Martedì, 15 giugno 1982
Signor Presidente, signor Direttore Generale, signori Ministri, signore e signori Delegati, Signore e Signori.
1. Desidero anzitutto esprimere la mia gioia per l'occasione che mi è offerta di trovarmi qui oggi e di prendere la parola davanti a questa illustre Assemblea riunita per la 68ª Sessione della Conferenza Internazionale del Lavoro.
I fatti che voi conoscete mi hanno impedito di accettare l'invito che mi aveva rivolto il Direttore Generale a partecipare alla precedente Sessione.
Ringrazio Dio che mi ha conservato in vita e restituito la salute.
L'impossibilità in cui mi sono trovato di poter venire fin qui nel 1981 ha ulteriormente acuito in me il profondo desiderio che avevo di incontrarvi, perché io mi sento legato al mondo del lavoro da molteplici legami.
Il meno importante di questi non è certo la conoscenza di una particolare responsabilità in rapporto ai numerosi problemi inerenti alla realtà del lavoro umano: problemi importanti, spesso difficili, sempre fondamentali, problemi che costituiscono la ragion d'essere della vostra Organizzazione.
L'invito che il Direttore Generale ha ripetuto a partire dal momento della mia convalescenza mi ha dunque particolarmente rallegrato.
Nel frattempo ho pubblicato la mia enciclica Laborem Exercens sul lavoro umano, allo scopo di fornire un contributo allo sviluppo della dottrina sociale della Chiesa cattolica, i cui grandi documenti a partire dalla Rerum Novarum di Papa Leone XIII, hanno trovato un'eco piena di considerazione e di favore nelle assise dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, sempre sensibile ai diversi aspetti della problematica complessa del lavoro umano nel corso delle differenti tappe storiche della sua esistenza e delle sue attività.
Mi sia qui permesso esprimere la mia gratitudine per il vostro invito e per la calorosa accoglienza che mi è stata riservata.
Allo stesso tempo, voglio dirvi quanto ho apprezzato le amabili parole che il Direttore Generale mi ha rivolto; grazie a queste parole, mi è più facile, a mia volta, parlare a voi.
Ospite di questa Assemblea, vi parlo a nome della Chiesa Cattolica e della Santa Sede, ponendomi sul terreno della loro missione universale che ha, anzitutto, un carattere religioso e morale.
A questo titolo, la Chiesa e la Santa Sede condividono la preoccupazione della vostra Organizzazione per quanto riguarda i suoi obiettivi fondamentali e così raggiungono la famiglia delle Nazioni tutta intera nel fine che essa si propone, e cioè: contribuire al progresso dell'umanità.
Rivolgendomi a tutti voi, Signore e Signori, desidero attraverso di voi rendere omaggio anzitutto al lavoro dell'uomo, qualunque esso sia e ovunque si compia in tutta la terra, a ogni lavoro - come a ciascun uomo o donna che lo svolge
senza distinzioni nelle sue specifiche caratteristiche, sia che si tratti di un lavoro "fisico" o di un lavoro "intellettuale";
così pure senza distinzioni nelle sue particolari determinazioni, sia che si tratti di un lavoro di "creazione" oppure di "riproduzione",
che si tratti del lavoro di ricerca teorica che dà le basi al lavoro altrui, o del lavoro consistente nell'organizzarne le condizioni e le strutture,
sia che si tratti infine del lavoro dei dirigenti o di quello degli operai che eseguono i compiti necessari per la realizzazione di programmi ben definiti.
In ognuna delle sue forme, tale lavoro merita particolare rispetto, perché è opera dell'uomo, e perché, dietro ogni lavoro, c'è sempre un soggetto vivente: la persona umana.
È da ciò che il lavoro trae il suo valore e la sua dignità.
In nome di tale dignità, che è propria di ogni lavoro umano, desidero esprimere parimenti la mia stima per ciascuno di voi, Signore e Signori, e per le Istituzioni concrete, le Organizzazioni e le Autorità che voi qui rappresentate.
Stante il carattere universale dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, mi si offre l'occasione di rendere omaggio, mediante questo intervento, a tutti i gruppi qui rappresentati, e di lodare lo sforzo mediante il quale ciascuno di essi tende a sviluppare le proprie potenzialità al fine di realizzare il bene comune di tutti i suoi membri: uomini e donne uniti di generazione in generazione nei diversi posti di lavoro.
