Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CXXV

Come per gli predecti defecti li subditi non si correggono.

E de’ defecti de’ religiosi.

E come, per lo non correggere li predecti mali, molti altri ne seguitano.

- In che modo possono questi, pieni di tanti difecti, correggere e fare giustizia e riprendere i difecti de’ subditi loro?

Non possono, perché i loro difecti lo’ tolgono l’ardire e ’l zelo della sancta giustizia.

E se alcuna volta la facessero, sanno dire i subditi scellerati con loro insieme:

- Medico, medica innanzi te medesimo, e poi medica me; e io pigliarò la medicina che tu mi darai.

Egli è in maggiore difecto che non so’ io, e dice male a me!

- Male fa colui la cui reprensione è solo con la parola e non con buona e ordinata vita: non che egli non debba però riprendere il male ( o buono o gattivo che egli si sia ) nel suo subdito; ma male fa che egli non corregge con sancta e onesta vita.

E molto peggio fa colui che, per qualunque modo gli è facta la reprensione, o da buono o da gattivo pastore che sia, che egli non la riceve umilemente, correggendo la vita sua scellerata; però che egli fa male pure a sé e non altrui, ed egli è quello che sosterrá le pene de’ difecti suoi.

Tucti questi mali, carissima figliuola, adivengono per non correggere con buona e sancta vita.

Perché non correggono?

Perché sonno acciecati da l’amore proprio di loro medesimi, nel quale amore proprio sonno fondate tucte le loro iniquitá, e non mirano se none in che modo possano compire i loro disordinati dilecti e piaceri, e subditi e pastori, e cherici e religiosi.

Doh! figliuola mia dolce, dove è l’obbedienzia de’ religiosi, e’ quali sonno posti nella sancta religione come angeli, ed eglino sonno peggio che dimòni; posti perché adnunzino la parola mia in doctrina e in vita, e essi gridano solo col suono della parola, e però non fanno fructo nel cuore de l’uditore?

Le loro predicazioni sonno facte piú a piacere degli uomini e per dilectare l’orecchie loro che ad onore di me; e però studiano non in buona vita, ma in favellare molto pulito.

Questi cotali non seminano el seme mio in veritá, perché non actendono a divellere i vizi e piantare le virtú.

Onde, perché non hanno tracte le spine de l’orto loro, non si curano di trarle de l’orto del loro proximo.

Tucti e’ loro dilecti sonno d’adornare i corpi e le celle loro e d’andare discorrendo per le cittá.

E adiviene di loro come del pesce, el quale, stando fuore de l’acqua, muore.

Cosí questi cotali religiosi con vana e disonesta vita, stando fuore della cella, muoiono.

Partonsi dalla cella, della quale si debba fare un cielo, e vanno per le contrade cercando le case de’ parenti e d’altre genti secolari, secondo che piace a’ loro miseri subditi e a’ gattivi prelati, che gli hanno legati longhi e none corti.

E come miserabili pastori non si curano di vedere il loro frate subdito nelle mani delle dimonia, anco spesse volte essi stessi ve ne mectono; e alcuna volta, cognoscendo che essi sonno dimòni incarnati, gli mandaranno per li monasterii a quelle che sonno dimonie incarnate con loro insieme, e cosí l’uno guasta l’altro con molti e sottili ingegni ed inganni.

E il loro principio porrá el dimonio socto colore di devozione; ma perché la vita loro è lasciva e miserabile, non sta molto colorato col colore della devozione: anco subbito appariscono e’ fructi delle loro devozioni: prima si veggono e’ fiori puzzolenti de’ disonesti pensieri con le foglie corrocte delle parole, e con miserabili modi compiono e’ desidèri loro.

E’ fructi che se ne vegono, bene lo sai tu che n’hai veduti, che sonno e’ figliuoli.

E spesse volte si conducono a tanto che l’uno e l’altra esce della sancta religione.

Egli è facto uno ribaldo, ed ella una publica meretrice.

Di tucti questi mali e di molti altri sono cagione i prelati, perché non ebbero l’occhio sopra el loro subdito, anco gli davano largo, ed esso medesimo el mandava e faceva vista di non vedere le miserie sue.

E perché il subdito non si dilectòe della cella, cosí per difecto dell’uno e de l’altro n’è rimaso morto.

La lingua tua non potrebbe narrare tanti difecti, né per quanti miserabili modi essi m’offendono.

Facti sonno arme del diavolo, e con le puzze loro avelenano dentro e di fuore.

Di fuore ne’ secolari, e dentro nella religione.

