Fede e inculturazione

Indice

2. L'inculturazione nella Storia della Salvezza

Jahvè e il popolo dell'Alleanza

Gesù Cristo, Signore e Salvatore del mondo

Lo Spirito Santo e la Chiesa degli Apostoli

1. Consideriamo i rapporti della natura, della cultura e della grazia nella storia concreta dell'Alleanza di Dio con l'umanità.

Iniziata con un popolo particolare, culminata in un figlio di questo popolo che è anche Figlio di Dio, estesasi a partire da lui a tutte le nazioni della terra, questa storia mostra « l'ammirabile "condiscendenza" della eterna Sapienza ».15

1. Israele, popolo dell'Alleanza

2. Israele si è compreso come formato in maniera immediata da Dio.

Del resto l'Antico Testamento, la Bibbia dell'antico Israele, è il testimone permanente della rivelazione del Dio vivente ai membri di un popolo eletto.

Nella sua forma scritta, questa rivelazione reca pure la traccia delle esperienze culturali e sociali del millennio in cui questo popolo e le civiltà confinanti si sono incontrate nella storia.

L'antico Israele è nato in un mondo che aveva già dato origine a grandi culture ed è cresciuto a contatto con esse.

3. Le più antiche istituzioni d'Israele ( ad esempio, la circoncisione, il sacrificio di primavera, il riposo del sabato ) non gli sono peculiari, ma le ha mutuate dai popoli vicini.

Gran parte della cultura d'Israele ha un'origine analoga.

Tuttavia, il popolo della Bibbia ha fatto subire a tali elementi mutuati profondi cambiamenti, quando li ha incorporati nella propria fede e nella propria prassi religiosa.

Li ha passati al vaglio della fede nel Dio personale di Abramo ( creatore libero e sapiente ordinatore dell'universo, nel quale il peccato e la morte non potrebbero trovare la loro origine ).

E l'incontro con questo Dio, vissuto nell'Alleanza, che permise di comprendere l'uomo e la donna come esseri personali e di respingere di conseguenza i comportamenti disumani inerenti alle altre culture.

4. Gli autori biblici hanno utilizzato e insieme trasformato le culture del loro tempo per narrare, attraverso la storia di un popolo, l'azione salvifica che Dio farà culminare in Gesù Cristo, e per unire i popoli di ogni cultura, chiamati a formare un solo corpo, di cui Cristo è il capo.

5. Nell'Antico Testamento, alcune culture, fuse e trasformate, vengono messe al servizio della rivelazione del Dio di Abramo, vissuta nell'Alleanza e consegnata nella Scrittura.

È stata una preparazione unica, sul piano culturale e religioso, per la venuta di Gesù Cristo.

Nel Nuovo Testamento, il Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, più profondamente rivelato e manifestato nella pienezza dello Spirito, invita tutte le culture a lasciarsi trasformare dalla vita, dall'insegnamento, dalla morte e risurrezione di Gesù Cristo.

6. Se i pagani sono « innestati su Israele », ( Cf. Rm 11,11-24 ) il piano originale di Dio, dobbiamo sottolinearlo, verte su tutta la creazione. ( Gen 1,1-2,4a )

Un'alleanza infatti è conclusa, tramite Noè, con tutti i popoli della terra che sono pronti a vivere nella giustizia. ( Cf. Gen 9,1-17; Sir 44,17-18 )

Quest'alleanza è anteriore a quelle strette con Abramo e con Mosè.

Infine Israele è chiamato a comunicare le benedizioni che ha ricevuto a tutte le famiglie della terra, a partire da Abramo. ( Gen 12,1-5; Ger 4,2; Sir 44,21 )

7. Segnaliamo, d'altro canto, che non tutti i diversi aspetti della cultura d'Israele intrattengono gli stessi rapporti con la rivelazione divina.

Alcuni attestano la resistenza alla Parola di Dio, mentre altri ne esprimono l'accettazione.

Tra questi ultimi occorre distinguere ancora il provvisorio ( prescrizioni rituali e giudiziarie ) e il permanente, di portata universale.

Certi elementi ( in « La Legge di Mosè, i Profeti e i Salmi » Lc 24,27.44 ), hanno precisamente come significato di essere la preistoria di Gesù.

