I rifugiati una sfida alla solidarietà |
I rifugiati non sono un prodotto esclusivo del nostro tempo.
Nel corso della storia, le tensioni tra gruppi culturalmente ed etnicamente diversi, tra i diritti dell'individuo e il potere dello Stato, sono sfociate spesso in guerre e persecuzioni, espulsioni e fughe.
Esempi tipici di simili esperienze, radicate nella memoria collettiva di ogni popolo, ci vengono presentati anche dalla storia biblica.
I fratelli di Giuseppe andarono in Egitto ( Gen 42,13 ) spinti da una carestia devastante;
Giuda, sconfitto dalla guerra, "fu deportato dal suo paese" ( 2 Re 25,21 );
Giuseppe prese Gesù e sua madre e durante la notte fuggì in un paese straniero poiché il re stava "cercando il bambino per ucciderlo" ( Mt 2,13-15 );
lo scoppio di una violenta persecuzione disperse in varie regioni i fedeli della Chiesa di Gerusalemme ( At 8,1 ).
Il dramma dell'esilio forzato continua ad esistere e a crescere in tutto il mondo, tanto che il nostro è stato definito il secolo dei rifugiati.
Molti vivono una così sconcertante esperienza da anni e addirittura da generazioni, senza aver mai conosciuto altro tipo di vita; è quanto accade in vari campi di Palestinesi.
Dietro le statistiche, approssimative ma espressive, si celano dolori personali e collettivi: perduti sono i luoghi dove trovava significato e rispetto la loro vita, perduti i luoghi ove si potevano celebrare gli avvenimenti della loro storia e venerare le tombe dei loro padri.
Alcuni casi di esodo sono particolarmente drammatici, come quelli dei "boatpeople" o quelli di etnie perseguitate.1
La vita è spesso molto penosa nei campi detti di prima accoglienza, a causa sia del sovraffollamento, sia dell'insicurezza alle frontiere, sia di una politica di "dissuasione" che trasforma certi campi in universi carcerari.
Anche quando è trattato con umanità, il rifugiato si sente sempre umiliato: non è più padrone del suo destino, è alla mercè degli altri.
I conflitti umani, e le altre situazioni che minacciano la vita, danno origine a diversi tipi di rifugiati.
Tra questi si annoverano le persone che sono oggetto di persecuzione a causa della loro razza, della loro religione o della loro appartenenza ad un gruppo sociale o ad una scelta politica.
Questi tipi di rifugiati, e soltanto questi sono esplicitamente riconosciuti da due importanti documenti dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.2
Tali testi giuridici non tutelano molte altre persone i cui diritti umani sono parimenti calpestati.
Così non rientrano nelle categorie della Convenzione internazionale le persone vittime dei conflitti armati, di regimi repressivi, di politiche economiche sbagliate o di disastri naturali.
Oggi si registra, comunque, una crescente tendenza a riconoscere tali persone come rifugiati "de facto" per ragioni umanitarie, data la natura involontaria della loro migrazione.
Del resto, gli Stati aderenti alla Convenzione avevano essi stessi espresso la speranza che essa avesse un "valore di esempio, oltre la sua portata contrattuale".3
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha chiesto in diverse occasioni all'Alto Commissario per i Rifugiati di interporre i suoi buoni uffici per assistere tali persone involontariamente fuori del proprio Paese.
La pratica corrente in Europa dopo le due guerre mondiali, e più recentemente, in alcuni Paesi di primo asilo in altri continenti, si è mossa in questa direzione.4
Nel caso poi dei cosiddetti "migranti economici", giustizia ed equità richiedono che si facciano appropriate distinzioni.
Coloro che fuggono condizioni economiche che minacciano la loro vita e integrità fisica, devono essere trattati diversamente da coloro che emigrano semplicemente per migliorare la loro situazione.
Per un gran numero di persone, lo sradicamento forzato dal proprio ambiente avviene senza uscire dai confini nazionali.
