Concilio di Lione II |
2 Dove si riscontra un maggior pericolo, li senza dubbio bisogna provvedere con maggiore opportunità.
Ora, quanto grave discapito porti alla chiesa di Roma una troppo lunga vacanza, di quanti e quanto grandi pericoli sia piena, si può dedurre dalla considerazione del tempo passato e lo manifestano, se si esaminano con ponderatezza, i rischi che ha attraversato.
Perciò evidenti ragioni ci consigliano, mentre attendiamo con zelo alla riforma di cose di ben minore importanza, di non lasciare senza il rimedio della riforma - e ciò opportunamente - quei punti che presentano un maggior pericolo.
Perciò intendiamo che conservino assolutamente intatta la loro validità tutte quelle precauzioni che i nostri predecessori ed in modo particolare papa Alessandro III, di felice memoria, hanno provvidenzialmente prese per evitare la discordia nell'elezione del Romano pontefice, non è, infatti, nostra intenzione diminuire la loro importanza, ma supplire, con la presente costituzione, a quelle manchevolezza che l'esperienza ha messo in rilievo.
Con l'approvazione, quindi, del santo concilio stabiliamo che se il papa muore in una città in cui risiedeva con la sua curia, i cardinali presenti nella stessa città aspettino gli assenti solo per dieci giorni.
Passati questi giorni, sia che gli assenti siano venuti, sia che non siano venuti, si radunino nel palazzo in cui abitava il pontefice, ciascuno con un solo servitore, chierico o laico, come loro credono.
Quelli tuttavia per i quali una vera necessità lo consigli, permettiamo che ne abbiano due, conservando lo stesso diritto di sceglierli.
In questo palazzo tutti abitino in comune uno stesso salone, senza pareti divisorie o altra tenda; questo, salvo un libero passaggio ad una stanza separata, sia ben chiuso da ogni parte, in modo che nessuno possa entrare o uscire da esso.
Non sia permesso ad alcuno recarsi dagli stessi cardinali o poter parlare segretamente con essi; ed essi stessi non permettano che nessuno si rechi da essi, a meno che si tratti di quelli che, col consenso di tutti i cardinali ivi presenti, fossero chiamati per quanto è necessario alla imminente elezione.
A nessuno, inoltre, sia permesso mandare agli stessi cardinali o a qualcuno di loro un inviato o qualche scritto.
Chi osasse agire in contrario, mandando un messaggero, o uno scritto, o anche parlando con qualcuno di essi, in segreto, ipso facto incorra nella sentenza di scomunica.
Nel conclave, tuttavia, sia lasciata, naturalmente, una finestra, per cui vengano passate comodamente ai cardinali le cose necessarie da mangiare; ma a nessuno sia permesso di passare da essa ai cardinali.
Se poi - che Dio non voglia - entro tre giorni da quando i cardinali, come è stato detto, sono entrati in conclave, non fosse stato ancora dato alla chiesa il pastore, nei cinque giorni immediatamente seguenti, sia a pranzo che a cena i cardinali si contentino ogni giorno di un solo piatto.
Passati questi senza che si sia provvisto, sia dato loro solo pane, vino ed acqua, fino a che non avvenga l'elezione.
Durante il tempo dell'elezione i suddetti cardinali nulla percepiscano dalla camera papale, né di quanto possa venire alla stessa chiesa da qualsiasi fonte durante la vacanza; tutti i proventi, invece, durante questo tempo rimangano in custodia di colui, alla cui fedeltà e diligenza la camera stessa è stata affidata, perché da lui siano conservati a disposizione del futuro pontefice.
Chi poi avesse ricevuto qualche cosa, sarà tenuto da quel momento ad astenersi dal percepire qualsiasi reddito che gli spetti, fino a che non abbia restituito completamente quanto in tal modo ha ricevuto.
