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La Chiesa che riflette la luce di Cristo ( Lumen Gentium, n. 1 ) manifesta a tutti gli uomini « il liberalissimo e arcano disegno di sapienza e di bontà » dell'eterno Padre di salvare tutti gli uomini mediante il Figlio e nello Spirito ( Lumen Gentium, n. 2 ).
Per sottolineare nello stesso tempo la presenza nella Chiesa di questa realtà divina trascendente, e l'espressione storica che la manifesta, il Concilio Vaticano II indica la Chiesa con la parola « mistero » ( mysterium ).
Poiché solo Dio conosce il termine proprio che esprimerebbe tutta la realtà della Chiesa, il linguaggio umano sperimenta la sua radicale inadeguatezza a esprimere con pienezza di significato il « mistero » della Chiesa.
Esso deve perciò ricorrere a una molteplicità di immagini, di rappresentazioni e di analogie che, d'altro canto, non potranno indicare che aspetti parziali della realtà.
Se il ricorso a tali formulazioni può suggerire la trascendenza del « mistero » rispetto a ogni riduzione concettuale o simbolica, il moltiplicare le espressioni aiuterà inoltre a evitare gli eccessi a cui porterebbe inevitabilmente il ricorso a un'unica formulazione.
La Costituzione Lumen Gentium lo suggerisce al n. 6: « Come già nell'Antico Testamento la rivelazione del Regno viene spesso proposta con figure, così anche ora l'intima natura della Chiesa ci si fa conoscere attraverso immagini varie ».
Nel Nuovo Testamento si contano fino a 24 similitudini per parlare della Chiesa.
Anche il Concilio ricorre volutamente a una molteplicità d'immagini per sottolineare il carattere inesauribile del « mistero » della Chiesa.
Questa infatti si presenta a colui che la contempla come « realtà imbevuta di divina presenza, e perciò sempre capace di nuove e più profonde esplorazioni » ( Paolo VI, Discorso di apertura del secondo periodo del Concilio, 29 settembre 1963 ).
Così il Nuovo Testamento ci presenta « immagini desunte sia dalla vita pastorale o agricola, sia dalla costruzione di edifici o anche dalla famiglia e dagli sponsali, e già preparate nei libri dei Profeti » ( Lumen Gentium, n. 6 ).
Certo, non tutte queste immagini possiedono la medesima forza evocatrice e alcune di esse assumono una particolare importanza, come quella del « corpo ».
Così, si converrà facilmente che, senza il ricorso al paragone del « corpo di Cristo » applicato alla comunità dei discepoli di Gesù, è assolutamente impossibile cogliere la realtà della Chiesa.
Le Lettere di San Paolo, nel loro insieme, sviluppano, infatti, quel paragone in varie direzioni, come nota la stessa Lumen Gentium, al n. 7.
Tuttavia, benché ponga in giusto rilievo l'immagine della Chiesa « corpo di Cristo », il Concilio da maggior risalto a quella di « popolo di Dio », non fosse altro che per il fatto che esso da il titolo al capitolo II della stessa Costituzione.
Anzi, l'espressione « popolo di Dio » ha finito per designare l'ecclesiologia conciliare.
Di fatto, possiamo asserire che si è preferito « popolo di Dio » alle altre espressioni, cui il Concilio ricorre per esprimere il medesimo mistero, quali « corpo di Cristo » o « tempio dello Spirito Santo ».
La scelta è stata motivata da ragioni sia teologiche sia pastorali che, secondo l'opinione dei Padri conciliari, si confermavano a vicenda: così, rispetto ad altre, l'espressione « popolo di Dio » aveva il vantaggio di meglio significare la realtà sacramentale comune, condivisa da tutti i battezzati, sia come dignità della Chiesa, sia come responsabilità nel mondo; inoltre, con una stessa formula si evidenziavano insieme la natura comunitaria e la dimensione storica della Chiesa, secondo il desiderio di molti Padri conciliari.
D'altro canto, l'espressione « popolo di Dio » non è in sé immediatamente chiara al primo esame e, come ogni altra espressione teologica, esige riflessione, approfondimento e chiarimento per evitare false interpretazioni.
Già sul piano linguistico, il termine latino populus non sembra adatto a tradurre direttamente il greco laos della Bibbia dei Settanta.
Laos è un termine che nei Settanta ha un significato particolare e determinato, cioè non solo religioso ma anche direttamente soteriologico e destinato a trovare il proprio compimento nel Nuovo Testamento.
Ora, la Lumen Gentium presuppone il significato biblico del termine « popolo », e lo riprende infatti con tutti i valori da esso assunti nell'Antico e nel Nuovo Testamento.
D'altra parte, il genitivo « di Dio » conferisce la sua forza specifica e definitiva all'espressione « popolo di Dio », collocandola nel suo contesto biblico di apparizione e di sviluppo.
Di conseguenza è decisamente da escludersi l'interpretazione in un senso meramente biologico, razziale, culturale, politico o ideologico del termine « popolo ».
Il « popolo di Dio » procede « dall'alto », dal disegno di Dio, cioè dall'elezione, dall'alleanza e dalla missione.
Ciò è vero soprattutto se consideriamo che la Lumen Gentium non si limita a proporre la nozione veterotestamentaria di « popolo di Dio », ma la supera parlando del « nuovo popolo di Dio » ( n. 9 ).
Questo nuovo popolo di Dio è costituito da quanti credono in Gesù Cristo e sono « rinati », perché battezzati nell'acqua e nello Spirito Santo ( Gv 3,3-6 ).
È dunque lo Spirito Santo che « con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa e continuamente la rinnova » ( Lumen Gentium, n. 4 ).
Così l'espressione « popolo di Dio » riceve il suo specifico significato da un riferimento costitutivo al mistero trinitario rivelato da Gesù Cristo nello Spirito Santo ( Lumen Gentium, n. 4 ).
Il nuovo popolo di Dio si presenta come la « comunità di fede, di speranza e di carità » ( Lumen Gentium, n. 8 ), di cui l'Eucaristia è la sorgente ( Lumen Gentium, n. 3 e n. 7 ).
L'unione intima di ogni fedele col suo Salvatore come pure l'unità dei fedeli tra di loro costituiscono il frutto indivisibile dell'attiva appartenenza alla Chiesa e trasformano l'intera esistenza dei cristiani in « culto spirituale ».
La dimensione comunitaria è essenziale alla Chiesa, perché in essa possano essere vissute e condivise fede, speranza e carità, e perché una tale comunione, radicata nel cuore di ogni credente, si realizzi anche su un piano comunitario, obiettivo e istituzionale.
Anche la Chiesa è chiamata a vivere, su tale piano sociale, nella memoria e nell'attesa di Gesù Cristo.
Suo compito è predicare questa buona novella a tutti gli uomini.
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