Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione

Indice

Capitolo secondo - Vocazione dell'uomo alla libertà e dramma del peccato

I. Primi approcci alla libertà

25. Una risposta spontanea

La risposta spontanea alla domanda: che cosa significa essere libero?

è la seguente: libero è colui che può fare solo ciò che vuole senza essere impedito da una costrizione esteriore e che gode, di conseguenza, di una piena indipendenza.

Il contrario della libertà sarebbe così la dipendenza della nostra volontà da una volontà estranea.

Ma l'uomo sa sempre ciò che vuole?

Può tutto quello che vuole?

Limitarsi al proprio io e separarsi dalla volontà altrui è conforme alla natura dell'uomo?

Sovente la volontà di un momento non è la volontà reale, e nel medesimo uomo possono coesistere voleri contraddittori.

Ma, soprattutto, l'uomo si scontra con i limiti della propria natura: vuole di più di quanto non possa.

Così l'ostacolo che si oppone al suo volere non viene sempre dal di fuori, ma dai limiti del suo essere.

Appunto per questo, pena la sua distruzione, l'uomo deve imparare ad accordare la sua volontà con la sua natura.

26. Verità e giustizia, regole della libertà

Inoltre, ogni uomo è orientato verso gli altri uomini ed ha bisogno della loro convivenza.

Solo imparando a accordare la sua volontà a quella degli altri in vista di un vero bene, egli farà l'apprendistato della rettitudine del volere.

È dunque, l'armonia con le esigenze della natura umana che rende umana la volontà stessa.

In effetti, questa richiede il criterio della verità ed una giusta relazione con la volontà altrui.

Verità e giustizia sono così la misura della vera libertà.

Quando si allontana da questo fondamento, l'uomo, scambiando se stesso per Dio, cade nella menzogna e anziché realizzarsi, si distrugge.

Lungi dal compiersi in una totale autarchia dell'io e nell'assenza di relazioni, la libertà non esiste veramente se non là dove legami reciproci, regolati dalla verità e dalla giustizia, uniscono le persone.

Ma perché tali legami siano possibili, ciascuno deve essere personalmente vero.

La libertà non è libertà di fare qualsiasi cosa: è libertà per il bene, nel quale solo risiede la felicità.

Il bene è, quindi, il suo scopo.

Di conseguenza, l'uomo diventa libero nella misura in cui accede alla conoscenza del vero, e questa conoscenza - e non altre forze quali che siano - guida la sua volontà.

La liberazione in vista della conoscenza della verità, che sola diriga la volontà, è condizione necessaria per una libertà degna di questo nome.

II. Libertà e liberazione

27. Una libertà di creatura

In altri termini, la libertà, che è padronanza interiore dei propri atti e autodeterminazione, comporta immediatamente una relazione con l'ordine etico.

Essa trova il suo vero senso nella scelta del bene morale e si manifesta, quindi, come affrancamento dal male morale.

Con la sua azione libera, l'uomo deve tendere verso il bene supremo attraverso i beni conformi alle esigenze della sua natura e alla sua vocazione divina.

Esercitando la sua libertà, egli decide di se stesso e forma se stesso.

In questo senso l'uomo è causa di sé, ma è tale in quanto creatura e immagine di Dio.

Questa è la verità del suo essere che manifesta, per contrasto, quanto di profondamente erroneo è nelle teorie, che credono di esaltare la libertà dell'uomo o la sua "prassi storica", facendo di esse il principio assoluto del suo essere e del suo divenire.

Tali teorie sono espressioni dell'ateismo o, per la logica loro propria, tendono all'ateismo.

Nel medesimo senso vanno l'indifferentismo e l'agnosticismo deliberato.

È l'immagine di Dio nell'uomo che fonda la libertà e la dignità della persona umana.16

28. La chiamata del Creatore

Creando l'uomo libero, Dio ha impresso in lui la sua immagine e la sua somiglianza. ( Cf. Gen 1,26 )

L'uomo avverte la chiamata del suo Creatore nell'inclinazione e nell'aspirazione della sua natura verso il bene e, ancora di più, nella Parola della Rivelazione, che in Cristo è stata pronunciata in modo perfetto.

Gli è stato così rivelato che Dio l'ha creato libero, perché potesse mediante la grazia, entrare in amicizia con lui e partecipare alla sua vita.

29. Una libertà partecipata

L'uomo non ha la sua origine nella propria azione individuale o collettiva, ma nel dono di Dio che l'ha creato.

Questa è la prima confessione della nostra fede, che viene a confermare le intuizioni più alte del pensiero umano.

La libertà dell'uomo è una libertà partecipata, e la sua capacità di realizzarsi non è in alcun modo soppressa dalla sua dipendenza nei confronti di Dio.