Gli stessi cardinali, inoltre, si preoccupino di affrettare l'elezione, non occupandosi assolutamente di null'altro, a meno che non sopraggiunga una necessità cosi urgente da dover difendere la terra della stessa chiesa o qualche sua parte, o anche che non si presenti un pericolo cosi grande e cosi evidente, da sembrare a tutti e singoli i cardinali presenti, unanimemente, che si debba subito far fronte ad esso.
Che se qualcuno dei cardinali non entrerà nel conclave, quale sopra l'abbiamo descritto, oppure dopo esservi entrato ne uscirà senza manifesta causa di malattia, gli altri, senza affatto ricercarlo e senza più ammetterlo all'elezione, procedano liberamente ad eleggere il papa.
Se, inoltre, sopraggiunta una malattia, qualcuno di essi debba uscire dal conclave, anche durante la malattia si potrà procedere all'elezione senza richiedere il suo voto.
Ma se, dopo aver ricuperato la salute o anche prima, volesse tornare dagli altri, o anche se gli altri assenti ( quelli che abbiamo detto doversi aspettare per dieci giorni ) giungessero quando l'elezione è ancora impregiudicata, quando, cioè, non è stato ancora dato alla chiesa il pastore, siano ammessi all'elezione in quello stato in cui essa si trova, pronti, naturalmente, ad osservare, con gli altri, quanto abbiamo premesso sia sulla clausura, sia sugli inservienti, sul cibo, sulle bevande e sul resto.
Se poi avverrà che il Romano pontefice muoia fuori della città in cui risiedeva con la sua curia, i cardinali siano tenuti a radunarsi nella città nel cui territorio o distretto il pontefice è morto, a meno che sia interdetta o in aperta ribellione contro la chiesa Romana.
In questo caso, si radunino in un'altra, la più vicina, purché anch'essa non sia sotto interdetto, o non sia, come già accennato, apertamente ribelle.
Anche qui sia per quanto riguarda l'attesa degli assenti, che per quanto riguarda l'abitazione in comune, la clausura e tutte le altre cose, nel palazzo vescovile o in qualsiasi altro da scegliersi dagli stessi cardinali, siano osservate le stesse norme, che sono state date per il caso in cui il papa muoia nella città in cui risiedeva con la sua curia.
Però val poco emanare delle leggi, se poi non c'è chi le fa osservare, aggiungiamo e stabiliamo che il signore e gli altri rettori e magistrati della città in cui si deve procedere all'elezione del Romano pontefice col potere che per nostra autorità e con l'approvazione del concilio viene ad essi concesso, facciano osservare integralmente e inviolabilmente, senza frode o inganno alcuno, tutto ciò che è stato premesso, nel suo complesso e in ogni singola disposizione, attenti a non limitare i cardinali più di quanto è stato detto.
I magistrati in corpo, non appena avuta notizia della morte del papa, prestino personalmente giuramento dinanzi al clero e al popolo della città, convocati appositamente, di osservare queste disposizioni.
E se a questo proposito, commetteranno qualche frode o non le osserveranno diligentemente, qualunque preminenza possano avere, o di qualsiasi condizione o stato possano essere, cessi ogni privilegio per essi e siano per ciò stesso legati dal vincolo della scomunica e per sempre infami; siano esclusi a vita da ogni dignità,, né siano ammessi ad alcun pubblico ufficio.
Stabiliamo inoltre che essi siano ipso facto privati dei feudi, dei beni e di tutto ciò che essi hanno avuto dalla chiesa Romana o da qualsiasi altra chiesa, di modo che questi beni tornino pienamente e liberamente alle chiese stesse, e siano senza alcuna opposizione a disposizione degli amministratori di queste chiese.
La città, poi, non solo sia sottoposta ad interdetto, ma sia privata della dignità vescovile.
Poiché quando una passione rende schiava la volontà, o un obbligo la spinge ad agire in un determinato modo, l'elezione è nulla perché manca la libertà, preghiamo istantemente gli stessi cardinali per le viscere della misericordia del nostro Dio, ( Lc 1,78 ) li scongiuriamo per il prezioso sangue che egli ha sparso perché riflettono con attenzione sul loro dovere quando si tratta di eleggere il vicario di Gesù Cristo, il successore di Pietro, colui che regge la chiesa universale, e guida il gregge del Signore.