Privati sonno della caritá fraterna, e ogniuno vuole essere il maggiore e ogniuno mira di possedere.

Unde essi fanno contra el comandamento e contra el voto che hanno facto.

Essi hanno facta promessa d’observare l’ordine, ed eglino il trappassano: ché non tanto che l’observino eglino, ma essi faranno come lupi affamati sopra gli agnelli che vorranno essere observatori de l’ordine, beffandoli e schernendoli.

E credono, e’ miserabili, con le persecuzioni, beffe e scherni che fanno a’ buoni religiosi e observatori de l’ordine, ricoprire i difecti loro: ed essi gli scuoprono molto piú.

E tanto male è venuto ne’ giardini delle sancte religioni, però che sancte sonno in loro, perché sonno facte e fondate dallo Spirito sancto; e però l’ordine, in sé, non può essere guasto né corrocto per lo difecto del subdito né del prelato.

E però colui che vuole intrare ne l’ordine non debba mirare a quegli che sonno gattivi, ma debba navigare sopra le braccia de l’ordine, che non è infermo né può infermare, observandolo infino alla morte.

Dicevoti che a tanto erano venuti per li mali correggitori e per li gattivi subditi, che quelli, che tengono l’ordine schiectamente, lo’ pare che trapassino l’ordine, non tenendo i loro costumi e non observando le loro cerimonie, le quali hanno ordinate e observanole negli occhi de’ secolari, volendo compiacere, per mantellare i difecti loro.

Sí che vedi che il primo voto de l’obbedienzia, d’observare l’ordine, non l’adempiono; della quale obbedienzia in un altro luogo ti parlarò.

Fanno voto ancora d’observare volontaria povertá e d’essere continenti.

Questo come essi l’observano, mira le possessioni e la molta pecunia che essi tengono in particulare, separati dalla caritá comune di comunicare co’ frati suoi le substanzie temporali e le spirituali, sí come vuole l’ordine della caritá e l’ordine suo.

Ed essi non vogliono ingrassare altro che loro e gli animali; e l’una bestia nutrica l’altra, e il suo povero frate muore di freddo e di fame.

E poi che è bene foderato egli e ha le buone vivande, di lui non pensa, né con lui si vuole ritrovare a la povera mensa del refectorio.

El suo dilecto è di potere stare dove egli si possa empire di carne e saziare la gola sua.

Impossibile gli è a questo cotale di observare il terzo voto della continenzia, però che ’l ventre pieno non fa la mente casta, anco diventano lascivi con disordinati riscaldamenti.

E cosí vanno di male in male, e molto ne l’adiviene del male per lo possedere; perché, se essi non avessero che spendere, non viverebbero tanto disordinatamente e non avarebbero le curiose amistá, però che, non avendo che donare, non si tiene l’amore né l’amistá, che è fondata per amore del dono e per alcuno dilecto e piacere che l’uno traie de l’altro, e non in perfecta caritá.

Oh miseri, posti in tanta miseria per li loro difecti, e da me sonno posti in tanta dignitá!

Essi fuggono dal coro, come se fusse uno veleno.

E se essi vi stanno, gridano con la voce, e il cuore loro è dilonga da me.

A la mensa de l’altare se l’hanno presa per una consuetudine d’andarvi senza veruna disposizione, sí come a la mensa corporale.

Tucti questi mali e molti altri, de’ quali Io non ti voglio piú dire per non appuzzare l’orecchie tue, seguitano per difecto de’ gattivi pastori, che non correggono né puniscono e’ difecti de’ subditi e non si curano né sonno zelanti che l’ordine sia observato, perché essi non sonno observatori de l’ordine.

Porranno bene le pietre in capo, delle grandi obbedienzie, a coloro che ’l vogliono observare, punendoli delle colpe che non hanno commesse.

E tucto questo fanno, perché in loro non riluce la margarita della giustizia, ma della ingiustizia.

E però ingiustamente dánno, a colui che merita grazia e benivolenzia, penitenzia e odio: a quegli che sonno membri del diavolo, come eglino, dánno amore dilecto e stato, commectendo in loro gli offizi de l’ordine.

Come aciecati vivono, e come aciecati dánno gli offizi e governano e’ subditi.

E se essi non si correggono, con questa ciechitá giongono a la tenebre de l’etterna danazione, e convie’ lo’ rendere ragione a me, sommo giudice, de l’anime de’ subditi loro: male e gattivamente me la possono rendere, e però ricevono da me, giustamente, quello che hanno meritato.

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