Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone LXI

I. Applicazioni della espressione che dice: « La mia colomba nelle fessure della roccia »; e quali sono le fessure della roccia

1. Sorgi, amica mia, mia sposa, e vieni ( Ct 2,13 ).

Dimostra lo Sposo il suo grande amore ripetendo parole d’amore.

Questa ripetizione infatti è espressione d’affetto; e nuovamente sollecita la diletta al lavoro delle vigne, mostrando la sua sollecitudine per la salvezza delle anime.

Poiché già abbiamo detto che per vigne si intendono le anime.

Non è il caso di soffermarci inutilmente su ciò che è stato già detto.

Andiamo avanti.

In nessun luogo tuttavia, come ricordo, di tutto questo lavoro, aveva ancora nominato espressamente la sposa, se non adesso mentre si va alle vigne, quando ci si avvicina al vino della carità.

Quando questa verrà e sarà perfetta compirà lo spirituale connubio; e saranno due, non in una sola carne, ma in un solo spirito, secondo il detto dell’Apostolo: Chi aderisce a Dio forma un solo spirito ( 1 Cor 6,17 ).

2. Segue: Mia colomba, nelle fessure della roccia, nelle aperture della maceria, mostrami il tuo volto, fammi sentire la tua voce ( Ct 2,14 ).

Ama e continua con le espressioni amorose.

La chiama nuovamente con fare carezzevole, la dice sua, affermando che gli appartiene; e quello che essa era solita chiedere con insistenza a lui, ora viceversa è lui a chiedere di vederla e di parlarle.

Si comporta da Sposo, ma come Sposo verecondo ha vergogna del luogo pubblico, e stabilisce di godere delle sue delizie in luogo appartato, cioè nelle fenditure della roccia e nelle aperture della maceria.

Pensa dunque che lo Sposo dica così: « Non temere, amica mia, quasi che questi lavori delle vigne ai quali ti esortiamo impediscano o interrompano l’esercizio dell’amore.

Vi sarà qualche modo per cui poter realizzare quello che parimenti desideriamo.

Ecco, le vigne hanno delle macerie, e queste degli angoli bene adatti per noi ».

Questo secondo il gioco della lettera.

Perché non chiamarlo gioco? Che cosa ha di serio questa stesura della lettera?

Quello che suona all’esterno non è neppure degno del nostro ascolto, se al di dentro lo Spirito non aiuta la debolezza della nostra intelligenza.

Non restiamo dunque fuori, perché non sembri che stiamo a descrivere i lenocini di turpi amori, che non sia mai, e offrite pudiche orecchie al discorso che stiamo facendo sull’amore; e quando pensate agli amanti stessi non vi immaginate un uomo e una donna, ma il Verbo e l’anima.

E se dirò Cristo e la Chiesa è la stessa cosa, sennonché con il nome di Chiesa viene designata non una sola anima, ma l’unità, o piuttosto l’umanità di molte anime.

E neppure per « fessure della roccia » o « aperture della maceria » intendete dei nascondigli simili a quelli degli operatori di iniquità, perché non vi sia alcun sospetto di opere delle tenebre.

3. Un altro ha così commentato questo passo, chiamando « fessure della pietra » le piaghe di Cristo.

Giusto davvero. Cristo è infatti la pietra.

Buone fessure, che provano la resurrezione di Cristo e la sua divinità.

Signore mio, dice Tommaso, e Dio mio! ( Gv 20,28 ).

Da dove riportiamo questo oracolo se non dalle fenditure della pietra?

In queste il passero ha trovato per sé una casa, e la tortora il nido dove deporre i suoi piccoli ( Sal 84,4 ); in queste la colomba si trova al sicuro e guarda senza paura lo sparviero che vola all’intorno.

E perciò dice: Mia colomba nelle fessure della roccia.

Voce della colomba: Mi solleva sulla rupe ( Sal 27,6 ); e ancora: I miei piedi ha stabilito sulla roccia ( Sal 40,3 ).

II. La casa dell’uomo sapiente ha le sue fondamenta su questa roccia; quanto è sicura questa abitazione

L’uomo saggio costruisce la sua casa sopra la roccia, perché così non teme né la furia dei venti, né il pericolo delle inondazioni.

Che cosa non c’è di buono nella roccia?

Sulla roccia innalzato, sulla roccia sicuro, sulla roccia sto saldo.

Sicuro dal nemico, forte dalla caduta, e questo perché innalzato da terra.

Tutto ciò infatti che è terreno tentenna ed è caduco.

La nostra vita sia in cielo, e non avremo più paura né di cadere, né di essere buttati giù.

Nei cieli è la roccia, in essa stabilità e sicurezza.

Le rocce sono rifugio per gli iraci ( Sal 104,18 ).

E veramente dove vi può essere sicuro e stabile riposo per gli infermi se non nelle piaghe del Salvatore?

Tanto più sicuro là abito, quanto più egli è potente nel salvare.

