Accogliere Cristo nei rifugiati |
I rifugiati appartengono a tutti i tempi.
Nel corso della storia, la gente ha cercato protezione fuggendo da situazioni di persecuzione e molti Paesi hanno sviluppato la tradizione di garantire asilo ai rifugiati.
Un insieme di trattati, con le loro estensioni, e una serie di organizzazioni hanno dato forma alla Legislazione internazionale a favore dei rifugiati.
39. Lo strumento internazionale principale e ampiamente riconosciuto per la loro protezione è la Convenzione relativa allo status dei Rifugiati.36
Essa conteneva due clausole limitative, una geografica e una temporale, che furono successivamente rimosse dal Protocollo del 1967.
All'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ( UNHCR ), già istituito il primo gennaio 1951, fu affidato il ruolo di supervisione, oltre ad altri compiti.
Successivamente, ricevette il mandato di estendere le sue attività di protezione a specifiche categorie di persone non coperte dai precedenti strumenti, come gli apolidi,37 i rimpatriati e determinati gruppi di sfollati.
Nel corso degli anni furono introdotti vari concetti relativi alla protezione dei rifugiati: tra essi quello di determinazione dello status prima facie su una base di gruppo in situazione di afflussi di massa, e quello di protezione temporanea.
La citata Convenzione e il suo Protocollo aggiuntivo, comunque, non includevano le persone che fuggivano da una guerra civile, da violenza generalizzata o da massicce violazioni di diritti umani.
Così, si svilupparono, successivamente, strumenti regionali per affrontare tali situazioni.38
Dalla metà degli anni '80, è cambiato l'atteggiamento verso i richiedenti asilo nei Paesi industrializzati, dove essi sono arrivati in numero sempre crescente, anche se in maggioranza sono rimasti nelle regioni d'origine.
Era infatti cominciata ad emergere una tendenza a diminuire il riconoscimento dello status di rifugiato, con l'introduzione di misure restrittive, quali l'obbligo del visto, le sanzioni applicabili ai vettori e l'opposizione a promuovere per loro una vita indipendente e di lavoro.
Contrabbandieri e trafficanti hanno beneficiato di questa situazione "assistendo" le persone a entrare in Paesi economicamente avanzati.
41. Purtroppo, anche il dibattito circa i richiedenti asilo è divenuto un forum in vista di elezioni politiche e amministrative, che ha alimentato tra l'elettorato attitudini ostili e aggressive nei loro confronti.
Questo atteggiamento ha avuto effetti negativi sulle politiche verso i rifugiati dei Paesi in via di sviluppo, i quali hanno ritenuto che la comunità internazionale non abbia affrontato a sufficienza l'onere della condivisione dei costi sociali ed economici connessi con gli arrivi di persone in cerca di asilo nel proprio territorio.
Ciò ha avuto come risultato una diminuzione di ospitalità e di assenso a ricevere considerevoli popolazioni di rifugiati per un indefinito periodo di tempo.
42. La negativa connotazione data ai richiedenti asilo e ai rifugiati stessi ha accresciuto xenofobia, a volte razzismo, paura e intolleranza nei loro confronti.
Inoltre si è andata sviluppando una cultura di sospetto generata da un generale presupposto di una possibile correlazione tra asilo e terrorismo.
Questo continua ad avere ripercussioni sulla situazione dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate in tutto il mondo.
A tale riguardo, i mezzi d'informazione hanno un ruolo importante nella formazione dell'opinione pubblica e una responsabilità nell'uso di una corretta terminologia per ciò che concerne rifugiati, richiedenti asilo e altre forme di migrazione, in considerazione dell'esistenza di flussi "misti" di migrazione.
43. La comunità internazionale ha risposto alla questione dei rifugiati individuando tre soluzioni principali: integrazione nel luogo di arrivo, reinsediamento in un Paese terzo e rimpatrio volontario.39
L'attuazione delle tradizionali soluzioni durature resta tuttavia insufficiente, come già si osservò negli anni '50, quando centinaia di migliaia di persone attesero per anni in campi di ritenzione in Europa.
