Animazione
1) Conferimento di vita, di movimento
2) Vivacità, ardore, eccitazione
3) Movimento, affollamento
4) Nel cinema, riproduzione del movimento di una figura attraverso disegni che descrivono in successione le fasi del movimento stesso;
in teatro, spettacolo di pupazzi mossi dalla mano dall'uomo
5) Promozione di un'attività, di un'innovazione
in partic. intrattenimento di un gruppo di persone, bambini
L'animazione è un lavoro che si svolge sullo spirito delle persone e rimanda all'idea del dare spirito, dare energia.
Se si gioca poi con la parola anima-zione e si mettono insieme i due termini "anima" e "azione" il significato che ne scaturisce è quello di dare anima all'azione ma, in questo contesto, anima non è solo e semplicemente energia ma vuol dire dare significato e dipende dalla teoria che è stata maturata in relazione al concetto di anima stessa.
Ma animazione significa anche agire sull'anima, sull'energia che le persone hanno, sulle energie e risorse vitali che una persona possiede.
Infine, il termine animazione rimanda al fare agire l'anima quindi, agire sull'anima ma anche farla agire.
L'animatore è tendenzialmente qualcuno che fa fare, non è il presentatore di una situazione, qualcuno che attira l'attenzione, in campo educativo è colui che fa agire l'anima.
L'animazione è stata assunta come prospettiva metodologica, nell'idea che l'educare è anche creare un'alternativa, non nel senso rivoluzionario di cambiare tutto ma nel senso di dare valore all'immaginare e costruire una realtà diversa ( il cambiamento è possibile ).
Metodo di promozione comunitaria diretto a stimolare lo sviluppo culturale degli individui e dei gruppi, orientato a sensibilizzarli nei confronti dei propri bisogni ed aspirazioni, e a favorire la comunicazione tra loro per porre in valore le proprie capacità creatrici.
Occorre, per questo, realizzare le condizioni della partecipazione e della creatività e trovare i luoghi o i supporti dell'azione comune.
È importante costituire bene i sottogruppi - giovani, adulti, anziani, immigrati - affinché possano beneficiare il meglio possibile dell'animazione.
Particolare attenzione deve essere data alle sub-culture che hanno il loro proprio linguaggio, il loro proprio stile di vita e i loro propri bisogni.
Queste categorie sociali costituiscono spesso un non-pubblico e sono i non-utenti e i non-abituati alle attività culturali riservate alle classi più agiate.
L'azione culturale può essere considerata una forma di educazione popolare che favorisce la democratizzazione della cultura e la formazione permanente.
Due sono gli scogli da evitare: il primo è il concepire l'animatore culturale come un semplice funzionario o un militante anche se la sensibilizzazione alle responsabilità politiche può costituire un obbiettivo valido dell'animazione.
Il secondo scoglio è il perseguire l'educazione popolare con spirito di condiscendenza come se si intendesse far " discendere " l'alta cultura verso le classi disagiate, i quartieri poveri, gli immigrati.
Si tratta invece di far " salire " i più poveri culturalmente verso le forme più elevate della cultura aiutandoli ad accedervi con i propri gusti e le proprie motivazioni.
I mezzi esterni sono secondari nei confronti dei mezzi educativi.
Facilitare mediante sussidi l'ingresso nei teatri, nei musei, nelle mostre d'arte, all'opera è certamente uno dei modi di promozione della cultura, ma spesso queste iniziative non favoriscono che i privilegiati già abituati al linguaggio della grande arte, ai modi del pubblico raffinato e familiari della cultura detta di " élite ".
Non è facile per i " non-abituati " oltrepassare le barriere di una certa segregazione culturale.
Ne deriva tutta l'importanza di aiutare gli esclusi della cultura a sviluppare a poco a poco i propri talenti, a situarsi nei confronti della vita collettiva, a partecipare insieme alla propria elevazione sociale e culturale, a cercarsi i mezzi e l'audacia di creare, di comunicare liberamente tra loro e con l'insieme della società.
L'iniziazione agli audiovisivi, all'uso diretto della radio e della TV comunitarie sono mezzi eccellenti.
Nelle società dominate dai mass-media, una delle funzioni prioritarie dell'animazione culturale è quella di formare coloro che ne usano alla critica, all'apprezzamento e alla scelta dei programmi offerti dalla radio, dalla TV, dal cinema, secondo i criteri di uno sviluppo progressivo delle persone, delle famiglie, delle comunità umane.
Importa soprattutto formare il gusto in vista di una consumazione selettiva dell'immensa produzione delle industrie culturali.
Questo lavoro di animazione, per sé, non richiede che un supporto istituzionale leggero e può essere intrapreso con mezzi semplici.
L'animazione culturale può essere perseguita in tutti gli ambienti educativi o di formazione permanente.
Essa è organizzata in maniera sistematica o professionale nei centri culturali e nelle case di cultura.
Questi centri sono spesso affidati ad animatori o ad animatrici molti dei quali sono specializzati in campi specifici.
Il termine " animatica " è talvolta usato per indicare tutte le questioni attinenti all'animazione culturale.
L'animazione svolge un ruolo sociale fondamentale nei processi d'individuazione, lettura, analisi dei bisogni/desideri e nell'attivazione di percorsi in cui persone e organizzazioni possano riconoscersi e valorizzare il proprio potere d'azione in relazione a se stesse e al proprio contesto di vita, riscoprendo significati e prospettive dell'azione collettiva.
Fare animazione è facilitare processi attraverso i quali le persone scoprano la propria capacità di abitare il tempo, anche quando questo è un tempo di crisi, un tempo conflittuale o apparentemente vuoto.
L'animazione contribuisce allo sviluppo delle competenze sociali in età evolutiva e, allo stesso tempo, lavora al loro potenziamento in età adulta, sia a livello individuale che collettivo.
Parallelamente il lavoro animativo gioca una funzione significativa nello sviluppo della capacità di riconoscere, esprimere, valorizzare i diversi punti di vista, aiutando a costruire ponti di dialogo per la costruzione delle comunità.
Gli attuali scenari impongono la riscoperta dell'animazione come promozione, costruzione, rafforzamento dei legami sociali; integrazione fra mondi diversi, che hanno bisogno di individuare spazi di relazione, confronto e scontro generativo per sostenere la progettazione di cambiamenti possibili.
La partecipazione rimane il passaggio obbligato: l'animazione è la vita, la vita del gruppo, del quartiere, della città, della popolazione.
è un operatore il cui intervento è finalizzato all'attivazione dei processi di sviluppo delle potenzialità delle persone, dei gruppi e delle comunità anche in riferimento all'emarginazione, all'esclusione sociale e al disagio.
Nell'ambito delle finalità descritte, l'animatore socio-educativo esercita competenze, conoscenze e abilità orientate a proporre, stimolare, organizzare, coordinare, gestire, in modo diretto e indiretto, attività socio educative e ricreative.
Opera prevalentemente nell'area socio educativa, in servizi e progetti a carattere espressivo, comunicativo, ludico e riabilitativo e di promozione dell'aggregazione e dell'animazione sociale.
Può essere impiegato nell'ambito dell'area integrativa socio sanitaria e assistenziale in servizi territoriali, residenziali e semi residenziali e in progetti di prevenzione, cura, riabilitazione e assistenza come per esempio nelle residenze per gli anziani, nei servizi per disabili e nei servizi e/o centri per minori a rischio, adulti in difficoltà, ecc. in riferimento alla normativa di settore.
1. Ogni uomo si porta dentro una sua storia.
Crede in qualcosa o non crede più a nulla.
Questa "fede" condiziona intensamente la sua lettura del reale e i suoi progetti.
Noi ci sentiamo dentro una storia più grande di noi.
È nostra, ma ci supera e ci convoca.
Raccontiamo con la nostra vita questa storia, perché sogniamo che molti altri amici ritrovino in essa ragioni per vivere, per sperare, per impegnarsi, persino per morire.
Questa storia è la storia della passione di Dio per la vita dell'uomo.
Una storia che si chiama Gesù di Nazareth, Maria, Paolo di Tarso, Francesco d'Assisi, don Bosco, Teresa di Calcutta, Franco, Paola, Ivana, Mario, Pietro … tu, io e tanti altri.
