Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CLI

De la excellenzia de’ poveri per spirituale intenzione.

E come Cristo ci amaestrò di questa povertá non solamente per parole, ma per exemplo.

E de la providenzia di Dio verso di quelli che questa povertá pigliano.

- Hottene toccato alcuna cosa perché meglio cognosca il tesoro della povertá volontaria per spirito.

Chi la cognosce? I dilecti povaregli servi miei, che, per potere passare questo camino e intrare per la porta strecta, hanno gittato a terra il peso delle ricchezze.

Alcuno le gitta actualmente e mentalmente; e questi sonno quegli che observano e’ comandamenti e consigli actualmente e mentalmente.

E gli altri observano i consigli solo mentalmente, spogliatosi l’affecto della ricchezza, ché non la possiede con disordenato amore, ma con ordine e timore sancto; fattone non posessore, ma dispensatore a’ povari.

Questo è buono; ma el primo è perfecto, con piú fructo e meno inpaccio, in cui si vede piú rilucere la providenzia mia actualmente.

Della quale, insiememente commendando la vera povertá, Io ti compirò di narrare.

L’uno e l’altro hanno chinato il capo, facendosi piccoli per vera umilitá.

E perché in un altro luogo, se ben ti ricorda, di questo secondo alcuna cosa ti parlai, però ti dirò solo di questo primo.

Io t’ho mostrato e decto che ogni male, danno e pena in questa vita e ne l’altra esce da l’amore delle ricchezze.

Ora ti dico, per contrario, che ogni bene, pace e riposo e quiete esce della vera povertá.

Mirami pure l’aspecto de’ veri povaregli: con quanta allegrezza e giocunditá stanno; mai non si contristano se non de l’offesa mia, la quale tristizia non affligge ma ingrassa l’anima.

Per la povertá, hanno acquistata la somma ricchezza; per lassare la tenebre, truovansi perfectissima luce; per lassare la tristizia del mondo, posseggono allegrezza; per li beni mortali, truovano gl’inmortali e ricevono maxima consolazione.

Le fadighe e ’l sostenere l’è uno rifrigerio, con giustizia e caritá fraterna con ogni creatura che ha in sé ragione.

Non sono acceptatori delle creature in cui riluce la virtú della sanctissima fede e vera speranza, dove arde il fuoco della divina caritá in loro: ché, col lume della fede che ebbero in me, somma e etterna ricchezza, levarono la speranza loro dal mondo e da ogni vana ricchezza, e abbracciarono la sposa della vera povertá con le serve sue.

E sai quali sonno le serve della povertá?

La viltá e dispiacimento di sé e la vera umilitá, che servono e notricano l’affecto della povertá ne l’anima.

Con questa fede e speranza, accesi di fuoco di caritá, saltavano e saltano e’ veri servi miei fuore delle ricchezze e del proprio sentimento.

Sí come il glorioso Matteo appostolo lassò le grandi ricchezze saltando il banco, e seguitò la mia Veritá, che v’insegnò il modo e regola, insegnandovi amare e seguitare questa povertá.

E non ve la insegnò solamente con parole, ma con exemplo; unde, dal principio della sua nativitá infino a l’ultimo della vita sua, in exemplo v’insegnò questa doctrina.

Egli la sposò per voi questa sposa della vera povertá, conciosiacosaché egli fusse somma ricchezza per l’unione della natura divina, unde egli è una cosa con meco e Io con lui, che so’ etterna ricchezza.

E se tu il vuoli vedere umiliato in grande povertade, raguarda Dio essere facto uomo, vestito della viltá e umanitá vostra.

Tu vedi questo dolce e amoroso Verbo nascere in una stalla, essendo Maria in camino, per mostrare a voi viandanti che voi dovete sempre rinascere nella stalla del cognoscimento di voi, dove trovarrete nato me, per grazia, dentro ne l’anima vostra.

Tu il vedi stare ine in mezzo degli animali in tanta povertá, che Maria non ha con che ricoprirlo.

Ma, essendo tempo di freddo, col fiato de l’animale e col fieno, sí el riscaldava.

Essendo fuoco di caritá, vuole sostenere freddo ne l’umanitá sua in tucta la vita.

Mentre che visse nel mondo volse sostenere, e senza e’ discepoli e co’ discepoli: unde alcuna volta, per la fame, sgranellavano i discepoli le spighe e mangiavano le granella.

E, ne l’ultimo della vita sua, nudo fu spogliato e fragellato alla colonna, e assetato sta in sul legno della croce, in tanta povertá, che la terra e il legno gli venne meno, non avendo luogo dove riposare il capo suo; ma convennesi che sopra la spalla sua riposasse il capo, e, come ebbro d’amore, vi fa bagno del sangue suo, aperto il Corpo di questo Agnello, che da ogni parte versa.

