Rapporti tra i Vescovi e i Religiosi |
La chiesa vive nello Spirito e sta sul fondamento di Pietro e degli apostoli e dei loro successori, così che il ministero episcopale risulta realmente quale principio direttivo del dinamismo pastorale di tutto il popolo di Dio.
La chiesa dunque opera in armonia sia con lo Spirito Santo, che ne è l'anima, sia col capo operante nel corpo ( cf. nn. 5-9 ).
Ciò evidentemente comporta per i vescovi e i religiosi, nello svolgimento delle loro iniziative e attività, delle conseguenze ben determinate, quantunque essi godano di una loro propria competenza, gli uni e gli altri secondo il proprio ruolo.
Le direttive pratiche, che qui vengono esposte, si riferiscono a due generi di esigenze nel campo operativo: quelle cioè pastorali e quelle religiose.
36. Il concilio afferma che i religiosi e le religiose "appartengono anch'essi sotto un particolare aspetto alla famiglia diocesana, recano un grande aiuto alla sacra gerarchia, e, nelle accresciute necessità dell'apostolato, possono e debbono recarne ogni giorno sempre più" ( CD 34 ).
Nei territori, dove sono vigenti più riti, i religiosi, svolgendo attività rivolte ai fedeli di rito diverso dal loro, si atterranno a quelle norme, che sono state previste nei rapporti da avere con vescovi di altro rito ( cf. ES I,23 ).
É urgente la necessità che vengano applicati di fatto tali criteri, non solo in fase conclusiva, ma anche nel determinare ed elaborare il programma di azione, fermo restando, tuttavia, il ruolo nel decidere proprio del vescovo.
I religiosi presbiteri, a motivo della stessa unità del presbiterio ( cf. LG 28; CD 28; CD 11 ) e in quanto partecipano alla cura delle anime, "sono da considerarsi di appartenere, per un certo reale aspetto, al clero della diocesi" ( CD 34 ); essi possono, perciò, e debbono servire a meglio unire reciprocamente e coordinare in campo operativo i religiosi e le religiose con il clero e i vescovi locali.
37. Si cerchi di suscitare tra il clero diocesano e le comunità dei religiosi rinnovati vincoli di fraternità e di collaborazione ( cf. CD 35 ).
Si dia perciò grande importanza a tutti quei mezzi, anche se semplici nè propriamente formali, che giovino ad accrescere la mutua fiducia, la solidarietà apostolica e la "fraterna concordia" ( cf. ES I,28 ).
Ciò servirà davvero non solo a irrobustire una genuina coscienza della chiesa particolare, bensì anche a stimolare ognuno a rendere e a chiedere servizi con animo lieto, ad alimentare il desiderio di cooperare, nonché ad amare la comunità umana ed ecclesiale, nella cui vita si trova inserito, quasi come patria della propria vocazione.
38. I superiori maggiori s'impegneranno con grande sollecitudine per conoscere non solo le doti e le possibilità dei loro confratelli, ma anche le necessità apostoliche delle diocesi, nelle quali il proprio istituto è chiamato ad operare.
É auspicabile, pertanto, che si realizzi un dialogo concreto e globale tra il vescovo e i superiori dei vari istituti presenti nella diocesi, così che, soprattutto in considerazione anche di certe precarie situazioni e della persistente crisi di vocazioni, il personale religioso possa essere distribuito in modo più equo e più proficuo.
39. Campo privilegiato di collaborazione tra i vescovi e i religiosi deve essere considerato l'impegno pastorale per seguire le vocazioni ( cf. PO 11; PC 24; OT 2 ).
Tale impegno pastorale consiste in un'azione concorde della comunità cristiana per tutte le vocazioni, così che la chiesa venga edificata secondo la pienezza di Cristo e secondo la varietà dei carismi del suo Spirito.
In fatto di vocazione questo al di sopra di ogni altra cosa deve essere ben considerato, che cioè lo Spirito Santo, il quale "spira dove vuole" Gv 3,8 ), chiama i fedeli ai diversi uffici e ai diversi stati per il maggior bene della chiesa.
A tale azione divina è chiaro che nessun ostacolo dev'essere posto; ma, al contrario, si deve provvedere che ognuno risponda con la massima libertà alla propria vocazione.
La storia stessa, del resto, può abbondantemente testimoniare che le diversità delle vocazioni, e soprattutto la coesistenza e la collaborazione dell'uno e dell'altro clero, diocesano e religioso, non vanno a detrimento delle diocesi, anzi piuttosto le arricchiscono di nuovi tesori spirituali e ne accrescono notevolmente la vitalità apostolica.
