( Ger 23,29 ): ben lontane quindi da quella forza di cui essa è ricca: "La parola di Dio, infatti, è viva ed efficace e più affilata di qualunque spada a doppio taglio e penetra fino alla divisione dell'anima e dello spirito" ( Eb 4,12 ).
Quantunque anche i più saggi debbano ammettere che si trova nelle sacre Scritture una mirabile, varia e copiosa eloquenza degna di cose grandi - cosa che sant'Agostino vide chiaramente10 e dimostrò eloquentemente -, tuttavia ciò è confermato anche dall'esperienza stessa dei più eccellenti oratori sacri, i quali, grati a Dio, ebbero ad affermare di dover la loro fama soprattutto all'assiduo uso e pia meditazione della Bibbia.
I santi padri, avendo sperimentato molto bene tali cose, sia speculativamente che praticamente, mai cessarono dal lodare e le divine Lettere e i loro frutti.
Le chiamano, in vari loro scritti, tesoro ricchissimo delle celesti dottrine,11 fonti perenni di salvezza,12 o le presentano quali campi fertili e ameni orti, nei quali il gregge del Signore viene mirabilmente ristorato e ricreato.13
7 Viene qui opportuno ricordare le raccomandazioni di san Girolamo al chierico Nepoziano: "Leggi spesso le divine Scritture, mai, anzi, la lettura sacra venga deposta dalle tue mani; apprendi ciò che insegni … ; il parlare del prete sia condito dalla lettura delle Scritture".14
E qui viene opportuna la sentenza di san Gregorio Magno, il quale descrisse più sapientemente di ogni altro i compiti dei pastori della chiesa: "E necessario", egli dice, "che coloro che hanno l'ufficio della predicazione non tralascino mai lo studio della sacra lettura".15
Ci piace ancora ricordare sant'Agostino che ammonisce: "È vuoto quel predicatore che non sia intimo discepolo della parola di Dio",16 e lo stesso Gregorio che mette in guardia gli oratori sacri "affinché nelle sacre predicazioni, prima di predicare agli altri, pensino a se stessi, perché non succeda che badando agli altri si dimentichino di sé".17
Tale norma però, sull'esempio e sull'insegnamento del Cristo, che "Incominciò prima a fare e poi a insegnare" ( At 1,1 ).
Già era stata ampiamente inculcata dall'apostolo, che rivolse non a Timoteo soltanto, ma a tutto l'ordine dei chierici questo precetto: "Attendi a te e all'insegnamento e persevera in queste cose, perché così facendo tu salvi te stesso e quelli che ti ascoltano" ( 1 Tm 4,16 ).
Nelle sacre Lettere sono veramente offerti aiuti preziosi per la salvezza e perfezione propria e altrui, illustrati più abbondantemente nel Salmi; tuttavia, per coloro che prestano alla parola divina non soltanto una mente docile e attenta, ma anche una volontà abitualmente integra e pia.
Non si deve infatti stimare il valore di tali libri alla stregua degli altri: poiché essi, essendo ispirati dallo Spirito Santo, e contenendo cose importantissime, e in molti punti recondite e assai difficili, per comprenderle e spiegarle sempre "abbiamo bisogno dell'intervento dello stesso Spirito"18 e cioè del suo lume e della sua grazia.
8 Tali mezzi, come con frequente insistenza ammonisce l'autorità del divino Salmista, dobbiamo implorare con umile preghiera e custodire in noi con la santità della vita.
Da tutte queste cose appare quindi egregiamente la provvidenza della chiesa, la quale, "affinché non giacesse trascurato il tesoro dei sacri Libri, che lo Spirito Santo con somma liberalità donò agli uomini",19 in ogni tempo vi provvide con ottime istituzioni e leggi.
Essa infatti stabilì non solo che tutti i suoi ministri avessero l'obbligo di leggerne e meditarne pia mente gran parte nell'ufficio quotidiano, ma anche che venisse spiegata e commentata, per mezzo di uomini idonei, nelle chiese cattedrali, nei monasteri, nei vari conventi degli altri regolari, nei quali possano convenientemente fiorire gli studi; e ordinò che almeno nel giorni di domenica e nelle feste solenni i fedeli venissero nutriti, in modo a loro conveniente, con le salutari parole dell'evangelo.20
E così si deve pure alla saggezza e sollecitudine della chiesa il culto della sacra Scrittura, vivo in ogni tempo e fecondo di grandi vantaggi.