2. Trascinati da questa storia, crediamo alla persona di ogni uomo, prima di tutto.
Solo la persona è il nostro grande assoluto.
Sappiamo che viviamo in una situazione di crisi drammatica e complessa.
Sappiamo che la persona è al centro di una trama di relazioni politiche, economiche, culturali, che la condizionano e spesso la soffocano.
Sappiamo che non possiamo ritagliarci un'oasi felice, dove non rimbombino i problemi strutturali.
La storia a cui crediamo e che vogliamo raccontare ci ha convinti però di un fatto: rendere un uomo felice, restituendogli la gioia di vivere, è una piccola cosa nella mischia delle sopraffazioni, degli intrighi, degli sfruttamenti e delle violenze; ma è cosa tanto grande e affascinante, che vale la pena di perdere la propria vita per perseguirla.
3. Per questo crediamo nell'educazione.
E siamo disposti a scommettere sulla sua forza politica e sulla sua capacità di rigenerare l'uomo e la società.
Certo, le ragioni della crisi diffusa sono molte e complesse.
Richiedono interventi molteplici e articolati.
Se l'educazione aiuta a vivere e restituisce quel futuro che è spesso defraudato, essa può far uscire dalla crisi.
4. La nostra scommessa per l'educazione non è un'opzione indifferenziata.
Troppo importante è l'uomo e la sua vita, per restare nel generico, facendo finta di ignorare in quanti modelli diversificati abbia preso corpo l'educazione.
Per noi educazione è animazione: l'animazione è lo stile con cui si fa educazione.
L'animazione non è un capitolo dell'educazione: è invece tutto il suo libro.
5. L'animazione è una antropologia.
È cioè un modo di pensare all'uomo, ai suoi dinamismi, ai processi in cui gioca la sua maturazione.
Ecco la nostra scommessa sull'uomo, come l'abbiamo scoperta progressivamente nella storia che ci è stata narrata.
Ogni uomo è stato fatto capace di autoliberazione.
Per autoliberarsi è indispensabile assumere una coscienza riflessa e critica di se stesso, della propria storia, degli altri e del mondo.
Questa coscienza riflessa e critica è prodotta, sostenuta, incoraggiata dalla relazione interpersonale e soprattutto da quel modello di relazione educativa e comunicativa che è rappresentato dal rapporto di giovani e adulti.
6. L'animazione è anche un metodo: seleziona le risorse educative disponibili in una istituzione e le organizza scientificamente in un modello di relazione educativa e comunicativa, in una strategia fatta di tempi, di luoghi, di agenti, di processi, di strumentazioni.
La scelta antropologica è una scommessa: richiede il coraggio di credere, magari in solitudine, a determinati valori.
L'animazione come metodo, invece, viene appresa lentamente e faticosamente nelle "scuole di animazione".
7. L'animazione ha come obiettivo ultimo e globale la grande pretesa di restituire ad ogni uomo la gioia di vivere e il coraggio di sperare.
La storia in cui ci siamo trovati immersi, ci ha tatto scoprire in Gesù di Nazaret la ragione ultima, decisiva e irripetibile della nostra vita.
L'animazione tende strutturalmente perciò a far incontrare con il Signore della vita.
Non intendiamo strumentalizzare l'animazione per l'evangelizzazione, perché l'animazione è, come tutti i processi umani, una esperienza che possiede una sua intrinseca dignità e consistenza.
Ma per realizzare meglio l'obiettivo dell'animazione, sentiamo il bisogno di testimoniare, con fatti e parole, la buona notizia che Gesù è il Signore.
8. L'animazione come metodo ha un grosso contributo da offrire anche nell'ambito specifico dell'educazione della fede.
Possiamo educare alla fede nello stile dell'animazione.
Lo affermiamo perché la scommessa sull'uomo tipica dell'animazione si porta dentro i germi dell'uomo nuovo che è il credente in Gesù Cristo, e perché le sue scelte metodologiche coincidono con quelle che caratterizzano i processi di educazione della fede esigiti dalla teologia dell'Incarnazione.
Sappiamo bene che educazione e educazione alla fede non sono la stessa cosa.
Esiste perciò un ambito di interventi specifico della fede.
In esso l'animazione risulta preziosa ma radicalmente insufficiente.
Essa perciò fa spazio all'imprevedibile potenza di Dio, concretizzata nell'azione liturgica e sacramentale della comunità ecclesiale.
9. L'animazione è una funzione che prende il volto concreto e quotidiano di una persona: l'animatore.
L'animatore è l'animazione in azione.
Animando, egli racconta la sua storia, perché altri come lui ritrovino la capacita di dare tutto di sé perché la vita si allarghi oltre i confini della morte.
Per fare questo, l'animatore si qualifica: studia, si prepara, esperimenta e verifica.
L'animatore è un tecnico.
Egli crede ad un progetto di vita; nel suo lavoro lo fa emergere continuamente.
È quindi un militante.
L'animazione è l'animatore, tecnico e militante nello stesso tempo.
L'animazione è un autentico ministero liturgico.
L'animatore si mette a servizio dell'assemblea per aiutarla a diventare responsabile della sua preghiera e a vivere pienamente la celebrazione.
Ciò richiede non solo un dono speciale dello Spirito, ma delle specifiche capacità tecniche.
Possiamo distinguere diversi gradi e forme di responsabilità nell'animazione liturgica.
Esistono, infatti, degli animatori che svolgono ruolo durante le celebrazioni, mentre altri hanno delle mansioni da espletare al di fuori del momento liturgico.
Vogliamo innanzitutto riflettere sul ruolo di questi ultimi e soprattutto dei catechisti e di coloro che hanno l'incarico di curare gli spazi della chiesa.
I catechisti hanno una funzione basilare nell'ambito dell'animazione che anticipa i momenti celebrativi.
Essi hanno il delicato compito di accompagnare nel cammino di fede i fanciulli, i ragazzi, i giovani, gli adulti; e, se è vero che la liturgia è una delle componenti più importanti dell'esperienza di fede del cristiano, ne consegue che il catechista dovrà essere attento e saggio animatore liturgico.
Così si esprime il documento-base della CEI Il rinnovamento della catechesi: "Il catechista deve studiare e spiegare attentamente il senso, talora recoindito ma inesauribile e vivo, dei segni e dei riti liturgici, osservando non tanto il loro simbolismo naturale, ma considerando piuttosto il valore espressivo proprio che essi hanno assunto nella storia dell'antica e della nuova alleanza.
L'acqua, il pane, il radunarsi in assemblea, il camminare insieme, il canto, il silenzio, lasceranno trasparire più chiaramente le verità di salvezza, che evocano e che misticamente realizzano" ( n. 115. anche i nn. 27-29, 32, 45-46, 113-117).
Ne deriva che la catechesi aiuta il cristiano a comprendere e vivere la liturgia, e la liturgia pienamente vissuta diventa essa stessa catechesi.
Il catechista ha il dovere di capire e vivere per primo questo dinamismo per poterlo poi proporre e far comprendere a quanti sono stati affidati alle sue cure.
Generalmente si sottovaluta una serie di servizi che precedono le nostre liturgie e che sono alla base dell'animazione liturgica stessa: è bene rivalutare e rendere qualitativamente più adeguato il servizio reso da coloro che sono incaricati della preparazione del luogo in cui la celebrazione si svolge.
Oltre la giusta attenzione affinché il luogo della celebrazione sia sempre pulito e accogliente, si deve curare una sensibilità particolare per la giusta disposizione di tutte le strutture che si utilizzano nelle liturgie: sedie, banchi, credenze, altare, libri, vasi sacri, candelieri, fiori, illuminazione, impianto sonoro …
I luoghi di culto non sono fatti per essere riempiti di tante cose!
La preoccupazione non deve essere quella di moltiplicare i segni o le suppellettili all'interno delle nostre chiese, ma di utilizzare ogni cosa in maniera discreta e sempre a servizio della celebrazione.
Non è assolutamente vero, ad esempio, che tantissimi fiori contribuiscono alla "riuscita" di una celebraanzione, anzi, spesso è vero il contrario.
