Sermoni sul Cantico dei Cantici

Indice

Sermone XXIII

I. Conseguenza della lettera: « Mi introdusse nella sua cella; esulteremo e ci rallegreremo in te, memori dei tuoi amori migliori del vino ». Ammonizione dei prelati: si ricordino di essere padri

1. Mi introduca il re nelle sue stanze ( Ct 1,3 ).

Ecco donde proviene l’odore, ecco il luogo verso il quale si corre.

Aveva detto che bisognava correre, e perché correre, ma non aveva detto in quale direzione.

Dunque, si corre verso le stanze, e si corre attratti dal profumo che da esse promana; la sposa è la prima a sentirlo, data la solita finezza del suo odorato, e brama di essere introdotta nella pienezza di esso.

Ma che cosa pensiamo che si possa dire di queste stanze?

Immaginiamocele intanto come degli ambienti profumati nelle vicinanze dello Sposo, pieni di sostanze odorose e di ogni sorta di cose deliziose.

Le cose migliori che provengono dall’orto o dai campi vengono riposte in questa specie di magazzino, per esservi conservate.

Verso quel luogo, dunque, tutti ugualmente corrono.

Chi? Le anime rese ferventi dallo Spirito.

Corre la sposa, corrono le giovinette; ma colei che ama con più ardore corre più veloce, e arriva prima.

Arrivando, non solo non riceve un rifiuto, ma neppure la si fa aspettare.

Senza indugio le viene aperto, come a una della famiglia, come a una carissima, come a colei che è particolarmente diletta e singolarmente cara.

E le giovinette? Seguono da lontano, poiché, essendo ancora inferme, non possono correre con devozione pari alla sposa, né imitare il fervore e il desiderio di lei: e perciò, arrivando più tardi, restano fuori.

Ma la carità della sposa non la lascia stare tranquilla, né la rende insolente, come succede d’ordinario, per i suoi successi, in modo da dimenticarsi di esse, ma piuttosto le consola, esortandole alla pazienza, onde sopportino più facilmente sia il rifiuto al loro ingresso, sia l’assenza di lei.

Infine, comunica loro la gioia che essa ha provato, perché anch’esse godano, persuase che non è a loro estranea qualsiasi grazia che venga conferita alla madre.

La sposa, infatti, non si preoccupa di progredire in modo da trascurare le sue figlie, né crede che questi suoi progressi si debbano realizzare a loro danno.

Per quanto, perciò, la differenza dei meriti sembri distanziarla da esse, certamente per la carità e l’amorosa sollecitudine essa rimane sempre con loro.

Bisogna poi, che essa imiti lo Sposo, il quale, pur salendo al cielo, promise tuttavia di restare sulla terra con i suoi figli fino alla fine del mondo.

Così anche questa, per quanto progredisca, per quanto s’innalzi, non cesserà mai di curarsi di provvedere con affetto a coloro che ha generato nel Vangelo, né potrà staccarsi da loro o dimenticare il frutto delle sue viscere.

2. Dica dunque a esse: « Godete, abbiate fiducia: Il re mi ha introdotta nella sua stanza ( Ct 1,3 ); consideratevi introdotte anche voi con me.

Sembra che io sia stata introdotta sola, ma non gioverà a me sola.

Il mio profitto appartiene anche a tutte voi: per voi io progredisco; quanto potrò maggiormente meritare, lo dividerò con voi ».

Vuoi sapere con certezza che abbia parlato in questo senso e con questo affetto?

Senti la risposta delle giovinette: Gioiremo e ci rallegreremo per te ( Ct 1,3 ).

« Per te », dicono, « gioiremo e ci rallegreremo, perché per noi non ne siamo ancora meritevoli ».

E aggiungono: memori delle tue mammelle, vale a dire: « Aspettiamo con pazienza che tu venga, sapendo che tornerai da noi con le mammelle piene.

Siamo convinte che allora noi esulteremo e ci rallegreremo, e intanto ci consoliamo in quel pensiero ».

Quello che aggiungono: più del vino, significa che esse sono ancora agitate, data la loro imperfezione, dal ricordo dei desideri carnali, che vengono significati dal vino, desideri, tuttavia, che vengono vinti dal pensiero dell’abbondante soavità che hanno già sperimentato, proveniente dalle mammelle.