2. Gesù Cristo, Signore e Salvatore del mondo

1. La trascendenza di Gesù in rapporto a ogni cultura

8. Una convinzione domina la predicazione di Gesù: in lui, Gesù, nella sua parola e nella sua persona, Dio completa, superandoli, i doni che ha già fatto a Israele e all'insieme delle nazioni. ( Mc 13,10; Mt 12,21; Lc 2,32 )

Gesù è la luce sovrana e la vera saggezza per tutte le nazioni e per tutte le culture. ( Mt 11,19; Lc 7,35 )

Egli mostra, nella sua stessa attività, che il Dio di Àbramo, già riconosciuto da Israele come creatore e Signore, ( Sal 93,1-4; Is 6,1 ) si appresta a regnare su tutti coloro che crederanno al Vangelo; anzi, con Gesù, Dio regna già. ( Mc 1,15; Mt 12,28, Lc 11,20; Lc 17,21 )

9. L'insegnamento di Gesù, specialmente nelle parabole, non teme di correggere e, all'occorrenza, di contestare non poche idee che la storia, la religione nella sua pratica effettiva e la cultura avevano ispirate ai suoi contemporanei sulla natura di Dio e sul suo agire. ( Mt 20,1-16; Lc 15,11-32; Lc 18,9-14 )

10. L'intimità tutta filiale di Gesù con Dio e l'obbedienza amorevole che gli fa offrire al Padre la propria vita e morte ( Mc 14,36 ) attestano che in lui il disegno originale di Dio sulla creazione, viziato dal peccato, è stato restaurato. ( Mc 1,44-45; Mt 10,2-9; Mt 5,21-48 )

Ci troviamo di fronte a una nuova creazione, quella del nuovo Adamo. ( Rm 5,12-19; 1 Cor 15,20-22 )

Perciò i rapporti con Dio sono per molti aspetti profondamente cambiati. ( Mc 8,27-33; 1 Cor 1,18-25 )

La novità è tale che la maledizione che colpisce il Messia crocifisso diventa benedizione per tutti i popoli ( Gal 3,13; Dt 21,22-23 ) e che la fede in Gesù salvatore si sostituisce al regime della Legge. ( Gal 3,12-14 )

11. La morte e la risurrezione di Gesù, grazie alle quali lo Spirito è stato effuso nei cuori, hanno mostrato le insufficienze delle sapienze e delle morali meramente umane, e anche della Legge peraltro data da Dio a Mosè, tutte istituzioni capaci di dare la conoscenza del bene, ma non la forza di compierlo, la conoscenza del peccato, ma non il potere di sottrarsi. ( Rm 7,16ss; Rm 3,20; Rm 7,7; 1 Tm 1,8. )

2. La presenza del Cristo nella cultura e nelle culture

1. La particolarità del Cristo, Signore e Salvatore universale

12. Poiché è stata integrale e concreta, l'incarnazione del Figlio di Dio è stata un'incarnazione culturale: « Cristo steso, attraverso la sua incarnazione, si legò a determinate condizioni sociali e culturali degli uomini con cui visse ».33

13. Il Figlio di Dio ha voluto essere un ebreo di Nazareth di Galilea, che parlava aramaico, che era sottomesso a pii genitori d'Israele, che li ha accompagnati al Tempio di Gerusalemme, dove lo ritrovano « seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava ». ( Lc 2,46 )

Gesù cresce in mezzo agli usi e alle istituzioni della Palestina del primo secolo, imparandovi mestieri del suo tempo, osservando il comportamento dei pescatori, dei contadini e dei commercianti del suo ambiente.

Le scene e i paesaggi di cui si nutre l'immaginazione del futuro rabbi sono di un Paese e di un'epoca ben determinati.

14. Nutrito dalla pietà d'Israele, formato dall'insegnamento della Legge e dei Profeti, al quale un'esperienza del tutto singolare di Dio come Padre permette di dare una profondità inaudita, Gesù si situa in una tradizione spirituale ben determinata, quella del profetismo ebraico.

Come i profeti di un tempo, egli è la bocca di Dio e invita alla conversione.

Il modo è ugualmente caratteristico: il vocabolario, i generi letterari, i procedimenti stilistici, tutto ricorda la stirpe di Elia e di Eliseo: il parallelismo biblico, i proverbi, i paradossi, le ammonizioni, le beatitudini e persino le azioni simboliche.

15. Gesù è talmente legato alla vita d'Israele che il popolo e la tradizione religiosa ove prende posto hanno, per ciò stesso, qualcosa di singolare nella storia della salvezza degli uomini; questo popolo eletto e la tradizione religiosa che ha lasciato hanno un significato permanente per l'umanità.

16. No, l'Incarnazione non ha nulla di una improvvisazione.

Il Verbo di Dio entra in una storia che lo prepara, che lo annuncia e lo prefigura.

Il Cristo in anticipo fa corpo, possiamo dire, con il popolo che Dio si è formato in vista del dono che farà del proprio Figlio.

Tutte le parole che i profeti hanno proferito preludono alla Parola sussistente che è il Figlio di Dio.

17. Perciò, la storia dell'alleanza conclusa con Abramo e, mediante Mosè, con il popolo d'Israele, come i libri che narrano e illuminano quella storia, tutto ciò conserva, per i fedeli di Gesù, la funzione di un'indispensabile e insostituibile pedagogia.