Pertanto potrebbe essere più adeguata una sola composizione floreale che pone in risalto la sede della parola di Dio ( ambone ), che tanti fiori posti a caso che occultano i segni liturgici, o risaltano degli arredi o delle suppellettili che nulla hanno a che fare con la celebrazione.
Ciò che più conta non è la quantità ma la giusta collocazione delle cose.
Mons. M. Magrassi affermava: "I "segni" per parlare al cuore non hanno bisogno di molti fronzoli.
La bellezza si allea volentieri con la semplicità.
Occorre trovare il giusto equilibrio tra la banalità e la sciatteria da una parte e la sontuosità barocca che diventa ostentazione dall'altra".
È quindi importante che coloro che guidano le comunità ecclesiali si preoccupino di assicurare un essenziale cammino formativo anche a coloro che rendono un servizio così umile e nascosto ma altrettanto necessario per lo svolgimento delle liturgie.
La ricchezza delle nostre liturgie necessita di un gran numero di servizi da svolgere, ma anche una capacità di organizzazione e armonizzazione di questi stessi servizi.
C'è quindi da provvedere ad una distribuzione dei ruoli previsti in relazione all'azione liturgica da celebrare, all'assemblea e alla disponibilità dei ministri.
Ci saranno quindi animatori incaricati di
facilitare la convocazione dei fedeli attraverso un servizio di accoglienza:
altri chiamati a proclamare la Parola ( lettore, salmista );
altri che prestano la loro opera affinché i segni liturgici che vengono compiuti significhino appieno le realtà di salvezza che contengono ( presidente dell'assemblea; diaconi, accoliti … ):
altri cureranno l'aspetto musicale ( guida dell'assemblea, strumentisti, coro, direttore del coro, sofisti, salmista );
un altro interverrà in momenti differenti per eventuali spiegazioni ( munizioni ) utili per la piena partecipazione dell'assemblea ( commentatore ).
Ciascuno cercherà, compiendo il suo servizio, di far avanzare la celebrazione assicurandone il ritmo, gli accenti, le necessarie pause o intervalli; l'equilibrio fra la durata delle diverse parti ecc.
L'esercizio del ministero dell'animazione domanda, da parte di coloro che si pongono al servizio dell'assemblea, alcune disposizioni a tutti comuni e che sono altrettante condizioni per una riuscita dell'esercizio del proprio ruolo.
È indispensabile. anzitutto, che gli animatori si pongano di fronte all'assemblea e al suo servizio in un atteggiamento giusto.
Ne conoscano anzitutto la cultura; i problemi, le attese, le possibili tensioni nonché le dimensioni numeriche e le concrete possibilità di espressione, per non chiedere più di quello che i fedeli non possono dare, per non esercitare nessuna forma di violenza morale e quindi per tener conto, per quanto è in loro, di tutti e non solo di alcuni con i quali possono sentirsi più affini: e soprattutto, per non separare l'evento salvifico, di cui si fa memoria nella celebrazione, dal suo farsi presente nella storia e nella vita di una concreta comunità di credenti.
Gli animatori devono inoltre avere chiara consapevolezza, sia sul piano teorico sia su quello operativo; dei propri personali limiti e di quelli inerenti al compito che svolgono: non abbiano mai la pretesa di sostituirsi agli altri e tanto meno all'assemblea.
Così, ad esempio un cantore canta per facilitare e sostenere il canto di tutti e non per sommergerlo con la propria voce o mortificarlo.
Ciascun animatore dovrà essere dotato di fantasia e di immaginazione per imprimere vivacità e varietà alla celebrazione, per evitare un certo meccanicismo che ingenera facilmente assuefazione e tedio e anche per non ripetere in un'assemblea ciò che si è visto fare in un'altra; magari molto diversa nella composizione e nella natura.
Sarà attento ad aderire personalmente a tutto ciò che dice e che compie, per aiutare gli altri a fare lo stesso, conscio del suo ruolo di mediazione che lo terrà lontano da un duplice pericolo:
1) quello di attirare l'attenzione più sulla sua persona e sulle sue tecniche espressive che non su Colui di cui è segno o sull'evento di cui è strumento;
2) quello di compiere gesti distaccati; impersonali, neutri e niente affatto incisivi.
A queste condizioni l'azione liturgica diventerà una vera professione di fede e una reciproca esperienza di comunione con Dio e con i fratelli.
Ma per realizzare tutto questo è necessaria una attenta e continua formazione.
Il cammino formativo dell'animatore liturgico dovrà procedere secondo cinque linee basilari essenziali:
1) formazione biblica,
2) formazione ecclesiologico-pastorale,
3) formazione liturgica,
4) formazione spirituale,
5) formazione tecnica, secondo le diverse mansioni.
L'animazione di un'assemblea non è un'attività da realizzare sotto la spinta della casualità.
L'articolazione dei riti, la pluralità dei ministeri, le diverse composizioni dell'assemblea esigono una programmazione e una progettazione accurata.
Affinché tutta l'assemblea possa realizzare una partecipazione piena, consapevole e fruttuosa alle celebrazioni è importante acquisire un metodo.
Metodo significa "strada per …", è quindi un percorso che mi conduce in maniera spedita alla meta che mi sono prefisso.
Definiamo regia celebrativa proprio questa strada privilegiata per la realizzazione di una celebrazione piena e consapevole.
Come ogni cammino, anche il metodo di regia celebrativa ha delle tappe progressive che riassumiamo schematicamente in cinque punti:
1) progetto.
2) programma.
3) preparazione.
4) celebrazione.
5) verifica.
Sfogliando i libri liturgici possiamo scoprire una ricchezza di indicazioni che spiegano la natura e lo scopo delle sequenze rituali.
Queste affermazioni configurano quello che definiamo "progetto" della celebrazione.
Un progetto non è mai compiutamente realizzato, ma è necessario per passare in maniera chiara ed efficace da una formulazione teorica ad una realizzazione concreta.
Durante la realizzazione di un'opera il progetto non va mai accantonato o dimenticato, ma è necessario tenerlo sempre presente affinché le concrete realizzazioni possano continuamente ispirarsi ad esso.
L'animatore deve comprendere profondamente il rito che deve essere realizzato rispondendo con chiarezza alla domanda: "cosa dobbiamo celebrare e quali frutti deve realizzare nella mia assemblea questa celebrazione?"
Il progetto può riferirsi all'intera celebrazione o a una parte di essa.
Riguardo alla celebrazione eucaristica si potrebbe ricercare e chiarire il progetto globale, ma anche il progetto di singoli riti ( riti introduttivi, liturgia della Parola, liturgia eucaristica … ).
Ecco alcune piste per la comprensione del progetto in riferimento alla celebrazione eucaristica.
1. Comprensione esauriente dei testi che spiegano la natura dei riti attraverso le indicazioni di Principi e Norme per l'uso del Messale Romano ( PNMR ).
C'è una tentazione molto pericolosa e diffusa tra gli animatori liturgici: dare per scontata la comprensione dei riti.
Quante confusioni nell'interpretare la finalità di un rito o di una sua parte!
Ad esempio, in molti ancora ritengono che l'Agnello di Dio sia il canto che accompagna il gesto di pace, mentre in PNMR 56e.114 "scopriamo" che si tratta della litania che accompagna la frazione del pane.
2. Comprensione dei riti alla luce del mistero liturgico celebrato nel tempo.
Il progetto liturgico di un rito acquisisce sottolineature diverse a seconda del tempo in cui viene realizzato.
L'atto penitenziale delle domeniche di quaresima, ad esempio, assume un tono più significativo e appropriato che in altri periodi dell'anno liturgico.
3. Comprensione dei riti alla luce della parola di Dio da celebrare.
La caratterizzazione propria di ogni celebrazione è data dalla varietà della parola di Dio che in essa viene proclamata.
I segni liturgici sono a servizio dell'incarnazione di questa parola.
Parola e gesto si completano a vicenda, e, integrandosi, realizzano meglio la portata comunicativa di tutta la celebrazione.
4. Comprensione dei riti alla luce delle parti celebrative proprie: antifone di ingresso e di comunione, colletta; orazione sulle offerte, prefazio, orazione dopo la comunlone.