È esattamente la caratteristica dell'ateismo quella di credere a un'opposizione irriducibile tra la causalità di una libertà divina e quella della libertà dell'uomo, come se l'affermazione di Dio significasse la negazione dell'uomo, o come se il di lui intervento nella storia rendesse vani i tentativi di questo.

In realtà, è da Dio ed in rapporto a Dio che la libertà umana prende senso e consistenza.

30. La scelta libera dell'uomo

La storia dell'uomo si sviluppa sul fondamento della natura che egli ha ricevuto da Dio, nel libero perseguimento dei fini verso cui lo orientano e lo portano le inclinazioni di questa stessa natura e della grazia divina.

Ma la libertà dell'uomo è limitata e debole.

Il suo desiderio può rivolgersi a un bene apparente: scegliendo un falso bene, egli vien meno alla vocazione della sua libertà.

L'uomo, col suo libero arbitrio, dispone di sé: egli può fare ciò in un senso positivo o in un senso distruttivo.

Ubbidendo alla legge divina, impressa nella sua coscienza e ricevuta come impulso dello Spirito Santo, l'uomo esercita la vera padronanza di se stesso e realizza così la sua vocazione regale di figlio di Dio "Mediante il servizio di Dio egli regna".18

L'autentica libertà è "servizio della giustizia", mentre invece la scelta della disubbidienza e del male è "schiavitù del peccato". ( Cf. Rm 6,6; Rm 7,23 )

31. Liberazione temporale e libertà

Partendo da questa nozione di libertà, si precisa la portata della nozione di liberazione temporale: si tratta dell'insieme dei processi, che mirano a procurare e a garantire le condizioni richieste per l'esercizio di un'autentica libertà umana.

Per se stessa, dunque, la liberazione non produce la libertà dell'uomo.

Il senso comune, confermato dal senso cristiano, sa che la libertà, anche quando è soggetta a condizionamenti, non è tuttavia distrutta.

Anche uomini, che pur subissero terribili costrizioni, potrebbero riuscire a manifestare la loro libertà e a mettersi in cammino per la loro liberazione.

Un processo di liberazione portato a termine può solamente creare delle condizioni migliori per l'esercizio effettivo della libertà.

Proprio per questo una liberazione, che non tenga conto della libertà personale di quelli che combattono per essa, è in partenza condannata all'insuccesso.

III. La libertà e la società umana

32. I diritti dell'uomo e "le libertà"

Dio non ha creato l'uomo come un "essere solitario", ma lo ha voluto come un "essere sociale".20

La vita sociale non è, dunque, estrinseca all'uomo: egli non può crescere né realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri.

L'uomo appartiene a diverse comunità: familiare, professionale, politica, ed è in seno ad esse che egli deve esercitare la sua libertà responsabile.

Un ordine sociale giusto offre all'uomo un aiuto insostituibile per la realizzazione della sua libera personalità.

Al contrario, un ordine sociale ingiusto è una minaccia e un ostacolo, che possono compromettere il suo destino.

Nella sfera sociale, la libertà si esprime e si realizza nelle azioni, nelle strutture e nelle istituzioni, grazie alle quali gli uomini comunicano tra loro e organizzano la loro vita in comune.

Il pieno sviluppo di una libera personalità, che è per ciascuno un dovere ed un diritto, deve essere aiutato e non già ostacolato dalla società.

C'è qui un'esigenza di natura morale, che ha trovato la sua espressione nella formulazione dei diritti dell'uomo.

Alcuni di essi hanno per oggetto ciò che si è convenuto di chiamare "le libertà", che sono come altrettante modalità nel riconoscere a ciascun essere umano il suo destino trascendente, come anche l'inviolabilità della sua coscienza.21

33. Dimensioni sociali dell'uomo e gloria di Dio

La dimensione sociale dell'essere umano riveste anche un altro significato: solamente la pluralità e la ricca diversità degli uomini possono esprimere qualcosa dell'infinita ricchezza di Dio.

Infine, questa dimensione è destinata a trovare il suo compimento nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

È per questo che la vita sociale, nella varietà delle sue forme e nella misura in cui è conforme alla legge divina, costituisce un riflesso della gloria di Dio nel mondo.22

IV. Libertà dell'uomo e dominio della natura

34. Vocazione dell'uomo a "dominare" la natura

A motivo della sua dimensione corporale, l'uomo ha bisogno delle risorse del mondo materiale per la sua realizzazione personale e sociale.

In questa vocazione a dominare la terra, mettendola al proprio servizio mediante il lavoro, può essere riconosciuto un tratto dell'immagine di Dio. ( Cf. Gen 1,27-28 )

Ma l'intervento umano non è "creatore"; esso s'incontra con una natura materiale, che ha come esso la sua origine in Dio Creatore e di cui l'uomo è stato costituito il "nobile e saggio custode".24

35. L'uomo, padrone delle sue attività

Le trasformazioni tecniche e economiche si ripercuotono sull'organizzazione della vita sociale; esse non possono non incidere, in una certa misura, sulla vita culturale e sulla stessa vita religiosa.

