Dialogo della Divina Provvidenza |
- Vedi dunque che con la mia providenzia Io raconciai el secondo mondo de l’uomo.
Al primo non fu tolto, che non germinasse spine di molte tribolazioni e che in ogni cosa l’uomo non trovasse ribellione.
Questo non è facto senza providenzia né senza vostro bene, ma con molta providenzia e vostra utilitá, per tòllere la speranza del mondo all’uomo e farlo córrire e dirizzare a me che so’ suo fine, sí che almeno, per importunitá di molestie, egli ne levi el cuore e l’affecto suo.
E tanto ignorante è l’uomo a non cognoscere la veritá, ed è tanto fragile a dilatarsi nel mondo, che, con tucte queste fadighe e spine che egli ci truova, non pare che egli se ne voglia levare, né curi di tornare a la patria sua.
Or sappi dunque, figliuola, quel che farebbe se nel mondo trovasse perfecto dilecto e riposo senza veruna pena.
E però con providenzia lo’ permecto e do che ’l mondo lo’ germini le molte tribulazioni: e per provare in loro la virtú, e della pena, forza e violenzia che fanno a loro medesimi abbi di che remunerarli.
Sí che in ogni cosa ha ordinato e proveduto con grande sapienzia la providenzia mia.
Ho lo’ dato, sí come decto è, perché Io so’ ricco e potevolo e posso dare, e la ricchezza mia è infinita; anco ogni cosa è facta da me, e senza me veruna cosa può essere.
Unde, se esso vuole bellezza, Io so’ bellezza; se vuole bontá, Io so’ bontá, perché so’ sommamente buono; Io so’ sapienzia; Io benigno, Io giusto e misericordioso Dio; Io largo e none avaro; Io so’ Colui che do a chi m’adimanda, apro a chi bussa in veritá e rispondo a chi mi chiama.
Non so’ ingrato, ma grato e conoscente a remunerare chi per me s’afadigará, cioè per gloria e loda del nome mio.
Io so’ giocondo, che tengo l’anima, che si veste della mia volontá, in sommo dilecto.
Io so’ quella somma providenzia, che non manco mai a’ servi miei, che sperano in me, né ne l’anima né nel corpo.
E come può credere l’uomo, che mi vede pascere e nutricare il vermine intro el legno secco, pascere gli animali bruti e i pesci del mare, tucti gli animali della terra e gli ucelli de l’aria; sopra le piante mando el sole e la rugiada che ingrassi la terra: e non crederá che Io nutrichi lui, el quale è mia creatura, creata a l’imagine e similitudine mia?
Conciossiacosaché tucto questo è facto da la mia bontá in servizio suo.
Da qualunque lato egli si vòlle, e spiritualmente e temporalmente, non truova altro che ’l fuoco e l’abisso della mia caritá con maxima, dolce e perfecta providenzia.
Ma egli non vede, perché s’ha tolto el lume e non si dá a vederlo, e però si scandelizza.
Ristrigne la caritá verso el proximo suo, e con avarizia pensa el dí di domane: el quale li fu vetato da la mia Veritá, dicendo: « Non voliate pensare del dí di domane; basti al dí la sollicitudine sua », riprendendovi della vostra infedelitá e mostrandovi la mia providenzia e la brevitá del tempo, dicendo: « Non voliate pensare il dí di domane ».
Quasi dica la mia Veritá: - Non pensate di quello che non sète sicuri d’avere; basta il presente dí.
- E insegnavi a di mandare prima el regno del cielo ( cioè la buona e sancta vita ), ché di queste cose minime ben so Io, Padre vostro di cielo, che elle vi bisognano, e però l’ho facte e comandato a la terra che vi doni de’ fructi suoi.
Questo miserabile, perché la sconfidenzia sua ha ristrecto el cuore e le mani nella caritá del prossimo, non ha lecta questa doctrina che gli ha data el Verbo mia Veritá.
Perché non séguita le vestigie sue, esso diventa incomportabile a se medesimo; èscene, di questo fidarsi in sé e none sperare in me, ogni male: essi si fanno giudici della volontá degli uomini, non veggono che Io gli ho a giudicare: Io e non eglino.
La volontá mia non intendono né giudicano in bene, se non quando si veggono alcuna prosperitá, dilecto o piacer del mondo.
E, venendo lo’ meno questo, perché l’affecto loro con esperanza era tucto posto ine, non lo’ pare sentire né ricevere né providenzia mia né bontá veruna: par lo’ essere privati d’ogni bene.
