Vita seconda |
L'amore di San Francesco alla preghiera
[681] 94. Francesco, uomo di Dio, sentendosi pellegrino nel corpo lontano dal Signore, cercava di raggiungere con lo spirito il cielo e, fatto ormai concittadino degli Angeli, ne era separato unicamente dalla parete della carne.
L'anima era tutta assetata del suo Cristo e a Lui si offriva interamente nel corpo e nello spirito.
Delle meraviglie della sua preghiera diremo solo qualche tratto, per quanto abbiamo visto con i nostri occhi ed è possibile esporre ad orecchio umano, perché siano d'esempio ai posteri.
Trascorreva tutto il suo tempo in santo raccoglimento, per imprimere nel cuore la sapienza; temeva di tornare indietro se non progrediva sempre.
E se a volte urgevano visite di secolari o altre faccende, le troncava più che terminarle, per rifugiarsi di nuovo nella contemplazione.
Perché a lui, che si cibava della dolcezza celeste, riusciva insipido il mondo, e le delizie divine lo avevano reso di gusto difficile per i cibi grossolani degli uomini.
Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo spirito, ma con le singole membra, al suo Dio.
E se all'improvviso si sentiva visitato dal Signore, per non rimanere senza cella, se ne faceva una piccola col mantello.
E se a volte era privo di questo, ricopriva il volto con la manica, per non svelare la manna nascosta.
Sempre frapponeva fra sé e gli astanti qualcosa, perché non si accorgessero del contatto dello sposo: così poteva pregare non visto anche se stipato tra mille, come nel cantuccio di una nave.
Infine, se non gli era possibile niente di tutto questo, faceva un tempio del suo petto.
Assorto in Dio e dimentico di se stesso, non gemeva né tossiva, era senza affanno il suo respiro e scompariva ogni altro segno esteriore.
[682] 95. Questo il suo comportamento in casa.
Quando invece pregava nelle selve e in luoghi solitari, riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime, si batteva con la mano il petto; e lì, quasi approfittando di un luogo più intimo e riservato, dialogava spesso ad alta voce col suo Signore: rendeva conto al Giudice, supplicava il Padre, parlava all'Amico, scherzava amabilmente con lo Sposo.
E in realtà, per offrire a Dio in molteplice olocausto tutte le fibre del cuore, considerava sotto diversi aspetti Colui che è sommamente Uno.
Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando all'interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo.
In tale modo dirigeva tutta la mente e l'affetto a quell'unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente.
Ma di quanta dolcezza sarà stato inondato, abituato come era a questi trasporti?
Soltanto lui lo sa, io non posso che ammirarlo.
Solo chi ne ha esperienza, lo può sapere; ma è negato a chi non l'esperimenta.
Quando il suo spirito era nel pieno del fervore, egli con tutto l'esteriore e con tutta l'anima completamente in deliquio si ritrovava già nella perfettissima patria del regno dei cieli.
Il Padre era solito non trascurare negligentemente alcuna visita dello Spirito: quando gli si presentava, l'accoglieva e fruiva della dolcezza che gli era stata data, fino a quando il Signore lo permetteva.
Così, se avvertiva gradatamente alcuni tocchi della grazia mentre era stretto da impegni o in viaggio, gustava quella dolcissima manna a varie e frequenti riprese.
Anche per via si fermava, lasciando che i compagni andassero avanti, per godere della nuova visita dello Spirito e non ricevere invano la grazia.
[683] 96. Recitava le ore canoniche con riverenza pari alla devozione.
E quantunque fosse malato d'occhi, di stomaco, di milza e di fegato, non voleva appoggiarsi durante la salmeggiatura a muro o parete, ma assolveva l'obbligo delle ore sempre in piedi e senza cappuccio, senza guardare attorno e senza interruzioni.
Quando camminava a piedi, si fermava sempre per recitare le ore; se era a cavallo, scendeva a terra.
Un giorno ritornava da Roma sotto una pioggia incessante: discese dal cavallo per dire l'Ufficio e fermatosi ritto in piedi per lungo tempo, si bagnò tutto.
Ripeteva: « Se il corpo mangia tranquillo il suo cibo, destinato ad essere con lui pasto di vermi, con quanta pace e tranquillità l'anima deve prendere il suo cibo, che è il suo Dio! ».
[684] 97. Credeva di peccare gravemente, se mentre pregava era turbato da vani fantasmi.
Quando ciò capitava, ricorreva alla confessione per accusarsene subito.
L'aveva resa così abituale questa premura, che molto raramente era tormentato da questo genere di mosche.
Durante una quaresima, aveva fatto un piccolo vaso, per utilizzare i ritagli di tempo e non perderne neppure uno.
Ma un giorno, mentre recitava devotamente Terza, gli capitò di fermare per caso gli occhi su quel vaso, e si accorse che l'uomo interiore era stato ostacolato nel fervore.
Afflitto perché la voce del cuore diretta all'orecchio divino aveva subìto una interruzione, finita Terza, disse ai frati presenti: « Ah, lavoro inutile che ha avuto tanto potere di me da deviare a sé il mio spirito!
Lo sacrificherò al Signore, perché ha impedito il sacrificio diretto a lui ».