Queste componenti rituali pongono in evidenza il tono che la celebrazione nel suo insieme deve realizzare, e, raccogliendone i contenuti, si può comprendere ancora meglio il progetto celebrativo da realizzare in concreto.
5. Comprensione del significato di quel rito o di quella celebrazione per la mia assemblea.
La celebrazione è gesto liturgico di un'assemblea concreta col proprio cammino di fede, la propria maturità spirituale, i propri limiti, le proprie attese, la propria storia …
La celebrazione porta con sé questo "bagaglio" di religiosità e di umanità che la rende celebrazione reale, inserita nella storia, sempre nuova, continuamente disponibile a realizzare in pienezza il culto in spirito e verità.
Si è già notato come nei libri liturgici si può scoprire una ricchezza di indicazioni che spiegano la natura e lo scopo delle sequenze rituali e che queste affermazioni configurano il "progetto" della celebrazione.
Continuando a prendere in mano i libri Liturgici notiamo che questi, oltre presentare la natura dei riti, contengono delle affermazioni che propongono e descrivono i riti attraverso i quali si concretizza la celebrazione, e nei quali il progetto si incarna per diventare realtà celebrativa nelle assemblee.
Queste asserzioni - che non sono solo di tecnica rituale, ma spiegano anche il significato che ciascun elemento rituale ha in sé o nel contesto - configurano quello che chiamiamo il "programma" o i vari "programmi".
Un progetto, quindi, prende corpo in programmi che sono le diverse soluzioni rituali che si hanno a disposizione per realizzare una celebrazione o parte di essa.
Spesso infatti i libri liturgici presentano varie possibilità di realizzazione di un uguale progetto.
Cerchiamo di esemplificare questi concetti teorici prendendo in considerazione l'atto penitenziale della celebrazione eucaristica.
L'atto penitenziale fa parte dei riti di introduzione il cui scopo "è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio ed a celebrare degnamente l'Eucaristia" ( Principi e Norme per l'uso del Messale Romano. 24 ).
Il senso e lo scopo "teologico" ( = progetto celebrativo ) dell'atto penitenziale è contenuto nell'ultima affermazione: disporre i fedeli a celebrare degnamente l'Eucaristia.
Se qui è descritta la finalità del rito ecco che nelle pagine 295-300 del Messale Romano ci vengono offerte diverse possibilità di realizzazione ( programmi celebrativi ) del rito stesso di fronte alle quali dobbiamo compiere una scelta.
Vengono proposte tre formule alternative, ma la terza formula offre a sua volta 17 variazioni a seconda del tempo liturgico, per un totale di almeno 19 diversi programmi.
L'atto penitenziale può essere quindi realizzato secondo diverse modalità, ma c'è ancora un'alternativa per le messe domenicali: la sua sostituzione con il rito di benedizione e di aspersione con l'acqua benedetta ( Messale Romano, pagine 1031-1036 ) che consta di due formulari principali a loro volta diversificati a seconda del tempo Liturgico, per un totale di 5 variazioni.
A questo punto è giusto chiedersi: se il messale è così ricco di programmi rituali alternativi, come mai le nostre celebrazioni sono sempre uguali?
Il teologo liturgista Domenico Mosso, con tono scherzoso ma indubbiamente efficace, dice: "Eh sì sono finiti i bei tempi in cui per dire messa bastava andare in sacrestia, dare un'occhiata al calendario liturgico, vestirsi e poi trovavi tutto di seguito ( o quasi ) sul messale, senza problemi di scelta.
Ma è proprio una mania dei tempi moderni, questa! Bisogna fare scelte …".
Anche nella liturgia! ( La messa e il messale. L'arte di celebrare. LDC, p. 24-25).
Ecco quindi quattro indicazioni pratiche e imprescindibili per cercare e scegliere il programma rituale più adatto per le nostre celebrazioni:
1. "studiare" il Messale Romano e riscoprire la ricchezza qualitativa e quantitativa dei programmi rituali in esso contenuti;
2. prendere coscienza delle varie modalità proposte dal Messale per la realizzazione dei singoli momenti celebrativi;
3. ricercare le soluzioni rituali più adatte per celebrare quanto abbiamo compreso dall'analisi del progetto;
4. compiere una scelta conforme al tempo liturgico, alla configurazione dell'assemblea, ai tempi a disposizione per lo svolgimento della celebrazione, ai mezzi tecnici di cui ci si può avvalere.
Dopo aver compreso il progetto e, conseguentemente, aver scelto il programma adatto, si deve passare alla concreta esecuzione della celebrazione.
Prima però è necessario curare una preparazione immediata attraverso la quale può essere data chiarezza a cosa, dove e come devo predisporre per una celebrazione.
La parola d'ordine è "prevedere-provvedere-predisporre".
Il prefisso "pre" indica una attività da anticipare nel tempo, da realizzare prima di qualche altra cosa.
Il termine "preparare" significa:
"rendere qualcosa pronta all'uso, fornendola di tutto il necessario;
mettere qualcosa o qualcuno nelle condizioni necessarie ad affrontare una determinata situazione;
mettersi nelle condizioni migliori per realizzare qualcosa".
La preparazione dei momenti celebrativi è quindi quella tappa imprescindibile della regia celebrativa che consente di realizzare nel migliore dei modi le Liturgie.
La "tecnica" opposta alla preparazione è l'improvvisazione, tecnica assai diffusa nell'allestimento delle nostre celebrazioni.
Preparare una celebrazione significa innanzitutto predisporre le persone che in essa interagiscono.
Questa preparazione comporta l'esigenza di un cammino formativo remoto e immediato che coinvolga non solo i ministri ma anche l'intera assemblea.
Ogni celebrazione, nella propria singolarità, va' sempre "provata".
Coloro che proclamano dei testi devono acquisire quella giusta padronanza che consenta disinvoltura e convinzione nel farli diventare celebrazione.
Anche i movimenti dei ministri e dei ministranti non vanno mai improvvisati, soprattutto in occasioni particolari.
È importante ricordare che l'assemblea liturgica è portata a cogliere più facilmente, distraendosi, quelle situazioni in cui gli attori litrici incespicano o sbagliano, che i tanti momenti in cui la celebrazione procede con linearità, ritmo e ordine.
Certamente la "preparazione" delle persone è alla base della buona riuscita di una celebrazione, ma non bisogna sottovalutare la "preparazione" delle "cose" utili per lo svolgimento dell'azione liturgica.
Quanti momenti di panico e quanti atteggiamenti bruschi e carichi di impazienza quando manca qualcosa!
Si pensi ad esempio al sacerdote che, durante la celebrazione eucaristica, si accorge di non aver predisposto il calice, l'ostia, la chiave del tabernacolo, oppure non è stato preparato il lezionario con le letture corrispondenti alla liturgia del giorno, il microfono è spento e … chi più ne ha più ne metta!
Potrebbe essere utile a questo proposito un promemoria da scorrere velocemente, soprattutto in circostanze particolari, nel momento in cui si deve predisporre quanto sarà utile per la celebrazione.
Ecco un esempio:
a) Attori
1. assemblea,
2. presidente ( eventuali concelebranti ).
3. altri ministri ( diaconi, accoliti, ministri straordinari della comunione, lettori )
4. ministranti.
5. animatori musicali ( coro, solisti, guida del coro, guida dell'assemblea, tecnico del suono ).
6. commentatore,
7. altri …
b) Luoghi
1. Chiesa ( presbiterio: sede, mensa, ambone: aula dell'assemblea ), sacrestia.
c) Libri liturgici e eventuali sussidi per l'assemblea
1. messale,
2. lezionario,
3. orazionale.
4. altri rituali per i sacramenti e i sacramentali.
5. fogli per la messa.
6. libretti o fogli dei canti.
d) Altro
1. impianto di amplificazione ( microfoni sufficienti, disposizione e uso dei microfoni, dosaggio volumi … ),
2. suppellettili e vasi sacri ( croce astile, candelieri, turibolo, navicella, calice, pisside, ostie sufficienti, aspersorio … ),
3. impianto luci.