Parlerei di queste, se non ricordassi di averne parlato abbastanza più sopra.

Ora, pertanto, tu vedi che cosa si attendono dalla madre, come desiderano come propri i suoi profitti e le sue gioie, consolandosi con questo per non essere ancora esse stesse ammesse nelle stanze dello Sposo.

Non avrebbero tale fiducia se non conoscessero bene la loro madre.

Imparino da questo quei prelati, i quali vogliono sempre incutere timore ai loro sudditi e raramente si preoccupano di cercare il loro utile.

Imparate voi che giudicate la terra.

Imparate che voi dovete essere madri, non padroni dei vostri sudditi; studiatevi di essere più amati che temuti; e se talora c’è bisogno di una certa severità, sia questa paterna, non tirannica.

Mostratevi madri con la tenerezza, padri nella correzione.

Diventate mansueti, deponete la durezza, sospendete l’uso della verga, porgete le mammelle: i vostri petti si gonfino di latte, non di orgoglio.

Perché fate gravare il vostro giogo su coloro dei quali dovete piuttosto portare i pesi?

Perché il bambino, morso dal serpente, rifugge dal ricorso al sacerdote, al quale doveva piuttosto correre come al seno della madre?

Se siete spirituali, istruite i fedeli che sono in questa condizione in spirito di bontà, considerando ciascuno che anch’egli può essere tentato.

Diversamente quel tale morirà nel suo peccato: ma, dice il Signore,richiederò dalle tue mani il suo sangue ( Ez 3,18 ).

Ma queste cose vanno trattate altrove.

II. Il giardino, la cella, l’alcova della divina scrittura, e innanzitutto il giardino che è la storia « trifaria »

3. Ora, poiché il senso della lettera, da quanto abbiamo detto sopra, è chiaro, passiamo a vedere quale possa essere il senso spirituale delle « stanze ».

Nel seguito del testo si fa parola del giardino e della camera da letto; li aggiungo entrambi alle stanze di cui ora parliamo per trattarne insieme a esse, poiché in tal modo si chiariscono a vicenda.

E cerchiamo, se vi piace, queste tre cose nelle Sacre Scritture: il giardino, la dispensa, la camera da letto.

In essi, infatti, l’anima che ha sete di Dio volentieri viene e si trattiene, sapendo che certamente quivi troverà colui che brama.

Sia, dunque, inteso per giardino la pura e semplice storia, per dispensa si intenda il senso morale, e la camera da letto significhi l’arcano dell’alta contemplazione.

4. E anzitutto, ho paragonato la storia a un orto, e con ragione, perché in essa si trovano uomini virtuosi, quasi alberi da frutta nel giardino dello Sposo e nel paradiso di Dio, dai quali, per modo di dire, raccogli tanti frutti, quanti sono gli esempi che ricevi dalle loro buone azioni e dai loro costumi.

Qualcuno forse esiterà a considerare l’uomo come una buona pianta di Dio.

Senti che cosa dice il santo Davide dell’uomo buono: Sarà, dice, come albero piantato lungo corsi d’acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai ( Sal 1,3 ).

Ascolta come Geremia, animato dallo stesso Spirito, dica, usando quasi le stesse parole: Sarà come un albero che è piantato lungo corsi d’acqua, verso la corrente stende le radici, non teme quando viene il caldo ( Ger 17,8 ).

Così ancora il Profeta: Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano ( Sal 92,13 ).

E parlando di se stesso: Io invece come olivo verdeggiante nella casa di Dio ( Sal 52,10 ).

L’orto è dunque la storia, la quale consiste di tre parti.

Abbraccia, infatti, la creazione del cielo e della terra, la riconciliazione e la riparazione: la creazione che fu come la semina o la piantagione dell’orto, la riconciliazione corrisponderebbe alla germinazione di quanto fu seminato o piantato.

A suo tempo, infatti, i cieli lasciarono cadere la rugiada e le nubi piovvero il giusto, la terra si aprì e germogliò il Salvatore, per mezzo del quale avvenne la riconciliazione tra il cielo e la terra.

Egli è, infatti, la nostra pace, colui che fece dei due una sola cosa, pacificando nel suo sangue le cose della terra e quelle del cielo.

La restaurazione, poi, si farà alla fine del mondo.

