Cantico spirituale Manoscritto B |
1 - Nello stato di matrimonio spirituale, di cui ora trattiamo, l'anima riesce a sapere qualcosa di quello.
Poiché, essendo trasformata in Dio, ne ha qualche esperienza parziale, non vuol tralasciare di parlare un po' di quella cosa i cui pegni e le cui vestigia già sente in sé, poiché, come si legge in Giobbe: Chi potrà trattenere, senza esprimerla, la parola già in sé concepita? ( Gb 4,2 ).
Perciò nella strofa seguente, l'anima cerca di dire qualcosa su quella fruizione che godrà nella visione beatifica dichiarando, per quanto è possibile, che cosa sia e come avvenga ciò che l'aspetta in cielo.
Dell'aura lo spirare,
del soave usignolo il dolce canto,
il bosco e la sua grazia
nella notte serena,
con fiamma che consuma e non dà pena.
2 - In questa strofa l'anima spiega che cosa lo Sposo le darà nella trasformazione beatifica, sintetizzandolo in cinque espressioni:
primo, lo spirar dello Spirito Santo da Dio a lei e da lei a Dio;
secondo, il giubilo a Dio nella fruizione di Dio;
terzo, la conoscenza delle creature e del loro ordine;
quarto, la pura e chiara contemplazione dell'essenza divina;
quinto, la trasformazione totale nell'amore immenso di Dio.
Dice quindi il verso:
Dell'aura lo spirare.
3 - Questo spirare dell'aura è una capacità ricevuta dall'anima nella comunicazione dello Spirito Santo, il quale con la sua spirazione divina l'innalza in maniera sublime e la informa e le dà capacità affinché ella spiri in Dio la medesima spirazione di amore che il Padre spira nel Figlio e il Figlio nel Padre, che è lo stesso Spirito Santo, che in questa trasformazione spira in lei nel Padre e nel Figlio per unirla a sé.
Infatti non sarebbe questa vera e totale trasformazione se l'anima non si trasformasse nelle Tre Persone della Santissima Trinità in un grado chiaro e manifesto.
Tale spirar dello Spirito Santo, per mezzo del quale Dio la trasforma in sé, procura all'anima un diletto tanto sublime, delicato e profondo che non può essere espresso da lingua mortale e non può essere appreso, neppure in parte, dall'intelletto umano in quanto tale.
Non si può riferire nemmeno quello che nella trasformazione temporale avviene nell'anima circa tale comunicazione perché ella, trasformata in Dio e unita con Lui, spira a Dio in Dio la stessa spirazione che il Signore compie in lei divinamente trasformata.
4 - Nella trasformazione a cui l'anima giunge in terra, questo spirar passa da Dio a lei e da lei a Dio con molta frequenza, con altissimo diletto di amore in lei anche se non è in grado svelato e manifesto, come nell'altra vita.
Mi pare che ciò voglia dire S. Paolo quando scrive: Poiché siete figli di Dio, Egli ha inviato nei vostri cuori lo Spirito del Figlio suo il quale grida: Abba, Padre ( Gal 4,6 ), la qual cosa accade ai beati del cielo e ai perfetti della terra nella maniera suddetta.
Non c'è da meravigliarsi che l'anima sia capace di una cosa tanto sublime, cioè che ella per partecipazione spiri in Dio come Dio spira in lei.
Infatti, dato che Dio le faccia la grazia di essere unita con la Santissima Trinità, grazia per cui ella diventa deiforme e Dio per partecipazione, non è più incredibile che anch'ella compia il suo atto d'intelletto, di notizia e di amore nella Trinità congiuntamente con essa e come la stessa Trinità, ma per partecipazione, poiché è Dio stesso che la compie in lei.
Ecco che cosa vuol dire essere trasformati nelle Tre Persone in potenza, in sapienza e in amore, in cui l'anima è simile a Dio, il quale la creò a sua immagine e somiglianza perché potesse giungere a tale meta.
5 - Non è possibile né sapere né descrivere come ciò avvenga.
