Ebraica
Sommario
I - Il concetto di santità ( Qedusàh )Base essenziale della spiritualità ebraica ed espressione caratterizzante per la santificazione della vita quotidiana Il concetto di spiritualità e quindi di santità ( Qedusàh ) nell'ebraismo si origina dalla concezione che la religione non possa considerarsi un compartimento stagno nella vita, ma debba pervadere tutta l'esistenza umana. Per l'ebraismo adorare Dio e spiritualizzare la vita dell'uomo significa tendere alla realizzazione della santità trasferendola a tutte le attività umane. La santità infatti non si riferisce tanto ad una particolare condizione di un luogo, per la quale vige piuttosto il concetto di purità o di impurità, ma a una particolare atmosfera conferita alle azioni umane volte alla celebrazione della spiritualità divina in mezzo agli uomini. La categoria della santità ha un valore in cui non viene necessariamente implicato il concetto etico, anche se per lo più questo avviene. Può pertanto definirsi azione dotata di spiritualità ebraica un'azione nella quale l'eticità è evidente e la santità appare come simboleggiata da un suo collegamento con la divinità. In questo senso la spiritualità caratterizzantesi come ebraica può essere definita spiritualità di santità intesa come realizzazione dell'esistenza, nelle sue molteplici espressioni, come pienezza di vita ebraica. L'attuazione dei principi della tradizione ebraica nella vita sociale e in quella privata, nei rapporti tra l'ebreo e Dio ispirati ai suoi insegnamenti praticati in spirito di giustizia, di bontà e di verità, contribuisce a creare il clima di santità secondo l'imperativo biblico del Levitico: « Siate santi perché Io, il Signore vostro Dio, sono santo » ( Lv 19,2 ), che nel suo significato più esplicito può tradursi così: Se voi osserverete questi precetti, voi realizzerete quella santità che Dio esprime in senso assoluto. Un moderno commentatore della bibbia scrive: « L'aggettivo qados ( santo ) riferito a Dio si trova anche presso altri popoli semiti e, a quanto sembra, aveva quale significato essenziale quello di "separato, lontano". Esso indicava la differenza, la distinzione esistente tra Dio e gli uomini, senza alcun significato morale. Riferito da Isaia al Dio d'Israele questo termine esprime tutto quanto di elevato e di sublime distingue l'eterno creatore dalle sue creature caduche, ma questa sublime altezza abbraccia soprattutto il concetto di perfezione morale che è lo specifico carattere del Dio d'Israele. Isaia dava al concetto di santità e all'aggettivo santo un contenuto nuovo, cioè l'ideale della superiore perfezione morale che distingue il Dio del profetismo ».1 Il concetto morale schiuso dal complesso della precettistica ebraica, impregnato dalle idee e dallo spirito divino, conferisce alla spiritualità ebraica il significato derivante dal termine Qedusàh ( santità ). La stessa essenza morale della divinità viene riassunta con le parole santità e santo; Dio è santo quale espressione della più alta ed assoluta perfezione morale. Essendo Dio santo in senso assoluto, egli esige dal popolo d'Israele, cioè dal popolo definito e chiamato ad essere « regno di sacerdoti e nazione santa », la traduzione e l'applicazione della santità in ogni momento della sua esistenza individuale, familiare, sociale e nazionale. Tale espressione di spiritualità ebraica non va confusa con un atteggiamento di misticismo ascetico che si volge al cielo rinunciando - per timore del peccato - al quotidiano adempimento dei doveri sociali. La santità, al contrario, è una categoria spirituale che l'ebreo può conquistare e potenziare in se stesso grazie all'adempimento dei suoi specifici doveri umani e mediante l'attuazione della propria vita ebraica. All'ebreo viene posto quale modello di imitazione non già un profeta od altra elevata personalità