Vi sarà, infatti, un cielo nuovo e una terra nuova, e verranno raccolti i buoni di mezzo ai cattivi, come i frutti dell’orto, per essere riposti nei magazzini di Dio.

In quel giorno, come sta scritto, il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria e il frutto della terra sarà sublime ( Is 4,2 ).

Hai, pertanto, tre tempi nell’orto del senso storico.

III. Le tre celle della dottrina morale che sono quelle della disciplina, della natura, della grazia

5. Riguardo al senso morale sono da notare tre cose, come tre stanze in una sola dispensa.

Per questo forse l’autore ha usato il plurale stanze, e non « dispensa », pensando cioè a queste tre stanze.

La sposa si vanta di essere stata introdotta nella cella vinaria.

Noi dunque, avendo letto: Da’ occasione al sapiente e diventerà ancora più sapiente ( Pr 9,9 ), prendendo occasione dal vocabolo che lo Spirito Santo volle imporre a quella stanza, diamo anche un nome alle altre due, chiamando Aromatica una, e l’altra Unguentaria.

Vedremo poi la ragione di questi nomi.

Ora osserva che presso lo Sposo si trovano tutte le cose salutari, tutte cose soavi: il vino, gli unguenti, gli aromi.

Il vino, attesta la Scrittura, rallegra il cuore dell’uomo ( Sal 104,15 ).

Tuttavia leggi anche che l’olio fa brillare il suo volto, e in esso si stempera la polvere dei vari ingredienti per ottenere gli unguenti.

Gli aromi non sono soltanto gradevoli per il soave profumo, ma sono anche utili come medicina.

Giustamente pertanto la sposa esulta per essere stata introdotta là dove c’è tanta abbondanza e ricchezza di grazia.

6. Ma ho altri nomi che penso convengano ancora meglio.

E li dico nel loro ordine: chiamerei, dunque, la prima la stanza della Disciplina, la seconda della Natura, la terza della Grazia.

Nella prima impari, secondo l’ordine morale, a essere inferiore, nella seguente a essere pari, nell’ultima a essere superiore; cioè, sotto un altro, con un altro e sopra un altro; ovvero: sottostare, stare insieme e presiedere.

Con il primo impari a essere discepolo, con il secondo a essere compagno, con il terzo a essere maestro.

In verità, tutti gli uomini per natura sono eguali.

Ma poiché gli uomini, essendosi guastato nei costumi il bene della natura a causa della superbia, sopportano a malincuore l’uguaglianza, lottando a vicenda per essere costituiti superiori e sorpassarsi gli uni gli altri per bramosia di vanagloria, invidiosi gli uni degli altri, provocandosi a vicenda, prima di ogni altra cosa, nella prima stanza, si deve domare con il giogo della disciplina l’insolenza dei costumi, fino a che, vinta dalle dure e insistenti leggi degli anziani, sia umiliata e sanata la pervicace volontà, e riceva in sé, obbedendo, il bene della natura che aveva perduto con la superbia; e allora, non più per timore della disciplina, ma per il solo affetto naturale, imparando a vivere in società con tutti i compagni della sua natura, cioè con tutti gli uomini, e a vivere con loro in pace, per quanto le è possibile, potrà passare nella stanza, della Natura, e ivi sperimentare quello che sta scritto: Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!

È come olio profumato sul capo ( Sal 133,1-2 ).

Viene infatti aggiunto ai costumi disciplinati, come a spezie tritate, l’olio della letizia, il bene della natura; e si forma un unguento buono e giocondo.

L’uomo, quasi fosse unto da questo unguento, diventa soave e mite, nemico delle brighe, non inganna nessuno, non reca turbamento, né danno a nessuno, non si innalza sopra gli altri, né si preferisce a essi, e inoltre, volentieri comunica con gli altri dando e ricevendo.

7. Penso che, se hai ben compreso le proprietà di queste due stanze, riconoscerai che, non a torto, le ho chiamate, una la stanza degli unguenti, l’altra la stanza degli aromi.

Nella prima, come la violenta frangitura del pestello spreme e cava fuori le sostanze e la fragranza delle spezie, così la forza del magistero e il rigore della disciplina estrae e fa uscire in qualche modo il vigore dei buoni costumi.

Nella seconda, una gradevole mansuetudine che procede da un volontario, e quasi innato affetto, corre spontanea e servizievole, come un unguento che, dal capo, al minimo tepore discende e si diffonde dappertutto.