Freme il mondo, preme il corpo, tende insidie al diavolo; non cado; sono infatti fondato sulla roccia.

Ho commesso un grave peccato, si turberà la coscienza, ma non si abbatterà, perché mi ricorderò delle piaghe del Signore.

Infatti Egli è stato trafitto per i nostri delitti ( Is 53,5 ).

Chi è talmente affetto da male mortale che non possa essere salvato dalla morte di Cristo?

Se dunque mi verrà alla mente una medicina così potente ed efficace, nessuna malattia, per quanto maligna, mi farà paura.

4. È perciò chiaro che ha sbagliato colui che ha detto: la mia iniquità è troppo grande perché io meriti il perdono ( Gen 4,13 ).

Sennonché egli non era delle membra di Cristo, né lo riguardavano i meriti di Cristo, in modo da poter dire suo quello che era di lui, come membra del capo.

Io invece con fiducia prendo per me dalle viscere del Signore quanto mi manca, perché abbondano in misericordia, né mancano le fenditure per cui possano scorrere fino a me.

Hanno forato le sue mani e i suoi piedi, hanno squarciato il fianco con la lancia, e attraverso queste fessure io posso succhiare il miele della pietra e l’olio del durissimo sasso, cioè gustare e vedere com’è soave il Signore.

Egli nutriva pensieri di pace e io non lo sapevo.

Chi infatti conosce i sentimenti del Signore, o chi fu suo consigliere? ( Ger 29,11 ).

Ma il chiodo penetrando, fu per me come una chiave che mi ha aperto perché io vedessi la volontà del Signore.

Come non avrei potuto vedere, attraverso quella ferita?

Grida il chiodo, grida la piaga che veramente in Cristo c’è Dio che riconcilia a sé il mondo.

Il ferro trapassò la sua anima, e si avvicinò al suo cuore ( Sal 105,18 ) perché ormai non possa più non compatire alle mie debolezze.

È aperto l’ingresso al segreto del cuore per le ferite del corpo, appare quel grande sacramento della pietà, appaiono le viscere di misericordia del nostro Dio, per cui ci visitò dall’alto un sole che sorge ( Lc 1,78 ).

Che cosa appare attraverso le piaghe, se non le viscere?

In che cosa poteva risplendere più chiaro che Tu, o Signore, sei soave e mite e di grande misericordia ( Sal 86,5 ) che nelle tue piaghe?

Nessuno infatti ha una compassione più grande di colui che dà la sua vita per gli schiavi e i condannati.

5. Il mio merito, pertanto, è la misericordia del Signore.

Non sono privo di meriti fino a che egli non lo è di misericordia.

Che se le misericordie del Signore sono molte, anche i miei meriti sono molti.

Che importa se ho coscienza di molti delitti?

Dove abbondarono i delitti, sovrabbondò anche la grazia ( Rm 5,20 ).

E se la misericordia del Signore è da sempre e dura in eterno ( Sal 103,17 ), anch’io canterò in eterno le misericordie del Signore ( Sal 89,1 ).

Si tratta di giustizie mie? Signore, ricorderò che tu solo sei giusto ( Sal 71,16 ).

Ma la tua giustizia è anche mia in quanto tu ti sei fatte per me giustizia per opera di Dio.

Ho forse da temere che una sola giustizia non basti per entrambi?

Non é essa un mantello corto, che secondo il Profeta non sia sufficiente a coprire due.

La tua giustizia dura in eterno ( Sal 119,142 ).

Che cosa è più lungo dell’eternità?

Coprirà abbondantemente te e me una giustizia larga ed eterna.

E in me copre la moltitudine dei peccati; in te poi, o Signore, che cosa nasconde, se non tesori di pietà e ricchezze di bontà?

Queste nelle fenditure della roccia sono riposte per me.

Quanto è grande la moltitudine della tua dolcezza in esse ( 2 Cor 1,5 ) coperte tuttavia per quelli che periscono!

Perché, infatti, dare le cose sante ai cani, e le perle ai porci?

A noi invece le ha svelate Dio per mezzo del suo spirito ( 1 Cor 2,10 ) e per l’apertura delle piaghe ci ha introdotti nel santuario.

Quale grande dolcezza in ciò, quale pienezza di grazia, quale perfezione di virtù!

6. Andrò per me a quella dispensa così ben fornita, e, ascoltando il monito del Profeta, lascerò la città e andrò ad abitare sulla roccia.

Sarò come colomba che fa il nido in cima all’apertura della fenditura, affinché con Mosè posto nella spaccatura della roccia, passando il Signore, meriti almeno di vedere il suo dorso.

Poiché chi potrà veder la sua faccia da fermo, cioè lo splendore dell’immutabile, se non colui che meritò di essere introdotto non solo nel santo, ma nel santo dei santi?

III. Dorso del Signore sono le ferite di Cristo, cioè le fessure della roccia; in esse abita la colomba

Del resto non è cosa da poco contemplare il dorso del Signore.