Questo promemoria può essere personalizzato a seconda delle esigenze delle particolari comunità celebranti.
Concludiamo il nostro itinerario di approfondimento sulla regia celebrativa riflettendo sulla realizzazione della celebrazione e sulla verifica.
Dopo aver percorso le prime tre tappe della regia ( progetto-programma-preparazione ), siamo giunti al momento in cui dobbiamo dar vita alla celebrazione, dobbiamo cioè fare in modo che questa concreta assemblea celebri usando gli elementi del programma rituale scelto per attuare il progetto.
Presentiamo sinteticamente alcuni consigli utili da tener presenti durante lo svolgimento di una celebrazione:
1. Adattarsi alle situazioni non considerate senza lasciarsi prendere dal panico.
2. Cercare di porre l'assemblea a proprio agio.
3. Creare un clima di preghiera e di coinvolgimento.
4. Evitare i protagonismi ( esibizionismo, teatralità, "faccio tutto io" … )
5. Evitare eccessivi e inutili spazi di attesa.
6. Salvaguardare i momenti di silenzio.
7. Ecco uno "slogan" molto utile per qualsiasi animatore:
"Quando basta una frase; non fare un discorso.
Quando basta una parola, non dire una frase.
Quando basta un gesto, non dire una parola.
Quando basta uno sguardo, non fare un gesto".
La quinta e ultima tappa della regia celebrativa è la verifica.
Abbiamo avuto modo di accennare al senso e al metodo della verifica delle liturgie presentando i compiti del gruppo liturgico parrocchiale, ma vale la pena dire qualcosa in più.
Innanzitutto è importante compiere una duplice valutazione delle liturgie: subito dopo la loro realizzazione e in un momento successivo.
La revisione immediata permette di cogliere senza indugio la positività o l'inadeguatezza delle scelte compiute e messe in opera attraverso la regia celebrativa.
Ci si deve chiedere immediatamente se le nostre soluzioni rituali hanno "funzionato" e se l'assemblea è stata messa in condizione di celebrare con una partecipazione consapevole e coinvolgente.
La revisione postuma consente una riflessione più matura e pacata sulla celebrazione e apre alla possibilità di confrontarla con le precedenti cosi da verificare l'intero cammino di animazione liturgica dell'assemblea, ponendo in evidenza i progressi o i regressi che si realizzano nelle nostre celebrazioni.
Affinché la verifica sia "vera" non basterà accogliere esclusivamente le impressioni e le analisi degli animatori liturgici ma sarà fondamentale recepire analizzare le reazioni dirette dei componenti dell'assemblea.
È importante, in sede di verifica, non valutare esclusivamente gli aspetti tecnici della celebrazione, quanto invece cercare di comprendere
se l'assemblea si è sentita partecipe dell'attuazione del memoriale della risurrezione di Cristo realizzato nella liturgia;
se si è favorita una vera apertura all'amore del Padre per accogliere il dono della parola e dell'evento sacramentale,
e se si è realizzato un senso profondo di preghiera comune.
In sede di verifica, specialmente nei primi tempi, è importante non scoraggiarsi a motivo di eventuali "insuccessi".
Sappiamo bene come sia difficile per un singolo cristiano imparare a pregare, a lodare, a ringraziare …
Realizzare una celebrazione comunitaria non può che essere ancor più impegnativo poiché questa necessita anche del cammino di fede e di preghiera personale del singolo fedele.
È quindi inutile ostinarsi sulle tecniche celebrative se prima i nostri fedeli non recuperano la disponibilità a percorrere un cammino di fede e di spiritualità profonda.
Nella sua essenza, "animare" significa comunicare la vita, lo spirito, la gioia, la vitalità, l'entusiasmo per mettere la Chiesa o una Congregazione religiosa in stato di missione permanente.
L'animazione missionaria è, quindi, ogni attività che mira a creare, sviluppare e mantenere viva nel popolo di Dio la coscienza missionaria, in modo particolare, sulla dimensione universale della missione.
Perciò, la cooperazione è il primo frutto dell'animazione missionaria, intesa come spirito e vitalità che spinge i fedeli, le istituzioni, le congregazioni e le comunità ad una responsabilità universale ad gentes.
Ma "animare" non significa soltanto realizzare iniziative, promuovere dei grandi eventi, spettacoli …
Animazione missionaria significa, soprattutto, formare una mentalità, creare una mistica, una spiritualità dove la vita diventa missione.
Si tratta di creare una mentalità che diventi un'abitudine permanente nelle persone, nelle istituzioni e nelle comunità cristiane.
Così, lo zelo missionario, frutto di questa mistica, diventa una scelta di vita.
Possiamo dire che la mistica e l'animazione missionaria sono inseparabili.
Lo scoraggiamento, l'indifferenza, la chiusura e la mancanza di entusiasmo per la missione sono segni di una crisi di mistica e di spiritualità missionaria.
Gesù, che viveva in intima comunione con il Padre, era il missionario che realizzava la volontà del Padre per eccellenza.
È lui che è stato inviato dal Padre per proclamare la Buona Notizia ( Mc 1,38-39 ).
"Lo Spirito del Signore è sopra di me; … per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione" ( Lc 4,18-21 ).
L'Animazione Missionaria si concretizza in esperienze di vita, scelte personali e comunitarie fondate su un forte impegno spirituale, teologico, culturale e umano.
Andate in tutto il mondo e portate il messaggio del vangelo a tutti gli uomini ( Mc 16,15 ).
Animare significa comunicare vita e spirito.
L'animazione missionaria è una azione pastorale per far diventare missionarie le persone, le istituzioni, le comunità cristiane, in una parola tutte le Chiese che con il Papa formano la Chiesa Universale
È un'azione pastorale che vuole anzitutto creare una coscienza missionaria:
aperta alla mondialità,
capace di accoglienza e di servizio,
cosciente del diritto/dovere di annunciare il Vangelo.
L'Animazione Missionaria promuove la ricchezza del termine "missione".
Coniuga sempre l'educazione e l'evangelizzazione, l'attenzione alla originalità alla ricchezza delle culture che nell'incontro con il Vangelo, non vengono soppresse, ma purificate, rinnovate, perfezionate.
Mi è capito spesso di pensare a questo tema e di cercare di sottolineare il fondato rapporto tra animazione e catechesi.
Una sottolineatura che, purtroppo, spesso non viene compresa perché si immagina che l'animazione sia solamente uno strumento che si può più o meno utilizzare nella catechesi, mentre l'animazione va ben oltre questa immagine strumentale, per diventare uno stile preciso che è in sé catechesi.
Se abbiamo il coraggio di prendere l'animazione in modo serio, scopriremo come sia inevitabile cambiare il modo tradizionale di fare catechesi.
Se invece non intendiamo procedere in questa strada certamente togliamo all'animazione gran parte della sua vera potenzialità, relegandola solo a strumento.
Nell'atto catechistico la comunità ecclesiale propone la sua esperienza di fede ai figli che ha generato alla vita in Gesù Cristo.
Il protagonista concreto è una persona fisica: il "catechista".
Egli fa catechesi su un mandato ricevuto dalla comunità, senza diventarne solo un semplice esecutore.
Egli è sempre un "testimone", cioè testimonia, nello stesso tempo e con la stessa intensità, la sua esperienza di vita e un evento che giudica e misura di questa sua stessa esperienza.
Egli si esprime attraverso un atto catechistico che non può essere manovrato a piacimento, aggiustato e adattato a tutte le più disparate situazioni.
Anche l'animazione ha una sua struttura logica sostanziale: obiettivi precisi, metodologie proprie, strumentazioni congeniali, protagonismi irrinunciabili.
Nel dialogo tra catechesi e animazione, dobbiamo escludere l'uso strumentale.
La catechesi non può utilizzare l'animazione come uno strumento, buono e aggiornato, per risolvere i suoi problemi.
E l'animazione non può usare l'atto catechistico, per ammantarsi di religiosità.
Animazione e catechesi sono "realtà" culturali, dotate di una loro precisa logica.
Quando vengono assunte solo in modo strumentale sono svuotate della loro vera forza.
L'animazione ha una sua logica; la catechesi ha le sue esigenze.
