Providentissimus Deus |
È certamente già gran cosa che la dottrina cattolica sia stata provata, esposta, illustrata con la legittima e solerte interpretazione dei Libri sacri; rimane tuttavia un'altra parte da farsi e di ben grande importanza, come pure di grande lavoro e cioè che si sostenga il più validamente possibile l'integra autorità degli stessi Libri sacri.
Intento che in nessun altro modo potrà universalmente e pienamente conseguirsi se non per mezzo del vivo e legittimo magistero della chiesa, la quale, "per se stessa e cioè per la sua ammirabile propagazione, per l'esimia sua santità e inesauribile fecondità in ogni opera buona, per la sua cattolica unità e invitta stabilità è un grande e perpetuo motivo di credibilità e testimonio irrefragabile del suo divino mandato".37
Poiché il divino e infallibile magistero della chiesa poggia anche sull'autorità della sacra Scrittura, bisogna perciò in primo luogo sostenere e rivendicare a questa una fede almeno umana: e da questi libri, come da testimoni veraci a tutta prova dell'antichità, si mettano in evidenza e al sicuro la divinità e la missione del Cristo Signore, l'istituzione della chiesa gerarchica, il primato conferito a Pietro e ai suoi successori.
Gioverà assai a questo scopo se vi saranno molti ben preparati tra gli insigniti del sacro ordine, i quali anche in questo campo combattono per la fede e respingono gli assalti ostili, rivestiti soprattutto dell'"armatura di Dio" ( Ef 6,13 ss ), come ci avverte l'apostolo, e quindi non impreparati alle nuove armi e battaglie dei nemici.
Ecco come egregiamente esprime ciò il Crisostomo parlando dei doveri sacerdotali: "Occorre molto studio, affinché "il verbo del Cristo abiti abbondantemente in noi" ( Col 3,16 ): non dobbiamo infatti essere preparati ad un solo genere di lotta, essendo molteplice la battaglia e vari i nemici, i quali per di più non si servono tutti delle stesse armi, né usano un'unica tattica per scendere in lotta contro di noi.
Per questo è necessario che colui che dovrà combattere con ogni sorta di nemici abbia profonda conoscenza di tutti gli strumenti e arti degli avversari, da essere così nello stesso tempo e arciere e fromboliere, tribuno e condottiero, duce e soldato, fante e cavaliere, perito di guerre navali e di città assediate: se infatti egli non conoscerà tutte le arti del combattere, ben saprà il diavolo, qualora anche una sola parte venisse lasciata indifesa, far penetrare per quella i suoi predoni e dilaniare il gregge".38
Abbiamo sopra accennato agli inganni, alle arti di cui i nemici si servono per combattere in questo campo: ora vi indicheremo quali siano i mezzi di cui dovrete valervi per la difesa.
Il primo mezzo è lo studio delle antiche lingue orientali e della cosiddetta arte critica.
Essendo oggi tenuta in grande conto e onore la conoscenza di entrambe le discipline, ne consegue che il clero che ne sia fornito, con una scienza più o meno profonda secondo i luoghi e gli uomini con cui abbia a che fare, meglio potrà sostenere il suo prestigio e il suo ufficio, dovendo egli "farsi tutto a tutti" ( 1 Cor 9,22 ), sempre pronto a "dar soddisfazione a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui" ( 1 Pt 3,15 ).
È dunque necessario per i docenti di sacra Scrittura e conviene ai teologi la conoscenza profonda delle lingue nelle quali i libri canonici furono originariamente composti dagli agiografi.
Sarà pure ottima cosa se i discepoli della chiesa coltiveranno tali lingue, specialmente coloro che aspirano ai gradi accademici in teologia.
Occorre anche curare che nelle accademie, cosa che lodevolmente si fa già in molte di esse, si impartiscano lezioni anche di altre lingue antiche, specialmente semitiche, e di quelle materie che con esse hanno relazione, soprattutto per coloro che vengono designati per l'insegnamento delle sacre Lettere.
Questi poi, per lo stesso motivo, dovranno essere più dotti e più esercitati nella vera scienza dell'arte critica.
Ingiustamente infatti, e con danno della religione, si introdusse l'artificio coonestato dal nome di alta critica, secondo la quale, in base a sole ragioni interne, come essi dicono, dovrebbero scaturire l'origine, l'integrità, l'autorità di ogni libro.
