Accogliere Cristo nei rifugiati |
È comunemente accettato che gli Stati abbiano il diritto di adottare misure contro l'immigrazione irregolare, con il dovuto rispetto per i diritti umani di tutti.
Allo stesso tempo è necessario tenere a mente la fondamentale differenza tra individui che fuggono da guerre e da persecuzione politica, religiosa, etnica o di altro genere ( questi sono rifugiati e richiedenti asilo ) e coloro che cercano semplicemente di entrare irregolarmente in un Paese, così come tra "coloro che fuggono condizioni economiche [ e ambientali ] che minacciano la loro vita e integrità fisica" e "coloro che emigrano semplicemente per migliorare la loro situazione".56
Quando l'odio e l'esclusione dalla società in modo sistematico o violento di minoranze etniche o religiose causano conflitti civili, politici, etnici, il flusso dei rifugiati si espande ( Cfr EMCC 1 ).
Sarebbe quindi necessario garantire adeguata protezione a coloro che fuggono da violenza e disordine sociale, anche quando queste situazioni non sono causate da organi dello Stato, e assicurare loro "uno status di protezione sussidiaria".57
58. Dunque, nell'affrontare il problema dei richiedenti asilo e dei rifugiati, "il primo punto di riferimento non deve essere la ragione di Stato o la sicurezza nazionale, ma la persona umana".
Questo implica il pieno rispetto dei diritti umani così come la salvaguardia della "esigenza di vivere in comunità, esigenza che proviene dalla natura profonda dell'uomo".58
59. Da parte loro, rifugiati e richiedenti asilo hanno doveri da osservare in relazione allo Stato di accoglienza.
Anche Papa Benedetto XVI lo ha detto nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato nel 2007: "Ai rifugiati va chiesto di coltivare un atteggiamento aperto e positivo verso la società che li accoglie, mantenendo una disponibilità attiva alle proposte di partecipazione per costruire insieme una comunità integrata, che sia « casa comune » di tutti".59
I rifugiati e i richiedenti asilo sono titolari di diritti umani e libertà fondamentali che devono essere tenuti in considerazione in modo particolare.
Non è certo lo scopo di questo documento dare definizioni e informazioni che si possono reperire in vari strumenti internazionali in vigore.
Pertanto ne sono qui riportate soltanto alcune parti rilevanti, senza che ciò sia esaustivo degli obblighi degli Stati nei riguardi dei rifugiati e dei richiedenti asilo presenti nel loro territorio o che cercano di entrarvi.
61. Qualsiasi persona si presenti a una frontiera con un fondato timore di persecuzione ha diritto alla protezione e non dovrebbe essere respinta al suo Paese d'origine, indipendentemente dal fatto che sia stata o meno formalmente riconosciuta come rifugiata.60
I rifugiati dovrebbero essere riconosciuti come persone che godono degli stessi diritti assicurati dalla legge ai cittadini del Paese ospitante o, quantomeno, dei diritti riconosciuti ai residenti stranieri.
Essi devono poter valersi dei diritti di cui sono titolari.
Da ciò deriverebbero per il rifugiato il riconoscimento in quanto soggetto di diritto e l'esercizio legittimo delle libertà fondamentali della persona umana, tra le quali, la libertà di movimento, il diritto al lavoro, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
Le famiglie dei rifugiati dovrebbero godere del rispetto della vita privata e familiare ed avere la possibilità di ottenenre il ricongiungimento nel Paese di asilo con i propri familiari; guadagnarsi degnamente la vita con un giusto salario e vivere in abitazioni degne di esseri umani; i loro figli dovrebbero ricevere istruzione e assistenza medica adeguate.
In breve, essi dovrebbero godere di tutti quei diritti sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, dai pertinenti strumenti dei diritti umani, dalla Convenz. delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status dei Rifugiati e dal suo Protocollo del 1967, così come dalle successive Conclusioni del Comit. Esecutivo dell'UNHCR.