In concreto c'è compatibilità solo se c'è possibilità di assumere "tutte" le esigenze dell'animazione, quando si fa catechesi in stile di animazione e tutte le esigenze della catechesi, quando si fa animazione in stile di catechesi.
Esiste questa compatibilità?
Oppure le diverse esigenze si escludono reciprocamente?
Chiunque vive l'animazione "davvero" sente che questa compatibilità è possibile ed auspicabile.
Ma la risposta deve essere data, di conseguenza, al livello di una catechesi che sa interrogare se stessa e sa definire la sua specificità, provocata nel confronto con l'animazione.
Animazione e catechesi devono riconoscere teoricamente una reciproca compatibilità, per dialogare nell'atto catechistico in prospettiva di animazione.
Dal momento che l'animazione rappresenta uno stile globale di presenza e di relazione educativa e comunicativa, si può fare catechesi secondo lo stile dell'animazione?
E questo in che modo può essere un reciproco "guadagno".
Fare catechesi in stile di animazione fa crescere catechesi e animazione nello stesso tempo.
È vera questa affermazione?
Per valutare la compatibilità tra catechesi e animazione, bisogna prima chiedersi "perché" si fa catechesi e animazione.
Quali obiettivi si vogliono assicurare?
Che modello d'uomo sta a monte di tutto il processo?
Quale l'ambito in cui si svolge l'azione e quale il modello di struttura comunicativa in cui si sviluppa il processo?
La prima considerazione investe la domanda di fondo: perché nella comunità ecclesiale si fa catechesi.
Perché qualcuno decide di giocare un po' del suo tempo e delle sue energie per caricarsi la responsabilità di fare catechesi?
Sarebbe molto interessante girare questa domanda ai "catechisti" di una parrocchia.
Ne uscirebbero molte risposte e diverse tra loro.
Alcuni porterebbero delle ragioni soggettive di ordine agli aspetti vocazionali, che spingono una persona a scegliere la catechesi come servizio nella comunità ecclesiale.
Altri porterebbero delle ragioni oggettive, quelle che chiamano in causa l'identità e la missione della Chiesa nella storia.
Spesso, queste ragioni oggettive sono espresse con grandi proclami come "costruire il regno di Dio", "operare per la salvezza", "costruire la Chiesa"…
Ci sono infine le "frasi fatte": quelle che uno tira fuori dal deposito rassicurante della sua memoria, quando non sa più dove sbattere la testa.
Le prime espressioni, quelle in cui pesano soprattutto le motivazioni di ogni catechista, hanno l'importante funzione di recuperare alla soggettività personale il dato oggettivo.
Mentre le seconde esprimono la "verità" delle scelte personali perché immettono in un progetto oggettivo e grande, di cui ci si sente "testimoni".
Sembra così che il problema della "intenzione" per cui si fa catechesi si riduca a superare i luoghi comuni e a misurare adeguatamente le ragioni soggettive con quelle oggettive.
Questo ragionamento può essere esteso anche all'animazione?
Oppure non si può porre perché si tende a collocare catechesi e animazione su due piani diversi: soprannaturale il primo, umano il secondo?
Proviamo a dare risposta a questo interrogativo.
Certamente al centro rimangono le ragioni "oggettive" che chiamano in causa l'identità e la missione della comunità ecclesiale.
Queste ragioni sono però sempre espresse con parole umane, prese a prestito da esperienze di uomini, formulate dentro precisi codici culturali.
In tal senso oltre alle ragioni soggettive del catechista, ci sono le ragioni per cui ragazzi e giovani "vengono al catechismo".
Essi non possono essere considerati i recettori passivi di un servizio oggettivo.
Ne sono invece i protagonisti.
Un ulteriore elemento poi è tratto dai modelli culturali, caratteristici del contesto in cui si fa la catechesi.
Questi modelli culturali permettono di riscrivere in situazione le grandi ragioni oggettive.
Affermare che si fa catechesi perché sia assicurato il regno di Dio, oppure perché la chiesa si consolidi e si espanda, oppure perché la salvezza di Gesù si diffonda, comporta sempre un gioco linguistico.
Il grande "evento" dell'amore di Dio si esprime e si incultura in un modello culturale; e così diventa parola d'uomo, per essere parola per l'uomo.
In un tempo come il nostro, nel quale sono cambiati molti modelli culturali, è facile dire delle cose superate, lontane, indecifrabili per l'uomo d'oggi.
Forse è proprio questo il motivo per cui ci si difende con le frasi ad effetto e nei luoghi comuni, quando si fa catechesi.
La risposta alla domanda sulla "intenzione" globale per cui si fa catechesi investe dunque due esigenze: da una parte chiede il coinvolgimento diretto dei protagonisti ( chiesa, catechista, giovani ); dall'altra esige l'assunzione di un modello culturale, il più vicino possibile al mondo reale dei protagonisti.
Ed ecco che qui entra in gioco l'animazione!
La prima esigenza ( quella del coinvolgimento ) è tutta tipica dell'animazione: il coinvolgimento nel rispetto dell'asimmetria relazionale è uno degli imperativi fondamentali della animazione.
Chi crede all'animazione non sopporta più che si tentino cose importanti fuori da un contesto di corresponsabilità.
Rispetta e cerca l'asimmetria educativa; ma la vuole come una necessaria qualità della corresponsabilità.
Questo modello ci permette di scoprire la chiesa del Concilio.
La seconda esigenza ( quella del modello culturale ) trova nell'animazione l'offerta di un contributo preziosissimo.
L'animazione definisce il suo modello educativo a partire da una scommessa antropologica sull'uomo, di grande e incondizionata fiducia.
Chi crede all'animazione sa che nelle domande dei giovani, affermate o silenti, non c'è un nemico da cui difendersi o una libertà da controllare; ma la verità dell'uomo, almeno a livello germinale.
Per questo l'animazione è educazione!
La fortuna dell'animazione è legata alla sua capacità di cogliere i riferimenti antropologici più vivaci, perché dà la parola ai protagonisti.
Non cerca di interpretarli, ma li ascolta.
La catechesi tradizionale parte invece da presupposti teologici, da visioni collocate al di sopra dei problemi e dell'ascolto dei veri protagonisti.
L'animazione può offrire alla catechesi un suo contributo prezioso, di taglio culturale, per ricollocarla in contemporaneità con l'oggi.
Se la "passione per la vita" esprime il centro dell'animazione, non potrebbe rappresentare anche il nucleo centrale in cui la catechesi riesprime, in linguaggio attuale, le grandi esigenze di sempre?
La catechesi è una delle azioni che la comunità ecclesiale pone per attuare la salvezza di Gesù Cristo e per assicurare la costruzione del regno di Dio.
Ma se affermiamo che essa è per la "vita", diciamo esattamente la stessa cosa dentro un modello culturale nuovo, assunto dall'esistenza quotidiana dei protagonisti dell'atto catechistico.
La sostanza è la stessa; cambia solo il codice culturale.
Si tratta però di un cambiamento importante.
Se continuassimo a definire la ragione della catechesi con le parole "vecchie", correremmo il rischio di svuotarla, ripetendo frasi ad effetto, che risuonano faticose per i protagonisti dell'atto catechistico.
E così la catechesi si ridurrebbe a semplice trasmissione di cose da conoscere o a proposta di comportamenti etici da assicurare.
La consapevolezza di questa situazione ci fa tendere a una sua riformulazione … e l''animazione ci fornisce gli strumenti e i codici per questo cambiamento.
Affermando la piena corresponsabilità nella "passione per la vita", l'animazione dà alla catechesi il suo contributo unico, ricevendo nello stesso tempo il contributo dall'esperienza di fede che la catechesi ha suscitato in noi.
Ci permette di parlare di "passione per la vita" sapendo di non dire parole vane, perché sono parole giustificate dall'incontro con il Signore Gesù, e ci fa scoprire la corresponsabilità come strada maestra.
Il prodotto che scaturisce da questo processo è nuovo e prezioso.
Ha trasformato la catechesi e l'animazione.