È chiaro, invece, che nelle questioni storiche, come sono l'origine e la conservazione dei libri, valgono sopra tutte le testimonianze storiche, e che queste soprattutto debbono essere raccolte e investigate con la maggior diligenza possibile; mentre le ragioni interne, il più delle volte, non sono poi di così grande importanza da poter essere chiamate in causa, se non per una certa conferma delle altre.
29 Agendo diversamente ne conseguiranno di certo grandi inconvenienti.
I nemici della religione, infatti, prenderanno sempre più ardire nell'assalire e combattere l'autenticità dei Libri sacri: quello stesso genere di critica più sublime ch'essi praticano, si ridurrà infine a tal punto da lasciare che ognuno segua, nell'interpretazione, la propria propensione, la propria opinione pregiudicata.
Di qui ne viene che non si otterrà né il lume richiesto per l'intelligenza delle sacre Scritture, né alcun vantaggio per la dottrina, ma al contrario apparirà quel sicuro contrassegno di errore, che è la varietà e la dissomiglianza dei modi di pensare, come già ne fanno fede gli stessi principali assertori di questa nuova scienza.
Di qui pure ne verrà che, essendo i più impregnati di una vana filosofia e delle dottrine del razionalismo, non esiteranno a rimuovere dai sacri Libri profezie, miracoli, e tutto ciò che supera l'ordine naturale.
Bisogna combattere in secondo luogo coloro che, abusando della propria scienza di fisici, indagano in ogni modo i Libri sacri, per rimproverare agli autori la loro imperizia in tali cose, e trovano da ridire sugli stessi scritti.
Queste accuse, riguardando le cose oggetto dei sensi, diventano perciò stesso più pericolose, diffuse tra il popolo, e soprattutto tra i giovani studenti, i quali, una volta perso il rispetto riguardo a qualche punto della divina rivelazione, perderanno facilmente ogni fede in ogni punto di essa.
È ben manifesto quanto le scienze naturali siano atte a far comprendere la gloria dell'Artefice impressa nelle cose create, purché vengano rettamente proposte, come pure quale grande potere abbiano nello svellere gli elementi di una sana filosofa e nella corruzione dei costumi, se perversamente infuse nei giovani animi.
La cognizione perciò delle cose naturali sarà un valido sussidio per il dottore di sacra Scrittura, per scoprire più facilmente e confutare anche siffatti cavilli addotti contro i Libri divini.
31 Nessuna vera contraddizione potrà interporsi tra il teologo e lo studioso delle scienze naturali, finché l'uno e l'altro si manterranno nel propri confini, guardandosi bene, secondo il monito di sant'Agostino di "non asserire nulla temerariamente, né di presentare una cosa certa come incerta".39
Se poi vi fosse qualche dissenso, lo stesso santo dà sommariamente le regole del come debba comportarsi in tali casi il teologo: "Tutto ciò che i fisici, riguardo alla natura delle cose, potranno dimostrare con documenti certi, è nostro compito provare non essere nemmeno contrario alle nostre Lettere; ciò che poi presentassero nei loro scritti di contrario alle nostre Lettere e cioè contrario alla fede cattolica, o dimostriamo con qualche argomento essere falso ciò che asseriscono o crediamolo falso senza alcuna esitazione".40
Per comprendere quanto sia giusta questa regola, notiamo in primo luogo che gli scrittori sacri, o più giustamente "lo Spirito di Dio che parlava per mezzo di essi, non intendeva ammaestrare gli uomini su queste cose ( cioè sull'intima costituzione degli oggetti visibili ), che non hanno importanza alcuna per la salvezza eterna",41 per cui essi più che attendere direttamente all'investigazione della natura, descrivevano e rappresentavano talvolta le cose con una qualche locuzione metaforica, o come lo comportava il modo comune di parlare di quei tempi ed ancora oggi si usa, riguardo a molte cose, nella vita quotidiana, anche tra uomini molto colti.
Dato che nel comune linguaggio viene espresso in primo luogo e propriamente ciò che cade sotto i sensi, così anche lo scrittore sacro ( e come ci avverte anche il dottore angelico ) "si attenne a ciò che appare ai sensi",42 ossia a ciò che Dio stesso, parlando agli uomini, espresse in modo umano per farsi comprendere da essi.