Una situazione simile esiste anche oggi, per cui la maggioranza dei rifugiati continua a vivere in tale prolungata situazione.40
Essi hanno cercato o ricevuto asilo in Paesi della loro medesima regione geografica d'origine, Paesi che, soffrendo quasi sempre essi stessi a causa della povertà, hanno dovuto sopportare l'onere della loro assistenza, con una solidarietà internazionale tristemente inadeguata.
Il risultato è che campi originariamente intesi come alloggi temporanei sono diventati "residenze" permanenti, dove i rifugiati restano per anni, generalmente limitati nei loro movimenti, senza la possibilità di svolgere attività lavorativa per guadagnarsi da vivere e forzati dunque alla dipendenza.41
In queste situazioni la comunità internazionale sembra prestare loro scarsa attenzione, o semplicemente accettare il loro "deposito"42 come una condizione normale.
45. Sotto le pressioni della vita del campo, i valori sia degli individui, sia delle famiglie, sono minacciati.
Possono facilmente emergere tensioni, che portano alla violenza.
In effetti i provvedimenti d'emergenza sono inadeguati per le necessità a lungo termine degli esseri umani.
La situazione diventa ancora più grave quando i finanziamenti e le forniture indispensabili non arrivano regolarmente ai campi, per cui i rifugiati devono fronteggiare la carenza di beni fondamentali e tagli drastici nelle razioni di cibo, con conseguente malnutrizione, rischi per la salute e un crescente tasso di mortalità tra i più vulnerabili.43
Nel corso degli anni si è notato un graduale ma costante movimento che ha visto i rifugiati stabilirsi, con o senza permesso delle autorità, fuori dalle zone designate come campi, prediligendo aree edificate, quali le città.44
Essi sono chiamati rifugiati "urbani".
Attualmente più della metà della popolazione di rifugiati si trova fuori dei campi.
Le ragioni che li spingono a insediarsi in questo modo indipendente sono da attribuirsi o al fatto che essi già hanno vissuto in un ambiente urbano e quindi non sono abituati alla vita in ambienti rurali, oppure al presupposto che le città offrano migliori prospettive per il futuro, specialmente riguardo alle possibilità di guadagnarsi da vivere.
47. Ai rifugiati "urbani" spetta la medesima protezione riservata ai rifugiati in aree designate, con gli stessi diritti e le stesse responsabilità previsti dalla legislazione internazionale.
Tuttavia, nelle aree urbane la loro situazione diventa più complessa.
Essi, infatti, si trovano a vivere tra la popolazione locale, con cui entrano in competizione per l'occupazione, i servizi sociali e infrastrutturali.
L'accesso all'istruzione e all'assistenza medica può diventare difficile a causa delle limitazioni finanziarie.
Registrarsi e ottenere documenti d'identità è essenziale per la protezione dei rifugiati, ma ciò può essere complicato, specialmente quando la loro permanenza non sia stata approvata dalle autorità.
Il rilascio di documenti che identificano una persona sotto tutela dell'UNHCR potrebbe invece permettere di superare una serie di rischi relativi alla protezione.
48. Le autorità nazionali e municipali devono assumersi le loro responsabilità nei confronti di questi rifugiati, sebbene, a volte, si aspettino di essere sostenute in tali compiti da agenzie internazionali.
L'UNHCR cerca di aumentare la capacità di fornire servizi, come l'assistenza sanitaria e la formazione, e di coinvolgere agenzie per lo sviluppo in modo da offrire opportunità di sussistenza, che possano giovare anche alla popolazione locale.
Un altro gruppo che ha bisogno di protezione è costituito dagli apolidi.
Le circostanze della loro vita, che hanno una dimensione globale, sono in stretta relazione con quelle dei rifugiati, poiché, non avendo una cittadinanza, anch'essi non godono della protezione di uno Stato.