62. Non è superfluo, in particolare, dire che il diritto alla libertà religiosa dei rifugiati significa assenza di coercizione da parte di individui o gruppi sociali o qualsivoglia potere, di modo che nessuno sia forzato ad agire in maniera contraria al proprio credo e alla propria coscienza, privatamente o pubblicamente, individualmente o in associazione con altri.
Il diritto alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità stessa della persona umana.61
Ogni Paese ha la responsabilità di concedere ai rifugiati la libertà di praticare la propria religione e la libertà relativa all'educazione religiosa dei figli, almeno pari a quella accordata ai propri nazionali.
Tutti i rifugiati, pertanto, hanno diritto a un genere di assistenza che includa le loro esigenze spirituali durante il periodo di asilo, possibilmente trascorso in un campo allestito per loro, e durante il processo d'integrazione nel Paese ospitante.62
A tal fine i ministri di diverse religioni devono avere piena libertà di incontrare i rifugiati, per offrir loro un'assistenza adeguata.
I rifugiati non possono perdere i loro diritti, neanche quando siano stati privati della cittadinanza del proprio Paese ( cfr PT 57 ).
Le organizzazioni internazionali, specialmente quelle responsabili della protezione dei diritti umani, e i mezzi di comunicazione dovrebbero avere libero accesso ai summenzionati campi.
63. Nonostante i diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati siano garantiti da Convenzioni Internazionali e riconosciuti da successive importanti conferenze, la realtà mostra che, in genere, non è ancora assicurata loro sufficiente protezione.
A volte questo porta all'impossibilità che essi accedano alla procedura d'asilo, in particolare se tenuti senza necessità in centri di detenzione, o può perfino dar luogo al loro refoulement ( respingimento ), specialmente nei casi di flussi misti.
Sarebbe pertanto opportuno mettere in pratica lo spirito che anima il principio di non refoulement,63 in base al quale si presume che i richiedenti asilo siano rifugiati, per tutto il tempo in cui il loro status è sottoposto a verifica.
64. Per quanto riguarda i richiedenti asilo e altre persone forzatamente sradicate trovate in difficoltà o in necessità di aiuto in mare, le Convenzioni internazionali richiedono che siano soccorsi e condotti in un luogo sicuro.64
Soltanto quando la persona in pericolo è giunta in luogo sicuro ( e questo non può essere identificato con la nave di soccorso ), la sua richiesta di autorizzazione ad entrare nel Paese di arrivo o la domanda di asilo può essere esaminata.
Occorre aver cura che il principio di non refoulement sia rispettato anche in questi casi, che possono includere la realtà dei flussi misti.
Sarebbe opportuno che i Paesi da cui i richiedenti asilo sono attratti adottassero una comune strategia così che quelli di primo arrivo non debbano sopportare l'intero carico del problema.
65. In molti campi di rifugiati, è difficile per le persone che vi vivono immaginare un futuro, specialmente con il passare degli anni.
In questi luoghi esse hanno bisogno di vedere con chiarezza la via per ricominciare a vivere una vita sicura e dignitosa.
Per questo sono necessarie e vanno rafforzate le proposte di permettere la consultazione e la partecipazione dei rifugiati alle decisioni che toccano la loro vita.
È necessario anche assicurare la partecipazione delle donne rifugiate all'amministrazione del campo, quale modo di garantire sufficiente attenzione soprattutto ai problemi che riguardano sia loro sia i bambini.
66. In questo contesto, "Una nota per le Conferenze Episcopali", pubblicata dal Pont. Cons. Migranti congiuntamente con il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e il Pontificio Consiglio per la Famiglia, con il titolo "La Salute riproduttiva dei rifugiati",65 ribadisce le riserve della Chiesa cattolica "riguardo l'ideologia di « salute riproduttiva » ", specificando che "la Santa Sede … non può esimersi dal manifestare le proprie riserve quando le modalità dell'assistenza prestata, o persino i mezzi impiegati, potrebbero causare grave danno alla dignità della persona e alla sua vita, dalle prime fasi del suo concepimento alla morte naturale, così com'è riconosciuto dalla ragione umana ed espresso dalla morale cattolica" ( Parte I ).