Essendo in miseria, dona a voi la grande ricchezza;

stando in sul legno strecto della croce, egli spande la larghezza sua a ogni creatura che ha in sé ragione;

assaggiando l’amaritudine del fiele, egli dá a voi perfectissima dolcezza;

stando in tristizia, vi dá consolazione;

stando confitto e chiavellato in croce, vi scioglie dal legame del peccato mortale;

essendosi facto servo, ha facti voi liberi e tracti de la servitudine del dimonio;

essendo venduto, v’ha ricomperati di Sangue;

dando a sé morte, ha dato a voi vita.

Bene v’ha dato dunque regola d’amore, mostrandovi maggiore amore che mostrare vi potesse, dando la vita per voi, che eravate facti nemici a lui e a me, sommo ed etterno Padre.

Questo non cognosce lo ignorante uomo, che tanto m’offende e tiene a vile sí facto prezzo.

Havi data regola di vera umilitá, umiliandosi a l’obrobriosa morte della croce; e di viltá, sostenendo gli obrobri e i grandi rimprovèri; e di vera povertá, unde parla di lui la Scrittura, lamentandosi in sua persona: « Le volpi hanno tana e gli uccelli hanno il nido, e ’l Figliuolo della Vergine non ha dove riposare il capo suo ».

Chi el cognosce questo?

Quello che ha il lume della sanctissima fede.

In cui truovi questa fede?

Ne’ povaregli per spirito, che hanno presa per sposa la reina della povertá, perché hanno gittato da loro le ricchezze che dánno tenebre d’infidelitá.

Questa reina ha il reame suo che non v’è mai guerra, ma sempre ha pace e tranquilitá.

Ella abbonda di giustizia, perché quella cosa che commecte ingiustizia è separata da lei; le mura della cittá sua son forti, perché ’l fondamento non è facto sopra la terra, ma sopra la viva pietra: Cristo, dolce Iesú, unigenito mio Figliuolo.

Dentro v’è luce senza tenebre, perché la madre di questa reina è l’abisso della divina caritá.

L’addornamento di questa cittá è la pietá e misericordia, perché n’ha tracto il tiranno della ricchezza che usava crudeltá.

Ine v’è una benivolenzia con tucti i cittadini, cioè la dileczione del proximo.

Èvi la longa perseveranzia con la prudenzia, che non va né governa la cittá sua imprudentemente, ma con molta prudenzia e solicita guardia.

Unde l’anima, che piglia questa dolce reina della povertá per sposa, si fa signore di tucte queste ricchezze, e non può essere de l’uno che ella non sia de l’altro.

Guarda giá che la morte de l’appetito delle ricchezze non cadesse in quella anima: allora sarebbe divisa da quello bene, e trovarebbesi di fuore della cittá in somma miseria.

Ma, se ella è leale e fedele a questa sposa, sempre in etterno le dona la ricchezza sua.

Chi vede tanta excellenzia? in cui riluce il lume della fede.

Questa sposa riveste lo sposo suo di puritá, tollendo via la ricchezza che ’l faceva inmondo;

privalo delle gattive conversazioni e dágli le buone;

tra’ne la marcia della negligenzia, gittando fuore la sollicitudine del mondo e delle ricchezze;

tra’ne l’amaritudine e rimane la dolcezza;

taglia le spine e rimanvi la rosa;

vòta lo stomaco de l’anima d’umori corrocti del disordenato amore, e fallo leggiero;

e, poi che egli è vòto, l’empie del cibo delle virtú, che dánno grandissima soavitá.

Ella gli pone il servo de l’odio e de l’amore, acciò che purifichi il luogo suo: unde el odio del vizio e della propria sensualitá spazza l’anima, e l’amore delle virtú l’addorna; tra’ne ogni dubbitazione, privandola del timore servile e dálle sicurtá con timore sancto.

Tucte le virtú, tucte le grazie, piaceri e dilecti che sa desiderare truova l’anima che piglia per sposa la reina della povertá.

Non teme briga, ché non è chi le facci guerra; non teme di fame né di caro, perché la fede vide e sperò in me, suo Creatore, unde procede ogni ricchezza e providenzia, che sempre gli pasco e gli notrico.

E trovossi mai uno vero mio servo, sposo della povertá, che perisse di fame?

No, ché si sonno trovati di quelli che sonno abondati nelle grandi ricchezze, confidandosi nelle lore ricchezze e non in me, e però perivano; ma a questi non manco Io mai, perché non mancano in speranza, e però gli proveggo come benigno e pietoso padre.

E con quanta allegrezza e larghezza sonno venuti a me, avendo cognosciuto col lume della fede che, dal principio infino a l’ultimo del mondo, ho usato e uso e usarò in ogni cosa la providenzia mia spiritualmente e temporalmente, come decto è.

Fogli Io bene sostenere, sí com’Io ti dixi, per farli crescere in fede e in speranza e per rimunerarli delle lore fadighe; ma non lo’ manco mai in veruna cosa che lo’ bisogni.