Una catechesi, impegnata nella promozione della vita … restituisce ogni persona alla consapevolezza della propria dignità … rimette la vita al centro dell'esistenza … comporta un rapporto nuovo con se stessi e le cose per ricostruire il progetto di Dio.
Riguardare la catechesi dalla parte dell'animazione parlando di "vita" è una sfida che può essere colta favorevolmente dai giovani e dagli educatori più sensibili.
In una nuova attenzione alla vita possono cogliere la qualità di ciò che sono e del servizio che possono fare.
Se la vita può essere il filo rosso sul quale animazione e catechesi possono trovare un terreno "amico", spesso viene dichiarata una divergenza tra catechesi e animazione sui contenuti e sulla loro proposta.
La catechesi certamente non può rinunciare a fare proposte oggettive e sistematiche e oggi, dopo alcune esperienze sperimentali, si sta tornando a modelli un pò nostalgici, come se si dovesse recuperare una dimensione dottrinale.
L'animazione è da tempo proiettata nel solco della relazione e sembra mettere in secondo piano i contenuti.
Una conclusione un po' affrettata potrebbe considerare quindi incompatibili tra di loro due realtà così differenti.
Siamo ( in molti ) invece convinti che è possibile fare catechesi in stile di animazione, senza minimamente tradirne i contenuti e la sua funzione oggettiva.
Ma per provare a considerare questa possibilità bisogna cercare di comprendere quali sono i contenuti dell'animazione.
Certamente quando si parla di animazione non abbiamo in mente l'animatore turistico, ma pensiamo ad un'animazione che possiede contenuti e cerca uno stile propositivo.
Un'animazione che non fa concorrenza alla catechesi ma che propone dei contenuti che possono sostenere quelli che la catechesi propone e ritaglia un modello di comunicazione che può risultare prezioso per la catechesi stessa.
Il contenuto fondamentale dell'animazione è la "vita", scoperta e accolta come un evento oggettivo e soggettivo.
Per "vita" intendiamo la possibilità di valorizzare al massimo la soggettività di ogni esistenza umana, in particolare quella dei giovani.
L'animazione si esprime in particolare attraverso l'adulto che fa l'animatore.
Un adulto che in una relazione asimmetrica è attivo, positivo, testimone, coinvolgente, accogliente e che soprattutto riconosce l'interlocutore già ricco di valori cercando di tirare fuori quello che già ha in sé, per aiutarlo a scoprire il progetto di vita nascosto in lui.
Nella catechesi i contenuti sono precisi, articolati e sono invitati continuamente a fare riferimento a Gesù Cristo e al suo messaggio.
Questo "fare catechesi" è consolidato in un sistema di conoscenze e normato secondo una struttura ufficiale che permette di poter esprimere la fede personale "dentro" la fede della Chiesa.
Questi contenuti "rivelati" vanno "trasmessi" e vanno comunicati da qualcuno che possiede l'autorevolezza necessaria per farlo.
Ma questi contenuti non sono estranei alla "vita" … anzi, la riguardano in modo decisivo.
"Rappresentano la rivelazione della sua dimensione più profonda e decisiva.
Sono la manifestazione di quanto essa si porta dentro, per quel dono radicale che l'ha costituita come "vita"; e sono il progetto definitivo a cui essa tende, quando la vita avrà vinto per sempre il mistero della morte.
Testimoniare i contenuti della fede nella catechesi significa perciò, in ultima analisi, parlare della vita, servire la vita, rivelare quello che ciascuno vive e spera, senza saperlo".
I grandi temi del Vangelo non sono "parole", ma fatti.
Gesù non ha "spiegato" ai suoi interlocutori chi è quel Dio che lui chiamava suo Padre.
Ha posto segni concreti e sperimentabili.
Il Vangelo è un'esperienza che si fa messaggio, in un gesto che diventa proposta di un progetto, articolato e dotato di un suo spessore di verità.
Un progetto che viene proposto senza separare il contenuto da colui che lo propone e da coloro per cui è proposto.
Un progetto che si fa messaggio, che si orienta su Gesù, ma che passa anche attraverso la storia del catechista e del giovane al quale è proposto.
In tal senso la catechesi diventa una grande storia da narrare, un racconto che diventa "vita".
Narrare per testimoniare e per comunicare la verità lasciandosi coinvolgere per coinvolgere.
Narrare per evitare l'imposizione di contenuti preconfezionati che non "toccano il cuore", ma per vivere l'esperienza del discepolo.
Una catechesi che narra la "vita" richiede un soggetto narrante, dotato di autorevolezza che però non è un individuo isolato, ma è parte di una catena ininterrotta di narratori ( la comunità ), di cui egli è l'ultima espressione, e che ha alla radice il grande narratore del padre: Gesù.
Il narratore è perciò una comunità di narratori ( la Chiesa ).
Una catechesi che narra la "vita" diventa una catechesi in stile di animazione che trasforma, prima di tutto, il catechista in animatore impegnato a produrre vita attorno a sé.
Una catechesi che narra la "vita" sa che la vita è come un piccolo seme, capace di crescere per la forza che si porta dentro quando sono rispettate e protette le condizioni che gli permettono di esprimersi.
Per questo, il catechista animatore cercherà in tutti i modi di far emergere la vita contenuta in quel seme senza esserne il "padrone", ma solo come "servo inutile".
Questo catechista ha quindi una passione innata per la vita raccontando una storia di vita per aiutare a vivere.
Lo fa perché l'ha sperimentato in prima persona.
E lo fa con speranza, perché sa che la forza della vita è più grande della sua finitezza.
In questo si sente testimone di Gesù e del suo Vangelo.
Non ha nulla da insegnare agli altri.
Ha però una grande esperienza da comunicare, di cui tutti hanno il diritto di chiedergli ragione, perché coinvolge la "vita".
Un catechista dell'animazione può "vivere" anche tutta la parte che riguarda il gruppo.
Se la catechesi è comunicazione può essere espressa molto bene in una relazione di gruppo, evitando errori molto diffusi quali il "dialogo tra il maestro e il discepolo" o "il dialogo tra il maestro e molti ascoltatori passivi".
Nella relazione di gruppo il soggetto della relazione è il gruppo che accoglie i contenuti, li fa propri per raccontarli in una storia non solo tra il catechista e i giovani, ma anche tra i giovani stessi.
Per dare "vita" a questo gruppo il catechista si impegna a costruirlo senza immediatamente somministrare contenuti.
Poi favorisce la crescita di relazioni e di interazioni che permettano a ciascuno di sentirsi libero all'interno del gruppo.
Infine attiva ogni soggetto condividendo i contenuti perché la crescita cristiana di un giovane è sempre personale.
Gesti e storie che abitano la comunità, perché la "vita" non può mai essere separata dalla comunità.
In tutto questo, il catechista che sceglie lo stile dell'animazione ha uno strumento privilegiato in una corretta relazione comunicativa.
Il catechista "esiste" perchè ha qualcosa di dire di importante, che comunica non per trasmettere informazioni e neppure per tentare sottili processi persuasivi.
Comunica perché ciascuno sappia riprendere in mano la sua "vita", sappia leggerla dentro prospettive più grandi, sappia giocarla per un futuro più esaltante da protagonista attivo e critico.
È una comunicazione che diventa "educativa"!
È possibile quindi una catechesi in stile di animazione ... se l'animazione guarda al futuro con una speranza radicata sulla "vita" e se la catechesi guarda la "vita" per renderla il più possibile simile a quella di Gesù.
Portare il Vangelo del Padre nel cuore dell'uomo perché regni la vita e non più la morte, la luce e non le tenebre, la grazia e non il peccato: ecco il Cuore di Gesù, la Sua passione apostolica.
Un accorrere di gente comune, provata nel corpo e nello spirito, segnata dai dolori e dalle tribolazioni.
Desiderosi di ricevere un miracolo o sentire almeno una parola diversa dalle altre e che possa cambiare la vita.
La folla di ieri come la folla di oggi.
Dietro a Gesù: è la vocazione della Chiesa, in un clima di ginnastica della compagnia ad essere ancora segno profetico per l'uomo di oggi.
Per questo la strada è quasi luogo teologico proprio perché sui selciati dell'esistenza umana, dentro la cultura della vicinanza, Dio ha colto le sofferenze dell'uomo, di tutti gli uomini … anche dei più piccoli.