67. I rifugiati che rientrano nel loro Paese devono avere la possibilità di vivere una vita dignitosa, di avere un'adeguata indipendenza e di svolgere attività remunerative.66
Ciò presuppone che esistano servizi essenziali, che abbiano ricevuto sufficiente preparazione per il ritorno e che siano persone effettivamente in grado di accettare questa sfida in Paesi ove a volte regna ancora il disordine.
È importante che essi abbiano accesso alle risorse comuni e che godano degli stessi diritti degli altri cittadini.
68. Opinioni diverse su come superare lo squilibrio tra l'assistenza d'emergenza e la ricostruzione sono state ampiamente discusse nel corso degli anni durante riunioni a livello regionale e internazionale.
La Santa Sede afferma che "rimpatrio volontario non significa semplicemente tornare indietro.
Altrimenti ci sarebbe il rischio che le persone vengano trasferite da una situazione difficile a una vita di miseria nel proprio Paese".67
È necessario sviluppare un sistema più chiaro di assegnazione di responsabilità verso gli sfollati.
Gli Stati membri delle Nazioni Unite sono invitati "ad avere il coraggio di proseguire le loro discussioni sull'applicazione e le conseguenze pratiche della 'Responsabilità di proteggere', al fine di trovare la soluzione più opportuna … per quelle situazioni in cui le autorità nazionali non vogliono o non possono proteggere la propria popolazione di fronte alle minacce interne o esterne".68
In ogni caso, "attraverso l'elaborazione di norme legali, l'arbitrato di dispute legali e l'istituzione di salvaguardie, in particolare quando gli Stati falliscono nella loro responsabilità di protezione, le Nazioni Unite sono chiamate a essere forum propulsivo per lo stato di diritto in tutti gli angoli del globo".69
Una protezione efficace richiede la disponibilià non soltanto di risorse umane e finanziarie più cospicue, ma anche di un maggiore supporto istituzionale e di mandati più chiari.
Il diritto ad una cittadinanza è riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo70 ed è sottolineato da varie Convenzioni e Conclusioni dell'UNHCR adottate dalla comunità internazionale71 come un diritto umano fondamentale.
Gli apolidi rischiano di essere considerati come "non esistenti" e possono essere facilmente negati loro i diritti fondamentali, quali, p. es., all'istruzione, al lavoro, alla proprietà, al matrimonio, alla partecipazione politica, ecc.
Gli Stati dovrebbero trattare gli apolidi che vivono nel loro territorio nel rispetto dei diritti umani internazionali.
Essi sono invitati ad adottare una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale e ad assumere misure appropriate al fine di ridurre l'apolidia, specialmente nei casi di creazione o successione di uno Stato.
Una legislazione giusta deve garantire che gli individui non siano privati arbitrariamente della loro nazionalità né debbano rinunciare alla loro cittadinanza senza acquisirne un'altra e che i bambini siano registrati alla nascita72 e dotati di certificati adeguati.
Politiche d'immigrazione più restrittive, controlli alle frontiere più severi e lotta alla criminalità organizzata sono oggi spesso considerati i mezzi per prevenire il traffico di esseri umani.
Questo approccio è in realtà insufficiente a contrastare il fenomeno e si corre il rischio di mettere in pericolo la vita delle vittime.
È quindi necessario affrontare coraggiosamente le sue cause profonde al fine di prevenire anche che le vittime vi ricadano, una volta rimpatriate e restituite alle medesime condizioni dalle quali avevano cercato di fuggire.
Le iniziative anti tratta dovrebbero pertanto mirare anche a sviluppare e offrire prospettive reali per sfuggire al ciclo di povertà, abusi e sfruttamento.73
Inoltre, la piaga della tratta interna, implicitamente affrontata dalla legislazione internazionale esistente, non dovrebbe essere trascurata, ma bisognerebbe dedicarle attenzione per trovare opportune soluzioni.
72. Protezione e programmi per le vittime richiedono politiche integrate che diano priorità al loro benessere e siano nel loro interesse.