Questo disdegni pure Erode; io tanto meno lo disdegno quanto più il Signore si mostrò a Erode degnò di disprezzo.

Ha qualche cosa il dorso del Signore, che è bello a vedersi.

Chi sa se si volti il Signore, e perdoni, e lasci dietro a sé una benedizione?

Sarà quando mostrerà la sua faccia, e saremo salvi.

Ma frattanto ci prevenga con dolci benedizioni, quelle che è solito lasciare dietro a sé.

Per ora ci mostri il dorso della sua degnazione, riservandosi di mostrarci più tardi nella gloria la faccia della sua dignità.

Sublime nel regno, ma soave sulla croce.

In questa visione mi prevenga, in quell’ultima mi riempirà.

Mi riempirai di gioia alla tua presenza ( Sal 16,11 ).

Entrambe le visioni sono salutari, entrambe soavi; ma una nella sublimità, l’altra nell’umiltà, una nello splendore, l’altra nel pallore.

7. E il suo dorso nel pallore dell’oro ( Sal 77,14 ).

Come non impallidisce nella morte?

Ma è meglio l’oro pallido che l’ottone lucente e ciò che è stolto di Dio è più sapiente degli uomini ( 1 Cor 1,25 ).

Oro è il Verbo, oro è la sapienza.

Quest’oro ha scolorito se stesso nascondendo la forma di Dio e mostrandosi con la forma di schiavo.

Ha scolorito anche la Chiesa che dice: Non badate al fatto che sono scura, perché mi ha scolorita il sole ( Ct 1,5 ).

Dunque anche il suo dorso è di oro pallido, perché non si vergognò dell’oscurità della croce, non ebbe orrore dell’ustione della passione, non rifuggì dal livore delle piaghe.

Anzi si compiace in esse e brama che le sue ultime siano simili a queste!

Perciò in fine si sente dire: Mia colomba nelle fessure della roccia, perché medita con tutta devozione le piaghe di Cristo, e con costante contemplazione abita in esse.

Di qui la pazienza nel martire, di qui la sua grande fiducia nell’Altissimo.

Non ha nulla da temere il martire che leva il suo volto esangue e livido verso di lui, dalle cui lividure è stato sanato, imitandone la gloriosa morte, veramente nel pallore dell’oro.

Che ha da temere, mentre gli viene detto dal Signore: Mostrami il tuo volto?

Per quale ragione? A mio parere vuole piuttosto farsi vedere lui.

È così: vuole essere veduto, non vedere.

Che cosa infatti c’è che egli non veda?

Non c’è bisogno che uno si mostri dal momento che egli vede tutto, anche se uno volesse nascondersi.

Vuole dunque essere veduto, vuole il duce benigno, che il volto e gli occhi del devoto soldato si levino alle sue piaghe, per sollevare così l’animo suo e con il suo esempio renderlo più forte nel sopportare.

8. Poiché guardando le piaghe di lui non sentirà le sue.

Ecco il martire tripudiante e trionfante, sebbene abbia tutto il corpo lacero, e mentre il ferro gli penetra i fianchi non solo con fortezza ma con ardore vede ribollire il sacro sangue dalla sua carne.

Dov’è allora l’anima del martire?

È al sicuro, cioè nella pietra, nelle viscere di Gesù, che con le ferite aperte invita ad entrarvi.

Se l’anima del martire fosse nelle sue proprie viscere, certamente sentirebbe il ferro che le lacera, e non sopporterebbe il dolore e soccomberebbe rinnegando.

Ma abitando nella pietra, che meraviglia c’è se è duro come la pietra?

Ma non fa neppure meraviglia se, assente in qualche modo dal corpo, l’anima non sente i dolori del corpo.

Questo è effetto non di insensibilità, ma di amore.

Il senso viene sottomesso, non perso.

Non manca il dolore, ma viene disprezzato.

Dunque, dalla pietra deriva la fortezza del martire, da essa il martire ottiene di essere forte nel bere il calice del Signore.

E come è splendido questo calice inebriante!

Splendido dico, e giocondo, non meno a Cristo che guarda quanto al soldato trionfante.

Il gaudio infatti del Signore è la nostra fortezza ( Esd 8,10 ).

Come non godrà alla voce di una fortissima confessione?

E la cerca anche con desiderio: Risuoni, dice, la tua voce alle mie orecchie ( Ct 2,14 ).

Né tarderà a dare il contraccambio, secondo la sua promessa: non appena uno lo avrà confessato davanti agli uomini, lo riconoscerà anche lui davanti al Padre suo.

Interrompiamo il sermone; non può finire ora perché non rispetteremmo i limiti se volessimo abbracciare in questo solo sermone quanto ci rimane da dire su questo capitolo.

Quello che resta, dunque, lo riserviamo al principio del prossimo sermone, perché della nostra parola e della nostra misura goda lo Sposo della Chiesa Gesù Cristo nostro Signore, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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