A proposito di piccoli.
I Vangeli rivelano l'amore di Gesù per gli ultimi e soprattutto per i bambini.
Dice il Vangelo di san Marco: « Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano ».
Di fronte all'insofferenza dei discepoli come allo sdegno dei sommi sacerdoti, Gesù assume un altro atteggiamento.
C'è, infatti, una completa divergenza tra il suo modo di valutare persone e avvenimenti e il loro.
Per Gesù il « bambino » è addirittura il modello di discepolo che ha in mente.
Dice infatti: « Se non vi convertirete e non diverrete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli » ( Mt 18,3 ).
E l'amore di Gesù per i bambini è prontamente ricambiato.
Essi sono affascinati da Lui.
La loro presenza attorno al Maestro è una costante che attraversa la vita pubblica del Cristo, e proprio perché li ama e ne è riamato, diviene il loro amico e il loro vero « maestro ».
E questo non era vero solo duemila anni fa per le strade della Palestina, ma continua e continuerà ad essere vero nello scorrere del tempo per tutti i bambini del mondo.
Lo stare in mezzo ai piccoli, lo scegliere i bambini come condizione indispensabile per accedere al regno dei cieli non è per Gesù un fatto secondario.
C'è di mezzo uno stile che dice soprattutto fedeltà ad una identità, fedeltà ad un progetto che ha in Dio e nell'uomo i protagonisti assoluti.
Nei vangeli troviamo l'uomo in situazione: gli amici, i nemici, gli apostoli, gli indifferenti, le donne, gli ammalati, i cercatori di Dio, la folla e insieme chi è stato chiamato per nome: Nicodemo, Zaccheo, Lazzaro, Simone, Marta, Maria … ieri!
Oggi tutti gli altri che hanno fatto la scelta di Dio e continuano a scrivere pagine da annoverare dentro la Storia della salvezza.
E i bambini … non scelgono di stare dietro le quinte.
Vogliono un posto di rilievo.
Sulla scena.
Ed ecco allora la piazza, un luogo dove scorazzare liberi in attesa di incontrare il Nazareno e di attaccarsi alla sua veste.
Il Cristo è colui che sta in mezzo alla scena feriale della vita e da cui ogni relazione trova significato.
Ha scelto per questo la via dell'uomo, pronto a percorrere i sentieri dell'umanità per dare speranza e amore gratuito.
Il Figlio di Dio è il punto di partenza di ogni riflessione e di ogni tensione educativa che anima la vita delle nostre comunità cristiane e di ogni Oratorio.
L'atteggiamento del Cristo rimanda allo stile del perfetto evangelizzatore-accompagnatore.
C'è una sorta di dinamicità nella staticità della figura proposta dall'icona.
Il suo chinarsi sui piccoli declina le varie modalità della passione educativa: relazione, partecipazione, sentimento, compassione e sguardo amorevole, accompagnamento.
Le pagine evangeliche raccontano del seguito di Gesù.
Sempre in movimento sulle strade e nelle case degli uomini.
La folla lo ha scelto perché in Lui riconosce l'uomo di Dio che sta dalla parte dei più semplici e degli ultimi.
Tutti alla ricerca di un segno o di un miracolo, o anche di qualche parola di speranza che animi la vita dal di dentro.
Ma è pur vero che Gesù rivela completamente se stesso nell'atto di donarsi a tu per tu.
Senza inganni.
Il suo sguardo raggiunge le regione più interne dell'animo, suscita la conversione, muove a cambiamento, spinge a decisioni esistenziali.
« Fissatolo lo amò » ( Mc 10,21 ).
« Non nascondermi il tuo volto » ( Sal 27,9 ): alla ricerca del Volto, scorgiamo la luce che avvolge il Maestro; è Lui il dono per eccellenza, la sua santità è veicolata dalla croce.
I piedi e le mani di Gesù « Come sono belli i piedi di coloro » ( Is 52,7-10 ).
Ha scelto la strada come luogo di annuncio, e sulla strada incontra l'uomo.
Decide di mettersi in movimento per raccontare la tenerezza del Padre e il suo disegno d'amore, e i miracoli sulla strada polverosa d'Israele sono il segno della presenza del divino.
Le mani dell'icona accolgono, stringono relazioni, manifestano affetto.
I piedi invece, sono piantati a terra, dicono stabilità, sicurezza e decisione.
Eppure le mani e i piedi saranno trafitte in un doloroso primo venerdì santo della storia e racconteranno all'incredulo Tommaso la forza della resurrezione.
Le due figure di adulti
Non si sta alla finestra, non si rimane indifferenti ma si entra a far parte di un gioco, di un'alleanza educativa che dice collaborazione, interazione, condivisione di ideali.
Le due figure di adulti sono rappresentati in un duplice movimento: nella figura maschile emerge la stabilità e la sicurezza, in quella femminile la richiesta di collaborazione e la fiducia totale nell'operato dell'altro.
Le figure dei bambini e dei ragazzi
Sulla figura di sinistra l'atteggiamento del bambino rivela paura e richiesta di aiuto.
Su quella di destra, invece, il movimento è verso l'esterno quasi a voler significare l'abbandono delle proprie certezze e del proprio spazio vitale per entrare a far parte di un luogo di condivisione.
Le due figure centrali, invece, manifestano una propria autonomia pur rimanendo fedeli alla figura centrale di riferimento: il Cristo.
È il più grande a spingere l'altro verso Cristo: si appoggia alla madre ma con la mano indica la via che conduce a Cristo.
Chiesa e casa
Non uno sfondo riempitivo né tanto meno spazio decorativo.
Le due realtà a cui rimanere fedeli: la casa e la chiesa.
Dio e l'uomo ( RdC 160 ).
Fedeli ad un impegno che rimanda all'educazione globale dell'uomo.
Da cristiani nel mondo.
Luce e sale della terra.
La pagina di Marco apre spazi pastorali ampi e notevoli.
La vita cristiana deve vivere con fedeltà dinamica e creativa la fede, deve saper raccontare la fedeltà e le meraviglie del Dio-con-noi, sapendo « mostrare Dio » e « dire la fede » in termini innovativi e significativi, facendosi carico di una nuova cultura della speranza.
Perché le comunità diventino trasparenza di Dio nella vita del credente, occorre che esse si manifestino in segni immediatamente percepibili per la maturità umana, la solidarietà fattiva, la compassione e la tenerezza, la fraternità e la pace, la fede che sa rischiare.
Gesù chiede amore perché è Amore.
Chiede l'incontro per donare il Vangelo della Misericordia.
Non solamente un insieme di precetti, di norme o regole, ma la pienezza dell'Amore.
Questo è il suo dono: nelle parole del Maestro c'è tutta la sua missione e la sua identità.
Ora è segnata la via che conduce alla felicità.
Perché lo ha voluto Lui.
Beati perché figli, perché amati da Dio, perché creati a sua immagine e somiglianza.
Le nostre comunità sono chiamate a mostrare un volto fraterno, aperto e accogliente, espressione di un'umanità intensa e cordiale.
Una Chiesa che vive tra le case, vicina alla gente, che ci rende partecipi della bellezza che salva.
In questo modo, le nostre Chiese continuano a mostrare il loro tratto più originale: essere una famiglia aperta a tutti, capace di abbracciare ogni generazione e cultura, ogni vocazione e condizione di vita.
Cristiana del mondo |
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Concilio Ecumenico Vaticano II |
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È missione della Chiesa | AA 5 |
che riconosce e valorizza quanto di buono è nel mondo | GS 42 |
Vocazione, impegno e responsabilità propria dei laici e del loro apostolato | LG 31 |
LG 35 | |
LG 36 | |
AA 2 | |
AA 4 | |
AA 7 | |
AA 16 | |
GS 43 | |
illuminati dall'insegnamento dei Vescovi e dei sacerdoti | GS 43 |
AA 7 | |
Magistero |
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Nota Pastorale CEI - Coordinamento delle attività e l'animazione missionaria delle diocesi | 27-3-1974 |
Animazione e cooperazione missionaria |