"Occorre assicurare l'accesso delle vittime alla giustizia, all'assistenza legale e a quella sociale, nonché la compensazione per i danni che esse subiscono".74
Ciò potrebbe includere l'offerta di permessi di soggiorno di durata superiore a quella del processo legale contro i trafficanti.
Ciò implica anche la prestazione di servizi quali protezione, socializzazione, consiglio, sostegno medico e psicologico e assistenza legale.
Le donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale meritano protezione speciale.
Esse hanno bisogno del permesso di soggiorno per poter iniziare una nuova vita.
Nel caso desiderino invece ritornare a casa, deve essere messo a loro disposizione un aiuto finanziario, preferibilmente in forma di micro-credito, per facilitare la loro reintegrazione, mentre dovrebbero essere prese misure per superare la discriminazione nei loro confronti.75
Allo stesso tempo bisognerà approntare una sufficiente protezione al fine di evitare che cadano nuovamente nelle mani di trafficanti, spesso conosciuti nel loro luogo di origine.
Nel quadro normativo devono essere inserite necessarie disposizioni mirate a perseguire i singoli trafficanti o le organizzazioni coinvolte e a porre sotto sequestro le loro risorse finanziare.
D'altra parte, coloro che sfruttano sessualmente le donne dovrebbero essere sensibilizzati e informati sul danno che causano.
Per affrontare il problema in modo efficace è necessario conoscere i motivi che si celano dietro il loro comportamento.76
Le vittime della tratta possono anche finire per essere sottoposte al lavoro forzato.
Considerando i fattori che favoriscono questa pratica, è necessario sviluppare programmi volti a creare consapevolezza e formazione, affinché i contesti culturali che permettono che essa prosperi possano essere modificati.
Devono essere applicate le leggi che regolano le condizioni dell'impiego e la prassi del lavoro, quali l'orario, i giorni di riposo, i giusti salari, mentre può essere necessario introdurre una legislazione che affronti la discriminazione.
I consumatori devono essere coscienti delle loro responsabilità e delle condizioni in cui certi prodotti sono coltivati o fabbricati.
Inoltre, l'introduzione di etichette commerciali e di codici di condotta potrebbero promuovere condizioni di lavoro dignitose.
Il traffico di minori può anche fornire bambini soldato per i conflitti armati.
Poiché il loro reclutamento è considerato un crimine di guerra, si devono prendere misure a vari livelli affinché coloro che vi sono implicati possano essere chiamati a risponderne ed essere efficacemente perseguiti.
Tali misure includono il controllo internazionale della vendita e della distribuzione di armi leggere ai Paesi e ai gruppi armati che reclutano bambini, così come i meccanismi per prevenire la vendita di risorse naturali per finanziare i conflitti.
I bambini soldato ( maschi e femmine ) devono essere inclusi nei programmi di disarmo, smobilitazione e reinserimento post conflitto, affinché sia offerta loro un'autentica opportunità di integrazione che dia a questi bambini la capacità di mantenersi.
Allo stesso tempo le comunità locali devono essere coinvolte nell'aiutarli a superare le conseguenze delle gravi violazioni di diritti umani che spesso essi hanno subito o commesso, guidandoli al reinserimento nella vita della società.
I conflitti sono una delle principali cause di sradicamento forzato.
Essi hanno un costo altissimo: le sofferenze di individui, la perdita di vite – per non parlare di quella dei valori umani, spirituali e religiosi – e l'esborso finanziario della comunità nazionale e internazionale nell'assistere e nel curare le vittime.
Per evitare tali crisi è necessario introdurre meccanismi di allarme iniziale, combinati con alcune adeguate risposte politiche, in modo da poter affrontare i primi sintomi nel momento in cui appaiono e possono ancora essere gestiti, controllati o prevenuti.77
I costi della risposta della comunità internazionale all'emergenza umanitaria dopo che un conflitto è esploso superano di molto quelli necessari per interventi che lo precedano.
78. In questi casi è necessario analizzare con obiettività i fattori che portano alla violenza.
Bisogna promuovere il potenziamento delle capacità e la formazione alla pace, che tengano conto del contesto culturale e della storia delle persone coinvolte.