Le ragioni di questa situazione sono molteplici e includono il conflitto tra leggi di Stati diversi, o il passaggio di un'area geografica, oppure la sovranità su una determinata zona, da uno Stato all'altro.45
Sfollati sono coloro che sono stati costretti a fuggire, ad abbandonare la propria casa o il luogo di residenza abituale, soprattutto come risultato o come fine per evitare gli effetti di conflitti armati, situazioni di violenza generalizzata, violazioni di diritti umani, disastri naturali o causati dall'uomo, ma senza oltrepassare il confine di uno Stato riconosciuto a livello internazionale.46
51. Strumenti internazionali di Diritti Umani e di Diritto Umanitario obbligano gli Stati a provvedere alla sicurezza e al benessere di tutti coloro che sono sotto la loro giurisdizione, in conformità con la dignità della persona umana.47
"Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura sia dall'uomo.
Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali.
L'azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell'ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un'imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità.
Al contrario, è l'indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale".48
Pertanto il concetto classico di sovranità sembra svilupparsi in un concetto di sovranità come responsabilità.49
Il traffico di esseri umani è un'oltraggiosa offesa alla dignità umana e una grave violazione dei diritti umani fondamentali.
Le vittime sono state ingannate riguardo alle loro attività future e non sono più libere di decidere della loro vita poiché finiscono in situazioni simili o proprie della schiavitù, da cui è molto difficile fuggire.
A tal fine, infatti, spesso sono usate nei loro confronti minacce e violenza.
53. Il traffico di esseri umani50 è un problema pluridimensionale, spesso legato alla migrazione.
Esso si estende all'industria del sesso e oltre, fino a includere il lavoro forzato di uomini, donne e bambini in vari ambiti, come l'edilizia, ristoranti e alberghi, l'agricoltura e l'impiego domestico.
Il lavoro forzato51 è legato, da un lato, a discriminazione, povertà, costumi, disgregazione sociale e familiare, carenza di terra e analfabetismo da parte della vittima, dall'altro lato, ha a che fare con i conflitti armati e anche, in alcuni casi, con il lavoro a basso costo e flessibile, che sfocia spesso in bassi prezzi al consumo, e rende l'affare attraente per i datori di lavoro.
Il traffico di esseri umani può anche implicare il traffico di organi, l'accattonaggio, il reclutamento di bambini per i conflitti armati.
Durante tali conflitti esiste anche la schiavitù di natura sessuale tra i bambini soldato.
Le diverse forme di traffico richiedono approcci e misure distinti per il ripristino della dignità delle sue vittime,52 mentre esistono vari strumenti legali per proteggere i bambini dal reclutamento come soldati nelle forze armate o in altri gruppi armati.53
54. Diritti umani fondamentali sono in gioco in questa nuova forma di schiavitù, che distrugge non solo giovani vite, ma anche famiglie in tutto il mondo.
Sebbene la comunità internazionale, nel 2000, abbia adottato il Protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare donne e bambini, la sua applicazione, a livello nazionale, è stata piuttosto varia a seconda che l'approccio, nell'affrontare questa piaga, ponga l'accento sulla "giustizia criminale", sulla migrazione o sul rispetto dei diritti umani.
Nella maggior parte dei Paesi, alle vittime di sfruttamento sessuale conseguente a tratta è consentito restare nel Paese per tutta la durata delle indagini contro i trafficanti.
In questo tempo, tuttavia, solo parzialmente si prendono in considerazione le loro necessità, nonostante la situazione di vulnerabilità e rischio in cui esse si trovano.
Una volta completata l'indagine giuridica, esse sono generalmente rimpatriate con o senza relativo "pacchetto" di sostegno.
Soltanto in pochi Paesi sono state poste in essere misure dirette a garantire la protezione di queste vittime,54 offrendo loro la possibilità di restare e integrarsi nella società d'accoglienza, almeno a certe condizioni.
Senza un appropriato supporto, esse sono a rischio di essere nuovamente soggette a tratta.