Infatti, durante rivoluzioni e controrivoluzioni, la popolazione civile si trova spesso nel fuoco incrociato delle forze della guerriglia e delle forze governative, che lottano per motivi ideologici o per la proprietà della terra e delle risorse nazionali.
Per ragioni umanitarie queste persone, dette "deplacées", dovrebbero essere considerate come rifugiati allo stesso titolo di coloro che sono riconosciuti tali dalla Convenzione, perché sono vittime dello stesso tipo di violenza.
Nonostante l'accresciuta consapevolezza dell'interdipendenza tra gli uomini e tra le nazioni, certi Stati determinano arbitrariamente i criteri per l'applicazione degli obblighi internazionali, lasciandosi guidare dalle proprie ideologie o da interessi di parte.
In altri paesi, peraltro, che pur in passato avevano offerto generosa accoglienza ai rifugiati, si sta verificando una preoccupante tendenza verso scelte politiche orientate a ridurre il numero di ingressi e a scoraggiare nuove richieste di asilo.
Se momenti di recessione economica possono rendere comprensibile l'imposizione di alcuni limiti all'accoglienza, non si può però mai negare il rispetto del fondamentale diritto al rifugio delle persone la cui vita è seriamente minacciata nella loro patria.
È preoccupante anche constatare la riduzione delle risorse destinate alla soluzione del problema dei Rifugiati e l'indebolimento del sostegno politico alle strutture appositamente create per questo servizio umanitario.
Numerose sono tuttavia le persone che, all'interno delle varie nazioni, si schierano decisamente contro l'affermarsi di sentimenti e di scelte politiche di chiusura e si impegnano a sensibilizzare l'opinione pubblica in favore della protezione dei diritti di tutti e del valore dell'accoglienza.
Recenti cambiamenti politici in Europa Centrale e Orientale, e in altre parti del mondo hanno aperto nuove prospettive all'accoglienza, al dialogo e alla cooperazione, con la speranza che i muri abbattuti non vengano eretti altrove.
Indice |
1 | Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc.
Centesimus Annus, 18 ( 1 maggio 1991 ) "Molti popoli perdono il potere di disporre di se stessi, vengono chiusi nei confini soffocanti di un impero, mentre si cerca di distruggere la loro memoria storica e la secolare radice della loro cultura. Masse enormi di uomini, in conseguenza di questa divisione violenta, sono costrette ad abbandonare la loro terra e forzatamente deportate" |
2 | Cf. Convenzione relativa allo
Status dei Rifugiati, adottata il 28 luglio 1951; Protocollo relativo allo Status dei Rifugiati, adottato il 31 gennaio 1967. La Convenzione definisce rifugiato colui che "temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra" ( Art.1, A.2 ) |
3 | Cf. Atto finale della Conferenza dei Plenipotenziari delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati e degli apolidi, Ginevra, 28 luglio 1951, IV E: "La Conferenza, esprime la speranza che la Convenzione relativa allo status dei rifugiati avrà valore di esempio, oltre alla sua portata contrattuale, e che inciterà tutti gli Stati ad accordare quanto più possibile alle persone che si trovano sul loro territorio in qualità di rifugiati, che però non rientrerebbero nei termini della Convenzione, il trattamento previsto da questa stessa Convenzione" |
4 | Alcuni documenti ufficiali hanno allargato la definizione di rifugiato per un più ampio approccio umanitario al fenomeno: la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'asilo territoriale adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1967; la Convenzione dell'Organizzazione dell'Unità Africana, del 10 settembre 1969, che regola gli aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa; il Colloquio di Cartagena ( Colombia ) sui rifugiati del 22 novembre 1984, la cui dichiarazione finale, che per ora ha soltanto la forza di un opinione condivisa sul piano internazionale, considera come rifugiato anche la persona che è fuggita dal suo Paese a causa di "una violazione massiccia dei diritti dell'uomo" ( III, 3 ) |