umana, ma Dio stesso che di tale santità è espressione assoluta e che dei sentieri della santità appare maestro al popolo ebraico mediante la rivelazione. Tale spiritualità ebraica non è limitata ad una pratica morale, rituale o ad un'espressione di purezza fisica e cerimoniale: essa appare piuttosto come una carica di umanità e di spiritualità grazie alla quale l'uomo, in uno slancio di "imitatio Dei", da essere finito tende ad espandersi per partecipare all'infinito. Ciononostante la santità non è un atto di grazia che scende all'uomo dal cielo. « L'elezione è condizionata, è una presunzione di capacità »; per questo tale ideale di spiritualità non esige una particolare disposizione al sacrificio, quanto, piuttosto, un atteggiamento mentale da normale creatura umana chiamata a vivere nel mondo con le sue naturali espressioni di gioia, di piacere, di speranze. Ogni atto della vita, ogni gesto può entrare nell'ambito del sacro quando vi sia questa coscienza del rapporto continuamente presente tra l'individuo e Dio. « Dio è dappertutto, non già per la qualità che gli è propria dell'onniscienza… ma perché noi, gli agenti della santificazione, lo trasportiamo ovunque si esercita la nostra penetrazione… Ed il nostro "mezzo di trasporto" o, se preferite, il nostro sistema di inserzione, si realizza attraverso le mille prospettive della Toràh ( Insegnamento ) che comunica ovunque e sempre la conoscenza sotto l'aspetto religioso, essendo essa, nella sua totalità, la religione, il legame per eccellenza ».2 Questo complesso di pratica di vita ebraica enunciato nell'AT è stato reso più esplicito ed applicabile nel corso dei secoli dalla Halakàh rabbinica, cioè dalla guida interpretativa dei maestri delle tradizioni giuridiche dell'ebraismo. Questa ha infatti dato luogo ad un insieme di norme, costumanze e tradizioni dirette a stimolare nell'ebreo l'applicazione, la traduzione in atti della Qedusah. II - I doveri ebraici ( Miswot ),Momenti di raccordo spirituale tra il divino e l'umano, quali simboli e segni dell'esperienza religiosa ebraica Il fine che si propone l'ebraismo è di elevare l'individuo e la comunità ad un livello di perfezionamento etico-religioso. La spiritualizzazione dell'idea di Dio doveva costituire l'elemento determinante per orientare la vita dell'ebreo verso questa meta. Pertanto il sentimento di dipendenza dell'uomo verso Dio divenne l'elemento chiave della coscienza religiosa ebraica e il fondamento essenziale sul quale era possibile avviare il processo di spiritualizzazione dell'esistenza quotidiana dell'ebreo. Egli doveva infatti essere posto in condizione di avvertire la presenza della Divinità in ogni istante della vita e non semplicemente nel luogo di culto o nel momento della preghiera. In casa e fuori, nell'esercizio della propria consueta attività, in ogni momento e in ogni azione l'ebreo venne così aiutato e stimolato a conseguire una piena coscienza del divino. Lo scopo di far acquisire all'ebreo una seconda natura religiosa, tendente ad una spiritualizzazione costante della sua personalità umana e del suo comportamento, fu conseguito grazie alle miswot. Queste rappresentano una fitta rete di doveri che costituiscono la pratica dell'ebraismo. Grazie alle miswot l'individuo viene stimolato al raggiungimento di una meta fondamentale: avere sempre la consapevolezza istintiva della presenza di Dio come fonte di energia morale e spirituale per il credente. Mediante l'esercizio delle miswot ogni azione dell'ebreo viene elevata, sublimata in atto di adorazione e di riconoscimento della volontà di Dio. Questa tradizionale pratica ebraica non investe solo un importante settore della vita, ma tutta l'esistenza quotidiana dell'ebreo, nei giorni feriali come nei giorni festivi, nei riti e nelle cerimonie familiari, nei simboli che pervadono ogni