Vita seconda |
Comprensione del Santo nella Sacra Scrittura e potenza delle sue parole
[689] 102. Quantunque questo uomo beato non avesse ricevuta nessuna formazione di cultura umana, tuttavia, istruito dalla sapienza che discende da Dio e, irradiato dai fulgori della luce eterna, aveva una comprensione altissima delle Scritture.
La sua intelligenza, pura da ogni macchia, penetrava le oscurità dei misteri, e ciò che rimane inaccessibile alla scienza dei maestri era aperto all'affetto dell'amante.
Ogni tanto leggeva nei Libri Sacri, e scolpiva indelebilmente nel cuore ciò che anche una volta sola aveva immesso nell'animo.
« Per lui, la memoria teneva il posto dei libri », perché il suo orecchio, anche in una volta sola, afferrava con sicurezza ciò che l'affetto andava meditando con devozione.
Affermava che questo metodo di apprendere e di leggere è il solo fruttuoso, non quello di consultare migliaia e migliaia di trattati.
Riteneva vero filosofo colui che non antepone nulla al desiderio della vita eterna.
Affermava ancora che perviene facilmente dalla scienza umana alla scienza di Dio, colui che, leggendo la Scrittura, la scruta più con l'umiltà che con la presunzione.
Spesso scioglieva con una sola frase questioni dubbie e senza profusioni di parole dimostrava grande intelligenza e profonda penetrazione.
[690] 103. Mentre dimorava presso Siena, vi capitò un frate dell'Ordine dei predicatori, uomo spirituale e dottore in sacra teologia.
Venne dunque a far visita al beato Francesco e si trattennero a lungo insieme, lui e il Santo in dolcissima conversazione sulle parole del Signore.
Poi il maestro lo interrogò su quel detto di Ezechiele: Se non manifesterai all'empio la sua empietà, domanderò conto a te della sua anima.
Gli disse: « Io stesso, buon padre, conosco molti ai quali non sempre manifesto la loro empietà, pur sapendo che sono in peccato mortale.
Forse che sarà chiesto conto a me delle loro anime? ».
E poiché Francesco si diceva ignorante e perciò degno più di essere da lui istruito, che di rispondere sopra una sentenza della Scrittura, il dottore aggiunse umilmente: « Fratello, anche se ho sentito alcuni dotti esporre questo passo, tuttavia volentieri gradirei a questo riguardo il tuo parere ».
« Se la frase va presa in senso generico, - rispose Francesco - io la intendo così: Il servo di Dio deve avere in se stesso tale ardore di santità di vita, da rimproverare tutti gli empi con la luce dell'esempio e l'eloquenza della sua condotta.
Così, ripeto, lo splendore della sua vita ed il buon odore della sua fama, renderanno manifesta a tutti la loro iniquità ».
Il dottore rimase molto edificato, per questa interpretazione, e mentre se ne partiva, disse ai compagni di Francesco: « Fratelli miei, la teologia di questo uomo, sorretta dalla purezza e dalla contemplazione, vola come aquila.
La nostra scienza invece striscia terra terra ».
[691] 104. Un'altra volta, trovandosi a Roma in casa di un cardinale, fu interrogato su alcuni passi oscuri, ed espose con tanta chiarezza quei concetti profondi, da far pensare che fosse sempre vissuto in mezzo alle Scritture.
Perciò il signor cardinale gli disse: « Io non ti interrogo come letterato, ma come uomo che ha lo spirito di Dio.
E per questo accetto volentieri il senso della tua risposta, perché so che proviene da Dio solo ».
[692] 105. Francesco era infermo e pieno di dolori da ogni parte.
Vedendolo così, un giorno gli disse un suo compagno: « Padre, tu hai sempre trovato un rifugio nelle Scritture; sempre ti hanno offerto un rimedio ai tuoi dolori.
Ti prego anche ora fatti leggere qualche cosa dai profeti: forse il tuo spirito esulterà nel Signore ».
Rispose il Santo: « È bene leggere le testimonianze della Scrittura, ed è bene cercare in esse il Signore nostro Dio.
Ma, per quanto mi riguarda, mi sono già preso tanto dalle Scritture, da essere più che sufficiente alla mia meditazione e riflessione.
Non ho bisogno di più, figlio: conosco Cristo povero e Crocifisso ».
[693] 106. Vi era nella Marca d'Ancona un secolare, che dimentico di sé e del tutto all'oscuro di Dio, si era completamente prostituito alla vanità.
Era chiamato « il Re dei versi », perché era il più rinomato dei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzoni mondane.