Giova qui far notare, anche per confermare sempre più le nostre testimonianze e le nostre esortazioni, come sin dagli inizi della religione cristiana, tutti coloro che eccelsero per santità di vita e di opere e per scienza delle cose divine furono sempre assidui nella lettura delle sacre Lettere.
Vediamo gli immediati discepoli degli apostoli, tra i quali Clemente Romano, Ignazio d'Antiochia, Policarpo; gli apologisti e nominatamente Giustino ed Ireneo, che nelle loro epistole e libri, sia che difendano sia che celebrino i dogmi cattolici, attingono specialmente dalla sacra Scrittura tutta la loro sicurezza, la forza e ogni grazia.
Sorte poi le scuole catechetiche e teologiche in molte sedi episcopali, tra cui celebri l'Alessandrina e l'Antiochena, non si aveva in esse quasi altra istituzione di studi se non quelle che riguardavano la lettura, l'esposizione, la difesa della parola divina scritta.
Da tali scuole vennero poi fuori molti Padri e scrittori, dei cui laboriosi studi ed egregi libri abbondarono a tal punto i tre secoli segnati, da essere a buon diritto chiamati l'età aurea dell'esegesi biblica.
Tra gli Orientali tiene il primo posto Origene, mirabile per la prontezza d'ingegno e per la costanza nella fatica: dai suoi numerosi scritti e dall'immensa opera degli Esapla attinsero quasi tutti i posteri.
Sono pure da annoverare coloro che ampliarono i confini di tale disciplina: tra i più eccellenti della scuola alessandrina abbiamo Clemente e Cirillo; dalla Palestina Eusebio e l'altro Cirillo; dalla Cappadocia Basilio Magno e l'uno e l'altro Gregorio, il Nazianzeno e il Nisseno; da Antiochia il famoso Giovanni Crisostomo, in cui gareggiavano grande perizia di dottrina e somma eloquenza.
Non meno illustri sono gli Occidentali.
Tra i molti che grandemente si segnalarono, nomi celebri sono quelli di Tertulliano e Cipriano, di Ilario e Ambrogio, di Leone Magno e Gregorio Magno; celeberrimi quelli di Agostino e Girolamo, dei quali l'uno fu sommamente acuto nel penetrare il senso della parola divina ed espertissimo nel farla servire alla verità cattolica, l'altro fu onorato dal singolare riconoscimento della chiesa col titolo di dottore massimo per la scienza dei Libri sacri e per le grandi fatiche sostenute per la conoscenza di essi.
Da questo tempo fino al secolo XI, tale genere di studi, benché non fiorisse con pari ardore e non desse i frutti di prima, tuttavia fu in auge per opera soprattutto di uomini ecclesiastici.
Essi curarono infatti o di scegliere quegli insegnamenti più utili, come gli antichi li lasciarono, e, una volta convenientemente ordinati, di divulgarli con l'aggiunta di propri commenti, come fu fatto in primo luogo da Isidoro di Siviglia, da Beda, da Alcuino; o di illustrare i sacri codici con glosse, come fece Valafrido Strabone e Anselmo di Laon; o infine di salvaguardarne con rinnovata sollecitudine l'integrità, come fecero Pier Damiani e Lanfranco.
Nel secolo XII poi molti si occuparono lodevolmente dell'esposizione allegorica della Scrittura: in questo genere eccelle tra gli altri san Bernardo, i cui sermoni ridondano quasi esclusivamente delle divine Lettere.
Ma nuovi e consolanti incrementi vennero ad aggiungersi col metodo degli Scolastici.
Questi, sebbene abbiano cercato di investigare la lezione genuina della versione latina, come lo attestano chiaramente i loro Correttori biblici, tuttavia indirizzarono maggiormente i loro studi e le loro cure all'interpretazione e spiegazione delle Scritture.
Furono distinti infatti, con un'arte e con una chiarezza, come non mai per l'innanzi, i vari sensi delle sacre parole, e soppesata di ognuno l'importanza nella scienza teologica; furono definite le parti dei libri, gli argomenti delle parti; furono investigati i fini degli scrittori, spiegati il nesso e i rapporti tra le varie proposizioni: considerate tali cose, è chiaro che nessuno potrebbe negare che molta luce si è fatta in tal modo sui passi oscuri.