Dunque, nella stanza della Disciplina vi sono grezzi e semplici ingredienti aromatici; e per questo l’ho chiamata cella aromatica.

L’altra, invece, che è stata detta della Natura, poiché in essa si conservano gli unguenti già preparati, ha ricevuto il nome di unguentaria.

Infatti, anche la cella Vinaria non è stata così chiamata, se non perché in essa si conserva il vino dello zelo fervente nella carità.

E non deve assolutamente essere preposto agli altri chi non ha ancora meritato di essere introdotto in essa.

Occorre che arda di questo vino colui che presiede agli altri, come era infiammato il Dottore delle genti allorché diceva: Chi è debole, che anch’io non lo sia?

Chi riceve scandalo, che io non ne frema? ( 2 Cor 11,29 ).

Diversamente, abbastanza impudentemente aspiri a comandare a coloro che non ti preoccupi di aiutare e dei quali non zeli la salvezza, pretendendo con troppa ambizione che ti siano sottomessi.

Questa stanza l’ho anche chiamata cella della Grazia: non perché senza grazia si possano avere le altre due, ma per la pienezza di essa che in questa singolarmente si riceve.

E poi la carità è la pienezza della legge; e chi ama il fratello ha adempiuto pienamente la legge ( Rm 13,10; Rm 13,8 ).

8. Hai visto la ragione dei nomi; vedi ora la differenza delle celle.

Non è infatti ugualmente facile o in potere della medesima persona il comprimere con il timore del maestro i sensi petulanti e irrequieti, tenerli a freno con una severa disciplina, e vivere in buon accordo con i compagni con affetto spontaneo; mantenere costumi corretti sotto il bastone, e piacere con una buona condotta ai propri simili con la sola forza della volontà.

E neppure si può dire che ci sia ugual merito o uguale virtù nel vivere bene in società e nel presiedere degnamente.

Quanti vivono quieti sotto un precettore, che poi, se togli il giogo, ti accorgi che non sanno starsene quieti, né trattenersi dal molestare i loro simili!

Cosi vi sono moltissimi che vivono tra i fratelli con semplicità e senza discordia, ma che, non solo presiederebbero inutilmente, ma sarebbero insipienti e cattivi superiori.

Questi tali si contentano di una certa qual buona mediocrità, secondo la misura di grazia che il Signore ha dato loro; non hanno bisogno di maestro, tuttavia non sono atti a far da maestri.

Questi secondi sono migliori dei primi nella condotta; ma sono superiori a entrambi coloro che sono capaci di presiedere.

E questi tali che hanno bene amministrato, hanno la promessa di essere stabiliti sopra tutti i beni del loro Signore.

Ma sono pochi coloro che presiedono utilmente e ancor meno quelli che presiedono umilmente.

Tuttavia, adempie l’una e l’altra cosa colui che, avendo acquistato una perfetta discrezione, che è madre delle virtù, si inebria con il vino della carità fino al disprezzo della propria gloria, fino alla dimenticanza di sé, non cercando i propri interessi, cosa che si può ottenere solamente per il mirabile magistero dello Spirito Santo, dentro la cella Vinaria.

La virtù della discrezione, senza il fervore della carità, resta inerte, e il fervore veemente, non temperato dalla discrezione, corre al precipizio.

Perciò è da lodare colui al quale non manca nessuno dei due, in quanto cioè il fervore anima la discrezione, e la discrezione guida il fervore.

Di tali virtù deve pertanto essere adorno colui che presiede.

Direi, tuttavia, che è ottimo nella condotta, e che ha appreso alla perfezione l’insieme di questa disciplina colui al quale è stato concesso di percorrere e di visitare senza ostacolo tutte queste stanze: colui che in nessuna circostanza resiste ai superiori, o porta invidia agli eguali, o ha poca cura dei sudditi, o si insuperbisce per la carica di superiore; invece, obbediente ai prelati, in buona armonia con i compagni, utilmente condiscendente con i sudditi: questo contrassegno di perfezione lo attribuirei senz’alcun dubbio alla sposa.

Alludono a questo anche le parole del testo: il re mi ha introdotta nelle sue stanze ( Ct 1,3 ), dove mostra di essere stata introdotta non in una qualche stanza, ma nelle stanze al plurale.