Si può soltanto dire che il Figlio di Dio ci ottenne e ci meritò di giungere ad un grado tanto sublime afferma S. Giovanni, di potere essere figli di Dio ( Gv 1,12 ), perciò Egli stesso lo chiese al Padre dicendo: Padre, che quelli che mi hai dato stiano con me dove sono io, affinché vedano la gloria che mi hai concesso ( Gv 17,24 ), vale a dire che per partecipazione essi compiano in noi la stessa azione che io compio per natura, cioè quella di spirare lo Spirito Santo.
E soggiunge: Padre, non prego solamente per i presenti, ma anche per quelli che, per la loro parola, crederanno in me: che tutti siano una cosa sola; come tu, o Padre, sei in me ed io in te, così essi siano in noi una medesima cosa.
Ed io ho dato loro la gloria che mi desti perché siano una sola cosa come noi lo siamo.
Io in essi e tu in me affinché siano perfetti nell'unità, perché il mondo conosca che mi hai mandato e che li amasti come hai amato me ( Gv 17,20-23 ), cioè comunicando loro il medesimo amore che al Figlio, anche se ciò non avviene per natura come a Lui, ma per unione e trasformazione di amore.
Anche questa frase non va intesa nel senso che il Figlio chieda al Padre che i Santi siano una cosa sola essenzialmente e naturalmente come lo sono il Padre e il Figlio, ma che lo siano per unione di amore, come il Padre e il Figlio vivono in unità di amore.
6 - Perciò le anime possiedono per partecipazione gli stessi beni che Egli possiede per natura.
In forza di ciò esse sono veramente Dio per partecipazione, uguali a Lui e sue compagne.
Perciò S. Pietro dice: Siano complete in voi la grazia e la pace nella cognizione di Dio e di Gesù Cristo Nostro Signore in quella maniera in cui ci sono date tutte le cose necessarie alla vita e alla pietà, per mezzo della conoscenza di colui che ci chiamò con la sua gloria e virtù e per mezzo del quale ci dette promesse molto grandi e preziose, affinché per queste diventassimo partecipi della divina natura ( 2 Pt 1,2-4 ).
Fin qui sono parole di S. Pietro.
In esse si fa intendere chiaramente che l'anima partecipa di Dio compiendo con Lui, in compagnia di Lui, l'opera della Santissima Trinità nel modo già descritto a causa dell'unione sostanziale esistente tra lei e Dio.
Se è vero che ciò si verifica perfettamente solo nell'altra vita, tuttavia anche in questa, allorché si giunga allo stato perfetto, come ha fatto l'anima di cui parliamo, se ne gusta un grande saggio, quantunque non si sappia esprimere.
7 - O anime create per queste grandezze e ad esse chiamate, che cosa fate?
In che cosa vi intrattenete?
Le vostre aspirazioni sono bassezze e i vostri beni miserie.
O misera cecità degli occhi dell'anima vostra, poiché siete ciechi dinanzi a tanta luce e dinanzi a cosi grandi voci sordi, senza accorgervi che mentre andate in cerca di grandezze e di gloria rimanete miseri e vili, ignari e indegni di tanto bene!
Segue la seconda richiesta dell'anima:
del soave usignolo il dolce canto.
8 - Dallo spirar dell'aura nasce nell'anima la dolce voce dell'Amato indirizzata a lei, nella quale ella risponde con il suo canto di giubilo; l'una cosa e l'altra vengono dette canto dell'usignolo.
Infatti come il canto dell'usignolo si sente in primavera, quando ormai sono cessate le piogge, i freddi e gli sconvolgimenti dell'inverno, e con le sue melodie solleva lo spirito, cosi nella presente comunicazione e trasformazione di amore, quando ormai la sposa è libera e sicura da ogni turbamento e vicenda umana, nuda e purificata dalle imperfezioni, miserie e nebbie naturali sia del senso che dello spirito, essa percepisce una nuova primavera di libertà, di larghezza e di gioia.
