Redemptionis donum

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II - Vocazione

"Gesù, fissatolo, lo amò"

3 "Gesù, fissatolo, lo amò" ( Mc 10,21 ) e gli disse: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo: poi vieni e seguimi" ( Mt 19,21 ).

Anche se sappiamo che queste parole, dette al giovane ricco, non furono accolte dal chiamato, tuttavia il loro contenuto merita un'attenta riflessione.

Esse, infatti, ci presentano la struttura interiore della vocazione.

"Gesù, fissatolo, lo amò".

Questo è l'amore del Redentore: un amore che scaturisce da tutta la profondità divino-umana della redenzione.

In esso si riflette l'eterno amore del Padre, che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" ( Gv 3,16 ).

Il Figlio, investito da quest'amore, accettò la missione del Padre nello Spirito Santo, e divenne il Redentore del mondo.

L'amore del Padre si è rivelato nel Figlio come amore che salva.

Proprio quest'amore costituisce il vero prezzo della redenzione dell'uomo e del mondo.

Gli apostoli di Cristo parlano del prezzo della redenzione con una profonda emozione: "Non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati… ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia", scrive san Pietro ( 1 Pt 1,18 ).

"Infatti, siete stati comprati a caro prezzo", afferma san Paolo ( 1 Cor 6,20 ).

La chiamata alla via dei consigli evangelici nasce dall'incontro interiore con l'amore di Cristo, che è amore redentivo.

Cristo chiama proprio mediante questo suo amore.

Nella struttura della vocazione l'incontro con questo amore diventa qualcosa di specificamente personale.

Quando Cristo "dopo avervi fissati vi amò", chiamando ognuno e ognuna di voi, cari religiosi e religiose, quel suo amore redentivo venne rivolto a una determinata persona, acquistando al tempo stesso caratteristiche sponsali: esso divenne amore d'elezione.

Tale amore abbraccia la persona intera, anima e corpo, sia uomo o sia donna, nel suo unico e irripetibile "io" personale.

Colui che, donatosi eternamente al Padre, "dona" se stesso nel mistero della redenzione, ecco che ha chiamato l'uomo, affinché questi, a sua volta, si doni interamente a un particolare servizio dell'opera della redenzione mediante l'appartenenza a una comunità fraterna, riconosciuta e approvata dalla Chiesa.

Non fanno forse eco proprio a questa chiamata le parole di san Paolo: "Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo… e che non appartenete a voi stessi?

Infatti, siete stati comprati a caro prezzo" ( 1 Cor 6,19-20 ).

Sì, l'amore di Cristo ha raggiunto ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, con quel medesimo "prezzo" della redenzione.

In conseguenza di ciò, vi siete resi conto come "non appartenete più a voi stessi", ma a lui.

Questa nuova consapevolezza è stata il frutto dello "sguardo amorevole" di Cristo nel segreto del vostro cuore.

Voi avete risposto a questo sguardo, scegliendo colui che per primo ha scelto ciascuno e ciascuna di voi, chiamandovi con l'immensità del suo amore redentivo.

Chiamando "per nome", la sua chiamata fa appello sempre alla libertà dell'uomo.

Cristo dice: "Se vuoi…". E la risposta a questa chiamata è, dunque, una scelta libera.

Voi avete scelto Gesù di Nazaret, il redentore del mondo, scegliendo la strada che egli vi ha indicato.

"Se vuoi essere perfetto…"

4 Questa via si chiama anche la via della perfezione.

Conversando col giovane, Cristo dice: "Se vuoi essere perfetto…", sicché il concetto di "via della perfezione" possiede la sua motivazione nella stessa fonte evangelica.

Non sentiamo, del resto, nel discorso della montagna: "Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste" ( Mt 5,48 )?

La chiamata dell'uomo alla perfezione è stata, in qualche modo, percepita da pensatori e moralisti del mondo antico e anche successivamente, nelle diverse epoche della storia.

La chiamata biblica, però, possiede un suo profilo del tutto originale: essa è particolarmente esigente, quando addita all'uomo la perfezione a somiglianza di Dio stesso.