manifestazione della vita. La consapevolezza della dipendenza dell'uomo da Dio entra così gradatamente nella coscienza religiosa dell'ebreo attraverso un complesso di atti, di benedizioni, di atteggiamenti che contribuiscono ad alimentare in lui il senso del divino, la presenza dell'Assoluto in lui e intorno a lui. A. I. Heshel delinea assai bene tutto ciò quando scrive: « Nessuna abitudine all'ordine sociale, fisico e psicologico deve smorzare il nostro senso di sorpresa di fronte al fatto che questo ordine esiste. Noi ci esercitiamo a conservare il nostro senso di meraviglia recitando una preghiera prima di prendere il cibo. Ogni volta che stiamo per bere un bicchiere d'acqua ci rammentiamo dell'eterno mistero della creazione: "Benedetto sii Tu… che tutto ebbe esistenza per la tua parola"… Quando desideriamo mangiare del pane o della frutta, oppure godere di una gradevole fragranza o di un calice di vino, nell'assaporare per la prima volta frutta di stagione, nel contemplare l'arcobaleno o l'oceano, nell'osservare alberi in fiore, nell'incontrare un saggio nella Toràh o nella cultura laica, nell'apprendere buone o cattive notizie, ci è stato insegnato di invocare il suo grande nome e la nostra consapevolezza di lui ». « Questa è una delle mete a cui tende il vivere ebraico: sentire gli atti più banali come avventura spirituale, percepire l'amore e la saggezza che si celano in tutte le cose ».3 Alla luce di quanto esposto assume particolare significato spirituale la miswàh della Mezuzàh, cioè di quel piccolo astuccio che l'ebreo attacca allo stipite della porta e in cui è contenuta una minuta pergamena sulla quale sono tracciate le parole bibliche che ricordano fondamentali principi ebraici quali: l'unità di Dio, l'amore del Signore verso l'umanità, i doveri che l'ebreo ha verso i propri figli. Analogamente la miswàh dei Tefilin ( filatteri ) richiama all'osservanza dello studio assiduo della Toràh, la regolare fedeltà a certe pratiche che contribuiscono ad imprimere abitudini ricche di spiritualità anche quando la mente non è attenta alla pratica del sacro. È d'altra parte questo costante esercizio che predispone nell'ebreo osservante quei momenti grazie ai quali l'anima entra in armonia con la spiritualità dell'azione anche quando questa appare banale a chi la osservi dall'esterno. Certe forme religiose, superflue a chi non ne comprende i contenuti, fanno parte di quel sistema di vita ebraica che appartiene ad un ordine spirituale con una sua logica spirituale e che talvolta non è pienamente comprensibile se non a chi lo vive. III - Il sabato come santificazione del tempoTra le miswot ( doveri ) fondamentali dell'ebraismo, doveri tendenti a creare un particolare clima spirituale, va ricordata l'osservanza del sabato. Questa istituzione, citata nelle prime pagine della bibbia, posta al culmine della creazione divina, riconfermata solennemente nel quarto comandamento del decalogo, riassume in se stessa la fondamentale categoria della santità. A prescindere dai profondi significati etico-sociali e religiosi che fanno del sabato un momento essenziale della vita ebraica, la pratica del sabato viene accolta come un 'oneg, cioè una vera e propria delizia spirituale, destinata a rinnovare settimanalmente l'esistenza dell'ebreo, cui conferisce coscienza delle sue aspirazioni ideali e della sua fede. In un mondo in cui tutto viene arraffato dal violento, dal più forte perché ciò che più importa oggi è dominare lo spazio, cioè tutte le cose che vengono a contatto dei sensi, l'istituto del sabato consacra la presenza di Dio nell'universo. Esso ricorda all'uomo quanta maggiore importanza può avere per lui il succedersi degli eventi, il divenire delle generazioni, il susseguirsi della storia. Compito dell'uomo non è tanto consacrare lo spazio quanto consacrare il tempo, cioè introdurre