E quanto abbondante e scelta fosse la loro dottrina sulle Scritture, ce lo manifestano pure ampiamente sia i libri di teologia, sia i commenti alle medesime Scritture; e anche sotto questo riguardo ebbe tra essi il primo posto san Tommaso d'Aquino.
Dopo che Clemente V, nostro predecessore, ebbe dotato l'ateneo dell'Urbe e le più celebri università degli studi di cattedre di lettere orientali, i nostri studiosi incominciarono a lavorare molto più accuratamente sui codici originali della Bibbia e sull'esemplare latino.
Con il ritorno, in seguito, tra noi dell'erudizione greca e molto più con la felice invenzione della nuova arte della stampa, grandemente si accrebbe il culto della sacra Scrittura.
È cosa mirabile, infatti, come in sì breve tempo si siano tanto moltiplicati con la stampa i sacri testi, specialmente la Volgata, da riempire quasi l'orbe cattolico, così che, proprio nel tempo in cui i nemici della chiesa la calunniano, i divini volumi sono però onorati ed amati.
E neppure si deve passare sotto silenzio quali vantaggi nella scienza biblica abbia apportato il grande numero degli uomini dotti, appartenenti specialmente a famiglie religiose, dal concilio di Vienne al Tridentino.
Essi, infatti, servendosi dei nuovi mezzi, e portando essi stessi il contributo della loro molteplice erudizione e del loro ingegno, non solo accrebbero il patrimonio accumulato dagli antichi, ma prepararono quasi la via alla preminenza del secolo seguente, che scaturì dallo stesso concilio Tridentino, allorché sembrò quasi ritornare la grande età dei Padri.
12 Nessuno infatti ignora, e ci è gradito ricordarlo, come i nostri predecessori, da Pio IV a Clemente VIII, fossero i promotori di quelle insigni edizioni delle antiche versioni, della Volgata e dell'Alessandrina, che poi, pubblicate per ordine e con l'autorità di Sisto V e dello stesso Clemente, si trovano ancor oggi nell'uso comune.
È noto come nello stesso tempo siano state edite con la massima diligenza sia le altre antiche versioni della Bibbia, sia la poliglotta di Anversa e quella di Parigi, adattissime per un'accurata investigazione del senso; né vi era alcun libro dell'uno e dell'altro Testamento che non vantasse ben più di un valente interprete, o qualche grave questione, attorno cui non si fossero affaticati assai proficuamente molti uomini d'ingegno, tra i quali, non pochi, soprattutto tra i più esperti studiosi dei santi Padri, acquistarono un nome illustre.
Né a partire da questo tempo lasciò a desiderare la solerzia dei nostri, poiché valenti uomini, di quando in quando, ben meritarono in tali studi, difendendo le sacre Lettere contro le avverse dottrine del razionalismo, tratte dalla filologia e da altre discipline affini, con simile genere di argomenti.
13 Tutte queste cose provano, a chi ben le considera, come la chiesa non sia mai venuta meno al suo compito di tramandare in modo salutare le fonti della divina Scrittura ai propri figli, e come abbia conservato perennemente la sua posizione di presidio nella quale venne divinamente posta per la tutela e il decoro delle stesse e come l'abbia consolidata provvedendola di ogni genere di studi, di modo che non ebbe mai bisogno e non abbisogna di incitamenti di estranei nell'adempimento del suo compito.
Indice |
6 | S. Aug., Deutil. cred., 14, 32 |
7 | S. Hier., Ep. 53 al. 103 ad Paulinum 3 |
8 | S. Hier., In Is., Prol. |
9 | S. Hier., In Is., 54, 12 |
10 | S. Aug., De doctr. christ. 4, 6-7 |
11 | S. Io. Chrys., In Gen. hom. 21, 2; 60, 3; S. Aug., De discipl. christ. |
12 | S. Athan., Epist. fest. 39 |
13 | S. Aug., Sermo 46,24; S. Ambr., In Ps. 118, sermo 14,2 |
14 | S. Hier., Epist. 52 al. 2 ad Nepotianum 7 s. |
15 | S. Greg. M., Reg. past. 2, 11 al. 22; Moral. 18, 26 al. 14 |
16 | S. Aug., Sermo 179, 1 |
17 | S. Greg. M., Reg. past. 3, 24 al. 48 |
18 | S. Hier., In Mich., 1, 10 |
19 | Conc. Trid., Sess. 5, cap. 1 De rev |
20 | Conc. Trid., Sess. 5, cap. 1, 2 |