In breve, la gloria del mondo lo aveva talmente reso famoso, che era stato incoronato dall'Imperatore nel modo più sfarzoso.
Mentre camminava così avvolto nelle tenebre e si tirava addosso il castigo avvinto nei lacci della vanità, la pietà divina, mossa a compassione, pensò di richiamare ii misero, perché non perisse, lui che giaceva prostrato a terra.
Per disposizione della Provvidenza divina, si incontrarono, lui e Francesco, presso un certo monastero di povere recluse.
Il Padre vi si era recato per far visita alle figlie con i suoi compagni, mentre l'altro era venuto a casa di una sua parente con molti amici.
La mano di Dio si posò su di lui, e vide proprio con i suoi occhi corporei Francesco segnato in forma di croce da due spade, messe a traverso, molto splendenti: l'una si stendeva dalla testa ai piedi, l'altra, trasversale, da una mano all'altra, all'altezza del petto.
Personalmente non conosceva il beato Francesco; ma dopo un così notevole prodigio, subito lo riconobbe.
Pieno di stupore, all'istante cominciò a proporsi una vita migliore, pur rinviandone l'adempimento al futuro.
Ma il Padre, quando iniziò a predicare davanti a tutti, rivolse contro di lui la spada della parola di Dio.
Poi, in disparte, lo ammonì con dolcezza intorno alla vanità e al disprezzo del mondo, e infine lo colpì al cuore minacciandogli il giudizio divino.
L'altro, senza frapporre indugi, rispose: « Che bisogno c'è di aggiungere altro?
Veniamo ai fatti.
Toglimi dagli uomini, e rendimi al grande Imperatore! ».
Il giorno seguente, il Santo lo vestì dell'abito e lo chiamò frate Pacifico, per averlo ricondotto alla pace del Signore.
E tanto più numerosi furono quelli che rimasero edificati dalla sua conversione, quanto maggiore era stata la turba dei compagni di vanità.
Godendo della compagnia del Padre, frate Pacifico cominciò ad esperimentare dolcezze, che non aveva ancora provate.
Infatti poté un'altra volta vedere ciò che rimaneva nascosto agli altri: poco dopo, scorse sulla fronte di Francesco un grande segno di Thau, che ornato di cerchietti multicolori, presentava la bellezza del pavone.
[694] 107. Il predicatore del Vangelo Francesco, quando predicava a persone incolte, usava espressioni semplici e materiali, ben sapendo che vi è più necessità di virtù che di parole.
Tuttavia tra persone spirituali e più colte cavava dal cuore parole profonde, che davano vita.
Con poco spiegava ciò che era inesprimibile, e unendovi movimenti e gesti di fuoco, trascinava tutti alle altezze celesti.
Non si serviva del congegno delle distinzioni, perché non dava ordine a discorsi, che non ideava da se stesso.
Alla sua parola dava voce di potenza Cristo, vera potenza e sapienza.
Un medico, persona colta ed eloquente, disse una volta: « Mentre ritengo parola per parola le prediche degli altri, solo mi sfugge ciò che Francesco dice nella sua esuberanza.
E, se cerco di ricordare alcune parole, non mi sembrano più quelle che prima hanno stillato le sue labbra ».
[695] 108. Le sue parole conservavano tutta la loro efficacia non solo se pronunciate direttamente, ma anche se trasmesse per mezzo di altri non ritornavano senza frutto.
Arrivò un giorno ad Arezzo, mentre tutta la città era scossa dalla guerra civile e minacciava prossima la sua rovina.
Il servo di Dio venne ospitato nel borgo fuori città, e vide sopra di essa demoni esultanti, che rinfocolavano i cittadini a distruggersi fra di loro.
Chiamò frate Silvestro, uomo di Dio e di ragguardevole semplicità, e gli comandò: « Va' alla porta della città, e da parte di Dio Onnipotente comanda ai demoni che quanto prima escano dalla città ».
Il frate pio e semplice si affrettò ad obbedire, e dopo essersi rivolto a Dio con inno di lode, grida davanti alla porta a gran voce: « Da parte di Dio e per ordine del nostro padre Francesco, andate lontano di qui, voi tutti demoni! ».
La città poco dopo ritrovò la pace e i cittadini rispettarono i vicendevoli diritti civili con grande tranquillità.
Più tardi parlando loro, Francesco all'inizio della predicazione disse: « Parlo a voi come a persone un tempo soggiogate e schiave dei demoni.
Però so che siete stati liberati per le preghiere di un povero ».