Del resto, l'elezione di questo popolo da cui è sorto Gesù non è mai stata revocata.

« I miei consanguinei secondo la carne », scrive san Paolo, « sono israeliti », « possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen ». ( Rm 9,3-5 )

L'ulivo buono non ha perduto i propri privilegi a vantaggio dell'oleastro, che è stato innestato su di lui. ( Rm 11,24 )

2. La cattolicità dell'Unico

18. Per quanto sia particolare la condizione del Verbo fatto carne - e dunque la cultura che lo accoglie, lo forma e lo continua -, non è anzitutto a tale particolarità che il Figlio di Dio si è unito.

Poiché si è fatto uomo, Dio ha anche assunto, in un certo modo, una razza, un Paese e un'epoca.

« Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, con ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime.

Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo ».37

19. La trascendenza del Cristo non lo isola dunque al di sopra della famiglia umana, ma lo rende presente a ogni uomo, al di là di ogni particolarismo.

« A nessuno e in nessun luogo egli può apparire estraneo ».38

« Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù ». ( Gal 3,28 )

Il Cristo ci raggiunge quindi nell'unità che formiamo, come nella molteplicità e nella diversità degli individui in cui si realizza la nostra comune natura.

20. Il Cristo non ci raggiungerebbe però nella verità della nostra umanità concreta, se non ci cogliesse nella diversità e nella complementarità delle nostre culture.

Le culture infatti - lingua, storia, atteggiamento generale di fronte alla vita, istituzioni varie - nel bene e nel male ci accolgono nella vita, ci formano, ci accompagnano e ci prolungano nel tempo.

Se il cosmo intero è misteriosamente il luogo della grazia e del peccato, come non lo sarebbero anche le nostre culture, che sono i frutti e i germi dell'attività propriamente umana?

21. Nel Corpo del Cristo, le culture, nella misura in cui sono animate e rinnovate dalla grazia e dalla fede, sono del resto complementari.

Esse permettono di vedere la multiforme fecondità di cui sono capaci gli insegnamenti e le energie dello stesso Vangelo, gli stessi principi di verità, di giustizia, di amore e di libertà, quando sono pervasi dallo Spirito di Cristo.

22. Dobbiamo infine ricordare che non è per strategia interessata che la Chiesa, sposa del Verbo incarnato, si preoccupa della sorte delle varie culture dell'umanità.

Essa vuole animare dall'interno, proteggere, liberare dall'errore e dal peccato, con cui noi le abbiamo corrotte, quelle risorse di verità e di amore che Dio ha disposto, come semina Verbi, nella sua creazione.

Il Verbo di Dio non viene in una creazione che gli sarebbe estranea.

« Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.

Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui ». ( Col 1,16-17 )

3. La Chiesa degli Apostoli e lo Spirito Santo

1. Da Gerusalemme alle nazioni: gli inizi tipici dell'inculturazione della fede

23. Il giorno di Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo inaugura il rapporto della fede cristiana e delle culture come un evento di compimento e di pienezza: la promessa della salvezza, adempiuta dal Cristo risorto, riempie il cuore dei credenti con l'effusione dello Spirito Santo stesso.

« Le meraviglie di Dio » verranno ormai rese « pubbliche » a tutti gli uomini di ogni lingua, di ogni cultura. ( At 2,11 )

Mentre l'umanità vive sotto il segno della divisione di Babele, il dono dello Spirito Santo le è offerto come la grazia, trascendente e quanto umana, della sinfonia dei cuori.

La comunione divina ( koinonia ) ( At 2,42 ) ricrea una nuova comunità tra gli uomini, penetrando, senza distruggerlo, nel segno della loro divisione: le lingue.

24. Lo Spirito Santo non instaura una supercultura, ma è il principio personale e vitale che vivificherà la nuova comunità in sinergia con i suoi membri.

Il dono dello Spirito Santo non è dell'ordine delle strutture, ma la Chiesa di Gerusalemme che esso plasma è koinonia di fede e di agape, che si comunica nella pluralità senza dividersi; essa è il Corpo del Cristo i cui membri sono uniti senza uniformità.

La prima prova della cattolicità appare quando le differenze connesse con la cultura ( screzi tra ellenisti ed ebrei ) minacciano la comunione. ( At 6,1ss )

Gli Apostoli non sopprimono le differenze, ma svolgeranno una funzione essenziale del corpo ecclesiale: la diaconia al servizio della koinonia.