Detto ciò, afferrò il vaso e lo gettò nel fuoco, dicendo: « Vergogniamoci di lasciarci distrarre da fantasie inutili quando nel tempo della preghiera parliamo col Gran Re ».
[685] 98. Spesso rimaneva assorto preso da tanta dolcezza di contemplazione, che rapito fuori di sé, non faceva capire a nessuno ciò che esperimentava di sovrumano.
Tuttavia anche da un solo fatto, che una volta avvenne in pubblico, possiamo dedurre con quale frequenza dovesse essere profondamente immerso nella dolcezza celeste.
Un giorno doveva attraversare sul dorso di un asino Borgo San Sepolcro, e poiché aveva fissato di riposare in un lebbrosario, molti vennero a sapere del passaggio dell'uomo di Dio.
Accorrono da ogni parte, uomini e donne, desiderosi di vederlo e di toccarlo con la devozione consueta.
E che dire? Lo toccano e lo scuotono, gli tagliano pezzi dell'abito per conservarli.
Ma Francesco sembra insensibile a tutto e niente avverte, come un morto, di ciò che avviene.
Lo conducono finalmente al luogo fissato, e dopo aver lasciato alle spalle Borgo da un pezzo, come se provenisse da altro luogo, quel contemplatore delle cose celesti chiese preoccupato quando sarebbero giunti a Borgo.
[686] 99. Quando ritornava dalle sue preghiere personali, durante le quali si trasformava quasi in un altro uomo, cercava di conformarsi quanto più poteva agli altri, per il timore che, se appariva col volto raggiante, il venticello dell'ammirazione non gli togliesse il merito guadagnato.
Anzi spesso ripeteva ai suoi intimi: « Quando il servo di Dio nella preghiera è visitato dal Signore con qualche nuova consolazione, deve prima di terminare, alzare gli occhi al cielo e dire al Signore a mani giunte: - Tu, o Signore, hai mandato dal cielo questa dolce consolazione a me indegno peccatore: io te la restituisco, affinché tu me la metta in serbo, perché io sono un ladro del tuo tesoro - ».
E ancora: « Signore, toglimi il tuo bene in questo mondo, e conservamelo per il futuro ».
E continuava: « Così deve comportarsi, in modo che, quando esce dalla preghiera, si mostri agli altri così poverello e peccatore, come se non avesse conseguito nessuna nuova grazia ».
E spiegava: « Per una mercede di poco valore capita di perdere un bene inestimabile e di provocare facilmente il nostro benefattore a non ridarlo più ».
Infine, era suo costume alzarsi a pregare così di nascosto e silenziosamente, che nessuno dei compagni poteva accorgersi che si alzava o pregava.
Quando invece alla sera si metteva a letto, faceva rumore e quasi strepito, per far sentire a tutti che andava a coricarsi.
[687] 100. Il vescovo di Assisi andò un giorno, com'era sua consuetudine, per una visita amichevole da Francesco, che stava pregando nel luogo della Porziuncola.
Appena entrato, si dirige con poco riguardo, senza essere stato invitato, alla cella del Santo e, spinta la porticina, fa per entrare, quando, nello sporgere il capo, lo vede in preghiera: all'istante è scosso da tremore e mentre le membra si irrigidiscono perde anche la parola.
Subito, per volontà di Dio, è respinto violentemente fuori e, sempre all'indietro, è trascinato lontano.
A mio parere, o il vescovo era indegno di assistere a quel segreto misterioso, o Francesco meritava di godere più a lungo della grazia, che già pregustava.
Pieno di stupore, il vescovo ritornò dai frati e, confessata la sua colpa con un cenno di parola, riacquistò la favella.
[688] 101. L'abate del monastero di San Giustino, nella diocesi di Perugia, incontrò un giorno Francesco e, sceso velocemente da cavallo, si intrattenne brevemente con lui a parlare della salvezza della sua anima.
Quando alla fine si allontanò, gli chiese umilmente di pregare per lui.
« Pregherò, signore, volentieri », rispose Francesco.
L'abate si era allontanato di poco, quando il Santo, rivolto al compagno, gli disse: « Aspetta un poco, perché voglio soddisfare il debito di ciò che ho promesso ».
Aveva infatti questa abitudine, di non gettare dietro le spalle la preghiera richiesta ma di adempiere quanto prima una tale promessa.
Mentre il Santo supplicava il Signore, subito l'abate provò nello spirito un calore insolito ed una dolcezza sconosciuta fino a quel momento e, rapito fuori dai sensi, gli sembrò proprio di venire meno.
Si fermò un istante, poi ritornato in se stesso, constatò la potenza della preghiera di san Francesco.
Per questo provò un amore sempre più grande per l'Ordine e riferì a molti il fatto come un miracolo.
Questi sono i piccoli doni che devono farsi tra loro i servi di Dio, tale lo scambio vicendevole che si addice loro riguardo al dare e al ricevere.
Quel santo amore, che a volte è chiamato spirituale, è contento del frutto dell'orazione; la carità tiene poco conto dei poveri doni terreni.
Credo sia proprio dell'amore santo aiutare ed essere aiutati nella lotta spirituale, raccomandare ed essere raccomandati davanti al tribunale di Cristo.
Ma a quale grado di preghiera pensi che dovesse salire chi ha potuto in tale modo innalzare un altro con i suoi meriti?
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