Pertanto sarà opportuno che le molteplici iniziative siano sapientemente coordinate sotto la guida dei vescovi: cioè secondo i compiti che spettano ai parenti e agli educatori, ai religiosi e alle religiose, ai presbiteri e a tutti gli altri, che operano nel campo pastorale.
Perciò quest'impegno dovrà essere assolto in comune e concordemente e con piena dedizione di ognuno; e il vescovo stesso guidi gli sforzi di tutti nella loro convergenza verso il medesimo intento, sempre memore che tali sforzi sono in radice originati dall'impulso dello Spirito.
In considerazione di ciò, quindi, urge anche la necessità di promuovere con frequenza iniziative di preghiera.
40. Nel rinnovamento della prassi pastorale e dell'aggiornamento delle opere di apostolato sono da prendersi in seria considerazione i profondi rivolgimenti prodottisi nel mondo contemporaneo ( cf. GS 43; GS 44 ); per cui è necessario talora affrontare delle situazioni non poco difficili, soprattutto "per ovviare ai bisogni delle anime e alla penuria del clero" ( ES I,36 ).
I vescovi, in dialogo con i superiori religiosi e con tutti coloro che operano nel campo pastorale della diocesi, cerchino di discernere che cosa esige lo Spirito e studino i modi di apprestare nuove presenze apostoliche, così da poter affrontare le difficoltà germogliate nell'ambito stesso della diocesi.
La ricerca, però, di un rinnovamento della presenza apostolica non deve minimamente indurre a non tenere in debito conto la validità ancora attuale di altre forme di apostolato, che sono proprie della tradizione, come quella della scuola ( cf. S. Congr. per l'ed. cat., La scuola cattolica, (19.3.1977 ), delle missioni, dell'operosa presenza negli ospedali, dei servizi sociali ecc.; tutte queste forme di tradizione, per altro, è necessario che senza ulteriori indugi e secondo le norme orientative del concilio e le necessità dei tempi vengano diligentemente e opportunamente aggiornate.
41. Le innovazioni apostoliche, a cui successivamente si dia inizio, siano progettate con attento studio.
É dovere dei vescovi da una parte, "non di estinguere lo Spirito, ma di sottoporre ogni cosa ad esame e ritenere ciò che è buono" ( cf. 1 Ts 5,12.19-21; LG 12 ), "in modo però che lo zelo spontaneo di coloro che hanno parte nell'opera sia salvaguardato e incoraggiato" ( AG 30 ); da parte loro i superiori religiosi cooperino vitalmente e in dialogo con i vescovi nel ricercare soluzioni, nel disporre le programmazioni sulle scelte operate, nell'avviare esperienze, anche del tutto nuove, sempre tuttavia agendo sia in ragione delle più urgenti necessità della chiesa sia in conformità alle norme e agli orientamenti del magistero e secondo l'indole del proprio istituto.
42. Non si trascuri mai l'impegno del reciproco scambio di aiuti tra i vescovi e i superiori nel valutare obiettivamente e nel giudicare con equità le nuove esperienze già iniziate, al fine di evitare non solo evasioni e frustrazioni, ma anche i pericoli di crisi e deviazioni.
Di queste iniziative, quindi, si faccia in determinati periodi la revisione; e se il tentativo non ha raggiunto un buon esito( cf. EN 58 ), si usi umiltà, ma insieme anche la necessaria fermezza, per correggere o sospendere od orientare più adeguatamente l'esperimento esaminato.
43. Sarà non poco a danno dei fedeli il fatto che troppo a lungo si usi tolleranza di fronte a certe iniziative aberranti o riguardo all'ambiguità di alcuni fatti compiuti.
Pertanto i vescovi e i superiori, nutrendo sentimenti di reciproca fiducia e secondo l'adempimento dei compiti a ciascuno spettanti e l'esercizio della responsabilità di ognuno, provvederanno con ogni sollecitudine, affinché con manifesta decisione e chiare disposizioni, sempre nella carità, ma anche con la dovuta fermezza, siano prevenuti e corretti siffatti errori.
Soprattutto nel campo liturgico urge la necessità di porre rimedio a non pochi abusi, introdotti sotto opposta insegna.
I vescovi, in quanto autentici liturghi della chiesa locale ( cf. SC 22; SC 41; LG 26; CD 15; cf. nn. 5-9 ), e i superiori religiosi, per quanto concerne i loro confratelli, siano vigilanti, affinché si faccia un adeguato rinnovamento del culto, e intervengano tempestivamente per correggere o rimuovere qualunque deviazione e abuso in questo settore tanto significativo e centrale ( cf. SC 10 ).