Occorre mantenere il dialogo, l'interazione e la collaborazione tra i gruppi contrapposti.
Una volta che il conflitto è terminato, è necessario adottare misure idonee a mantenere un futuro pacifico, di modo che i Paesi non ricadano nella violenza.
Questo richiede sostegno, anche finanziario, per una pace sostenibile, che si prenda cura di istruzione, assistenza medica, riabilitazione, ricostruzione dello Stato e ripresa dell'economia, nonché di programmi di sminamento, di trattamento di diverse forme di trauma, di smobilitazione e reintegrazione dei combattenti e dei bambini soldato.
La ricostruzione sociale deve includere gli antichi partiti avversari così che, nel caso di conflitto interno, sia data loro la possibilità di vivere assieme come cittadini del medesimo Paese.
Per far sì che le comunità e gli individui superino il doloroso passato, va promossa la riconciliazione e la guarigione della memoria.
Questo esige che vi sia comunicazione e partecipazione a uno stile di vita non-violento, che prenda in considerazione riparazioni in cui si combinano forme di compensazione individuali e collettive, simboliche e materiali.
80. Tutto questo certamente richiede il coinvolgimento della comunità internazionale in un adeguato impegno di finanziamento a lungo termine per far fronte alle situazioni post-belliche e permettere così ai rifugiati e agli sfollati di ritornare a casa con dignità e ricominciare una vita normale insieme con tutta la popolazione.
Guidata dai suoi principi umanitari, la comunità internazionale dovrà essere pronta a coinvolgersi in programmi creativi, audaci e innovativi, che siano all'altezza di tragiche situazioni storiche.78
81. Inoltre, sarà necessario affrontare le cause di fondo che costringono le persone a fuggire dalle loro case, come sottolineato da alcune Esortazioni Apostoliche post-sinodali.
In quella per l'Africa, Giovanni Paolo II afferma: "La soluzione ideale ( per affrontare il fenomeno dei rifugiati e degli altri sradicati ) sta nel ristabilimento di una pace giusta, nella riconciliazione e nello sviluppo economico".79
Questo richiede – dichiara il Papa in quella per l'Europa – "un impegno coraggioso da parte di tutti per la realizzazione di un ordine economico internazionale più giusto, in grado di promuovere l'autentico sviluppo di tutti i popoli e di tutti i Paesi",80 nel quale – egli asserisce in quella per l'America – "non domini soltanto il criterio del profitto, ma anche quelli della ricerca del bene comune nazionale ed internazionale, dell'equa distribuzione dei beni e della promozione integrale dei popoli".81
Indice |
56 | Rifugiati, n. 4 |
57 | Cons. Unione Europea, Direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004 |
58 | Rifugiati, n. 9 |
59 | Benedetto XVI, GMMR 2007, par. 4 |
60 | Cfr Comit. Esecutivo UNHCR, Conclusion on Non-Refoulement, N. 6 (XXVIII) 1977 par. (c) |
61 | Cfr Dignitatis Humanae, n. 2, 7 dicembre 1965 |
62 | Cfr Rifugiati, n. 28 |
63 | Cfr Assembl. Generale Nazioni Unite,
Convenz. relativa allo status dei rifugiati, Art. 33, del 28 luglio 1951; ID., Patto internazionale sui diritti civili e politici, Art. 7, del 16 dicembre 1966; ID., Convenz. delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, Art. 3, del 10 dicembre 1984; Cons. d'Europa, Convenz. Europea per la salvaguardia dei diritti umani, del 4 novembre 1950, Art. 3 |
64 | Cfr Assembl. Generale Nazioni Unite, Convenz. delle Nazioni Unite