Istituzioni cattoliche e, in particolare, Istituti di vita consacrata, Società di vita apostolica, movimenti e associazioni di laici, stanno offrendo sostegno pastorale e materiale alle vittime, oltre a programmi di riabilitazione e di sensibilizzazione.
Organizzazioni religiose stanno lavorando assieme, integrando i loro sforzi e le loro energie per combattere questa piaga globale, morale e sociale.
Questa è un'altra categoria di migranti che merita di essere qui menzionata.
Il contrabbando di persone55 è un fenomeno presente nella storia da lunga data.
Il suo obiettivo è fare entrare una persona in modo irregolare in un Paese, contravvenendo alle sue leggi sull'immigrazione, di cui rappresenta pertanto una violazione.
La persona oggetto di contrabbando e il contrabbandiere concordano le condizioni del "servizio", spesso con il pagamento di una considerevole somma di denaro, in modo simile a una transazione commerciale.
Le figure degli intermediari possono variare da individui che accompagnano occasionalmente le persone nel varcare il confine a vere reti organizzate.
56. Non appena una persona arriva nel Paese di destinazione, termina il rapporto con il contrabbandiere.
Occorre comunque notare che le parti si trovano su piani disuguali, perché la persona oggetto di contrabbando dipende dal contrabbandiere e può facilmente perdere il controllo della situazione.
Questo a volte porta al punto che i contrabbandieri non solo scelgono il Paese di destinazione, ma traggono anche vantaggio dall'alto rischio che le persone corrono una volta introdottesi illegalmente in esso.
In questo caso il contrabbando di persone diventa traffico.
Indice |
36 | La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, Art. 1-A2, adottata dalle Nazioni Unite a Ginevra, il 28 luglio 1951, definisce un rifugiato come colui che "a seguito di avvenimenti verificatisi anteriormente al 1° gennaio 1951, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese, oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra" |
37 | Apolide è "una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino per applicazione della sua legislazione": Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status degli apolidi, 28 settembre 1954, Art. 1 |
38 | Questi includono la Convenzione dell'Organizzazione dell'Unità Africana del 10 settembre 1969, che regola gli aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa, oltre a contenere elementi della Convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967, ed estende la definizione di rifugiato a ogni persona che "a causa di aggressione esterna, occupazione, dominio straniero o gravi turbamenti dell'ordine pubblico in parte o nella totalità del suo paese di origine o di nazionalità, è costretto a lasciare il suo luogo di residenza abituale per cercare rifugio in un altro luogo al di fuori del suo paese d'origine o nazionalità". La Dichiarazione di Cartagena sui Rifugiati, adottata dal Colloquio sulla Protezione Internazionale dei Rifugiati in America Centrale, Messico e Panama, il 22 novembre 1984, affronta la situazione dell'America Centrale, e raccomanda l'inclusione di coloro "che sono fuggiti dal loro paese perché la loro vita, la sicurezza o la libertà sono state minacciate da violenza generalizzata, aggressione straniera, conflitti interni, massicce violazioni dei diritti umani o altre circostanze che abbiano gravemente turbato l'ordine pubblico" |
39 | Integrazione locale. Una delle soluzioni previste è l'insediamento permanente nel Paese di primo asilo, e l'eventuale acquisizione della cittadinanza lì. In Africa, per esempio, negli anni '60 e '70, i rifugiati rurali furono integrati localmente in alta percentuale. Tuttavia, in seguito ai mutamenti economici e al processo di democratizzazione, molti Governi divennero meno disposti a consentire questo processo. Reinsediamento. Il reinsediamento è il trasferimento di rifugiati da uno Stato in cui essi hanno inizialmente cercato protezione a un terzo Stato che acconsente ad ammetterli con uno status di residenza