Dimessa ogni privata passione, cessato il vincolo di qualsiasi patto, contratto, obbligazioni, e la considerazione di ogni accordo e intesa, non guardino tanto a sé o ai loro, non cerchino quello che è proprio, ( Fil 2,21 ) né i loro interessi privati, ma, senza che alcuno se non Dio forzi, nell'elezione, il loro giudizio, puramente e liberamente, mossi dalla semplice consapevolezza dell'elezione, cerchino il pubblico bene, tendendo unicamente con ogni sforzo e cura, per quanto sarà loro possibile, ad affrettare con la loro opera un'elezione utile e necessarissima al mondo intero, dando con sollecitudine alla stessa chiesa uno sposo degno.
Chi poi operasse diversamente, sia soggetto alla vendetta divina, e la sua colpa non sarà perdonata, se non dopo grave penitenza.
Per parte nostra cancelliamo, annulliamo e rendiamo invalidi e dichiariamo assolutamente nulli i patti, le convenzioni, gli obblighi, gli accordi, le intese di qualsiasi genere, sia contratti col vincolo del giuramento, che in qualsiasi altro modo.
Cosi nessuno sarà obbligato in alcun modo ad osservarli né potrà temere l'accusa di non aver mantenuto la parola trasgredendoli; meriterà piuttosto una giusta lode, poiché anche la legge umana attesta essere accette a Dio più queste trasgressioni, che l'osservanza di siffatti giuramenti.
I fedeli non devono confidare tanto in un'elezione quanto si voglia sollecita, ma piuttosto nel potere di intercessione dalla preghiera umile e devota; perciò aggiungiamo a quanto stabilito che in tutte le città e altri luoghi di maggiore importanza, non appena si abbia certezza della morte del papa, celebrate dal clero e dal popolo in suo suffragio solenni esequie, ogni giorno si offrano a Dio umili preghiere fino a che notizie certe annunzino in modo sicuro l'avvenuta elezione.
Si offrano umili preghiere al Signore, e si perseveri con devote suppliche, perché lui, che stabilisce la concordia nelle sue altezze ( Gb 25,2 ) renda unanimi i cardinali nell'elezione, in modo che dalla loro concordia esca un'elezione sollecita, concorde ed utile, come esige la salvezza delle anime e richiede l'utilità di tutto il mondo.
Perché non avvenga che il presente decreto, cosi salutare, sia trascurato con la scusa dell'ignoranza, ordiniamo rigorosamente che i patriarchi, gli arcivescovi, i vescovi e gli altri prelati delle chiese e tutti quelli a cui è concesso spiegare la parola di Dio, nelle loro prediche esortino con zelo il clero e il popolo; che dovranno essere riuniti apposta a questo scopo a pregare con fiducia e frequentemente per il celere e felice esito di una cosa cosi importante; con la stessa autorità ingiungiamo loro non solo frequenti preghiere, ma anche l'osservanza di digiuni.
3 Onde impedire, per quanto è possibile, inganni nelle elezioni, postulazioni e provviste ecclesiastiche, e perché le chiese non restino con pericolo a lungo vacanti o non venga differita la provvista dei personali, delle dignità e di altri benefici ecclesiastici, con decreto perpetuo decidiamo che se talora qualcuno si oppone ad una elezione, ad una postulazione o ad una provvista, sollevando difficoltà contro la forma, o contro la persona degli elettori o dell'eletto o di colui cui spettava la provvista, e perciò si interponga appello, gli appellanti, nel pubblico documento, o nelle lettere d'appello, espongano singolarmente ogni cosa che intendono obiettare contro la forma o le persone.