Sente in essa la voce soave dello Sposo, cioè del suo dolce usignolo, con la quale le rinnova refrigerandola la sostanza dell'anima, come colei che è già ben disposta a camminare verso la vita eterna, chiamandola dolcemente e soavemente con queste parole: Alzati, affrettati, amica mia, colomba mia, bella mia e vieni poiché l'inverno è passato, la pioggia si è dileguata.
Sono spuntati i fiori nella nostra terra, è giunto il tempo della potatura e nelle nostre campagne si è udita la voce della tortora ( Ct 2,10-12 ).
9 - In questa voce dello Sposo, che le parla nell'intimo, la sposa sente la fine dei suoi mali e il principio di ogni suo bene, nel cui refrigerio, rifugio e sentimento gustoso anch'essa emette la sua voce dolce di usignolo innalzando un nuovo cantico a Dio, insieme con Lui che ne è la causa.
Egli infatti invia a lei la sua voce affinché ella insieme con Lui la indirizzi a Dio, essendo questa la sua aspirazione e il suo desiderio, secondo quanto esprime lo stesso Sposo nel Cantico dicendo: Alzati, affrettati, amica mia; vieni, colomba mia, nei forami della pietra e nelle caverne del muro di cinta; mostrami la tua faccia, fa risuonare la tua voce alle mie orecchie ( Ct 2,13-14 ).
Le « orecchie » di Dio qui significano il desiderio che Egli ha di essere lodato dall'anima con perfetta voce di giubilo.
Perché tale voce sia perfetta, lo Sposo chiede che risuoni « nelle caverne della pietra », cioè nella trasformazione dei misteri di Cristo.
Poiché in questa unione l'anima giubila e loda il Signore insieme con Lui, ne segue che, come è stato detto per l'amore, si tratta di una lode molto gradita e perfetta perché, trovandosi in uno stato di perfezione, anche le sue azioni sono perfette.
Perciò questa voce di giubilo è molto soave per Dio e per l'anima; lo Sposo quindi soggiunge: La tua voce è dolce ( Ct 2,14 ), non solo per te, ma anche per me, giacché, essendo un'unica cosa con me, per me e con me emetti la tua voce di dolce usignolo.
10 - Di questo genere è il canto dell'anima nella trasformazione di cui gode in terra, canto la cui dolcezza sorpassa ogni parola.
Ma poiché esso non è perfetto come il cantico nuovo della vita di gloria, l'anima, inebriata da quello che sente in terra, dall'altezza di esso immaginando l'eccellenza di quello che innalzerà in cielo, indubbiamente più sublime, lo ricorda chiamandolo del soave usignolo il dolce canto.
E dice tosto:
il bosco e la sua grazia.
11 - È la terza cosa che lo Sposo darà all'anima.
Per bosco, che nutre in sé molte piante e numerosi animali, ella intende Dio che crea dando l'essere a tutte le creature, le quali hanno in Lui la loro vita e la loro radice.
Con ciò vuoi far capire che il Signore si mostrerà e si farà conoscere a lei come Creatore.
Con il termine grazia, di questo bosco, l'anima chiede allo Sposo di conoscere la grazia, la sapienza e la bellezza ricevute da Dio da ogni creatura celeste e terrestre e quanto risulta dall'armonia sapiente, ordinata, graziosa e amabile, sia delle creature inferiori che di quelle superiori tra di loro, la cui conoscenza arreca all'anima un grande e dilettoso piacere.
Segue quindi la quarta richiesta:
nella notte serena.
12 - Questa notte, nella quale l'anima desidera vedere tali cose, è la contemplazione.
Essa è oscura, perciò viene chiamata notte e con un altro nome « mistica teologia », che vuoi dire sapienza nascosta o segreta di Dio nella quale, senza rumore di parole, senza aiuto di nessun senso corporeo o spirituale, come nel silenzio e nella quiete, all'oscuro di tutto ciò che è sensitivo e naturale, Dio ammaestra l'anima in maniera del tutto occulta e segreta, senza che ella sappia come ciò avvenga.