permanente. Durante la Guerra Fredda, questa fu la soluzione preferita. Poi, nel tempo, cioè dalla metà degli anni '80, è occorso un cambiamento nella politica per cui è andato sempre più promovendosi come opzione preferita il rimpatrio volontario. Così, oggigiorno, solo a una piccola minoranza è consentito di reinsediarsi in un Paese terzo. Rimpatrio volontario. La decisione di ritornare al Paese d'origine, non soltanto deve essere presa liberamente, ma dovrebbe anche tenere conto della sua sostenibilità. Se da una parte molti rifugiati desiderano realmente tornare alle loro case, dall'altra il grado di libertà richiesto nel processo decisionale è minimo, specialmente quando esso è motivato da ridotte razioni di cibo, da un aumento di eccessiva limitazione di movimento e da altre misure restrittive |
40 | Cfr UNHCR, Protracted Refugee Situations, ( Situazioni di rifugiato prolungate ) Documento presentato al 30° Incontro del Comitato Permanente del Comitato Esecutivo del Programma dell'Alto Commissario, EC/54/SC/CRP.14, 10 Giugno 2004, n. 3: "Una prolungata situazione di rifugiato è quella in cui i rifugiati si trovano in uno stato di limbo eccessivamente lungo [ per cinque anni o più ] e ingestibile. La loro vita può non essere in pericolo, ma i loro diritti fondamentali e le loro necessità economiche, sociali e psicologiche essenziali rimangono insoddisfatti dopo anni di esilio. Un rifugiato in questa situazione è spesso incapace di liberarsi dalla dipendenza forzata dall'assistenza esterna" |
41 | Cfr Rappr. Santa Sede Dichiarazione ad ExCom 55 dell'UNHCR, Ginevra, 4 ottobre 2004: O.R., 11-12 ottobre 2004, 2 |
42 | Ibid.: "infatti, se la cooperazione internazionale manca, allora ci troveremo davanti a una quarta soluzione di fatto, anche se non ufficiale: il deposito di milioni di persone in campi in condizioni subumane, senza futuro e senza la possibilità di contribuire alla loro creatività. I Campi devono rimanere quello che era previsto fossero: una soluzione di emergenza e quindi temporanea" |
43 | L'alto Commiss. dei Rifugiati, parlando alla 58ma Sessione della Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, a Ginevra, il 20 marzo 2002, affermava: "Noi, nella comunità internazionale, dobbiamo chiederci se non stiamo violando i diritti umani dei rifugiati e di altre persone vulnerabili, non fornendo loro un'assistenza sufficiente a vivere con un minimo di dignità" ( preso da http://www.unhcr.org/3c988def4.html ) |
44 | UNHCR, Politica UNHCR in materia di protezione dei rifugiati e soluzioni nelle aree urbane, settembre 2009 ( preso da http://www.unhcr.org/refworld/docid/4ab8e7f72.html ) |
45 | L'UNHCR ha il mandato di chiedere agli Stati di adottare misure per ridurre l'apolidia e di aderire alla Convenzione del 1954 relativa allo status degli apolidi e alla Convenzione del 1961 sulla riduzione dell'apolidia ( cfr Ass. Gen. Nazioni UNite, Risoluzione 3274 del 10 dicembre 1974, e Ass. Gen. Nazioni Unite, Risoluzione 31/36 del 30 novembre 1976 ). Ciò darebbe agli apolidi alcuni diritti, il più importante dei quali è quello alla nazionalità, che dà luogo, a sua volta, a quello di risiedere permanentemente nel territorio di uno Stato e al diritto alla sua protezione. |
46 | Gli ultimi anni hanno visto un'evoluzione nella protezione degli sfollati con l'introduzione di un quadro legale internazionale non vincolante, i Principi guida sullo sfollamento, che attinge alle esistenti disposizioni della Legislazione Internazionale concernenti le necessità degli sfollati. L'UNHCR stesso è già stato e continua a essere impegnato nella protezione e assistenza agli sfollati sotto condizioni ben stabilite. Un ulteriore sviluppo si è realizzato nel 2005, con l'approvazione del cosiddetto "cluster-approach" ( approccio a grappolo ), una risposta del sistema delle Nazioni Unite in collaborazione con una più ampia comunità umanitaria per affrontare le crisi. Uno dei suoi obiettivi è quello di rispondere allo sradicamento di persone all'interno di un Paese. Cfr Comm. Nazioni Unite per i Diritti Umani, Principi guida sullo sfollamento, Addendum alla Relazione del Rappresentante del Segretario Generale delle Nazioni Unite, UN Doc. E/CN.4/1998/53/Add. 2, Art. 2, 11 febbraio, 1998 |