IV. La necessità delle alcove e prima l’alcova della « cognitio »

9. E ora veniamo alla camera da letto.

Che cosa è questa? E io ho la presunzione di sapere che cosa sia?

Non mi arrogo minimamente l’esperienza di una cosa così grande, né mi glorio di una prerogativa che è riservata alla beata sposa, limitandomi prudentemente a conoscere me stesso, secondo la sentenza dei Greci, affinché sappia, anche con il Profeta, quello che mi manca ( Sal 39,5 ).

Tuttavia, se non sapessi nulla affatto, non potrei dire nulla.

Di quello che so non sono geloso, né lo sottraggo a voi; quello che non so, ve lo insegni colui che insegna all’uomo il sapere.

Ho detto, ricordate, che bisogna cercare la camera nuziale del Re nel segreto della contemplazione speculativa.

Ma, come ricordo di aver detto degli unguenti, che cioè ve ne sono molti e diversi presso lo Sposo, né tutti a disposizione di ognuno, ma riservati a ciascuno secondo la diversità dei meriti, così penso che non vi sia una sola camera da letto, ma parecchie.

Poiché non vi è neppure una sola regina, ma molte; e molte sono le concubine, e innumerevoli le giovinette.

E ognuna di esse trova per sé e per lo Sposo un luogo segreto, e dice: Il mio segreto è per me, il mio segreto è per me ( Is 24,16 ).

Non a tutti è dato di godere in un solo luogo della piacevole e segreta presenza dello Sposo, ma a ciascuno nella maniera che gli è stata preparata dal Padre.

Non siamo noi, infatti, che abbiamo scelto lui, ma egli ha scelto noi e ci ha costituiti; e dove ciascuno è stato posto da lui, ivi egli è.

Una donna pentita, per esempio, ha trovato il suo posto ai piedi del Signore Gesù, mentre un’altra, se è un’altra, ha trovato il frutto della sua devozione, presso il capo di lui.

Tommaso al fianco, Giovanni sul petto, Pietro nel seno del Padre, Paolo al terzo cielo, hanno trovato la grazia di questo segreto.

10. Chi di noi sarebbe capace di distinguere degnamente queste varietà di meriti, o piuttosto, di premi?

Ma per non sembrare di aver tralasciato del tutto ciò che noi stessi conosciamo, diremo che la prima donna si è preparata il posto al sicuro nell’umiltà, l’altra sul soglio della speranza, Tommaso nella solidità della fede, Giovanni nel fianco della carità, Paolo nell’intimità della sapienza, Pietro nella luce della verità.

Così, presso lo Sposo vi sono molti posti; e sia la regina, sia la concubina, sia anche qualsiasi del numero delle giovinette, ha un posto stabilito in ragione dei suoi meriti, e un termine fin dove procedere con la contemplazione, ed entrare nel gaudio del suo Signore, e indagare i dolci segreti dello Sposo.

Mi sforzerò, a suo luogo, di mostrare più distintamente, questo; per quanto egli stesso si degnerà di suggerirmi.

Per il momento intanto, basti sapere questo, che a nessuna delle giovinette, a nessuna concubina e anche a nessuna regina è del tutto libero l’accesso a quel segrete, della stanza nuziale, che lo Sposo riserva unicamente alla sua colomba, bella perfetta.

Per questo neanch’io l’ho a male se non vi sono ammesso, specialmente anche perché mi consta che, neppure la sposa, per il momento, perviene a tutti i segreti, che vorrebbe.

E per questo prega che le venga indicato dove pascoli il gregge, dove riposi nel meriggio.

11. Ma sentite fin dove io sia arrivato, o creda di essere arrivato.

Penso che non sia da ascriversi a vana ostentazione ciò che vi confido per il vostro profitto.

Vi è un posto presso lo sposo, dal quale egli decreta i suoi diritti e dispone i suoi piani, egli che governa l’universo, stabilendo leggi a ogni creatura nel peso, misura e numero.

Questo luogo è alto e segreto, ma non è affatto un luogo di riposo.

Poiché, sebbene per quanto è in lui, disponga tutto con soavità, tuttavia dispone; e non permette al contemplativo che per caso sia arrivato a quel luogo di stare in riposo, ma lo stanca in modo mirabile, quantunque con suo diletto, mentre scruta e ammira, e lo rende inquieto.