I religiosi, poi, ricordino anch'essi che è loro dovere attenersi alle leggi e alle direttive della santa sede, nonché ai decreti del vescovo locale circa l'esercizio del pubblico culto ( cf. ES I,26, 37, 38 ).
44. Riguardo alla prassi pastorale dei religiosi il concilio espressamente dichiara: "Tutti i religiosi, esenti e non esenti, sono soggetti all'autorità degli ordinari locali in ciò che si riferisce al pubblico esercizio del culto divino, salva restando la diversità dei riti, alla cura delle anime, alla sacra predicazione destinata al popolo, all'educazione religiosa e morale, all'istruzione catechistica e formazione liturgica dei fedeli, specialmente dei fanciulli, e al decoro dello stato clericale, nonché alle varie opere nei settori che riguardano l'esercizio del sacro apostolato.
Anche le scuole cattoliche dei religiosi sono soggette agli ordinari locali per quanto riguarda il loro ordinamento generale e la vigilanza, fermo tuttavia restando il diritto dei religiosi circa la direzione di esse.
Parimenti i religiosi sono tenuti ad osservare tutte quelle disposizioni, che i concili o le conferenze dei vescovi abbiano legittimamente stabilito doversi osservare da tutti" ( CD 35; ES I,39 ).
45. Le relazioni tra i vescovi e i superiori, affinché diano frutti di giorno in giorno più ubertosi, dovranno svolgersi sempre nel benevolo rispetto delle persone e degli istituti, nella convinzione che i religiosi devono dar testimonianza di docilità verso il magistero e di obbedienza ai superiori, e nella reciproca volontà di far sì che gli uni non varchino i limiti della competenza degli altri.
46. Quanto ai religiosi, che svolgono attività apostoliche al di fuori delle opere del proprio istituto, è necessario che sia tutelata la sostanziale partecipazione alla vita di comunità e la loro fedeltà alle proprie regole o costituzioni: "sul quale obbligo gli stessi vescovi non manchino di insistere" ( CD 35 ).
Nessun impegno apostolico deve essere occasione di deflettere dalla propria vocazione.
Per quanto poi concerne la situazione di certi religiosi, i quali vorrebbero sottrarsi all'autorità del proprio superiore e ricorrere all'autorità del vescovo, siano studiati obiettivamente i singoli casi; ma è necessario che, dopo un conveniente scambio di pareri e una sincera ricerca di soluzioni, il vescovo appoggi il provvedimento che prenderà il superiore competente, a meno che non gli risulti che vi sia qualche ingiustizia.
47. I vescovi e i loro immediati collaboratori procurino non solo di avere una conoscenza esatta circa l'indole propria dei singoli istituti, ma d'informarsi anche sul loro stato attuale e sui loro criteri di rinnovamento.
A loro volta i superiori religiosi, oltre una più aggiornata visione dottrinale della chiesa particolare, cerchino anche di tenersi pur essi concretamente informati sullo stato attuale dell'azione pastorale e sul programma apostolico stabilito dalla diocesi, nella quale debbano prestare l'opera loro.
Nel caso in cui un istituto venga a trovarsi nella situazione di non poter più sostenere la gestione di un'opera, i superiori di esso manifestino tempestivamente e con fiducia gl'impedimenti a proseguire l'opera stessa, almeno nella forma attuale, soprattutto se ciò fosse per insufficenza di personale; l'ordinario del luogo, da parte sua, consideri benignamente la richiesta di sopprimere tale opera ( cf. ES I,34,3 ) e di comune accordo con i superiori cerchi la soluzione conveniente.
48. Una necessità profondamente sentita e ricca di buone speranze anche per la vita operosa e il dinamismo apostolico della chiesa locale, è quella di promuovere con sollecito impegno scambi vicendevoli d'informazioni e più sostanziali intese fra i vari istituti religiosi operanti nella diocesi.
I superiori pertanto pongano l'opera loro, affinché questo dialogo si realizzi in modi e ritmi convenienti.
Ciò indubbiamente servirà ad accrescere la fiducia, la stima, il reciproco scambio di aiuti, l'approfondimento dei problemi e la mutua comunicazione delle esperienze, onde possa esprimersi con maggiore evidenza la comune professione dei consigli evangelici.