la menuhah ( il riposo ), la serenità dello spirito, l'indipendenza e la libertà dalle condizioni sociali, dalle tensioni, dagli interessi, dagli affari, dalle preoccupazioni materiali. Il sabato ebraico - scrive Heshel - diviene così il simbolo « dell'armistizio nella lotta crudele che l'uomo conduce per l'esistenza, una tregua in tutti i conflitti individuali e sociali, la pace tra uomo e uomo, tra l'uomo e la natura, la pace all'interno dell'uomo ». Il sabato diviene l'invito imperioso a non pensare, almeno nel settimo giorno, ai beni materiali legati allo spazio, bensì a consacrare il tempo. Per questo è proibito eseguire di sabato tutti i favori che furono necessari per la costruzione del Santuario del deserto… « Il sabato stesso è un santuario che viene costruito nel tempo». Il sabato è la prima istituzione biblica che viene definita qados ( santa ); è infatti scritto alla fine del racconto della creazione: « Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò », cioè lo dichiarò qados. Per l'ebraismo « il sabato è fatto per celebrare il tempo, non lo spazio. Per sei giorni alla settimana noi viviamo sotto la tirannia delle cose dello spazio; il sabato ci mette in sintonia con la santità nel tempo; in questo giorno siamo chiamati a partecipare a ciò che è eterno nel tempo, a volgerci dai risultati della creazione al mistero della creazione; dal mondo della creazione alla creazione del mondo » ( Heshel ). IV - Le festività ( Mo'adim )Come celebrazioni dello spirito divino agente nella storia Come per il sabato, la vita spirituale ebraica fa convergere il senso del sacro in ogni altra celebrazione festiva. Pesah ( Pasqua ), ricorrenza dedicata all'evento storico della prima libertà conseguita dal popolo ebraico; Sawuot ( Pentecoste ), destinata a ricordare la rivelazione del Sinai; Sukkoì ( festa delle capanne), celebrazione della provvidenza dispensata da Dio al popolo durante il suo remoto vagare nel deserto per quaranta anni. Queste feste costituiscono altrettante miswot, cioè occasioni per la realizzazione di atti religiosi, grazie ai quali si esprime non soltanto l'osservanza ebraica, ma una maniera di concepire la vita giustificata da un preciso significato spirituale. Grazie anche a queste miswot l'ideale etico-religioso ebraico viene orientato in manifestazioni di richiamo per i singoli individui invitandoli ad una partecipazione sociale. Per questo motivo durante la caratteristica cena ( Seder ) delle prime due sere di Pasqua, il rito assume toni suggestivi che conferiscono ad ogni momento del cerimoniale significati spirituali altamente espressivi. Cosi ad es. quando il celebrante ricorda ai familiari e agli altri commensali le antiche parole: « In tutti i secoli ogni uomo ha il dovere di considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall'Egitto ». Qui non si ha semplicemente la liberazione nazionale di un popolo, perché quella remota redenzione viene ripensata nella prospettiva di un'esperienza umana universale. Altrettanto dicasi del tono sociale dell'invito introduttivo alla cena pasquale che suona: « Chiunque ha fame venga e mangi, chiunque è nel bisogno venga e faccia la Pasqua », e il cui contenuto trascende il dominio puramente religioso e permette ad ognuno, credente o non credente, di essere ugualmente partecipe di una fede accettabile a tutti. È stato giustamente rilevato che l'ebraismo è una religione della storia, una religione del tempo. Questo significa che nella concezione ebraica della Divinità avviene un processo inverso a quello che si verifica nella concezione pagana. Mentre questa, partendo dalla natura, arriva ad avvertire la presenza di forze sovrumane che definisce deità, nella concezione biblica, al contrario, dall'intuizione dell'esistenza della Divinità l'uomo arriva a sentire e a spiegare la presenza della