Bene esprime l’una e l’altra cosa la sposa in quel che segue, il diletto, cioè, della contemplazione sopraddetta, e l’inquietudine, dove dice che lei dorme, ma che il suo cuore veglia.

Con il sonno, infatti, del soavissimo stupore e della placida ammirazione vuol significare la quiete che sente, e nella veglia invece esprime la curiosità che la rende inquieta, e la fatica del laborioso esercizio.

Per questo dice il beato Giobbe: Se mi addormento, dico: quando mi alzerò? E di nuovo sospirerò la sera ( Gb 7,4 ).

Senti in queste parole come l’anima santa vuole ogni tanto lasciare la soavità che le è diventata molesta, e poi di nuovo sospira alla stessa molesta soavità?

Non avrebbe detto Quando mi alzerò? se quel riposo della sua contemplazione le fosse piaciuto in modo assoluto; ma anche se ne fosse stata totalmente scontenta, non aspetterebbe nuovamente l’ora del riposo, cioè la sera.

Non è dunque questo luogo la camera da letto, dato che non vi si può completamente riposare.

V. L’alcova del timore. Si parla anche ai chierici

12. Vi è poi un luogo dal quale, sulla creatura razionale ma reproba, veglia immobile il segretissimo e severissimo occhio attento di Dio giusto giudice, terribile nei suoi consigli riguardo ai figli dell’uomo.

Il contemplativo timorato scorge in questo luogo Dio che, con il suo giudizio giusto, ma occulto, non perdona i peccati dei reprobi, né gradisce le loro opere buone, e inoltre indurisce i cuori, sicché non si pentano e si correggano, né così li risani.

E questo non senza una certa ed eterna ragione: ciò appare tanto più temibile, in quanto resta in modo immobile stabilito per l’eternità.

Fa molto spavento ciò che leggiamo a questo riguardo nel Profeta, dove Dio, parlando ai suoi angeli, dice: Si usi pure clemenza all’empio.

E a essi che si spaventano, e chiedono: Non imparerà dunque la giustizia?

No, risponde; e ne indica la ragione: Nella terra dei santi ha operato cose inique, e non vedrà la gloria del Signore ( Is 26,10 ).

Temano i chierici, temano i ministri della Chiesa, i quali, nelle terre dei santi che possiedono, agiscono con tanta iniquità che, per nulla contenti degli stipendi sufficienti, si ritengono empiamente e sacrilegamente il superfluo, con il quale si dovrebbero sostentare i bisognosi, e non si vergognano di usare il vitto dei poveri per alimentare la loro superbia e lussuria: essi peccano con una duplice iniquità, in quanto rubano le cose altrui, e abusano delle cose sacre per le loro turpitudini e vanità.

13. Chi potrebbe cercare in questo posto il riposo, mentre vede che Dio, i cui giudizi sono un profondo abisso, sembra usare sopportazione e compassione a tali persone, per non perdonare loro in eterno?

Questa visione produce il tremore del giudizio, non la sicurezza della camera da letto.

È un luogo terribile, che non conosce quiete.

Mi sono sentito inorridito, quando mi capitò di trovarmi rapito in esso, mentre mi ripetevo con terrore la sentenza: Chi sa se è degno di amore o di odio? ( Sir 9,1 ).

Non fa meraviglia se io là sono titubante, io, foglia portata dal vento e paglia secca, dove anche il massimo contemplativo confessa che quasi traballarono i suoi piedi e vacillarono i suoi passi; e diceva: Ho invidiato i prepotenti, vedendo la prosperità dei malvagi ( Sal 73,3 ).

Perché? Non c’è sofferenza per essi, dice, e non sono colpiti come gli altri uomini; per questo sono presi da superbia ( Sal 73,5-6 ), onde non si umilino e si pentano, ma siano dannati per la loro superbia con il superbo diavolo e i suoi compagni.

Poiché essi che non conoscono l’affanno degli uomini, subiranno il tormento del demonio e dei suoi angeli, come dirà il Giudice: Andate maledetti nel fuoco eterno, che è stato preparato per il diavolo e per i suoi angeli ( Mt 25,31 ).

E tuttavia, questo è il luogo di Dio, in verità non altro che la casa di Dio e la porta del cielo.