Infine - e penso di essere qui il portavoce non soltanto della Santa Sede ma, in un certo senso, di tutte le persone presenti - vorrei esprimere un apprezzamento e una gratitudine particolari per la stessa Organizzazione Internazionale del Lavoro.
La vostra Organizzazione occupa in effetti un posto importante nella vita internazionale, sia per la sua anzianità che per la nobiltà dei suoi obiettivi.
Creata nel 1919 dal Trattato di Versailles, si è data come scopo di contribuire a una pace duratura attraverso la promozione della giustizia sociale, come è scritto nel Preambolo della sua Costituzione: "Dal momento che una pace universale e duratura non può essere fondata che sulla base della giustizia sociale …".
Ed è questo impegno fondamentale per la pace che il Direttore Generale ha ricordato al Simposio organizzato a Roma dalla Pontificia Commissione "Iustitia et Pax" all'inizio dello scorso aprile, quando ha fatto riferimento alla pergamena contenuta nella prima pietra del palazzo del Bureau International du Travail, che porta la scritta: "Si vis pacem, cole iustitiam", "Se vuoi la pace, coltiva la giustizia".
I meriti della vostra Organizzazione appaiono in modo evidente nell'esistenza delle numerose Convenzioni Internazionali e nelle Raccomandazioni che stabiliscono le norme internazionali del lavoro, "nuove regole di comportamento sociale" per costringere "gli interessi particolari a sottomettersi ad una visione più ampia del bene comune" ( Paolo VI, Allocutio ad OIT habita, 14 et 19, die 10 iun. 1969 ).
I suoi meriti sono visibili anche nelle altre molteplici attività intraprese per soddisfare le nuove necessità che si sono manifestate a partire dall'evoluzione delle strutture sociali ed economiche.
Sono evidenti infine quando si considera il lavoro quotidiano e perseverante dei funzionari del Bureau International du Travail e delle istanze che esso si è date per rendere più incisiva la sua azione, come ad esempio quelle dell'Institut International d'Etudes Sociales, l'Association Internationale de la Sécurité sociale, e il Centre International de Perfectionnement Professionnel et Technique.
Se mi sono permesso di citare l'Organizzazione Internazionale del Lavoro nella mia enciclica Laborem Exercens, l'ho fatto sia per attirare l'attenzione sulle sue molteplici realizzazioni, sia per incoraggiarla a rafforzare le proprie attività in favore dell'umanizzazione del lavoro.
Ho voluto anche mettere in rilievo il fatto che, nella linea che mira a fondare il lavoro umano sulle ragioni dell'autentico bene - il che corrisponde ai principali obiettivi della morale sociale -, gli scopi dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro sono molto vicini a quelli che la Chiesa e la Santa Sede intendono perseguire nel campo loro proprio e con i mezzi idonei alla loro missione.
Questo è stato d'altra parte sottolineato a più riprese dai miei predecessori, i Papi Pio XII e Giovanni XXIII e in particolare da Paolo VI, nel 1969 in occasione della visita con la quale egli ha voluto associarsi alla celebrazione del 50° anniversario della fondazione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro.
Oggi, come in passato, la Chiesa e la Santa Sede si rallegrano per l'eccellente collaborazione che esiste con la vostra Organizzazione, collaborazione che data già da mezzo secolo e che ha trovato la sua conclusione formale nell'accreditamento, nel 1967, di un Osservatore Permanente presso il Bureau International du Travail.
In tal modo, la Santa Sede ha voluto dare una stabile espressione alla sua volontà di collaborazione e al vivo interesse che la Chiesa cattolica, preoccupata del bene autentico dell'uomo, pone ai problemi del lavoro.
Le parole che voi attendete da me, Signore e Signori, non possono essere diverse da quelle che ho pronunciato in altre assise in cui erano presenti i rappresentanti dei popoli di tutte le Nazioni del mondo: l'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura e l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura.
Le mie riflessioni si ispirano, in un modo che vuol essere coerente, alla stessa idea fondamentale e alla stessa preoccupazione: la causa dell'uomo, la sua dignità e i diritti inalienabili che ne derivano.
Già nella mia prima enciclica Redemptor Hominis ho insistito sul fatto che "l'uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere per compiere la sua missione: è la prima strada e la strada fondamentale della Chiesa, strada tracciata da Cristo stesso …" ( Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 14 ).
È per la stessa ragione che, in occasione del 90° anniversario della Rerum Novarum, ho voluto consacrare un documento particolarmente importante del mio pontificato al lavoro umano, all'uomo nel lavoro: "Homo laborem exercens".