Lo facciano dinanzi a persone qualificate, o a persona che in ciò renda davvero testimonianza alla verità, giurando personalmente di credere che quanto essi espongono in questo modo è vero e che possono provarlo.
In caso diverso, tanto gli opponenti, quanto quelli che - messi in mezzo durante o dopo l'appello - aderiscono alla loro parte, sappiano che sarà loro proibito obiettare qualunque cosa che non sia contenuta in queste lettere o documenti, a meno che in seguito sia emerso qualche nuovo elemento o che sia sopravvenuta, quanto agli antichi fatti, la possibilità di provarli, o che ex novo siano venuti a conoscenza degli opponenti elementi passati che al tempo della presentazione dell'appello gli appellanti verosimilmente potevano ignorare e di fatto ignoravano.
Di questa loro ignoranza e della nuova facoltà di prova facciano fede col giuramento, da farsi di persona; ed in esso aggiungano espressamente che credono di poter sufficientemente provare quanto affermano.
Vogliamo, poi, che le disposizioni del papa Innocenzo IV 15 di felice memoria, contro coloro che non riescono a provare del tutto quanto hanno opposto contro la forma o la persona, conservino tutto il loro vigore.
4 La cieca avarizia e una malvagia, disonesta ambizione, invaso l'animo di alcuni, li spinge a tanta temerità, da cercare di usurpare con inganni raffinati quello che sanno essere loro proibito dal diritto.
Alcuni, infatti, eletti al governo delle chiese, poiché per la proibizione del diritto non possono, prima della conferma della loro elezione, ingerirsi nell'amministrazione delle chiese che soli chiamati a governare, fanno in modo che questa venga loro affidata in qualità di procuratori o economi.
Ma poiché non è bene favorire i sotterfugi degli uomini, noi, nell'intenzione di provvedere più opportunamente, con questa costituzione generale stabiliamo che nessuno, in futuro, si azzardi a tenere o a ricevere l'amministrazione della dignità a cui fosse stato eletto, o ad immischiarsi in essa, prima che la sua elezione sia confermata, col nome di economato o di procura, con qualche altro nuovo colore, nelle cose spirituali o temporali.
Direttamente o per mezzo di altri, in parte o in tutto; e stabiliamo che quelli che si regolano diversamente siano senz'altro privati del diritto che avessero acquistato con l'elezione.
5 Quanto sia dannosa alle chiese la loro vacanza, e quanto, di solito, sia pericolosa alle anime, non solo l'attestano le disposizioni del diritto, ma lo manifesta anche l'esperienza, efficace maestra delle cose.
Volendo dunque provvedere con i dovuti rimedi al protrarsi delle vacanze, con questo decreto stabiliamo per sempre che, quando in qualche chiesa è stata fatta una elezione, gli elettori, appena lo possono senza loro incomodo, sono tenuti a presentare l'elezione stessa all'eletto e a chiederne il consenso; l'eletto, invece, a darlo entro un mese dal giorno di questa presentazione.
Se poi l'eletto differisse il suo consenso, sappia che da allora sarà ipso facto privo del diritto che può avere acquistato con la sua elezione, a meno che la persona eletta sia di tale condizione che non possa acconsentire alla sua elezione senza il permesso del suo superiore, per qualche proibizione o per una disposizione qualsiasi della sede apostolica.
In questo caso, l'eletto stesso o i suoi elettori, cerchino di chiedere e di ottenere la licenza dal superiore, con quella sollecitudine che la presenza o l'assenza dello stesso superiore permettono.
Altrimenti, se, passato il tempo, da determinarsi, come si è detto, a seconda della presenza o dell'assenza del superiore, essi non avranno ottenuto questa licenza, da quel momento gli elettori abbiano libera facoltà di procedere ad altra elezione.
Del resto, qualsiasi eletto entro i tre mesi dall'espressione del suo consenso alla sua elezione, non manchi di chiedere la conferma della sua elezione.
Se poi senza giusto impedimento egli trascurerà di fare ciò nei termini di questo trimestre, l'elezione sia senz'altro priva di ogni valore.