natura. La creazione stessa fu perché Dio era. L'atto creativo è il primo evento della storia. Pertanto, mentre le divinità pagane erano associate a templi, ad oggetti o elementi facenti parte integrante del complesso naturale ( mare, alberi, fuoco, cielo, ecc… ), la Divinità, quale fu concepita dalla bibbia, è legata soprattutto agli eventi storici. Anche quando il concetto del sacro ( qados ) investe - come nell'ebraismo - un popolo ed una terra, questi hanno tuttavia un valore secondario in quanto essi rappresentano il mezzo per promuovere l'incontro spirituale tra Dio e l'uomo. Ciò che ha maggiore importanza infatti sono i momenti del tempo in cui Dio e l'uomo hanno stabilito la loro "alleanza", cioè il momento in cui ha avuto luogo il loro incontro, più che i luoghi dell'incontro stesso. Per questo motivo le celebrazioni festive non sono mai prive di una loro memoria storica. La liberazione dall'Egitto non è un semplice simbolo religioso, ma è un fatto che si è verificato nella storia, durante la quale era presente Dio, cioè lo spirito divino che si manifesta attraverso atti che si sono verificati in un certo momento del tempo. Analogamente talune celebrazioni festive hanno potuto e potrebbero rimanere vive ed attuali unicamente grazie al loro significato temporale, cioè di evento storico verificatosi nel tempo, più che per il loro pur importante significato agricolo, che ha un valore legato allo spazio, cioè in relazione con la terra d'Israele. In questo senso giustamente nota Heshel: « Fu gloria della Grecia l'aver scoperto l'idea del cosmo, il mondo dello spazio; fu conquista d'Israele l'aver sperimentato la storia, il mondo del tempo ». V - Capodanno ( Ros ha Sanah ) e giorno di espiazione ( Kippur )Quali celebrazioni dello spirito Nello spirito dell'ebraismo ricercare Dio, pensare a lui, averlo presente significa innanzitutto "ritornare a Dio". Il principio religioso del "ritorno" ( Tesuvàh ) ha un valore fondamentale nell'esperienza religiosa ebraica. Il rapporto uomo e Dio è tutto costruito su questa premessa per la quale Dio invita l'uomo traviato a rispondergli, cioè a ristabilire l'equilibrio morale che egli ha infranto, lo invita a tornare ad esercitare il bene e la giustizia: « Tornate a me ed io tornerò a voi » ( Zc 1,3 ), dice il profeta. In questo ricercato incontro tra l'uomo e Dio il principio della Tesuvàh ebraica si pone come elemento spirituale essenziale per la rinascita morale dell'individuo. Se l'uomo giunge alla consapevolezza dell'errore compiuto, egli avverte il dissidio interiore che lo stimola al « hesbon ha-nefes », cioè all'esame spirituale entro la sua coscienza. Questa Tesuvàh sarà resa operante quanto più l'uomo approfondirà il suo processo intimo esercitando una autocritica, promuovendo il suo pentimento per il male compiuto. Il motivo del ritorno è dominante nelle pagine della bibbia, particolarmente in quelle profetiche ed impregna di sé due importanti solennità: il Ros ha-Sanàh ( Capodanno ) e il Kippur ( giorno di espiazione ). I dieci giorni intercorrenti tra Ros ha-Sanàh e Kippur sono come un raccordo spirituale che collega le due solennità e stimola l'uomo ebreo a ricercare, particolarmente in questi giorni, un più profondo approccio col divino, sottoponendo ad un accurato ed esauriente esame la propria condotta, aprendo il proprio animo a Colui che invita il peccatore a "tornare". Tesuvàh dunque è la condizione spirituale essenziale maturata nella coscienza e il fermo proposito di tornare a percorrere la retta via. I maestri del Talmud hanno spesso esaltato il valore spirituale della Tesuvàh come mezzo di riavvicinamento a Dio. Commentando un verso del profeta Isaia essi hanno insegnato: « Nel luogo in cui si trovano coloro che compiono la Tesuvàh non sono degni di sedere neppure i giusti perfetti, perché è scritto: "Pace, pace al lontano e al vicino" ( Is 54,10 ), prima al lontano e poi al vicino ».4 VI - Le benedizioni ( Berakot )Quale espressione di omaggio e devozione spirituale verso Dio; la preghiera etica ( Tefilah ) Nel quadro della spiritualità ebraica occupano un posto di rilievo la Berakàh ( la benedizione ) e la Tefilàh ( la preghiera ). Se alla base di ogni esperienza religiosa c'è la consapevolezza dell'onnipresenza divina in tutto ciò che circonda l'uomo, questa consapevolezza è tale nell'ebraismo che ha sensibilizzato l'osservanza religiosa divenendo cosi un costante richiamo all'ebreo a scorgere in ogni cosa la presenza di colui che è autore di tutto. Se in ogni cosa e in ogni evento è possibile riconoscere la presenza di Dio, questo costituisce una sollecitazione ad avvertirla mediante una riconoscente parola di benedizione: « Sii benedetto Tu, o Signore nostro Dio Creatore del mondo… ». Numerose sono le circostanze in cui all'ebreo è comandato di esprimere il suo grazie di fronte a colui che ha creato l'universo. Nelle circostanze liete e in quelle tristi, negli eventi inaspettati e in quelli prevedibili, incontrando persone degne di lode o assistendo a fenomeni della natura, una benedizione deve salire alle labbra per testimoniare e ricordare che l'uomo non vive in un deserto spirituale, ma in un universo animato dall'eterna presenza del Creatore. Volendo poi caratterizzare la Tefilàh, la preghiera ebraica, la si potrebbe definire preghiera etica poiché in essa l'idea della liberazione individuale si trasforma rapidamente in idea di redenzione della collettività ed infine in quella di redenzione dell'umanità. Un'immensa fiducia nelle possibilità spirituali degli uomini, la profonda fede nella giustizia e nella bontà di Dio, la speranza nell'avvento di una migliore umanità: sono questi, in sintesi, gli elementi essenziali della preghiera ebraica. VII - Istituzioni della vita familiare e nazionaleLa spiritualità ebraica intesa come Qedusàh, quale espressione e dimensione del sacro nella vita umana, riaffiora in momenti dell'esistenza quotidiana in cui ciò che è spirituale non è una conquista compiuta, un atto definitivo, ma un valore al quale si partecipa, un significato che si crea continuamente attraverso gli atti pratici e consueti della giornata. In questa concezione del sacro, il quale convive con ogni atto apparentemente profano, trova spazio e motivo animatore il concetto dell'elezione del popolo d'Israele. Questi può definirsi un paradigma storico della Qedusàh in quanto è chiamato a diventare « regno di sacerdoti e nazione santa » ( Es 19,6 ). Elezione, nello spirito biblico, non va fraintesa come discriminazione verso altri popoli per privilegiarne uno. "Popolo eletto" significa un popolo al quale Dio si è accostato e che Dio ha scelto. « Il significato del termine "elezione" va quindi inteso in relazione a Dio e non rispetto ad altri popoli. Non si riferisce ad una qualità inerente al popolo ebraico, ma ad un rapporto che esiste tra quel popolo e Dio » ( Heshel ). La stessa precettistica che detta le norme alimentari ebraiche, tra le quali sono da ricordare le classificazioni in animali puri ed impuri, va compresa in un ordine spirituale. Pur non escludendo a taluni precetti una loro razionale giustificazione, essi non appaiono accettabili se non per obbedire a quella istanza di santità che vuole regolamentata la vita dell'ebreo secondo una particolare dimensione spirituale. Le stesse norme bibliche di purità ed impurità sono state assunte come elementi religiosi di particolare importanza per la realizzazione di quelle mete etiche, sociali e religiose indicate da Dio alla comunità d'Israele. Per chi giudica dall'esterno certi atti, le norme religiose che presiedono all'alimentazione ebraica sembrano talvolta menomare l'intima sostanza della religione, mentre