Tuttavia, mediante la sua libertà, l'uomo resta padrone della propria attività.

Le grandi e rapide trasformazioni dell'epoca contemporanea gli pongono una sfida drammatica: quella della padronanza e del controllo, mediante la sua ragione e la sua libertà delle forze che egli attiva per il servizio delle vere finalità umane.

36. Scoperte scientifiche e progresso morale

È, dunque, proprio della libertà, ben orientata, di fare in modo che le conquiste scientifiche e tecniche, la ricerca della loro efficacia, i prodotti del lavoro e le strutture stesse dell'organizzazione economica e sociale non siano sottomesse a dei progetti che le priverebbero delle loro finalità umane e le rivolgerebbero contro l'uomo stesso.

L'attività scientifica e l'attività tecnica implicano, ciascuna, delle esigenze specifiche.

Tuttavia, esse acquistano il loro significato e il loro valore propriamente umano solo quando sono subordinate ai princìpi morali.

Queste esigenze devono essere rispettate; ma voler loro attribuire un'autonomia assoluta e necessitante, non conforme alla natura delle cose, significa immettersi in una via pericolosa per l'autentica libertà dell'uomo.

V. Il peccato, fonte di divisione e di oppressione

37. Il peccato, separazione da Dio

Dio chiama l'uomo alla libertà.

In ciascuno è viva la volontà di essere libero.

Eppure questa volontà sfocia quasi sempre nella schiavitù e nell'oppressione.

Ogni impegno per la liberazione e la libertà suppone, dunque, che sia stato affrontato questo drammatico paradosso.

Il peccato dell'uomo, cioè la sua rottura con Dio, è la ragione radicale delle tragedie che segnano la storia della libertà.

Per comprendere questo, molti nostri contemporanei devono riscoprire, innanzitutto, il senso del peccato.

Nella volontà di libertà dell'uomo si nasconde la tentazione di rinnegare la sua propria natura.

In quanto intende tutto volere e potere, dimenticando così di essere limitato e creato, egli pretende di essere un dio.

"Voi sarete come Dio" ( Gen 3,5 ): questa parola del serpente esprime l'essenza della tentazione dell'uomo, ed implica lo stravolgimento del vero senso della sua libertà.

Questa è la profonda natura del peccato: l'uomo si stacca dalla verità, mettendo la sua volontà al di sopra di essa.

Volendo liberarsi di Dio e essere lui stesso dio, egli si inganna e si distrugge.

Egli si aliena da se stesso.

In questa volontà di essere dio e di tutto sottoporre al proprio beneplacito si nasconde uno stravolgimento dell'idea stessa di Dio.

Dio è amore e verità nella pienezza del dono reciproco delle Persone divine.

Sì, è vero: l'uomo è chiamato a essere come Dio.

Tuttavia, egli diventa simile a Dio non nell'arbitrarietà del suo beneplacito, ma nella misura in cui riconosce che la verità e l'amore sono allo stesso tempo principio e fine della sua libertà.

38. Il peccato, radice delle alienazioni, umane

Peccando, l'uomo mente a se stesso e si separa dalla sua verità.

Cercando la totale autonomia e l'autarchia, egli nega Dio e nega se stesso.

L'alienazione in rapporto alla verità del suo essere di creatura, amata da Dio, è la radice di tutte le altre alienazioni.

Negando o tentando di negare Dio, suo principio e suo fine, l'uomo altera profondamente il suo ordine e equilibrio interiore, quello della società e anche quello della creazione visibile.25

È in connessione col peccato che la Scrittura considera l'insieme delle calamità che opprimono l'uomo nel suo essere individuale e sociale.

Essa dimostra che tutto il corso della storia mantiene un legame misterioso con l'agire dell'uomo, il quale, fin dall'origine, ha abusato della sua libertà, ergendosi contro Dio e cercando di raggiungere i propri fini al di fuori di lui.26

Nel carattere affliggente del lavoro e della maternità, nel dominio dell'uomo sulla donna e nella morte, la Genesi, indica le conseguenze di quel peccato originale.

Così, gli uomini privati della grazia divina hanno ereditato una comune natura mortale, incapace di fissarsi nel bene e inclinata alla concupiscenza.27

39. Idolatria e disordine

L'idolatria è la forma estrema del disordine generato dal peccato.

Il sostituire all'adorazione del Dio vivo il culto di una creatura altera le relazioni tra gli uomini ed implica diverse specie di oppressione.

Il misconoscimento colpevole di Dio scatena le passioni, che sono causa di squilibrio e di conflitti nell'intimo dell'uomo.