sul diritto del mare, 1982; Org. Marittima Intern., Convenz. internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare, 1979, con gli emendamenti del 1998; ID., Convenz. internazionale per la sicurezza della vita in mare, 1974; e le Conclusioni del Comit. Esecutivo dell'UNHCR d'interesse per le particolari esigenze dei richiedenti asilo e dei rifugiati in pericolo in mare ( in particolare: Conclusion on Refugees without an Asylum Country, N. 15 (XXX) - 1979; Conclusion on Protection of Asylum-Seekers at Sea, N. 20 (XXXI) -1980; Conclusion on Problems Related to the Rescue of Asylum-Seekers in Distress at Sea, N. 23 (XXXII) -1981; and Conclusion on Stowaway Asylum-Seekers, N. 53 (XXXIX) – 1988 ) |
65 | Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, Pont. Cons. Migranti, Pontificio Consiglio per la Famiglia, La Salute riproduttiva dei rifugiati, 14 settembre 2001 |
66 | Cfr UNHCR, Handbook for Repatriation and Reintegration Activities/Manuale per attività di rimpatrio e di reinserimento, Ginevra 2004, 1-3: "The core components of voluntary repatriation are physical, legal and material safety and reconciliation/Componenti centrali del rimpatrio volontario sono la sicurezza fisica, legale e materiale e la riconciliazione" |
67 | Rappr. Santa Sede, Dichiarazione ad ExCom 55, 4 ottobre 2004: O.R., 11-12 ottobre 2004, 2 |
68 | Segret. di Stati Santa Sede, Discorso al Summit dei Capi di Stato e Governi durante la 60ma Assembl. Generale Nazioni Unite, New York, 16 settembre 2005: O.R., 18 settembre 2005, 7 |
69 | Rappr. Santa Sede, Discorso al 6° Comitato della 62ma Sessione dell'Assembl. Generale Nazioni Unite sul Ruolo della Legge, 26 ottobre 2007: O.R., 1 novembre 2007, 2 |
70 | Cfr Nazioni Unite,
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, Art. 15, adottata e proclamata dalla Risoluzione 217 A (III) dell'Assemblea Generale del 10 dicembre 1948: "(1) Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. (2) Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza" |
71 | Cfr Specialmente Comit. Esecutivo UNHCR, Conclusion on Identification, Prevention and Reduction of Statelessness and Protection of Stateless Persons, n. 106 (LVII) - 2006. Cfr anche la Convenz. relativa allo status degli apolidi del 1954 e la Convenz. sulla Riduzione dell'Apolidia del 1961. Ci sono anche trattati regionali che riconoscono il diritto di ogni persona a una cittadinanza, come la Convenz. Americana sui Diritti Umani del 1969 e la Convenz. Europea sulla nazionalità del 1997 |
72 | Cfr Nazioni Unite,
Patto internazionale sui diritti civili e politici, Art. 24, n. 2, 1966, e Convenz. delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia, Art. 7, 1989 |
73 | Cfr Rappr. Santa Sede, Discorso al Foro di Vienna sulla lotta al traffico di esseri umani, 13-15 febbraio 2008: POM 106 (2008) 167-169 |
74 | Rappr. Santa Sede, Intervento al 15° Consiglio Ministeriale dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), 29-30 novembre 2007: O.R., 5 dicembre 2007, 2 |
75 | Cfr Pont. Cons. Migranti, Orientamenti per la Pastorale della Strada, n. 92, e n. 102, 24 maggio 2007 |
76 | Cfr Ibid, nn. 94-95 |
77 | Cfr Benedetto XVI, Discorso all'Assembl. Generale Nazioni Unite, §§ 1, 2 e 13, 18 aprile 2008 |
78 | Cfr Benedetto XVI, Lettera al Cancelliere della Repubblica Federale di Germania, Dr. Angela Merkel, circa il Summit del G8: AAS XCIX (2007) 351-353; Rappr. Santa Sede, Intervento alla 55ma Sessione ExCom dell'UNHCR, l.c |
79 | Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Ecclesia in Africa, n. 119, 14 settembre 1995 |
80 | ID., Esort. Ap.
Ecclesia in Europa, n. 100, 28 giugno 2003; cfr EMCC n. 8 |
81 | ID., Esort. Ap. Ecclesia in America, n. 52, 22 gennaio 1999 |