25. Affinché la Buona Notizia sia annunciata alle nazioni, lo Spirito Santo suscita un nuovo discernimento in san Pietro e nella Comunità di Gerusalemme: ( At 10; At 11 ) la fede in Cristo non esige dai nuovi credenti che abbandonino la loro cultura per adottare quella della Legge del popolo ebreo: tutti i popoli sono chiamati ad essere beneficiari della Promessa e a condividere l'eredità affidata per loro al Popolo dell'Alleanza. ( Ef 2,14-15 )

Dunque nessun altro obbligo « al di fuori delle cose necessarie », secondo la decisione dell'assemblea apostolica. ( At 15,28 )

26. Ma, scandalo per gli ebrei, il mistero della Croce è follia per i pagani.

Qui l'inculturazione della fede si scontra con il peccato radicale che « soffoca » ( Rm 1,18 ) la verità di una cultura che non è assunta dal Cristo: l'idolatria.

Finché l'uomo è « privo della Gloria di Dio », ( Rm 3,23 ) tutto ciò che egli « coltiva » è immagine opaca di lui stesso.

Il kerygma paolino parte allora dalla creazione e dalla vocazione all'Alleanza, denuncia le perversioni morali dell'umanità accecata e annuncia la salvezza nel Cristo crocifisso e risorto.

27. Dopo la prova della cattolicità tra comunità cristiane culturalmente diverse, dopo le resistenze del legalismo ebraico e quelle dell'idolatria, la fede s'infeuda nella cultura, nello gnosticismo.

Il fenomeno sorge all'epoca delle ultime lettere di Paolo e di Giovanni: alimenterà la maggior parte delle crisi dottrinali dei secoli seguenti.

Qui la ragione umana, nella sua condizione ferita, rifiuta la follia dell'Incarnazione del Figlio di Dio e tenta di ricuperare il Mistero adattandolo alla cultura regnante.

Ora, « la fede non si fonda sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio ». ( 1 Cor 2,4ss )

2. La Tradizione Apostolica: inculturazione della fede e salvezza della cultura

28. Negli « ultimi tempi » inaugurati dalla Pentecoste, il Cristo risorto, Alfa e Omèga, entra nella storia dei popoli: da allora il senso della storia, e dunque della cultura, è « dissigillato » ( Ap 5,1-5 ) e lo Spirito Santo lo rivela attualizzandolo e comunicandolo a tutti.

Di questa rivelazione e comunione la Chiesa è il sacramento.

Essa riequilibra ogni cultura in cui il Cristo viene accolto, collocandola nell'asse del « mondo che viene », e restaura la comunione infranta dal « principe di questo mondo ».

La cultura è così in situazione escatologica: tende verso il proprio compimento nel Cristo, ma non può essere salvata se non associandosi al ripudio del male.

29. Ogni Chiesa locale o particolare ha la vocazione di essere, nello Spirito Santo, il sacramento che manifesta il Cristo, crocifisso e risorto, nella carne di una cultura particolare:

a) La cultura di una Chiesa locale - giovane o antica - partecipa al dinamismo delle culture e alle loro vicissitudini.

Anche se è in situazione escatologica, essa rimane sottoposta alle prove e alle tentazioni. ( Cf. Ap 2; Ap 3 )

b) La « novità cristiana » genera nelle Chiese locali espressioni particolari culturalmente caratterizzate ( modalità delle formulazioni dottrinali, simbolismi liturgici, tipi di santità, direttive canoniche ecc. ).

Ma la comunione tra le Chiese esige costantemente che la « carne » culturale di ognuna non faccia velo al mutuo riconoscimento nella fede apostolica e alla solidarietà nell'amore.

c) Ogni Chiesa inviata alle nazioni testimonia il proprio Signore solo se, tenuto conto dei propri vincoli culturali, si conforma a Lui nella prima kenosis della sua Incarnazione e nell'umiliazione ultima della sua Passione vivificante.

L'inculturazione della fede è una delle espressioni della Tradizione apostolica di cui Paolo sottolinea a più riprese il carattere drammatico. ( 1 Cor e 2 Cor passim )

30. Gli scritti apostolici e le testimonianze patristiche non limitano la loro visione della cultura al servizio dell'evangelizzazione, ma la integrano nella totalità del Mistero del Cristo.

Per loro, la creazione è il riflesso della Gloria di Dio, l'uomo ne è l'icona vivente e nel Cristo viene data la rassomiglianza con Dio.

La cultura è il luogo in cui l'uomo e il mondo sono chiamati a ritrovarsi nella Gloria di Dio.

L'incontro non ha luogo o viene offuscato nella misura in cui l'uomo è peccatore.

All'interno della creazione prigioniera si vive la gestazione di « tutte le cose nuove »: ( Ap 21,5 ) la Chiesa è « nelle doglie ». ( Cf. Rm 8,18-25 )

In essa e con essa le creature di questo mondo possono vivere la loro redenzione e la loro trasfigurazione.

Indice

15 DV, 13.
33 AG, 10.
37 GS, 22.
38 AG, 8.