Perché non solo il lavoro porta l'impronta dell'uomo, ma è nel lavoro che l'uomo scopre il senso della sua esistenza: in ogni lavoro concepito come attività umana, qualunque siano le caratteristiche concrete che essa riveste, qualunque siano le circostanze in cui questa attività si esercita.
Il lavoro comporta "questa fondamentale dimensione dell'umano esistere, con la quale la vita dell'uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell'umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell'ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale, all'interno delle singole Nazioni e sul piano internazionale" ( Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 1 ).
Nella problematica del lavoro - una problematica che si ripercuote in tanti campi della vita e a tutti i livelli, individuale, familiare, nazionale, internazionale - c'è una caratteristica, che è nello stesso tempo esigenza e programma, che io vorrei sottolineare oggi davanti a voi: la solidarietà.
Mi sento portato ad offrirvi queste considerazioni anzitutto perché la solidarietà è insita in modi diversi nella natura stessa del lavoro umano, ma anche a motivo degli obiettivi della vostra Organizzazione, e soprattutto dello spirito che la anima.
Lo spirito col quale l'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha portato avanti la sua missione sin dall'inizio è uno spirito di universalismo, che ha il suo punto di appoggio sulla fondamentale eguaglianza delle Nazioni e sull'eguaglianza degli uomini, e che è percepito nello stesso tempo come punto di partenza e come punto di arrivo di ogni politica sociale.
È anche uno spirito di umanesimo, ansioso di sviluppare tutte le potenzialità dell'uomo sia materiali che spirituali.
È infine uno spirito comunitario che si esprime felicemente nella triplice ripartizione delle vostre strutture.
A questo proposito faccio mie le parole pronunciate qui da Paolo VI durante la sua visita nel 1969: "Il vostro originale e organico strumento consiste nel far convergere le tre forze che sono all'opera nella dinamica sociale del lavoro moderno: gli uomini di governo, gli impiegati e i lavoratori.
E il vostro metodo - che è ormai un tipico paradigma -, consiste nell'armonizzare queste tre forze, di far sì che non si oppongano più tra di loro, ma concorrano in una collaborazione coraggiosa e feconda, mediante un costante dialogo per lo studio e la soluzione dei problemi che continuamente si presentano e senza tregua si rinnovano" ( Paolo VI, Allocutio ad OIT habita, die 10 iun. 1969, 15 ).
Il fatto che si sia pensato di dover risolvere i problemi del lavoro grazie al coinvolgimento di tutte le parti interessate, mediante negoziati pacifici miranti al bene dell'uomo nel suo lavoro e alla pace tra le comunità sociali, dimostra che siete coscienti dell'esigenza della solidarietà che vi unisce in uno sforzo comune, al di là delle differenze reali e delle divisioni sempre possibili.
Questa intuizione fondamentale, che i fondatori dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro hanno così ampiamente inserito nella struttura stessa dell'Organizzazione che ha come corollario il fatto che gli obiettivi perseguiti non possono essere realizzati senza uno sforzo comunitario e solidale, risponde alla realtà del lavoro umano.
Infatti, nelle sue dimensioni profonde, la realtà del lavoro è la stessa in ogni punto della terra, in ogni Paese e in ogni Continente;
presso gli uomini e le donne che appartengono alle diverse razze e nazioni, che parlano lingue diverse e rappresentano diverse culture;
presso coloro che professano diverse religioni o esprimono in modi diversi i loro rapporti con la religione e con Dio.
La realtà del lavoro è la stessa in una molteplicità di forme:
il lavoro manuale e il lavoro intellettuale;
il lavoro agricolo e il lavoro dell'industria;
il lavoro nei servizi del settore terziario e il lavoro di ricerca;
il lavoro dell'artigiano, del tecnico e quello dell'educatore, dell'artista o della madre nella sua famiglia;
il lavoro dell'operaio nelle fabbriche e quello dei dirigenti e dei responsabili.
Senza voler mascherare le differenze specifiche che rimangono e che diversificano spesso in modo assai radicale gli uomini e le donne che svolgono queste molteplici mansioni, il lavoro - la realtà del lavoro - crea l'unione di tutti in un'attività che ha uno stesso significato e una stessa fonte.
Per tutti il lavoro è una necessità, un dovere, un compito.