[696] 109. Credo che non sia fuori luogo aggiungere qui la conversione del predetto Silvestro, come sia stato mosso dallo Spirito ad entrare nell'Ordine.
Silvestro era un sacerdote secolare della città di Assisi, e da lui un tempo l'uomo di Dio aveva comprato pietre per riparare una chiesa.
Quando vide, in quei giorni, frate Bernardo, che dopo il Santo fu la prima pianticella dell'Ordine, lasciare completamente i suoi beni e darli ai poveri, si sentì acceso da una cupidigia insaziabile e si lamentò col servo di Dio per le pietre, che un tempo gli aveva vendute, come se non gli fossero state pagate completamente.
Francesco, osservando che l'animo del sacerdote era corroso dal veleno dell'avarizia, ebbe un sorriso di compassione.
Ma, desiderando di portare in qualunque modo refrigerio a quella arsura maledetta, gli riempì le mani di denaro, senza contarlo.
Prete Silvestro si rallegrò dei soldi ricevuti, ma più ancora ammirò la liberalità di chi donava.
Ritornato a casa, ripensò più volte a quanto gli era accaduto, biasimandosi santamente e meravigliandosi di amare, pur essendo ormai vecchio, il mondo, mentre quel giovane disprezzava in tale modo tutte le cose.
Quando poi fu pieno di buone disposizioni, Cristo gli aprì il seno della sua misericordia, gli mostrò quanto valessero le opere di Francesco, quanto fossero preziose davanti a lui e come con il loro splendore riempissero tutta la terra.
Vide infatti, in sogno, una croce d'oro, che usciva dalla bocca di Francesco: la sua cima arrivava ai cieli, bracci protesi lateralmente cingevano tutto attorno il mondo.
Il sacerdote, compunto a quella vista, scacciò ogni ritardo dannoso, lasciò il mondo e divenne perfetto imitatore dell'uomo di Dio.
Cominciò a condurre nell'Ordine una vita perfetta e la terminò in modo perfettissimo con la grazia di Cristo.
Ma, quale meraviglia che Francesco sia apparso crocifisso, lui che ha amato tanto la croce?
Non è certo sorprendente che, essendo così radicata nel suo cuore la croce, che opera cose mirabili, e venendo su da un terreno buono, abbia prodotto fiori, fronde e frutti meravigliosi!
Nient'altro, di specie diversa, poteva nascere da questa terra, che la croce gloriosa fin da principio aveva presa in tale modo tutta per sé.
Ma ritorniamo al nostro argomento.
[697] 110. Un frate era da lungo tempo gravemente molestato da una tentazione di spirito, la quale è più sottile e peggiore dello stimolo della carne.
Finalmente, presentatosi a Francesco, si gettò umilmente ai suoi piedi.
Ma, scoppiato in pianto dirotto e amarissimo, non era capace di dire parola, essendo impedito da forti singhiozzi.
Il Padre ne sentì pietà, e comprendendo che era tormentato da istigazioni maligne: « Io vi ordino, o demoni, - esclamò - in virtù di Dio di non tormentare più d'ora avanti il mio fratello, come avete osato finora ».
Subito si dissipò quel buio tenebroso, il frate si alzò libero e non sentì più alcun tormento, come se ne fosse sempre stato esente.
[698] 111 Già da altre pagine risulta abbastanza chiaro che la sua parola era di una potenza sorprendente anche a riguardo degli animali.
Tuttavia toccherò appena un episodio che ho alla mano.
Il servo dell'Altissimo era stato ospitato una sera presso il monastero di San Verecondo, in diocesi di Gubbio, e nella notte una pecora partorì un agnellino.
Vi era nel chiuso una scrofa quanto mai crudele, che, senza pietà per la vita dell'innocente, lo uccise con morso feroce.
Al mattino, alzatisi, trovano l'agnellino morto e riconoscono con certezza che proprio la scrofa è colpevole di quel delitto.
All'udire tutto questo, il pio padre si commuove, e ricordandosi di un altro Agnello, piange davanti a tutti l'agnellino morto: « Ohimé, frate agnellino, animale innocente, simbolo vivo sempre utile agli uomini!
Sia maledetta quell'empia che ti ha ucciso e nessuno, uomo o bestia, mangi della sua carne! ».
Incredibile!
La scrofa malvagia cominciò subito a star male, e dopo aver pagato il fio in tre giorni di sofferenze, alla fine subì una morte vendicatrice.
Fu poi gettata nel fossato del monastero, dove rimase a lungo e, seccatasi come un legno, non servì di cibo a nessuno per quanto affamato.
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