I rifugiati una sfida alla solidarietà |
Le prime iniziative internazionali si situavano in un ambito piuttosto limitato.
Esse manifestavano un interesse per le sofferenze di persone specificamente perseguitate, soffermandosi sui motivi individuali dell'espatrio.
Ora che le persone forzatamente sradicate sono diventate moltitudini, è necessario rivedere gli accordi internazionali ed estendere la protezione da essi garantita anche ad altre categorie.
Recentemente, il dibattito concernente le cause che generano e acutizzano l'instabilità politica si è concentrato sulla povertà, gli squilibri nella distribuzione dei mezzi di sussistenza, il debito estero, l'inflazione galoppante, la strutturale dipendenza economica e le calamità naturali.
Non sorprende il fatto che la maggioranza dei rifugiati provenga dai paesi in via di sviluppo.5
Una ristrutturazione dei rapporti economici non sarebbe però da sola sufficiente a superare le divergenze politiche, le discordie etniche e rivalità di altro tipo.
Fintanto che le relazioni tra le persone e tra le Nazioni non poggeranno su una vera capacità di accettarsi sempre più nella diversità e nell'arricchimento reciproco, ci saranno rifugiati vittime di abuso di potere.6
Il problema dei rifugiati deve essere affrontato alle sue radici, cioè al livello delle cause stesse dell'esilio.
Il primo punto di riferimento non deve essere la ragione di Stato o la sicurezza nazionale, ma la persona umana, affinché sia salvaguardata la sua esigenza di vivere in comunità, esigenza che proviene dalla natura profonda dell'uomo.7
I diritti umani definiti dalle leggi, dagli accordi e dalle convenzioni internazionali già indicano il cammino da seguire.
Ma una soluzione duratura al problema dei rifugiati sarà raggiunta soltanto quando la comunità internazionale, al di là delle norme di protezione dei rifugiati, arriverà a riconoscere il loro diritto di appartenere alla propria comunità.
Numerose richieste vengono espresse a favore di un approccio più organico ai diritti delle persone in cerca di una terra di rifugio.8
Il progresso nella capacità di convivenza all'interno dell'intera famiglia umana è strettamente legato alla crescita di una mentalità di accoglienza.
Ogni persona in pericolo che si presenta alle frontiere ha diritto all'assistenza.
Per facilitare la determinazione delle cause dell'abbandono del proprio paese e l'adozione di soluzioni durevoli, è necessario un rinnovato impegno ad elaborare norme di asilo territoriale internazionalmente accettabili.9
Questo atteggiamento agevola la ricerca di soluzioni comuni e ridimensiona la validità di alcuni argomenti, a volte pretestuosamente usati per limitare l'accoglienza e la concessione del diritto d'asilo al solo criterio dell'interesse nazionale.
La protezione non è una concessione che si fa al rifugiato: egli non è un oggetto di assistenza, ma piuttosto un soggetto di diritti e doveri.
Ogni paese ha la responsabilità di rispettare e di far rispettare i diritti del rifugiato, tanto quanto quelli dei suoi cittadini.
Quando le persone fuggono l'invasione o la guerra civile, la loro protezione esige anche che siano riconosciute come non belligeranti.
Da parte loro, esse dovranno esplicitamente rinunciare all'uso della forza.
12. Ai "rifugiati convenzionali" sono già state offerte varie misure di protezione; queste però non devono limitarsi alla garanzia della sicurezza fisica, ma vanno estese a tutte le condizioni necessarie a una esistenza pienamente umana.
Pertanto devono assicurare non solo il nutrimento, il vestiario, l'alloggio e la protezione dalla violenza, ma anche l'accesso all'istruzione e all'assistenza medica, la possibilità di assumersi responsabilità per la propria vita, di coltivare la propria cultura e le proprie tradizioni e di esprimere liberamente la propria fede.
Inoltre, poiché la famiglia è la cellula vitale di ogni società, si dovrà favorire la riunificazione delle famiglie dei rifugiati.
13. Sebbene molti l'abbiano già fatto, sarebbe auspicabile che tutti gli Stati aderissero alla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951 e al relativo Protocollo del 1967, e che li rispettassero.
L'esercizio del diritto di asilo, proclamato dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo, dovrebbe essere ovunque riconosciuto e non ostacolato con misure deterrenti e penalizzanti.
Un richiedente asilo non dovrebbe essere internato, a meno che non si possa affermare che egli costituisce un reale pericolo, o ci siano fondati motivi per sospettare che non si presenterà alla competente autorità per l'esame del suo caso.
Non si dovrebbe, inoltre, impedire l'accesso al lavoro e a una giusta e rapida procedura legale.
Il comportamento degli Stati nei riguardi dei rifugiati riconosciuti tali sulla base di considerazioni umanitarie necessita di essere articolato in una normativa che tenga conto di tutte le loro esigenze umane.
In particolare, gli accordi internazionali dovrebbero includere l'obbligo di non considerare "migranti economici" quanti fuggono un'oppressione sistematica o una guerra civile.
I paesi che riconoscono la loro interdipendenza regionale e mirano a coordinare le loro politiche, dovrebbero adottare un orientamento generoso ed uniforme verso i rifugiati, aperto ad una pluralità di soluzioni.
Il rispetto scrupoloso del principio della volontarietà del rimpatrio è base non negoziabile per il trattamento dei rifugiati.
Nessuno deve essere rimandato in un paese ove tema azioni discriminatorie o gravi problemi di sopravvivenza.