Per ciascuno e per tutti è un mezzo per assicurarsi la vita, la vita di famiglia e i suoi valori fondamentali; è anche la via che conduce verso un avvenire migliore, la via del progresso, la via della speranza.
Nella diversità e nell'universalità delle sue manifestazioni, il lavoro umano unisce gli uomini perché ogni uomo cerca nel lavoro "la realizzazione della sua umanità …, il compimento della vocazione ad essere persona, che gli è propria a motivo della sua stessa umanità" ( Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 6 ).
Sì, "il lavoro porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone" ( Ivi., Praef. ).
Il lavoro porta il segno dell'unità e della solidarietà.
È d'altra parte difficile - esaminando qui, davanti a questa Assemblea, un panorama così vasto e così differenziato e allo stesso tempo così universale com'è quello del lavoro di tutta la famiglia umana - non sentire in fondo al cuore le parole del libro della Genesi in cui il lavoro è stato dato come compito all'uomo affinché per mezzo di esso egli sottometta a sé la terra e la domini ( cf. Gen 1,28 ).
Il monito fondamentale che mi spinge a proporvi il tema della solidarietà si trova dunque nella natura stessa del lavoro umano.
Il problema del lavoro ha un legame estremamente profondo con quello del senso della vita umana.
Attraverso questo legame il lavoro diventa un problema di natura spirituale e lo è realmente.
Questa constatazione non toglie nulla agli altri aspetti del lavoro, aspetti che sono, si potrebbe dire, più facilmente misurabili e ai quali sono legate strutture e operazioni diverse di carattere esteriore, a livello dell'organizzazione; questa stessa constatazione permette al contrario di riportare il lavoro umano, in qualsiasi modo sia eseguito dall'uomo, all'interno dell'uomo e cioè al punto più profondo della sua umanità, in ciò che le è proprio, in ciò che fa sì che egli sia uomo e soggetto autentico del lavoro.
La convinzione che esista un legame essenziale fra il lavoro di ciascun uomo e il senso globale dell'esistenza umana si trova alla base della dottrina cristiana del lavoro - si può dire alla base del "Vangelo del lavoro" - e permea l'insegnamento e l'attività della Chiesa, in modi diversi, in ciascuna delle tappe della sua missione nella storia.
"Mai più il lavoro contro il lavoratore, ma sempre il lavoro … a servizio dell'uomo": è opportuno ripetere ancora oggi le parole pronunciate 13 anni fa in questo stesso luogo da Papa Paolo VI ( Paolo VI, Allocutio ad OIT habita, 11, die 10 iun. 1969 ).
Se il lavoro deve sempre servire al bene dell'uomo, se il programma del progresso non può realizzarsi che attraverso il lavoro, esiste dunque un diritto fondamentale a giudicare il progresso secondo il seguente criterio: il lavoro serve realmente all'uomo?
Corrisponde alla sua dignità?
Il vero senso della vita umana si esprime per suo tramite in tutta la sua ricchezza e varietà?
Abbiamo il diritto di pensare in tal modo al lavoro dell'uomo.
Ne abbiamo anche il dovere.
Abbiamo il diritto e il dovere di considerare l'uomo non in quanto utile o inutile al lavoro, ma di considerare il lavoro nella sua relazione con l'uomo, con ciascun uomo, di considerare il lavoro in quanto utile o inutile all'uomo.
Abbiamo il diritto e il dovere di riflettere sul lavoro tenendo conto delle diverse necessità dell'uomo, nei campi dello spirito e del corpo, di considerare in tal modo il lavoro dell'uomo in ogni società e in ogni sistema, nelle zone in cui regna il benessere, e ancor più là dove regna l'indigenza.
Abbiamo il diritto e il dovere di usare questo modo nel trattare il lavoro in rapporto all'uomo - e non il contrario - come criterio fondamentale di valutazione del progresso in se stesso.
Il progresso infatti esige sempre una valutazione e un giudizio di valore:
ci si deve domandare se tale progresso è sufficientemente "umano" e nello stesso tempo sufficientemente "universale";
se serve a livellare le ingiuste ineguaglianze e a favorire un avvenire pacifico del mondo;
se nel lavoro sono salvaguardati i diritti fondamentali per ogni persona, per ogni famiglia, per ogni nazione.
In una parola, ci si deve chiedere costantemente se il lavoro serve a realizzare il senso della vita umana.
Pur cercando una risposta a questi interrogativi nell'analisi dell'insieme dei processi socio-economici, non si possono tralasciare gli elementi e i contenuti che costituiscono l'intimo dell'uomo: lo sviluppo della sua conoscenza e della sua coscienza.