32 Dicendo che la difesa della sacra Scrittura deve essere condotta strenuamente, non ne segue che si debbano ugualmente sostenere tutte le sentenze che i singoli padri e successivamente gli interpreti affermano nello spiegarla, in quanto essi, date le opinioni del tempo, nell'interpretare i passi in cui si tratta di cose fisiche non sempre forse giudicarono secondo la verità oggettiva, di modo che alcune interpretazioni allora proposte, ora sono meno accettabili.
Occorre perciò distinguere diligentemente quali siano di fatto le interpretazioni che essi tramandarono come spettanti alle cose di fede o strettamente connesse con essa; quali poi siano state tramandate con unanime consenso, poiché infatti "nelle cose che non sono di necessità di fede fu lecito ai santi, come anche a noi, pensare in modo diverso", secondo la sentenza di san Tommaso.43
Il quale in altro luogo molto prudentemente avverte: "Mi sembra cosa più sicura riguardo alle opinioni comunemente ammesse dai filosofi e che non ripugnano alla nostra fede, non asserirle come dogma di fede, anche se introdotte talvolta sotto il nome dei filosofi, ma neppure negarle come contrarie alla fede, per dar occasione ai sapienti di questo mondo di disprezzare la dottrina della fede".44
Quantunque sia certamente compito dell'interprete dimostrare che le cose proposte come certe per mezzo di argomenti certi dagli studiosi di scienze naturali non contraddicono affatto le Scritture, se rettamente spiegate, non deve tuttavia sfuggire all'interprete questo fatto e cioè che talora avvenne che alcune cose date come certe furono poi poste in dubbio e quindi ripudiate.
Che, se poi gli scrittori di scienze naturali, oltrepassati i confini della propria disciplina, invadessero con errate opinioni il campo della filosofia, l'interprete teologo domandi ai filosofi di confutarle.
Queste stesse cose gioverà applicarle anche alle altre scienze affini, specialmente alla storia.
È da deplorarsi, infatti, come vi siano molti che investigano e portano a conoscenza, anche con grandi fatiche, monumenti dell'antichità, costumi e istituzioni di gente antica e altre testimonianze del genere, ma il più delle volte con l'intento di scoprire errori nel Libri sacri, per riuscire ad infirmarne e a scuoterne l'autorità.
E ciò taluni fanno con animo accanitamente ostile e con giudizio non abbastanza equo, poiché, trattandosi di libri profani e di antichi monumenti, tale è la fiducia che vi prestano, da escludersi persino ogni sospetto di errore, mentre negano una almeno pari fiducia alle sacre Scritture, anche per una sola parvenza di errore, neppure debitamente provata.
È certamente possibile che nella trascrizione dei codici qualcosa abbia potuto essere riportata meno rettamente, il che è da giudicarsi con ponderatezza e non da ammettersi tanto facilmente, se non in quei passi ove ciò sia stato debitamente dimostrato.
È anche possibile che rimanga ancora incerto il senso preciso di qualche passo, e per delucidarlo saranno di grande aiuto le migliori regole dell'interpretazione.
Ma non è assolutamente permesso o restringere l'ispirazione soltanto ad alcune parti della sacra Scrittura, o ammettere che lo stesso autore sacro abbia errato.
Infatti non è ammissibile il metodo di coloro che risolvono queste difficoltà non esitando a concedere che l'ispirazione divina si estenda alle cose riguardanti la fede e i costumi, e nulla più, stimando erratamente che, trattandosi del vero senso dei passi scritturali, non tanto sia da ricercarsi quali cose abbia detto Dio, quanto piuttosto il soppesare il motivo per cui le abbia dette.
Infatti tutti i libri e nella loro integrità, che la chiesa riceve come sacri e canonici, con tutte le loro parti, furono scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, ed è perciò tanto impossibile che la divina ispirazione possa contenere alcun errore, che essa, per sua natura, non solo esclude anche il minimo errore, ma lo esclude e rigetta così necessariamente, come necessariamente Dio, somma verità, non può essere nel modo più assoluto autore di alcun errore.
