Dialogo della Divina Provvidenza |
- Che se alcuna volta ti venisse caso, sí come tu mi dimandasti la dichiarazione, che tu pregassi particularmente per alcune creature, e nel pregare tu vedessi in colui per cui tu preghi alcuno lume di grazia e in un altro no ( e ambedue sonno pure servi miei ), ma paressetelo vedere con la mente aviluppata e tenebrosa, none il debbi né puoi pigliare però in giudicio di difecto di grave colpa in lui, però che spesse volte il tuo giudicio sarebbe falso.
E voglio che tu sappi che alcuna volta, pregandomi per una medesima persona, adiviene che l'una volta el trovarai con uno lume e con uno desiderio sancto dinanzi a me, in tanto che del suo bene parrá che l'anima tua ingrassi, sí come vuole l'affecto della caritá che participiate il bene l'uno de l'altro; e un'altra volta el trovarai che parrá che la mente sua sia di longa da me e tucta piena di tenebre e di molestie, che parrá che a te medesima sia fadiga a pregare per lui tenendolo dinanzi a me.
Questo adiviene alcuna solta che potrá essere per difecto che sará in colui per cui tu hai pregato; ma el piú delle volte non sará per difecto, ma avrá per sottraimento che Io, Dio etterno, avarò facto di me in quella anima, sí come spesse volte Io fo, per fare venire l'anima a perfeczione, secondo che negli stati de l'anima Io ti narrai.
Sarommi ritracto per sentimento, ma non per grazia; ma per sentimento di dolcezza e di consolazione.
E però rimane la mente sterile, asciucta e penosa.
La quale pena Io fo sentire a quella anima che per lui prega.
E questo fo per grazia e per amore che Io ho a quella anima che riceve l'orazione, acciò che chi prega insiememente con lui aiti a dissolvere la nuvila che è nella mente sua.
Sí che vedi, carissima e dolcissima figliuola, quanto sarebbe ignorante e degno di grande reprensione questo giudicio, che tu o alcuno altro per questo semplice vedere giudicassi che vizio fusse in quella anima, perché Io te la manifestasse cosí tenebrosa; dove giá hai veduto che egli non è privato della grazia, ma del sentimento della dolcezza che Io, per sentimento, gli davo di me.
Voglio dunque, e debbi volere tu e gli altri servi miei, che vi diate a cognoscere perfectamente voi, acciò che piú perfectamente cognosciate la bontá mia in voi.
E questo e ogni altro giudicio lassate a me, però che egli è mio e non vostro; ma abandonate il giudicio, che è mio, e pigliate la compassione con fame de l'onore mio e salute de l'anime; e con ansietato desiderio anunziate la virtú e riprendete il vizio in voi e in loro per lo modo che decto t'ho di sopra.
Per questo modo verrai a me in veritá e mostrarrai d'avere tenuto a mente e observata la doctrina che ti fu data dalla mia Veritá, cioè di giudicare la volontá mia e non quella degli uomini; e cosí debbi fare se vuoli avere la virtú schiectamente e stare ne l'ultimo perfectissimo e glorioso lume, pascendoti a la mensa del sancto desiderio del cibo de l'anime, per gloria e loda del nome mio.
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