Il legame tra il lavoro e il senso stesso dell'esistenza umana testimonia sempre il fatto che l'uomo non è stato alienato dal lavoro, non ne è stato asservito.
Tutto al contrario, esso conferma che il lavoro è diventato l'alleato della sua umanità, che lo aiuta a vivere nella verità e nella libertà: nella libertà costruita sulla verità, che gli permette di condurre in pienezza una vita più degna dell'uomo.
Davanti alle ingiustizie che gridano vendetta, sorte dai sistemi del secolo scorso, gli operai, soprattutto nell'industria, hanno reagito scoprendo nello stesso tempo, al di là della comune miseria, la forza rappresentata dalle azioni comuni.
Vittime delle stesse ingiustizie, si sono uniti in una stessa azione.
Nella mia enciclica sul lavoro umano, ho chiamato questa reazione "una giusta reazione sociale"; una tale situazione ha "fatto sorgere e quasi irrompere un grande slancio di solidarietà tra gli uomini del lavoro e, prima di tutto, tra i lavoratori dell'industria.
L'appello alla solidarietà e all'azione comune, lanciato agli uomini del lavoro …, aveva un suo importante valore e una sua eloquenza dal punto di vista dell'etica sociale - soprattutto a quelli del lavoro settoriale, monotono, spersonalizzante nei complessi industriali, quando la macchina tende a dominare sull'uomo.
Era la reazione contro la degradazione dell'uomo come soggetto del lavoro …
Tale reazione ha riunito il mondo operaio in una comunità caratterizzata da una grande solidarietà" ( Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 8 ).
Nonostante i miglioramenti acquisiti da allora, nonostante il rispetto più profondo e reale dei diritti fondamentali dei lavoratori in molti paesi, vari sistemi fondati sull'ideologia e sul potere hanno lasciato persistere ingiustizie palesi e ne hanno create di nuove.
Inoltre l'aumentata consapevolezza della giustizia sociale fa scoprire nuove situazioni di ingiustizia che, per la loro estensione geografica o per il disprezzo della dignità inalienabile della persona umana, restano come vere sfide all'umanità.
Oggi è necessario che si crei una nuova solidarietà fondata sul vero significato del lavoro umano.
Perché solo a partire da una giusta concezione del lavoro sarà possibile definire gli obiettivi che la solidarietà deve perseguire e le diverse forme che dovrà assumere.
Il mondo del lavoro, Signore e Signori, è il mondo di tutti gli uomini e di tutte le donne che, attraverso le loro attività, cercano di rispondere alla vocazione di sottomettere la terra per il bene di tutti.
La solidarietà del mondo del lavoro sarà dunque una solidarietà che allarga gli orizzonti per abbracciare, con gli interessi degli individui e dei gruppi particolari, il bene comune di tutta la società, sia a livello di una nazione che a livello internazionale e planetario.
Sarà una solidarietà per il lavoro, che si manifesta nella lotta per la giustizia e per la verità della vita sociale.
Quale giustificazione avrebbe in effetti una solidarietà che si esaurisse in una lotta di opposizione irriducibile agli altri, in una lotta contro gli altri?
La lotta per la giustizia non dovrebbe ignorare gli interessi legittimi dei lavoratori uniti in una stessa professione o particolarmente toccati da certe forme di ingiustizia.
Essa non ignora l'esistenza, fra i gruppi, di tensioni che spesso rischiano di diventare aperti conflitti.
La vera solidarietà guarda alla lotta per un ordine sociale giusto in cui tutte le tensioni possano essere assorbite e in cui i conflitti - sia a livello dei gruppi che a quello delle nazioni - possano trovare più facilmente la loro soluzione.
Per creare un mondo di giustizia e di pace, la solidarietà deve scalzare le fondamenta dell'odio, dell'egoismo, dell'ingiustizia, erette troppo spesso a principi ideologici o in legge essenziale della vita nella società.
All'interno di una stessa comunità di lavoro, la solidarietà spinge a scoprire esigenze di unità inerenti alla natura del lavoro, piuttosto che tendenze alla distinzione e all'opposizione.
Essa rifiuta di concepire la società in termini di lotta "contro" e i rapporti sociali in termini di opposizione irriducibile delle classi.