34 Tale è l'antica e costante fede della chiesa, definita anche con solenne sentenza dai concili Fiorentino e Tridentino, e confermata infine e dichiarata più espressamente nel concilio Vaticano che in modo assoluto così decretò: "Bisogna ritenere come sacri e canonici i libri interi dell'Antico e del Nuovo Testamento con tutte le loro parti, come vengono recensiti dal decreto dello stesso concilio [ Tridentino ] e quali si hanno nell'antica edizione volgata latina.
E la chiesa li ritiene come sacri e canonici, non per il motivo che, composti dal solo ingegno umano, siano poi stati approvati dalla sua autorità, e neppure per il semplice fatto che contengono la rivelazione senza errore, ma perché, essendo stati scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore".45
Perciò non ha qui valore il dire che lo Spirito Santo abbia preso degli uomini come strumenti per scrivere, come se qualche errore sia potuto sfuggire non certamente all'autore principale, ma agli scrittori ispirati.
Infatti egli stesso così li stimolò e li mosse a scrivere con la sua virtù soprannaturale, così li assisté mentre scrivevano, di modo che tutte quelle cose e quelle sole che egli voleva, le concepissero rettamente con la mente, e avessero la volontà di scrivere fedelmente e le esprimessero in maniera atta con infallibile verità: diversamente non sarebbe egli stesso l'autore di tutta la sacra Scrittura.
Questo sempre ritennero i santi padri: "Dunque - dice sant'Agostino -, dal momento che essi scrissero ciò che egli mostrava e diceva, in nessun modo può dirsi che non sia stato lui a scrivere, quando le sue membra operano ciò che conobbero sotto la parola del capo".46
E san Gregorio Magno dice: "È davvero vano il voler cercare chi abbia scritto tali cose, quando fedelmente si creda che autore del libro è lo Spirito Santo. Scrisse dunque tali cose chi le dettò perché si scrivessero; scrisse colui che anche nell'opera di quello, fu l'ispiratore".47
Ne viene di conseguenza che coloro che ammettessero che nei luoghi autentici dei sacri Libri possa trovarsi alcun errore, costoro certamente o pervertono la nozione cattolica della divina ispirazione o fanno Dio stesso autore dell'errore.
35 Tutti i padri e dottori erano talmente persuasi che le divine Lettere, quali furono composte dagli agiografi, sono assolutamente immuni da ogni errore, che non pochi di quei passi che sembrano presentare qualcosa di contrario e di dissimile ( e cioè quasi i medesimi che ora vengono proposti come obiezioni sotto il nome della nuova scienza ) cercarono non meno sottilmente che religiosamente di comporli e conciliarli tra loro, professando all'umanità che quei libri, sia interi sia nelle loro singole parti, erano in pari grado divinamente ispirati e che Dio stesso, che parlò per mezzo dei sacri autori, non poté affatto ispirare alcunché di alieno dalla verità.
Valga per tutti ciò che lo stesso Agostino scriveva a Girolamo: "Io, infatti, confesso alla tua benevolenza che soltanto al libri delle Scritture, che già vengono chiamati canonici, ho imparato a prestare una tale venerazione e onore, da credere fermissimamente che nessuno dei loro autori abbia commesso errore alcuno nello scrivere.
Qualora poi, mi imbattessi in essi in qualche cosa che sembrasse contrario alla verità, non avrò il minimo dubbio che ciò dipenda o dal codice difettoso, o dal traduttore che non ha interpretato rettamente ciò che fu scritto, o che la mia mente non è arrivata a capire".48
Indice |
37 | Conc. Vat. I, Sess. 3, cap. 3 De fide |
38 | S. Io. Chrys., De sacerd. 4,4 |
39 | S. Aug., In Gen. op. imperf., 9, 30 |
40 | S. Aug., De Gen. ad litt., 1, 21, 41 |
41 | S. Aug., ib. 2, 9, 20 |
42 | S. Thom., S. th. I q. 70 a. 1 ad 3 |
43 | S. Thom., In 2 Sent. d. 2 q. 1 a. 3 |
44 | S. Thom., Opusc. 10 |
45 | Conc. Vat. I Sess. 3 cap. 2, De rev. |
46 | S. Aug., De cons. evang. 1, 35 |
47 | S. Greg. M., Moral. in Iob. preaf. 1, 2 |
48 | S. Aug., Epist. 82, 1 et crebrius alibi |