Nel caso che i competenti uffici governativi decidano di non accogliere i richiedenti asilo con l'argomentazione che non si tratta di veri rifugiati, sono tenuti ad assicurarsi che altrove sarà loro garantita un'esistenza sicura e libera.
La storia recente mostra che tante persone sono state rinviate contro la loro volontà ad un destino a volte tragico; alcuni sono stati respinti in mare, altri sono stati dirottati verso campi minati, ove hanno trovato la morte.
I campi profughi, strutture necessarie benché non ideali di prima accoglienza, dovrebbero essere situati in località il più possibile lontane da conflitti e sicure da eventuali attacchi.10
Essi devono inoltre essere organizzati in modo tale che i rifugiati possano godervi di un minimo di vita privata, di servizi medici, didattici e religiosi.
Le persone che vi risiedono devono anche essere protette dalle varie forme di violenza morale e fisica e avere la possibilità di partecipare alle decisioni che riguardano la loro vita quotidiana.
I dispositivi di sicurezza devono essere rinforzati là ove sono alloggiate donne sole, per evitare le violenze di cui esse sono spesso l'oggetto.
Le organizzazioni internazionali, specie quelle preposte alla tutela dei diritti umani, e i mezzi di comunicazione sociale abbiano libero accesso ai campi.
Poiché il campo costituisce una comunità di vita artificiale e imposta, quindi traumatizzante, una lunga permanenza in esso rende il rifugiato ancor più vulnerabile.
I campi devono restare ciò che era stato previsto che fossero: una soluzione d'emergenza e, pertanto, provvisoria.
L'interesse ad aiutare i rifugiati sentito anche come obbligo morale di lenire le sofferenze altrui a volte si scontra con il timore di una loro eccessiva crescita numerica e del confronto con altre culture che possono disturbare gli schemi di vita adottati dai paesi di accoglienza.
Quelli che ieri erano visti con simpatia perché "lontani", sono rifiutati oggi perché troppo "vicini" e troppo invadenti.
Così, al di là di occasionali slanci dell'interesse generale, la premura verso i rifugiati tende ad essere delegata ad alcuni organismi e gruppi di settore.
I mezzi di comunicazione sociale possono contribuire a dissipare pregiudizi e suscitare un'attenzione costante per i rifugiati da parte dell'opinione pubblica.
Quando essi sostengono politiche fondate sulla solidarietà e la comprensione umana, impediscono che i rifugiati diventino i capri espiatori dei mali della società.
La presentazione di una positiva e precisa immagine dei rifugiati è particolarmente necessaria in quei paesi ove essi sono utilizzati per distogliere intenzionalmente l'attenzione da altri gravi problemi interni o esterni.
L'indifferenza costituisce un peccato di omissione.
La solidarietà fa invertire la tendenza a considerare il mondo soltanto dal proprio punto di vista.
L'accettazione della dimensione mondiale dei problemi sottolinea i limiti di ogni cultura;
spinge a uno stile di vita più sobrio in vista di contribuire al bene comune;
consente di rispondere efficacemente al giusto appello dei rifugiati e apre cammini di pace.
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5 | L'adozione nel 1986 da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di una
Dichiarazione sul diritto allo sviluppo richiederebbe una riflessione specifica sulla possibilità di applicare gli strumenti giuridici attualmente in vigore alle persone che abbandonano un paese nel quale il loro diritto allo sviluppo non viene rispettato. Non si tratta dopotutto di una nuova forma di "persecuzione", dovuta alla loro appartenenza "a un certo gruppo sociale", ai sensi dell'Art. 1, A.2 della Convenzione del 1951? |
6 | Cf. Giovanni XXIII. Lett. Enc.
Pacem in terris ( 11 aprile 1963 ) Il fenomeno dei rifugiati "sta purtroppo a indicare come vi sono regimi politici che non assicurano alle singole persone una sufficiente sfera di libertà entro cui al loro spirito sia consentito respirare con ritmo umano; anzi in quei regimi è messa in discussione o addirittura misconosciuta la legittimità della stessa esistenza di quella sfera. Ciò, non v'è dubbio, rappresenta una radicale inversione nell'ordine della convivenza …" |
7 | Cf. Congr. per i Vescovi, Istruzione sulla cura pastorale dei migranti De pastorali migratorum cura ( 22 agosto 1969 ): AAS 61 (1969), 617. |
8 | Cf. Comunicato finale della Conferenza dei Ministri sui movimenti di persone provenienti dai Paesi dell'Europa Centrale e Orientale, Vienna, 24-25 gennaio 1991. |
9 | Le Nazioni Unite avevano convocato nel 1977 a Ginevra una Conferenza diplomatica per adottare una Convenzione sull'asilo territoriale, idonea a colmare il vuoto giuridico provocato dall'evoluzione della problematica dei rifugiati. Purtroppo l'iniziativa si è risolta in un insuccesso, soprattutto a causa del conflitto ideologico tra i "blocchi" di paesi allora esistenti. Oggi, quindici anni dopo, il nuovo contesto geopolitico sembra suggerire un rinnovato sforzo da parte della comunità internazionale per darsi uno strumento giuridico capace di assicurare una adeguata tutela a tutti i rifugiati del mondo contemporaneo. |
10 | Una conclusione del Comitato esecutivo dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ( n. 22 del 1981 ) ha stabilito il principio secondo il quale i campi devono essere ubicati ad una "ragionevole distanza" dalla frontiera. |