La solidarietà che trova la sua origine e la sua forza nella natura del lavoro umano e dunque nel primato della persona umana sulle cose, saprà creare gli strumenti di dialogo e di collaborazione in grado di risolvere le opposizioni senza cercare la distruzione dell'oppositore.
No, non è utopia affermare che si potrà fare del mondo del lavoro un mondo di giustizia.
La necessità per l'uomo di difendere la realtà del suo lavoro e di liberarlo da ogni ideologia per rimettere in luce il vero senso dell'attività umana, questa necessità si manifesta in modo particolare quando si considera il mondo del lavoro e la solidarietà che esso invoca nel contesto internazionale.
Il problema dell'uomo nel lavoro si presenta oggi in una prospettiva mondiale che non è più possibile non prendere in considerazione.
Tutti i grandi problemi dell'uomo nella società sono ormai problemi mondiali!
Essi devono essere pensati su scala mondiale, in uno spirito realistico certamente, ma anche in uno spirito innovatore e esigente.
Sia che si tratti dei problemi delle risorse naturali, che dello sviluppo o dell'impiego, la soluzione adeguata non può essere trovata se non tenendo conto delle prospettive internazionali.
Già 15 anni fa, nel 1967, Paolo VI faceva notare nell'enciclica Populorum Progressio: "Oggi il fatto più importante di cui ognuno deve prendere coscienza, è che la questione sociale è diventata mondiale" ( Paolo VI, Populorum Progressio, 3 ).
Da allora, molti avvenimenti hanno reso ancora più evidente questa constatazione.
La crisi economica mondiale, con le sue ripercussioni in tutte le regioni della terra, ci costringe a riconoscere che l'orizzonte dei problemi è sempre più un orizzonte mondiale.
Le centinaia di milioni di esseri umani affamati o sottoalimentati, che hanno anch'essi diritto ad uscire dalla loro povertà, ci devono far capire che la realtà fondamentale è ormai l'umanità tutta intera.
Esiste un bene comune che non può più limitarsi a un compromesso più o meno soddisfacente tra rivendicazioni particolari o all'interno di esigenze unicamente di carattere economico.
Nuove scelte etiche si impongono; una nuova coscienza mondiale deve essere formata; ciascuno, senza rinnegare i suoi legami di appartenenza e le sue radici nella famiglia, nel suo popolo e nella sua nazione, né gli obblighi che ne derivano, deve considerarsi membro di quella grande famiglia che è la comunità mondiale.
Questo vuol dire, Signore e Signori, che nel lavoro visto in un contesto mondiale è necessario scoprire ugualmente i nuovi significati del lavoro umano e determinarne in conseguenza i nuovi compiti.
Vuol dire anche che il bene comune mondiale chiede una nuova solidarietà senza frontiere.
Non voglio con ciò diminuire l'importanza degli sforzi che ogni Nazione deve fare in funzione della propria sovranità, delle proprie tradizioni culturali e in rapporto ai propri bisogni per darsi il tipo di sviluppo sociale ed economico in grado di rispettare il carattere irriducibile di ciascuno dei suoi componenti e dell'intero popolo.
E ancora non si può supporre troppo facilmente che la coscienza della solidarietà sia già sufficientemente sviluppata per il semplice fatto che tutti sono imbarcati sullo stesso vascello spaziale che è la terra.
Occorre da un lato poter assicurare la necessaria complementarietà degli sforzi che ogni Nazione compie a partire dalle proprie risorse spirituali e materiali e, d'altra parte, affermare le esigenze della solidarietà universale e le conseguenze strutturali che essa implica.
Vi è una feconda tensione da conservare per evidenziare quanto queste due realtà siano orientate dall'interno l'una verso l'altra, perché, come la persona umana, la nazione è, nello stesso tempo, individualità irriducibile e apertura verso gli altri.
La solidarietà del mondo del lavoro, degli uomini nel lavoro, si manifesta secondo diverse dimensioni.
È solidarietà dei lavoratori fra loro; è solidarietà con i lavoratori; è anzitutto, nella sua più profonda realtà, solidarietà con il lavoro, visto come dimensione fondamentale dell'esistenza umana, da cui dipende anche il senso di questa stessa esistenza.