E, perché sonno aciecati dalla propria passione, non vi cognoscono la ricchezza che v’è dentro, né il fructo della vera pazienzia: anco ne tragono morte, e gustano in questa vita l’arra de l’inferno.
E Io, con tucto questo, non lasso per la mia bontá che Io non lo’ provegga.
Cosí, comando a la terra che dia de’ fructi al peccatore come al giusto, e cosí mando el sole e la piova sopra el campo suo come sopra quello del giusto, e piú n’avará spesse volte il peccatore che ’l giusto.
Questo fa la mia bontá per dare piú a pieno delle ricchezze spirituali ne l’anima del giusto che per mio amore s’è spogliato delle temporali, renunziando al mondo, con tucte le sue delizie, e a la propria volontá.
Questi sonno quegli che ingrassano l’anima loro, dilatandosi ne l’abisso della mia caritá: pèrdono in tucto la cura di loro medesimi, che non tanto delle mondane ricchezze, ma di loro non possono avere cura.
Alora Io so’ facto el loro governatore spiritualmente e temporalmente: uso una providenzia particulare, oltre a la generale; ché la clemenzia mia, Spirito sancto, se lo’ fa servo che gli serve.
Questo sai, se ben ti ricorda d’avere lecto nella vita de’ sancti padri, che, essendo infermato quello solitario, sanctissimo uomo che tucto aveva lassato sé per gloria e loda del nome mio, la clemenzia mia providde e mandò uno angelo perché ’l governasse e provedesse a la sua necessitá.
El corpo era sovenuto nel suo bisogno, e l’anima stava in admirabile allegrezza e dolcezza per la conversazione de l’angelo.
Lo Spirito sancto gli è madre che ’l nutrica al pecto della divina mia caritá.
Egli l’ha facto libero, sí come signore, tollendoli la servitudine de l’amore proprio; ché dove è il fuoco della mia caritá non vi può essere l’acqua di questo amore, che spegne questo dolce fuoco ne l’anima.
Questo servidore dello Spirito sancto, che io l’ho dato per mia providenzia, la veste, nutrica e inebbria di dolcezza e dálle somma ricchezza.
Perché tucto lassoe, tucto truova; perché si spogliò tucto di sé, si truova vestito di me; fecesi in tucto servo per umilitá, e però è facto signore signoreggiando el mondo e la propria sensualitá.
Perché tucto s’aciecò nel suo vedere, sta in perfectissimo lume: disperandosi di sé, è coronato di fede viva e di perfecta e compíta speranza; gusta vita etterna, privato d’ogni pena e amaritudine affliggitiva.
Ogni cosa giudica in bene, perché in tucte giudica la volontá mia, quale vide col lume della fede che Io non volevo altro che la sua sanctificazione, e però è facto paziente.
Oh, quanto è beata questa anima, la quale, essendo anco nel corpo mortale, gusta il bene immortale!
Ogni cosa ha in reverenzia; tanto gli pesa la mano manca quanto la ricta, tanto la tribolazione quanto la consolazione, tanto la fame e la sete quanto el mangiare e il bere, tanto el freddo, el caldo e la nuditá quanto el vestimento, tanto la vita quanto la morte, tanto l’onore quanto el vitoperio e tanto l’affliczione quanto la recreazione.
In ogni cosa sta solido, fermo e stabile, perché è fondato sopra la viva pietra.
Ha cognosciuto e veduto, col lume della fede e con ferma speranza, che ogni cosa do con uno medesimo amore e per uno medesimo rispecto, cioè per la salute vostra, e che in ogni cosa Io proveggo.
Però che nella grande fadiga Io do la grande fortezza, e non pongo maggiore peso che si possa portare, pure che si disponga a volere portare per lo mio amore.
Nel Sangue v’è facto manifesto che Io non voglio la morte del peccatore, ma voglio che si converta e viva; e per sua vita gli do ciò ch’Io gli do.
Questo ha veduto l’anima spogliata di sé, e però gode in ciò che ella vede o sente in sé o in altrui.
Non dubbita che le vengano meno le cose minime, perché col lume della fede è certificata nelle cose grandi, delle quali nel principio di questo tractato Io ti narrai.
Oh! quanto è glorioso questo lume della sanctissima fede, col quale vide e cognobbe, e cognosce la mia veritá; el quale lume ha dal servidore dello Spirito sancto, el quale è uno lume sopranaturale, che l’anima acquista per la mia bontá, exercitando el lume naturale che Io l’ho dato.
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