Proprio in tale forma la chiamata corrisponde a tutta la logica interna della Rivelazione, secondo la quale l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio stesso. ( Lv 19,2; Lv 11,44 )

Egli deve, quindi, cercare la perfezione che gli è propria nella linea di questa immagine e somiglianza.

Scriverà san Paolo nella lettera agli Efesini: "Fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore" ( Ef 5,12 ).

Pertanto, la chiamata alla perfezione appartiene all'essenza stessa della vocazione cristiana.

In base a questa chiamata bisogna intendere anche le parole che Cristo indirizza al giovane del Vangelo.

Esse sono legate in modo particolare al mistero della redenzione dell'uomo nel mondo.

Questa, infatti, restituisce a Dio l'opera della creazione contaminata dal peccato, indicando la perfezione che l'intera creazione e, in particolare, l'uomo possiedono nel pensiero e nell'intento di Dio stesso.

Specialmente l'uomo deve essere donato e restituito a Dio, se deve essere pienamente restituito a se stesso.

Da ciò l'eterna chiamata: "Ritorna a me, poiché io ti ho redento" ( Is 44,22 ).

Le parole di Cristo: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri…" ci introducono senza dubbio nell'ambito del consiglio evangelico della povertà, che appartiene all'essenza stessa della vocazione e della professione religiosa.

Al tempo stesso, queste parole possono essere intese in modo più ampio e, in un certo senso, essenziale.

Il Maestro di Nazaret invita il suo interlocutore a rinunciare a un programma di vita, nel quale emerge in primo piano la categoria del possesso, quella dell'"avere", e ad accettare, invece, al suo posto un programma incentrato sul valore della persona umana: sull'"essere" personale con tutta la trascendenza che gli è propria.

Una tale comprensione delle parole di Cristo costituisce quasi un più ampio sfondo per l'ideale della povertà evangelica, specialmente di quella povertà che, come consiglio evangelico, appartiene al contenuto essenziale delle vostre mistiche nozze con lo Sposo divino nella Chiesa.

Leggendo le parole di Cristo alla luce del principio della superiorità dell'"essere" sull'"avere", specialmente se quest'ultimo è inteso in senso materialistico e utilitaristico, tocchiamo quasi le stesse basi antropologiche della vocazione nel Vangelo.

Sullo sfondo dello sviluppo della civiltà contemporanea, questa è una scoperta particolarmente attuale.

E per questo diventa attuale la stessa vocazione "alla via della perfezione", così come l'ha tracciata Cristo.

Se nell'ambito dell'odierna civiltà, specialmente nel contesto del mondo del benessere consumistico, l'uomo risente dolorosamente l'essenziale deficienza di "essere" personale, che proviene alla sua umanità dall'abbondanza del multiforme "avere", allora egli diventa più disposto ad accogliere questa verità sulla vocazione, qual è stata pronunciata una volta per sempre nel Vangelo.

Sì, la chiamata che voi, cari fratelli e sorelle, accogliete entrando nella via della professione religiosa, tocca le radici stesse dell'umanità, le radici del destino dell'uomo nel mondo temporale.

L'evangelico "stato di perfezione" non vi distacca da queste radici.

Al contrario, esso vi permette di ancorarvi più fortemente in ciò per cui l'uomo è uomo, permeando questa umanità, in diversi modi appesantita dal peccato, col fermento divino-umano del mistero della redenzione.

"Avrai un tesoro nel cielo"

5 La vocazione porta in sé la risposta all'interrogativo: perché essere uomo e come esserlo?

Questa risposta dà una nuova dimensione a tutta la vita e stabilisce il suo senso definitivo.

Tale senso emerge nell'orizzonte del paradosso evangelico circa la vita che si perde volendo salvarla, e che, al contrario, si salva perdendola "a causa di Cristo e del Vangelo", come leggiamo in Marco. ( Mc 8,35; Mt 10,39; Lc 9,24 )

Alla luce di questa parola acquista piena evidenza la chiamata di Cristo: "Va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi". ( Mt 19,21 )

Tra questo "va'" e il successivo "vieni e seguimi" si stabilisce uno stretto rapporto.