Così intesa, la solidarietà conferisce una luce particolare al problema dell'impiego, divenuto uno dei maggiori problemi della società contemporanea, e di cui si ha troppo spesso la tendenza a dimenticarne
la drammaticità per gli operai, soprattutto quando questi non godono di alcuna assistenza da parte della società;
la drammaticità per l'insieme dei paesi in via di sviluppo, situazione che dura da tempo;
la drammaticità per i lavoratori della terra, la cui situazione è spesso tanto precaria, sia che essi restino nella campagna, che offre loro sempre meno lavoro, sia che tentino di emigrare nelle città, alla ricerca di un lavoro difficilmente reperibile;
la drammaticità per gli intellettuali, infine, poiché, nelle diverse categorie e in diversi settori del mondo del lavoro corrono il rischio di un nuovo tipo di proletarizzazione quando il loro contributo specifico non è più apprezzato al suo giusto valore a causa del mutamento dei sistemi sociali o delle condizioni di vita.
Si sa che le cause della disoccupazione involontaria possono essere, e lo sono effettivamente, molteplici e diverse.
Una di queste cause può essere individuata nel perfezionamento degli strumenti di produzione, che limita progressivamente l'apporto diretto dell'uomo nel processo di produzione.
Si entra così nell'antinomia che rischia di opporre il lavoro umano al "capitale", inteso come l'insieme dei mezzi di produzione, che comprende le risorse naturali e anche i mezzi attraverso i quali l'uomo si impossessa delle ricchezze che gli sono offerte gratuitamente e le trasforma a seconda dei suoi bisogni.
In tal modo si pone un problema nuovo, che comincia solo ora a manifestarsi in tutte le sue dimensioni e le sue conseguenze.
Riuscire ad individuarlo, anche se con contorni ancora vaghi e imprecisi, significa essere disposti a cercare una soluzione fin dall'inizio, senza troppo attendere che esso s'imponga mediante la forza dei guasti che viene a causare.
La soluzione deve essere trovata nella solidarietà con il lavoro e cioè accettando il principio del primato della persona nel lavoro sulle esigenze della produzione o sulle leggi puramente economiche.
La persona umana costituisce il criterio primo e ultimo per la pianificazione dell'impiego; la solidarietà con il lavoro costituisce il motivo superiore in tutte le ricerche di soluzioni e apre un nuovo campo all'ingegno e alla generosità dell'uomo.
Per questo motivo ho osato dire nella Laborem Exercens che "la disoccupazione è in ogni caso un male e, quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale.
Essa diventa un problema particolarmente doloroso, quando vengono colpiti soprattutto i giovani" ( Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 18 ).
Ad eccezione di qualche raro paese privilegiato, l'umanità fa attualmente la penosa esperienza di questa triste realtà.
Ci si rende sempre conto del dramma che essa viene a costituire per tanti giovani, i quali "vedono penosamente frustrate la loro sincera volontà di lavorare e la loro disponibilità ad assumersi la propria responsabilità per lo sviluppo economico e sociale della comunità" ( Ivi. ).
Come si può accettare una situazione che rischia di lasciare i giovani senza la prospettiva di trovare un giorno un lavoro o che in ogni caso rischia di segnarli per tutta la vita?
Si tratta qui di un problema complesso le cui soluzioni non sono facili e certamente non sono uniformi per tutte le situazioni né per tutte le regioni.
Il Direttore Generale lo ha giustamente sottolineato nel Rapporto che ha presentato a questa 68ª Sessione della Conferenza Internazionale del Lavoro e, nel corso delle vostre deliberazioni, questi problemi saranno certamente rilevati in tutta la loro complessità.
La ricerca di soluzioni, sia a livello di una nazione sia a livello della comunità mondiale, dovrà ispirarsi al criterio del lavoro umano inteso come un diritto e un obbligo per tutti, del lavoro umano che esprime la dignità della persona umana e allo stesso tempo la fa crescere.
Inoltre, la ricerca di soluzioni dovrà avvenire attraverso la solidarietà fra tutti.
Sì, la solidarietà è ancora qui la chiave del problema dell'impiego.
Lo affermo con forza: sia a livello nazionale che a livello internazionale, la soluzione positiva del problema dell'impiego, e dell'impiego dei giovani in particolare, presuppone una fortissima solidarietà dell'insieme della popolazione e dell'insieme dei popoli:
che ciascuno sia disposto ad accettare i sacrifici necessari,
che ciascuno collabori alla messa in opera dei programmi e degli accordi miranti a fare della politica economica e sociale una espressione tangibile della solidarietà;
che tutti aiutino a creare le strutture appropriate, economiche, tecniche, politiche e finanziarie che l'instaurazione di un nuovo ordine sociale di solidarietà indiscutibilmente impone.