6 Con valore di sanzione perpetua dichiariamo che coloro che in un'elezione votano consapevolmente un indegno, a meno che non abbiano talmente insistito da far dipendere dai loro voti l'elezione non siano privati del potere di eleggere, quantunque votando un indegno, agiscano apertamente contro la loro coscienza e debbano temere la divina vendetta e l'intervento della sanzione apostolica, che la qualità del fatto potrà suggerire.
7 Stabiliamo che non è lecito a nessuno, dopo aver votato qualcuno, o dopo aver acconsentito all'elezione che altri hanno fatto, opporsi all'elezione, se non per motivi che siano emersi soltanto dopo, o a meno che l'indegnità dei suoi costumi, prima a lui sconosciuta, ora gli si manifesti, o che venga a conoscere l'esistenza di qualche altro vizio o difetto nascosto, che con tutta probabilità poteva ignorare.
Egli, però, deve far fede di questa sua ignoranza con giuramento.
8 Se dopo due scrutini, una parte degli elettori supera gli altri del doppio, col presente decreto noi intendiamo privare sia la minoranza che colui che essa ha votato di qualsiasi facoltà di opporre alcunché contro la maggioranza asserendo una carenza di zelo, di merito, o di autorità.
Se poi si intendesse opporre qualche cosa che potrebbe rendere ipso iure nulla l'elezione di colui, contro cui si fa opposizione, non intendiamo che ciò sia proibito.
9 Quantunque la costituzione di papa Alessandro IV16 di felice memoria, nostro predecessore, considerando giustamente le cause dei vescovi - o quelle sorte sulla loro elezione - tra le cause maggiori, affermi che la loro trattazione, in seguito a qualsiasi appello, deve essere demandata all'esame della sede apostolica, tuttavia, volendo frenare l'audacia temeraria di quelli che si appellano e la enorme frequenza degli appelli, con questo decreto generale abbiamo creduto bene disporre come segue.
Se nelle elezioni all'episcopato o in quelle che riguardano le dignità superiori dovesse avvenire che uno, extragiudizialmente, si appelli per un motivo evidentemente frivolo, la causa non venga devoluta alla sede apostolica.
Se però in queste cause di elezione l'appello - giudizialmente e extragiudizialmente - viene fatto per un motivo che, se venisse provato, dovrebbe esser ritenuto legittimo, allora queste cause vengano deferite alla stessa sede ( apostolica ).
D'altra parte, in questi casi, dovrebbe sempre esser lecito alle parti, esclusa naturalmente ogni malizia, recedere da questi appelli, prima che vengano sottoposti alla Sede apostolica.
I giudici inferiori che erano competenti per le stesse cause, cessando l'appello, cerchino prima di tutto di appurare con diligenza se in ciò vi sia stata malizia; e se troveranno che vi è stata, non si intromettano in nessun modo in queste cause, ma stabiliscano alle parti un equo termine perentorio, entro il quale si presentino con tutti i loro atti e documenti al cospetto della sede apostolica.
10 Se si oppone all'eletto, a chi è stato designato, o a chi in qualsiasi modo dev'essere promosso ad una dignità, la mancanza evidente di scienza, o qualche altro difetto della persona stabiliamo che nella discussione dell'accusa debba esser seguito rigorosamente quest'ordine: chi deve essere promosso venga esaminato prima di tutto sul difetto stesso, il cui esito darà inizio all'esame degli altri o lo precluderà.
Se però questo esame dovesse dimostrare che le accuse sono destituite di fondamento, escludiamo senz'altro gli oppositori dal proseguimento della causa e stabiliamo che vengano puniti come se non fossero riusciti a provare nessuna delle accuse avanzate.
