Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CXVI

Come la persecuzione, che si fa a la sancta Chiesa o vero a’ ministri, Dio la reputa facta a sé, e come questa colpa piú è grave che neuna altra.

- E se tu mi dimandassi per che cagione Io ti mostrai che piú era grave la colpa di coloro che perseguitavano la sancta Chiesa che tucte l’altre colpe commesse, e perché per li loro difecti Io non volevo che la reverenzia verso di loro diminuisse, Io ti rispondarei e rispondo: perché ogni reverenzia che si fa a loro, non si fa a loro, ma a me, per la virtú del Sangue che Io l’ho dato a ministrare.

Unde, se non fusse questo, tanta reverenzia avareste a loro quanta agli altri uomini del mondo, e non piú.

E per questo ministerio sète costrecti a far lo’ reverenzia; e a le loro mani vi conviene venire, non a loro per loro, ma per la virtú che Io ho data a loro, se volete ricevere i sancti sacramenti della Chiesa; però che, potendoli avere e non volendogli, sareste e morreste in stato di dannazione.

Sí che la reverenzia è mia e di questo glorioso Sangue ( che siamo una medesima cosa per l’unione della natura divina con la natura umana, come decto è ), e non loro.

E sí come la reverenzia è mia, cosí la inreverenzia: ché giá t’ho decto che la reverenzia non dovete fare a loro per loro, ma per l’auctoritá che Io ho data a loro.

E cosí non debbono essere offesi, però che, offendendo loro, offendono me e non loro.

E giá l’ho vetato, e decto che i miei cristi non voglio che sieno toccati per le loro mani; e per questo neuno si può scusare dicendo:

- Io non fo ingiuria né so’ ribello a la sancta Chiesa, ma follo a’ difecti de’ gactivi pastori.

- Questi mente sopra el capo suo e, come aciecato dal proprio amore, non vede; ma elli vede bene, ma fa vista di non vedere per ricoprire lo stimolo della coscienzia sua.

Vedrebbe, e vede, che egli perseguita el Sangue e non loro.

Mia è l’ingiuria, sí come mia era la reverenzia.

E cosí è mio ogni danno: scherni, villanie, obrobrio e vitoperio, che fanno a loro; cioè che reputo facto a me quel che fanno a loro, perché Io lo’ dixi e dico che i miei cristi non voglio che sieno toccati da loro.

Io gli ho a punire, e non eglino.

Ma eglino dimostrano, gl’iniqui, la inreverenzia che essi hanno al Sangue, e che poco tengono caro el tesoro che Io l’ho dato in salute e in vita de l’anime loro.

Piú non potavate ricevere che darmivi tucto Dio e uomo in cibo, sí come Io t’ho decto.

Ma perché la reverenzia non era facta a me per mezzo di loro, però l’hanno diminuita perseguitandoli, vedendo in loro molti peccati e difecti, sí come, in un altro luogo, de’ difecti loro Io ti narraroe.

Se in veritá avessero avuta questa reverenzia in loro per me, non sarebbe levata per ne uno difecto loro, perché non diminuisce, come decto è, la virtú di questo sacramento per neuno difecto.

E però non debba diminuire la reverenzia; e quando diminuisce, n’offendono me.

E però m’è piú grave questa colpa che tucte l’altre, per molte ragioni: ma tre principali te ne dirò.

L’una si è perché quello che fanno a loro fanno a me.

L’altra si è perché trapassano el comandamento: perché giá l’ho vetato che non gli tocchino; unde spregiano la virtú del Sangue che trassero del sancto baptesmo, perché essi disobediscono facendo quel che l’è vetato.

E so’ ribelli a questo Sangue, perché hanno levata la reverenzia, e levatisi con la grande persecuzione.

Essi sonno come membri putridi, tagliati dal corpo mistico della sancta Chiesa; unde, mentre che stessero obstinati in questa rebellione e inreverenzia, morendo con essa, giongono a l’etterna dapnazione.