appare assolutamente il contrario a chi tali norme vive quotidianamente. L'ebreo osservante che vive dall'interno la sua esperienza religiosa comprende tutti i motivi ideali che emanano da questo particolare modo di vivere religioso. Qualcuno ha affermato, e non a torto, che gli ebrei hanno trasportato Dio perfino in cucina; questo ci sembra emblematico e sta ad indicare che certe tradizioni e costumanze non rimpiccioliscono la religione come altri sostiene, ma, al contrario, spiritualizzano le più ordinarie consuetudini ed atti dell'esistenza identificandoli con l'atto più elevato, la comunione con Dio. Non esiste infatti atto piccolo o grande che non sia possibile "santificare", secondo la concezione religioiosa ebraica. Per questo ancora al concetto di Qedusàh ( santità ) si collega l'istituto del matrimonio definito pure col termine di Qidusin. Il matrimonio ebraico, pur configurandosi giuridicamente come un contratto, viene elevato ad un livello di Qedusàh tale da proiettare nell'unione coniugale lo stesso rapporto d'amore e d'unione con Dio. È infatti nel matrimonio, più che in ogni altra pratica di vita ebraica, che si riflette il valore essenziale del patto tra Dio ed Israele, patto avvertito come unione, cioè come « superamento della solitudine dell'uomo-ebreo, inteso come identificazione del proprio linguaggio spirituale con quello di Dio e del mondo ». Il principio della purità e dell'impurità trova largo spazio nella relazione tra i coniugi. La purità della famiglia con la pratica del Miqwéh, cioè del "bagno rituale" cui si sottopone la donna ebrea dopo ogni ciclo mensile, è una forma rituale per riacquistare la purezza fisica, cioè per sentirsi legata, insieme con suo marito, a quelle disposizioni del patto con il quale si sintonizzano tutte le norme ebraiche di Qedusàh che testimoniano la presenza di un'idea. Anche le stesse norme di Qedusàh relative all'unione coniugale costituiscono quindi « un atto di fede nella santità della vita, nella santità del vincolo matrimoniale, nella santità del rapporto coniugale, nella presenza di Dio in questo dominio "privato" dell'uomo ». Ancora una volta si costata che per l'ebraismo non l'idea del bene è la più alta; nella bibbia infatti essa occupa il penultimo posto in quanto il bene non può esistere senza il Qudos, senza il sacro. Infatti - osserva Heshel - le cose buone furono create nei primi sei giorni e il settimo giorno Dio lo proclamò Qados, santo. VIII - Lo studio della TorahI maestri della tradizione ebraica attribuirono importanza sostanziale allo studio assiduo del patrimonio spirituale dell'ebraismo che definirono con il termine di Toràh, impropriamentè tradotto "Legge" e che significa "Insegnamento", cioè rivelazione divina approfondita dagli interpreti qualificati del pensiero ebraico. La struttura unitaria del sistema di vita ebraico è rappresentata e teorizzata dalla Toràh, nella quale il popolo ebraico ha ravvisato un potenziatore delle sue energie e l'anima della sua resistenza nella storia. Il valore profondo attribuito alla Toràh e il significato eccezionale conferitele, grazie all'opera dei maestri, si è tradotto in un'incessante opera di costituzionalizzazione di tutta la vita della comunità e dell'individuo ebreo. Nel perenne sforzo di realizzazione morale teso a trasfondere il divino nella società, la Toràh ha così assunto una forza di propulsione ideologica straordinaria perché i rabbini, al fine di sensibilizzare incessantemente le risorse intellettuali degli ebrei e vincolarli sempre più alla Toràh scritta ed orale, ne proclamarono lo studio il primo dovere per un ebreo. Essi esaltarono a tal punto il significato del Talmùd-Toràh ( studio della Toràh ) da affermare: « Lo studio della Toràh equivale all'osservanza di tutte le miswot ».5 Infatti essi sostenevano che solo attraverso