In tucto hanno provato l’abisso della mia providenzia, gustandovi el lacte della divina dolcezza, e però non temono l’amaritudine della morte: ma con ansietato desiderio corrono, come morti al proprio sentimento di loro e delle ricchezze, abbracciati con la sposa della povertá come inamorati, e vivi nella volontá mia, a sostenere freddo, nuditá, caldo, fame, sete, strazi e villanie; e a la morte, con desiderio di dare la vita per amore della Vita ( cioè di me, che so’ loro vita ) e il sangue per amore del Sangue.

Raguarda gli appostoli povarelli e gli altri gloriosi márteri, Pietro, Pavolo, Stefano e Lorenzo, che non pareva che stesse sopra ’l fuoco, ma sopra fiori di grandissimo dilecto, quasi stando in mocti col tiranno, dicendo: - Questo lato è cocto: vòllelo e comincialo a mangiare.

- Col fuoco grande della divina caritá spegneva il piccolo nel sentimento de l’anima sua.

Le pietre a Stefano parevano rose: chi n’era cagione?

L’amore, col quale aveva preso per sposa la vera povertá, avendo lassato il mondo per gloria e loda del nome mio, e presala per sposa col lume della fede, con ferma speranza e prompta obbedienzia: fattisi obbedienti a’ comandamenti e a’ consigli che lo’ die’ la mia Veritá actualmente e mentalmente, come decto è.

La morte hanno in desiderio e la vita in dispiacere e ad inpazienzia, non per fuggire labore né fadiga, ma per unirsi in me, che so’ loro fine.

E perché non temono la morte che naturalmente l’uomo teme?

Perché la sposa, la quale egli hanno presa della povertá, gli ha facti sicuri, tollendo lo’ l’amore di sé e delle ricchezze.

Unde con la virtú hanno conculcato l’amore naturale e ricevuto quello lume e amore divino che è sopra naturale.

E come potrá l’uomo che è in questo stato dolersi della morte sua, che desidera di lassare la vita, e pena gli è di portarla quando la vede tanto prolongare?

Potrassi dolere di lassare le ricchezze del mondo, che l’ha spregiate con tanto desiderio?

Non è grande facto ponto, ché chi non ama non si duole, anco si dilecta quando lassa la cosa che odia.

Sí che, da qualunque lato tu ti vòlli, truovi in loro perfecta pace e quiete e ogni bene; e ne’ miseri, che posseggono con tanto disordenato amore, sommo male e intollerabili pene: poniamo che all’aspecto di fuore paresse il contrario; ma in veritá egli è pure cosí.

E chi non avarebbe giudicato che Lazzaro povero fusse stato in somma miseria, e il ricco danpnato in grande allegrezza e riposo?

E nondimeno non era né fu cosí: ché sosteneva maggiore pena quello ricco con le sue ricchezze, che Lazzaro povarello crociato di lebbra; perché in lui era viva la volontá unde procede ogni pena, e in Lazzaro era morta, e viva in me, che nella pena aveva rifrigerio e consolazione.

Essendo cacciato dagli uomini, e maximamente dal ricco danpnato, non forbito né governato da loro, Io provedevo che l’animale, che non ha ragione, leccasse le piaghe sue; e ne l’ultimo della loro vita vedete, col lume della fede, Lazzaro a vita etterna e il ricco ne l’inferno.

Sí che i ricchi stanno in tristizia e i dolci miei povarelli in allegrezza.

Io me gli tengo al pecto mio, dando lo’ del lacte delle molte consolazioni: perché tucto lassarono, però tucto mi posseggono; lo Spirito sancto si fa baglia de l’anime e de’ corpicelli loro in qualunque stato e’ sieno.

Agli animali li fo provedere in diversi modi, secondo che hanno bisogno: agl’infermi solitari farò escire l’altro solitario della cella per andare a sovenirlo; e tu sai che molte volte t’adivenne ch’Io ti trassi di cella per satisfare alla necessitá delle povarelle che avevano bisogno.

Alcuna volta te la feci provare in te questa medesima providenzia, facendoti sovenire alla tua necessitá, e, quando mancava la creatura, non mancavo Io, tuo Creatore.

In ogni modo Io gli proveggo.

E unde verrá che l’uomo, stando nelle ricchezze e in tanta cura del corpo suo e con molti panni, e sempre stará infermiccio; e spregiando poi sé e abbracciando la povertá per amore di me, el vestimento terrá solo per ricoprire il corpo suo, e diventará forte e sano, e veruna cosa parrá che gli sia nociva, che a quello corpo non pare che gli faccia danno piú né freddo né caldo né grossi cibi?

Dalla mia providenzia gli venne, che providdi e tolsi ad avere cura di lui, perché tucto si lassò.

Adunque vedi, dilectissima figliuola, in quanto riposo e dilecto stanno questi dilecti miei povaregli.

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