È vero che, giognendo a l’extremitá, umiliandosi e cognoscendo la colpa loro, volendosi reconciliare col loro capo e non potendo actualmente, riceve misericordia: poniamo che non debba però aspectare il tempo, perché non è securo d’averlo.

L’altra si è perché la loro colpa è piú aggravata che tucte l’altre, perché egli è peccato facto per propria malizia e con deliberazione, e cognoscono che con buona coscienzia essi nol possono fare; e, facendolo, offendono.

Ed è offesa con una perversa superbia, senza dilecto corporale; anco si consumano l’anima e ’l corpo: l’anima si consuma privata della grazia, e spesse volte lo’ rode il vermine della coscienzia; la sustanzia temporale si consuma in servigio del dimonio, e i corpi ne sonno morti come animali.

Sí che questo peccato è facto propriamente a me, ed è facto senza colore di propria utilitá o dilecto alcuno, se non con malizia e fummo di superbia, la quale superbia nacque dal proprio amore sensitivo, e da quello timore perverso che ebbe Pilato che, per timore di non perdere la signoria, uccise Cristo unigenito mio Figliuolo.

Cosí hanno facto e fanno costoro.

Tucti gli altri peccati sonno facti o per simplicitá o per ignoranzia di non cognoscere, o per malizia, cioè che cognosce il male che egli fa, ma per lo disordinato dilecto e piacere che ha in esso peccato, o per alcuna utilitá che vi trovasse, offende, e, offendendo, fa dapno e offende l’anima sua, e offende me e il proximo suo.

Me, perché non rende gloria e loda al nome mio; el proximo, perché non gli rende la dileczione della caritá.

Ma egli non mi percuote actualmente che la faccia propriamente a me, ma offende sé; la quale offesa mi dispiace per lo dapno suo.

Ma questa è offesa facta a me proprio, senza mezzo.

Gli altri peccati hanno alcuno colore e sonno facti con alcuno colore e sonno facti con mezzo, perché Io ti dixi che ogni peccato si faceva col mezzo del proximo, e ogni virtú: el peccato si fa per la privazione della caritá di me, Dio, e del proximo; e la virtú con la dileczione della caritá: offendendo il proximo, offendono me col mezzo di loro.

Ma perché tra le mie creature che hanno in loro ragione Io ho electi questi miei ministri, e’ quali sonno e’ miei unti, sí come Io ti dixi, ministratori del corpo e del sangue de l’unigenito mio Figliuolo, carne vostra umana unita con la natura mia divina, unde, consecrando, stanno in persona di Cristo mio Figliuolo; sí che vedi che questa offesa è facta a questo Verbo; ed essendo facta a lui, è facta a me, perché siamo una medesima cosa.

Questi miserabili perseguitano el Sangue e privansi del tesoro e del fructo del Sangue.

Unde ella m’è piú grave questa offesa, facta a me e non a’ ministri, perché loro non reputo ne debba essere né l’onore né la persecuzione; anco a me, cioè a questo glorioso sangue del mio Figliuolo, che siamo una medesima cosa, come decto t’ho.

Unde Io ti dico che, se tucti gli altri peccati che essi hanno commessi fussero da l’uno lato, e questo solo da l’altro, mi pesa piú questo uno che gli altri, per lo modo che decto t’ho, sí come Io tel manifestai, acciò che tu avessi piú materia di dolerti de l’offesa mia e della dapnazione di questi miserabili, acciò che col dolore e con l’amaritudine tua e degli altri servi miei, per mia bontá e misericordia, si dissolvesse tanta tenebre quanta è venuta in questi membri putridi, tagliati dal corpo mistico della sancta Chiesa.

Ma Io non truovo quasi chi si doglia della persecuzione che è facta a questo glorioso e prezioso Sangue: ma truovo bene chi mi percuote continuamente con le saecte del disordinato amore e timore servile, e con la propria reputazione, come aciecati, recandosi a onore quello che l’è a vitoperio, e a vitoperio quello che l’è onore, cioè d’aumiliarsi al capo loro.

Per questi difecti si sonno levati e levano a perseguitare il Sangue.

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