Si può dire che queste ultime parole determinino l'essenza stessa della vocazione.

Si tratta, infatti, di seguire le orme di Cristo ( "sequi", da cui la "sequela Christi" ).

I termini "va' - vendi - dallo" sembrano definire la condizione che precede la vocazione.

D'altra parte, però, questa condizione non sta "all'esterno" della vocazione, ma si trova già "all'interno" di essa.

Infatti, l'uomo fa la scoperta del nuovo senso della propria umanità non solo per "seguire" Cristo, ma in tanto in quanto lo segue.

Quando egli "vende ciò che possiede" e "lo dà ai poveri", allora scopre che quei beni e quelle agiatezze, che già possedeva, non erano il tesoro accanto a cui rimanere: il tesoro sta nel suo cuore, reso capace da Cristo di "dare" agli altri, dando se stesso.

Ricco non è colui che possiede, ma colui che dà, colui che è capace di dare.

In questo punto il paradosso evangelico acquista una particolare espressività.

Diventa un programma dell'essere: essere povero, nel senso dato dal Maestro di Nazaret a un tale "essere", significa diventare nella propria umanità un dispensatore di bene.

Ciò parimenti vuol dire scoprire "il tesoro".

Questo tesoro è indistruttibile.

Esso passa insieme con l'uomo nella dimensione dell'eternità, appartiene all'escatologia divina dell'uomo.

Grazie a questo tesoro l'uomo ha il suo definitivo futuro in Dio.

Cristo dice: "Avrai un tesoro nel cielo".

Questo tesoro non è tanto "un premio" dopo la morte per le opere compiute sull'esempio del divino Maestro, quanto piuttosto è il compimento escatologico di ciò che si nascondeva dietro queste opere già qui, sulla terra, nel "tesoro" interiore del cuore.

Lo stesso Cristo, infatti, invitando nel discorso della montagna ( Mt 6,19-20 ) ad accumulare tesori nel cielo, ha aggiunto: "Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore". ( Mt 6,21 )

Queste parole indicano il carattere escatologico della vocazione cristiana e, ancor più, il carattere escatologico della vocazione che si realizza sulla via delle nozze spirituali con Cristo mediante la pratica dei consigli evangelici.

6 La struttura di questa vocazione, quale si desume dalle parole rivolte al giovane nei Vangeli sinottici, ( Mt 19,21; Mc 10,21; Lc 18,22 ) si delinea man mano che si scopre il tesoro fondamentale della propria umanità nella prospettiva di quel "tesoro", che l'uomo "ha nel cielo".

In questa prospettiva il tesoro fondamentale della propria umanità si collega al fatto di "essere donando se stessi".

Il punto diretto di riferimento in una tale vocazione è la persona viva di Gesù Cristo.

La chiamata alla via della perfezione prende forma da lui e per lui nello Spirito Santo il quale a sempre nuove persone, uomini e donne, in diversi momenti della loro vita e prevalentemente nella giovinezza, "ricorda" tutto ciò che Cristo "ha detto" ( Gv 14,26 ) e, in particolare, ciò che "disse" al giovane che gli chiedeva: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?". ( Mt 19,16 )

Attraverso la risposta di Cristo, il quale "fissa con amore" il suo interlocutore, l'intenso fermento del mistero della redenzione penetra la coscienza, il cuore e la volontà di un uomo che cerca con verità e sincerità.

In questo modo la chiamata alla via dei consigli evangelici ha sempre il suo inizio in Dio: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga". ( Gv 15,16 )

La vocazione, nella quale l'uomo scopre fino in fondo la legge evangelica del dono iscritta nella propria umanità, è essa stessa un dono!

È un dono ricolmo del contenuto più profondo del Vangelo, un dono nel quale si riflette il profilo divino-umano del mistero della redenzione del mondo.

"In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione" ( 1 Gv 4,10 ).

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