Mi rifiuto di credere che l'umanità contemporanea, capace di realizzare così prodigiose imprese scientifiche e tecniche, sia incapace, attraverso uno sforzo di creatività ispirato alla natura stessa del lavoro umano e alla solidarietà che unisce tutti gli esseri, di trovare soluzioni giuste ed efficaci ad un problema essenzialmente umano qual è quello dell'impiego.
Una società solidale si costruisce ogni giorno, creando anzitutto, e difendendo in seguito, le condizioni effettive della libera partecipazione di tutti all'opera comune.
Ogni politica mirante al bene comune deve essere frutto della coesione organica e spontanea delle forze sociali.
È questa ancora una forma di quella solidarietà che è l'imperativo dell'ordine sociale, una solidarietà che si manifesta in modo particolare attraverso l'esistenza e l'opera delle associazioni dei lavoratori.
Il diritto di associarsi liberamente è un diritto fondamentale per tutti coloro che sono legati al mondo del lavoro e che costituiscono la comunità del lavoro.
Questo diritto significa per ciascun uomo nel lavoro non essere solo né isolato; esprime la solidarietà di tutti per difendere i diritti che loro spettano e che derivano dalle esigenze del lavoro; offre normalmente il mezzo per partecipare attivamente alla realizzazione del lavoro e di tutto ciò che è ad esso attinente, guidato allo stesso tempo dal pensiero della preoccupazione del bene comune.
Questo diritto presuppone che i lavoratori siano realmente liberi di unirsi, di aderire all'associazione da loro scelta e di gestirla.
Sebbene il diritto alla libertà sindacale appaia incontestabilmente come uno dei diritti fondamentali più universalmente riconosciuti - e la Convenzione N. 87 ( 1948 ) dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro ne fa fede -, esso è tuttavia un diritto fortemente minacciato, talvolta schernito, sia in quanto principio, sia - più spesso - in questo o quello dei suoi aspetti sostanziali, di modo che la libertà sindacale ne risulta sfigurata.
Appare essenziale ricordare che la coesione delle forze sociali - sempre auspicabile - deve essere il frutto di una decisione libera degli interessati, presa in piena indipendenza in rapporto al potere politico, elaborata in piena libertà di determinarne l'organizzazione interna, le modalità di funzionamento e le attività proprie dei sindacati.
L'uomo nel lavoro deve da sé assumere la difesa della verità e della vera dignità del suo lavoro.
L'uomo nel lavoro non può in conseguenza di ciò essere impedito dall'esercitare questa responsabilità, purché tenga conto anche del bene comune.
Signore e Signori, al di là dei sistemi, dei regimi e delle ideologie miranti a regolare i rapporti sociali, vi ho proposto una via, quella della solidarietà, la via della solidarietà del mondo del lavoro.
È una solidarietà aperta e dinamica, fondata sulla concezione del lavoro umano e che vede nella dignità della persona umana, in conformità con il mandato ricevuto dal Creatore, il criterio primo ed ultimo del suo valore.
Possa questa solidarietà servirvi da guida nei vostri dibattiti e nelle vostre realizzazioni!
L'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha già un enorme patrimonio di realizzazioni nel suo campo di attività.
Avete elaborato numerose dichiarazioni e convenzioni internazionali, e altre ne elaborerete per affrontare problemi sempre nuovi e per trovare soluzioni sempre più adeguate.
Avete formulato orientamenti e stabilito molteplici programmi, e siete decisi a continuare, da parte vostra, quella sublime avventura che è l'umanizzazione del lavoro.
Prendendo la parola a nome della Santa Sede, della Chiesa e della fede cristiana, desidero di tutto cuore ripetervi le mie felicitazioni per i meriti della vostra Organizzazione.
E, nello stesso tempo, formulo l'augurio che la sua attività, tutti i vostri sforzi e tutto il vostro lavoro continuino ad essere a servizio della dignità del lavoro umano e dell'autentico progresso dell'umanità.
Vi auguro di contribuire senza tregua alla creazione di una civilizzazione del lavoro umano, di una civilizzazione della solidarietà, e ancor più, direi, di una civilizzazione di amore dell'uomo.
Possa l'uomo, grazie ai suoi sforzi considerevoli e molteplici, sottomettere veramente la terra ( cf. Gen 1,28 ) e raggiungere egli stesso la pienezza della sua umanità, quella che è stata per lui stabilita dalla Saggezza eterna e dall'eterno Amore!