Alcuni spirituali chiamano ciò un intendere senza intendere, perché queste cognizioni non vengono formulate da quello a cui i filosofi danno il nome di intelletto attivo, il quale opera su forme, fantasmi ed apprensioni delle cose, ma da quello possibile e passivo, il quale non riceve le forme suddette, ma riceve passivamente un'intelligenza sostanziale priva di immagini, che gli viene concessa senza alcuna sua attività.
13 - Per questo l'anima chiama notte la contemplazione in cui ella in terra conosce questo bosco divino e la sua bellezza in maniera sublime per mezzo della trasformazione di cui gode.
Ma per quanto alta sia questa notizia, tuttavia è oscura in confronto con quella beatifica che essa ora chiede.
Perciò, desiderando la contemplazione chiara, l'anima domanda allo Sposo che la fruizione della selva, della sua bellezza e delle altre cose di cui si è parlato, avvenga nella notte già serena, cioè durante la contemplazione beatifica ormai chiara, di modo che cessi infine l'oscurità della contemplazione propria di questa vita per dar luogo a quella della visione chiara e serena di Dio.
Di questa notte della contemplazione David dice: La notte mi servirà di luce nelle mie delizie ( Sal 139,11 ), come se dicesse: Quando godrò le delizie della visione essenziale di" Dio, la notte della contemplazione sarà già mutata in luce diurna nel mio intelletto.
Segue la quinta:
con fiamma che consuma e non dà pena.
14 - Per fiamma l'anima intende l'amore dello Spirito Santo e per consumare finire, rendere perfetto.
Ella dice che l'Amato deve concederle tutti i doni enumerati in questa strofa che ella possederà con amore perfetto, tutti assorti, e lei con loro, in un amore perfetto che non dà pena.
Dicendo ciò vuoi mettere in risalto la perfezione di tale amore.
Esso infatti per essere perfetto deve avere due qualità, quella di trasformare, consumandola, l'anima in Dio e quella di impedire che l'incendio trasformante di questa fiamma produca pena, il che non può avvenire che nello stato dei beati, dove ormai tale fiamma è amore soave.
Nella trasformazione dell'anima in essa vi è soddisfazione e conformità dall'una e dall'altra parte, e quindi quella fiamma non dà pena a causa della sua maggiore o minore intensità, come invece accadeva prima che l'anima fosse diventata capace dell'amore perfetto.
Una volta che abbia raggiunto questa meta, ella è in un amore tanto conforme e soave di Dio che, pur essendo Egli, come afferma Mosè ( Dt 4,24 ), fuoco che consuma, in lei non fa altro che rifinire e ristorare.
Non avviene dunque come in questa vita in cui la trasformazione, quantunque sia perfetta e renda perfetto l'amore dell'anima, per lei è un po' consumante e sterminatrice.
Si comporta come il fuoco il quale, sebbene trasformi in sé il carbone facendolo cessare da emettere fumo come faceva prima, tuttavia, anche se lo trasforma in fuoco, insieme lo consuma e riduce in cenere.
La stessa cosa accade all'anima che in vita è trasformata in perfezione di amore.
Anche se vi è conformità, tuttavia ella soffre pene e danno, prima di tutto a causa della trasformazione beatifica la cui mancanza sente sempre nelle spirito e in secondo luogo per il danno che il senso fiacco e corruttibile riporta dalla grande forza di questo amore, poiché qualsiasi cosa eccellente è di pena e di danno per la fiacchezza naturale, giacché si trova scritto: Corpus quod corrumpitur, aggravat animam ( Sap 9,15 ).
Ma nella vita beata l'anima non proverà alcun danno né alcuna pena anche se la sua conoscenza sarà profondissima e il suo amore immenso, poiché per la prima Dio le darà la capacità e per il secondo la forza, perfezionandone l'intelletto con la sapienza e la volontà con l'amore.
15 - E poiché, nelle strofe precedenti e nella presente, la sposa ha chiesto comunicazioni e notizie immense di Dio, avendo bisogno di amore forte e profondo per amare a seconda della loro sublimità ed altezza, ora domanda che tutte queste siano ricevute in questo amore consumato, perfettivo e forte.
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