lo studio di essa si può arrivare all'esatta conoscenza della volontà divina e questa soltanto può essere fonte di un'obbedienza cosciente. Lo studio della Toràh ha trovato perciò la sua massima idealizzazione nella tradizione dell'ebraismo, poiché ad essa è riconosciuto un fine assoluto che esprime la concezione dell'eternità in questo mondo e nel mondo venturo: « Grande è la Toràh, poiché da la vita a coloro che l'adempiono, in questo mondo e nel mondo futuro ».6 Forse ancora più significativo è il valore conferito allo studio della Toràh quale si deduce dalla lettura di questo aneddoto della letteratura popolare ebraica. Si racconta che una volta un rabbino sognò di salire in cielo. Quando fu in paradiso gli fu permesso di accedere al Tempio dove trascorrevano la loro vita eterna i grandi saggi del Talmùd, i Tannaim. Egli si accorse che essi erano seduti semplicemente intorno ad un tavolo ed immersi nello studio della Toràh. Deluso, il rabbino espresse il suo stupore. « È tutto qui il paradiso? ». Ma, d'improvviso, udì una voce: « Ti sbagli, i Tannaim non sono nel paradiso, è il paradiso che è nei Tannaim ». IX - Realtà della vita ebraicaPresso le comunità della diaspora e nello stato d'Israele Quale è oggi la realtà effettiva dell'esperienza spirituale ebraica presso le comunità della diaspora e nello Stato d'Israele? Privata delle sue espressioni concrete, la fede ebraica non avrebbe potuto guidare la vita degli ebrei nel passato come non potrebbe promuoverne la conservazione ancora oggi. Nelle comunità della diaspora, ove esiste il pericolo di una graduale estinzione determinata dall'erosione continua dell'assimilazione, le pratiche della vita ebraica, insieme con l'approfondimento culturale e spirituale dell'ebraismo, costituiscono la base della sopravvivenza dell'ebreo. Non è facile esprimere un giudizio circa il rapporto di osservanza delle miswot tra gli ebrei. Ogni comunità della diaspora che abbia una pur modesta consistenza numerica e sia guidata da un rabbino, maestro di cultura e tradizione ebraica, offre la possibilità agli ebrei di esplicare una vita spirituale confortata dall'esercizio pratico dei doveri ebraici. Non conosciamo statistiche complete circa l'osservanza religiosa presso le numerose comunità sparse nel mondo. Per quanto concerne lo Stato d'Israele, pur non essendo questo una repubblica fondata sull'ebraismo, esso attinge l'ispirazione fondamentale ai valori etici e storici del popolo ebraico: « Nella terra d'Israele sorse il popolo ebraico. Ivi formò la sua personalità spirituale, religiosa e politica. Ivi godette di vita statale propria. Ivi creò un patrimonio culturale di valore nazionale ed universale e tramandò al mondo intero l'eterno Libro dei Libri ».7 Un complesso di istituzioni curate dal rabbinato israeliano offre al pubblico la possibilità di condurre una vita tradizionale in piena armonia con la precettistica ebraica. Per quanto sia forte il senso d'identificazione dell'israeliano medio con i valori storici dell'ebraismo, non può tuttavia considerarsi dominante l'influsso religioso presso la popolazione ebraica dello Stato. Per questo, a nostro avviso, il modo di vita spirituale secondo il principio della Qedusàh presso la maggioranza dei cittadini ebrei d'Israele è il momento più completo dell'anelito dell'esperienza religiosa ebraica che rimane ancora inattuato. |
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Unione con Dio | Carità III,1 |
Escatologia II,2 | |
Matrimonio e celibato | Celibato I |
1 | S. L. Gordon, Commento a ìsdìa. Introduzione, XLIV-XLV (in ebraico) |
2 | A. Mandel, La via del Chassidismo, Milano 1965, 40 |
3 | A. J. Heshel, Dio alla ricerca dell'uomo, Torino 1969, 68-69 |
4 | Talmùd B., Berakot 34 |
5 | Mishnàh: Peàh I, I |
6 | Pirqé 'Avot e. VI |
7 | Carta d'Indipendenza dello Stato d'Israele |