11 Chi osasse molestare i chierici o qualsiasi altra persona ecclesiastica, cui in certe chiese, monasteri o altri luoghi pii spetta l'elezione, perché non hanno voluto eleggere colui per cui erano stati pregati o forzati; oppure osasse molestare i loro parenti o le stesse chiese, monasteri o altri luoghi, spogliandoli, direttamente o per mezzo di altri, dei benefici o di altri beni, o comunque perseguitandoli senza motivo, sia ipso facto colpito dalla sentenza di scomunica.
12 Stabiliamo che chi tentasse di usurpare le regalie, la custodia o guardia, il titolo di avvocato o di difensore nelle chiese, nei monasteri o in qualsiasi altro luogo pio, e presumesse di occupare i beni delle chiese, dei monasteri e degli stessi luoghi ( pii ), qualsiasi dignità ed onore possa rivestire, - e cosi pure i chierici delle chiese, i monaci dei monasteri, e le altre persone addette a questi stessi luoghi, che procurassero che si facciano tali cose vanno incontro senz'altro alla sentenza di scomunica.
A quei chierici, inoltre, che non si oppongono, come dovrebbero, a chi agisce cosi proibiamo severamente, per tutto il tempo che hanno permesso, senza impedirlo, quanto abbiamo accennato, di percepire qualsiasi provento delle chiese o degli stessi luoghi pii.
Chi rivendica a sé questi diritti per la fondazione delle stesse chiese e degli altri luoghi pii o per antica consuetudine, si guardi dall'abusarne - e faccia si che non ne abusino neppure i suoi dipendenti - non usurpando ciò che non riguarda i frutti o redditi del tempo della vacanza; e non permetta che gli altri beni, di cui ha la custodia, vadano in rovina, ma li conservi in buono stato.
13 Il canone emanato da papa Alessandro III17 di felice memoria, nostro predecessore, stabilisce, fra l'altro, che nessuno assuma la responsabilità di una chiesa parrocchiale se non abbia raggiunto il venticinquesimo anno di età, e se non sia ragguardevole per scienza e onestà di costumi.
Chi, una volta assunto a questo ufficio, non sarà stato ordinato sacerdote nel tempo stabilito dai sacri canoni, sarà rimosso dall'ufficio che sarà dato ad altri.
Poiché molti sono negligenti nell'osservare questa norma, intendiamo che la loro negligenza sia sostituita con l'osservanza del diritto e perciò stabiliamo col presente decreto, che nessuno riceva il governo di una parrocchia, se non sia adatto per scienza, costumi, età; e che i conferimenti di chiese parrocchiali a chi non avesse compiuto i venticinque anni di età siano privi di qualsiasi valore.
Chi sarà assunto a questo ufficio, perché curi il suo gregge con maggior diligenza, sia obbligato a risiedere personalmente nella chiesa parrocchiale, di cui è divenuto rettore; ed entro un anno da quando gli è stato affidata la parrocchia procuri di esser promosso al sacerdozio.
Se entro questo tempo non sarà promosso sacerdote, anche senza previo ammonimento, in forza della presente costituzione rimane privo della chiesa che gli è stata affidata.
Quanto alla residenza obbligatoria di cui abbiamo parlato, l'ordinario potrà concedere per un certo tempo una dispensa se un motivo ragionevole lo richieda.
14 Nessuno affidi una chiesa parrocchiale a chi non abbia l'età legittima e non sia sacerdote.
E se anche il soggetto sia in queste condizioni, non gli se ne affidi se non una, a meno che un'evidente necessità o l'utilità della chiesa stessa lo esiga.
Questa commenda, in ogni caso non deve durare più di un semestre; qualsiasi cosa, riguardante le commende delle chiese parrocchiali, venga regolata in modo diverso, sia ipso iure invalida.
Indice |
15 | Innocenzo IV nel concilio I di Lione, c. 4 ( 1245 ) |
16 | Les registres d'Alexandre IV, Recueil des bulles de ce pape ..., edd. J. de Loye - P. de Cenival, Paris, 1917, 684-686 |
17 | Alessandro III nel concilio Lateranense III, C. 3 ( 1179 ) |