Qui si dice che Dio è temuto; qui il suo nome è santo e terribile, è come l’ingresso alla gloria: davvero l’inizio della sapienza è il timore del Signore ( Sal 111,10 ).

14. E non meravigliarti che io abbia assegnato all’inizio della sapienza quest’ultimo posto, e non il primo.

Là, infatti, ascoltiamo la Sapienza come una maestra che insegna su tutti gli argomenti come nella sua scuola, qui la riceviamo anche; là siamo istruiti, qui ne siamo informati.

L’istruzione rende dotti, possedere la sapienza fa sapienti.

Anche il sole non riscalda tutti coloro per i quali risplende: così la Sapienza insegna a molti che cosa debbano fare, senza che per lo stesso fatto li spinga a fare.

Altro è conoscere molte ricchezze, e altro possederle, né la notizia rende uno ricco, ma il possesso.

Così ugualmente: altro è conoscere Dio, e altro è temerlo; la conoscenza non rende uno sapiente, ma lo rende tale il timore quando lo investe.

Chiameresti forse sapiente uno che è gonfio per la sua scienza?

Sarebbe proprio del tutto insipiente chi dicesse sapienti coloro che, avendo conosciuto Dio, non lo glorificarono come Dio, né gli resero grazie.

Io penso piuttosto come l’Apostolo, il quale chiaramente definisce insipiente il loro cuore ( Rm 1,21 ).

E davvero il timore del Signore è l’inizio della sapienza ( Sal 111,10 ), perché l’anima comincia a gustare Dio quando questi la spinge al timore, non quando la istruisce semplicemente.

Temi la giustizia di Dio, temi la sua potenza, e tu gusti Dio giusto e potente, perché il timore è sapore.

Ora il sapore fa sapiente, come la scienza rende scienziato, come le ricchezze fanno il ricco.

Che dire, dunque, del primo luogo? Esso dispone alla sapienza.

Là tu vieni preparato, per essere poi qui iniziato.

La preparazione equivale alla scienza delle cose.

Però a questa tiene dietro molto facilmente il gonfiore della superbia, se non intervenga il timore a reprimerlo, e questo timore viene perciò giustamente detto inizio della sapienza, perché per primo si oppone alla peste dell’insipienza.

Nel primo, dunque, vi è un certo accesso alla sapienza, nell’ultimo vi è anche l’ingresso.

Ma né nell’uno, né nell’altro si trova per il contemplante perfetta quiete, perciò nel primo Dio vi appare come sollecito, nell’altro come turbato.

Non cercare, dunque, una camera da letto in tali luoghi, dei quali uno appare piuttosto come l’aula di un maestro, l’altro come il tribunale di un giudice.

VI. L’alcova della remissione e della predestinazione

15. Ma vi è un luogo dove veramente si scorge Dio tranquillo e riposante: luogo non del giudice, non del maestro, ma dello Sposo, che per me, per gli altri non so, è davvero una camera da letto, se talvolta mi capita di esservi introdotto.

Ma, ahimè! rara ora e breve tempo!

Ivi si conosce chiaramente che la misericordia del Signore è da sempre e dura in eterno per quanti lo temono ( Sal 103,17 ).

E felice chi può dire: Faccio parte di coloro che ti temono e custodiscono i tuoi comandamenti ( Sal 119,63 ).

È stabile il disegno di Dio, stabile la sentenza di pace su quelli che lo temono, per cui egli dissimula i loro peccati e ne ricompensa il bene, sicché, in modo meraviglioso, non solo le loro opere buone, ma anche quelle cattive cooperino al loro vantaggio.

O solo veramente beato l’uomo al quale Dio non imputerà il peccato! ( Rm 4,8 ).

Non ci sarà, infatti, nessuno che non abbia peccato.

Tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio ( Rm 3,23 ).

Tuttavia, chi accuserà gli eletti di Dio? ( Rm 8,33 ).

A me basta per una completa giustificazione avere propizio colui contro il quale solo ho peccato.

Tutto quello che egli avrà decretato di non imputarmi, è come se non fosse stato.

Non peccare è giustizia di Dio: per l’uomo, la sua giustizia è l’indulgenza di Dio.

Ho visto queste cose e ho compreso la verità di quella sentenza: Chiunque è nato da Dio non pecca, perché la generazione celeste lo preserva ( 1 Gv 5,18 ).