49. Nel vasto campo pastorale della chiesa è istituito un posto nuovo e assai rilevante da assegnarsi alle donne.
Già solerti ausiliarie degli apostoli ( cf. At 18,26; Rm 16,1ss ), le donne dovranno inserire oggi la loro attività apostolica nella comunità ecclesiale, attuando fedelmente il mistero della loro creata e rivelata identità ( cf. Gen 2; Ef 5; 1 Tm 3; ecc. ) e volgendo attentamente l'animo alla crescente loro presenza nella civile società.
Le religiose, quindi, nella fedeltà verso la loro vocazione e in armonia con la loro specifica indole propria della donna, in risposta anche alle concrete esigenze della chiesa e del mondo, cercheranno e proporranno nuove forme apostoliche di servizio.
Sull'esempio di Maria, che nella chiesa occupa, tra i credenti, il vertice della carità, e animate da quello spirito, "incomparabilmente umano, di sensibilità e sollecitudine", che costituisce la loro nota caratteristica (cf. Paolo VI, Discorso al Congresso nazionale del Centro italiano femminile ), alla luce di una lunga storia, che offre insigni testimonianze delle loro iniziative nell'evolversi dell'attività apostolica, le religiose potranno sempre più ed essere ed apparire qual segno luminoso della chiesa fedele, solerte e feconda nell'annunzio del regno ( cf. Congregazione per la dottrina della fede, Dichiarazione Inter insigniores, 15 ottobre 1976).
50. I vescovi, unitamente ai loro collaboratori in campo pastorale, nonché i superiori e le superiore facciano in modo che sia meglio conosciuto, approfondito e incrementato il servizio apostolico delle religiose.
Essi pertanto, considerando non solo il numero delle religiose ( cf. Introduzione ), ma soprattutto la loro importanza nella vita della chiesa, si adoperino con impegno, affinché abbia sollecita attuazione il principio di una maggiore loro promozione ecclesiale, perché il popolo di Dio non rimanga privo di quell'assistenza speciale, che soltanto esse possono offrire.
Sempre però si badi, che le religiose siano tenute in grande stima e giustamente e meritatamente valorizzate per la testimonianza da esse data in quanto donne consacrate, più che per i servizi utili e generosamente prestati.
51. Si nota in alcune regioni una certa alacrità d'iniziative per fondare nuovi istituti religiosi.
Coloro che hanno la responsabilità di discernere l'autenticità di ciascuna fondazione, debbono ponderare, con umiltà, certo, ma anche obiettivamente e costantemente e cercando d'intuire a fondo le prospettive di futuro, ogni indizio relativo ad una credibile presenza dello Spirito Santo sia "per accoglierne i carismi … con gratitudine e consolazione" ( LG 12 ) sia anche per evitare "che incautamente sorgano istituti inutili o sprovvisti di sufficiente vigore" ( PC 19 ).
Quando, infatti, il giudizio sulla nascita di un istituto viene formulato solo in vista della sua utilità e convenienza operativa o semplicemente in base al modo di agire di qualche persona, che sperimenta fenomeni devozionali per se stessi ambigui, allora davvero si dimostra che viene in certo modo distorto il genuino concetto di vita religiosa nella chiesa ( cf. Parte I, nn. 10-14 ).
Per dare invece un giudizio sulla genuinità di un carisma, si presuppongono le seguenti caratteristiche:
a) una singolare sua provenienza dallo Spirito, distinta, anche se non separata, dalle peculiari doti personali, che si manifestano nel campo operativo e organizzativo;
b) un profondo ardore dell'animo di configurarsi a Cristo per testimoniare qualche aspetto del suo mistero;
c) un amore costruttivo verso la chiesa, che assolutamente rifugge dal provocare in essa qualsiasi discordia.
Inoltre la genuina figura dei fondatori comporta che si tratti di uomini e donne, la cui provata virtù ( cf. LG 45 ) dimostra una sincera docilità sia verso la sacra gerarchia sia nel seguire quell'ispirazione, che in essi sussiste come dono dello Spirito.
Quando dunque si tratta di nuove fondazioni, si richiede necessariamente che tutti coloro, i quali debbono svolgere un qualche ruolo nel giudicare, esprimano il loro parere con chiara prudenza, paziente valutazione e giusta esigenza.
Di ciò si sentano soprattutto responsabili i vescovi, successori degli apostoli, "alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici" ( LG 7 ), e a cui compete, in comunione col romano pontefice, "interpretare i consigli evangelici, regolarne la pratica e costruire anche, in base ad essi, forme stabili di vita" ( LG 43 ).
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