47 | 47 Cfr Benedetto XVI, Messaggio Giornata Mondiale della Pace 2007, n. 4, n. 6, n. 13 |
48 | Cfr ID., Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 18 Aprile 2008 |
49 | Cfr Int. Comm. on Intervention and state sovereignty, The Responsibility to Protect, International Development Research Centre, Ottawa 2001, e Comm. on Human Security, Human Security Now, New York 2003 |
50 | 50 L'Articolo 3 del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Transnazionale Organizzata per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare donne e bambini, del 15 novembre 2000, specifica che ai fini del presente protocollo "(a) « Tratta di persone » indica il reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere persone, tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l'asservimento o il prelievo di organi; (b) Il consenso di una vittima della tratta di persone allo sfruttamento di cui alla lettera a) del presente articolo è irrilevante nei casi in cui qualsivoglia dei mezzi usati di cui alla lettera a) è stato utilizzato; (c) Il reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere un bambino ai fini di sfruttamento sono considerati "tratta di persone" anche se non comportano l'utilizzo di nessuno dei mezzi di cui alla lettera a) del presente articolo; (d) « bambino » indica qualsiasi persona al di sotto di anni 18" |
51 | Cfr OIL, Un'alleanza globale contro il lavoro forzato. Relazione globale sul follow-up della Dichiarazione dell'OIL sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro, n.12, Ginevra 2005, 5. La definizione dell'OIL di lavoro forzato comprende due elementi fondamentali, cioè che il lavoro o il servizio si esige sotto la minaccia di una pena ed è svolto involontariamente |
52 | Cfr Rappr. Santa Sede, Discorso al Foro di Vienna sulla "Lotta al traffico di esseri umani", 13-15 febbraio 2008: O.R., 27 febbraio 2008, 2 |
53 | 53 Cfr Nazioni Unite,
Convenzione sui diritti dell'infanzia, adottata con Risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite 44/25 il 20 novembre 1989. ID., Protocollo facoltativo alla Convenzione sui diritti dell'infanzia concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, adottato dalla Risoluzione dell'Assemblea Generale 54/263 del 25 maggio 2000; OIL, Convenzione concernente la proibizione e immediata azione per l'eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile, n. 182, adottata dalla Conferenza Generale il 17 giugno 1999. |
54 | Come dichiarano gli Orientamenti dell'UNHCR in materia di protezione internazionale: L'applicazione dell'articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati alle vittime di tratta e a persone a rischio di essere vittime di tratta ( HCR/GIP/06/07 ), del 7 aprile 2006, alcune vittime di tratta "possono rientrare nella definizione di rifugiato di cui all'articolo 1A (2) della Convenzione del 1951 e possono quindi avere diritto alla protezione internazionale dei rifugiati" ( n.12 ). Infatti, l'Agenda UNHCR per la Protezione del 26 giugno 2002 invita gli Stati membri "a garantire che i loro processi per l'asilo siano aperti a ricevere richieste da singole persone vittime di tratta, in particolare donne e ragazze, che possono basare la loro richiesta di asilo su ragioni che non sono manifestamente infondate" |
55 | Per gli scopi del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti per via terrestre, aerea e marittima, del 15 novembre 2000, l'Articolo 3 specifica che "(a) « Traffico di migranti » significherà l'acquisto, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, dell'ingresso illegale di una persona in uno Stato Parte di cui la persona non è cittadina o residente permanente; (b) « Ingresso illegale » significherà l'attraversamento delle frontiere senza rispettare i requisiti necessari per l'ingresso legale nello Stato ricevente" |