La generazione celeste è la predestinazione eterna, con la quale Dio ha amato i suoi eletti e li ha benedetti nel suo Figlio diletto prima della creazione del mondo; così egli li ha visti nel Santo a contemplare la sua potenza e la sua gloria, per cui divenissero partecipi dell’eredità di colui, all’immagine del quale fossero trovati conformi.

Non ho notato in costoro alcun segno di peccato, come non avessero peccato mai: poiché, anche se hanno mancato nel tempo, ciò non appare nell’eternità, perché la carità del Padre copre la moltitudine dei loro peccati.

E li chiamai beati, perché le loro iniquità sono state perdonate e rimessi i loro peccati ( Sal 32,1 ); e d’un tratto sopravvenne anche in me tanta fiducia e fui inondato da tanta letizia quanto era stato il timore che mi aveva preso nel luogo dell’orrore, cioè, nel luogo della seconda visione, di modo che mi parve di essere come uno di quei beati.

O se fosse durato! Di nuovo, di nuovo visitami, o Signore, con la tua salvezza, perché veda la felicità dei tuoi eletti, goda della gioia del tuo popolo ( Sal 106,4-5 ).

16. O luogo veramente quieto e al quale con ragione darei il nome di camera da letto, nella quale Dio non viene contemplato come se fosse turbato dall’ira, o sovraccarico di occupazioni, ma si sperimenta la sua volontà buona, gradita e perfetta.

Questa visione non spaventa, ma reca piacere; non eccita una curiosità inquieta, ma la placa; non affatica i sensi, ma li rende tranquilli.

Qui si riposa veramente.

Dio tranquillo rende tranquille tutte le cose, e vederlo quieto è riposare; vi si può vedere il Re che, dopo le liti, per così dire, delle diurne cause forensi, congedate le turbe, lascia la cura molesta degli affari, e cerca un luogo per la notte, entra nella camera da letto con pochi che si degna di onorare con tale segreto e familiarità, e ivi si riposa, tanto più ai sicuro, quanto più in un luogo segreto e tanto più serenamente, in quanto contemplato placidamente da quelli soli che ama.

Se a qualcuno di voi capitasse di venire in qualche momento così rapito e così nascosto in questo arcano e in questo santuario di Dio, che non sia per nulla disturbato o dal bisogno dei sensi, o dal pungolo degli affari, o dal rimorso delle colpe, o dagli irruenti fantasmi delle immagini corporee, che sono i più difficili a tener lontano, costui potrà veramente, quando sarà tornato a noi, gloriarsi dicendo: Il Re mi ha introdotto nella sua camera da letto ( Ct 1,3 ).

Che poi questa sia la medesima per la quale esulta la sposa, non oserei affermarlo senza essere temerario.

È tuttavia una camera da letto, e camera da letto del Re, perché tra i tre che abbiamo assegnato alla triplice visione, solo questo è un luogo di pace.

Come infatti si è chiaramente dimostrato, nella prima stanza si vede poca quiete, nella seconda non se ne vede affatto, poiché in quella Dio, apparendo ammirabile, stimola lo studio e la curiosità dell’indagine, mentre in questa, mostrandosi terribile, rende trepida la debolezza.

In quest’ultima invece, Dio si degna di mostrarsi non tanto terribile e ammirabile quanto amabile, sereno e placido, soave e mite, e ricco di misericordia per tutti quelli che lo contemplano.

17. E ora, di queste cose che abbiamo spiegate in questo sermone piuttosto lungo, la vostra memoria ritenga un riassunto, ricordate tre tempi, tre meriti, tre premi: nel giardino considerate i tempi, i meriti nelle stanze, i premi in quella triplice contemplazione di chi cerca la stanza da letto.

Riguardo alle stanze, basti quanto abbiamo detto.

Riguardo poi all’orto o alla camera da letto, se vi sarà da aggiungere qualche cosa, o si presenteranno cose diverse da quelle che abbiamo or ora dette, non lasceremo di farlo a suo luogo.

Diversamente, bastino le cose dette, senza che dobbiamo ripeterle, affinché non generino noia le cose che si dicono per eccitarci alla lode e alla gloria dello Sposo della Chiesa, il Signore nostro Gesù Cristo, che è sopra tutte le cose benedetto nei secoli dei secoli.

Amen.

Indice