Di qui derivano inevitabilmente i disordini che colpiscono la sfera familiare e sociale: permissivismo sessuale, ingiustizia, omicidio.

È in questo modo che l'apostolo Paolo descrive il mondo pagano, portato dall'idolatria alle peggiori aberrazioni, che rovinano l'individuo e la società. ( Cf. Rm 1,18-32 )

Già prima di lui i Profeti e i Sapienti di Israele ravvisavano nelle disgrazie del popolo un castigo del suo peccato di idolatria, e nel "cuore colmo di malizia" ( Qo 9,3 Cf. Ger 5,23; Ger 7,24; Ger 17,9; Ger 18,12 ) la fonte della radicale schiavitù dell'uomo e delle oppressioni, che egli fa subire ai suoi simili.

40. Disprezzo di Dio e conversione alla creatura

La tradizione cristiana, presso i Padri ed i dottori della Chiesa, ha esplicitato questa dottrina della Scrittura sul peccato.

Per essa il peccato è disprezzo di Dio ( contemptus Dei ), che comporta la volontà di sfuggire al rapporto di dipendenza del servitore nei confronti del suo Signore o, piuttosto, del figlio nei confronti del Padre.

Peccando, l'uomo intende liberarsi da Dio, ma, in realtà si rende schiavo.

Infatti, rifiutando Dio, infrange lo slancio della sua aspirazione all'infinito e della sua vocazione a partecipare della vita divina.

Per questo il suo cuore è in balìa dell'inquietudine.

L'uomo peccatore, che rifiuta di aderire a Dio, è portato necessariamente a attaccarsi in modo errato e distruttivo alla creatura ( conversio ad creaturam ) egli concentra su questa il suo desiderio insoddisfatto di infinito.

Se non che, i beni creati sono limitati, per cui il suo cuore trascorre dall'uno all'altro, sempre in cerca di un'impossibile pace.

In realtà, quando attribuisce alle creature un valore di infinità, l'uomo perde il senso del suo essere creatura.

Pretende di trovare il suo centro e la sua unità in se stesso.

L'amore disordinato di sé è l'altra faccia del disprezzo di Dio.

L'uomo intende allora appoggiarsi unicamente su di sé, vuole realizzarsi da sé ed essere autosufficiente nella propria immanenza.30

41. L'ateismo falsa emancipazione della libertà

Ciò diviene particolarmente evidente, quando il peccatore pensa di non poter affermare la propria libertà se non negando esplicitamente Dio.

La dipendenza della creatura nei confronti del Creatore, o quella della coscienza morale nei confronti della legge divina, sarebbero per lui forme di intollerabile schiavitù.

L'ateismo è, dunque, ai suoi occhi la vera forma di emancipazione e di liberazione dell'uomo, mentre la religione, o anche il riconoscimento di una legge morale costituirebbero delle alienazioni.

L'uomo vuole allora decidere sovranamente del bene e del male, o anche dei valori e, con la stessa dinamica, rigetta a un tempo l'idea di Dio e l'idea di peccato, attraverso l'audacia della trasgressione egli pretende di diventare adulto e libero, e rivendica tale emancipazione non solamente per sé, ma per l'umanità intera.

42. Peccato e strutture d'ingiustizia

Divenuto centro di sé stesso, l'uomo peccatore tende a affermarsi e a soddisfare il suo desiderio di infinito, servendosi delle cose: ricchezze, poteri e piaceri, senza preoccuparsi degli altri uomini che ingiustamente spoglia e tratta come oggetti o strumenti.

Così, da parte sua, egli contribuisce a creare quelle strutture di sfruttamento e di schiavitù, che peraltro pretende di denunciare.

Indice

16 Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, VII, 9
18 Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 21
20 Cf. Gen 2,18.23: "Non è bene che l'uomo sia solo"…
"Questa volta essa / è carne della mia carne / e osso delle mie ossa": a queste parole della Scrittura che direttamente si riferiscono al rapporto tra uomo e donna, si può riconoscere una portata più universale.
Cf. Lv 19,18
21 Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Pacem in Terris 5-15;
Giovanni Paolo II, Lettera al Sig. K. Waldheim, Segretario generale delle Nazioni Unite, in occasione del 30° anniversario della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo": AAS 71 (1979), 122;
Discorso Pontificio all'O.N.U., n. 9: AAS 71 (1979), 1149
22 Cf. S. Agostino, Ad Macedonium, II, 7-17 ( PL 33, 669-673; CSEL 44, 437-447 )
24 Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 15
25 Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 13, comma I
26 Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Reconciliatio et Paenitentia, n. 13
27 Cf. Gen 3,16-19; Rm 5,12; Rm 7,14-24;
Paolo VI, Sollemnis Professio Fidei, 30 Giugno 1968, n. 16
30 Cf. S. Agostino, De Civitate Dei, XIV, 28