Gli atti di Pelagio

Indice

30.55 - La critica di quella lettera

A che tende dunque il vanto così sfacciato che hanno osato menare in questa lettera d'esser riusciti a convincere i quattordici vescovi giudicanti non solo della possibilità, ma anche della facilità di non peccare, come è messo nel Libro dei Capitoli del medesimo Pelagio, mentre risulta che le medesime accuse mosse negli Atti e tante volte ripetute non hanno in nessun testo tale parola?

In che modo tale parola non è contraria alla stessa autodifesa e alla risposta di Pelagio, mentre anche il vescovo Giovanni dice che Pelagio davanti a lui rispose: " Intendo che non può peccare chi vuol faticare e combattere per la propria salvezza " e Pelagio stesso nel corso dell'interrogatorio disse a sua discolpa: " L'uomo può essere senza peccato con la propria fatica e la grazia di Dio "?

Come avviene dunque " facilmente ", se si fatica perché avvenga?

Credo che il buon senso comune riconosca con noi che dove c'è fatica non c'è facilità.

E tuttavia la lettera di Pelagio vola piena di vento e d'esaltazione carnale e, vincendo in sveltezza la voluta lentezza della compilazione degli Atti, si cala sulle mani degli uomini a dire che ai quattordici vescovi orientali piacque non solo che " l'uomo può essere senza peccato e può osservare i comandamenti di Dio ", ma anche che li può " osservare facilmente ", e senza nominare nemmeno l'aiuto di Dio, a questa sola condizione: " se vuole ".

Di modo che, taciuta la grazia divina per la quale si combatteva con il massimo ardore, non resta evidentemente da leggere nella lettera nient'altro che la sola superbia umana, infelice e ingannatrice di se stessa come falsa vincitrice.

Quasi che il vescovo Giovanni non abbia detto d'aver mosso contro Pelagio proprio quest'accusa e di aver abbattuto con i colpi di tre testimonianze divine, a modo di folgori, i giganteschi monti innalzati contro la vetta irraggiungibile della grazia celeste. ( Ef 3,19 )

Oppure, quasi che insieme a Giovanni anche tutti gli altri vescovi giudicanti sopportassero o con la loro mente o con i loro stessi orecchi che Pelagio dicesse: " Abbiamo detto che l'uomo può, certo, essere senza peccato e osservare i comandamenti di Dio, se vuole ", ma non aggiungesse immediatamente: " Dio infatti gli ha dato questa possibilità " - e costoro ignoravano che Pelagio lo diceva della natura e non di quella grazia che i vescovi conoscevano dalla dottrina dell'Apostolo - e non continuasse dicendo: " Non ho detto invece che si trovi qualcuno che dall'infanzia alla vecchiaia non abbia mai peccato; ma che, una volta convertito dai suoi peccati, può con la propria fatica e con la grazia di Dio essere senza peccato ".

Ciò dichiararono anche con la loro sentenza i giudici dicendo che era buona la risposta di Pelagio: " L'uomo con l'aiuto di Dio e con la sua grazia può essere senza peccato ".

Che cos'altro temevano i vescovi se non questo: che negando tale possibilità dessero l'impressione di recare offesa non alla possibilità dell'uomo, ma alla stessa grazia di Dio?

Né tuttavia fu definito quando l'uomo arrivi ad essere senza peccato.

Fu sentenziato che gli è possibile con l'aiuto della grazia di Dio: non fu definito, ripeto, se in questa carne, che ha desideri contrari allo spirito, ( Gal 5,17 ) sia esistito o esista o esisterà qualcuno in possesso dell'uso della ragione e dell'arbitrio della volontà e che si trova o in mezzo alla folla umana o nella solitudine della vita monacale, che non abbia bisogno di dire, non per gli altri, ma anche per se stesso nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

Né fu detto se tale dono d'essere senza peccato arrivi alla sua perfezione solo quando saremo simili a Dio, quando lo vedremo così com'è, ( 1 Gv 3,2 ) quando non si dirà più da noi come persone militanti: Nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente, ( Rm 7,23 ) ma si dirà da noi come persone trionfanti: Dov'è, o morte, la tua vittoria?

Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? ( 1 Cor 15,55 )

E questa non è una ricerca da farsi tra cattolici ed eretici, ma, se mai, tra gli stessi cattolici in tutta pace.

31.56 - Non si può credere a Pelagio

Come si fa dunque a credere che Pelagio - ammesso tuttavia che questa lettera sia sua - abbia riconosciuto sinceramente la grazia di Dio, che non è né la natura in possesso del libero arbitrio, né la conoscenza della legge, né la sola remissione dei peccati, bensì quella che ci è necessaria nelle nostre singole azioni, e abbia anatematizzato sinceramente chiunque pensasse il contrario?

Non lo si può credere perché nella sua lettera ha inserito la facilità di non peccare, sulla quale non ci fu nessuna questione in quel processo, come se ai giudici fosse piaciuta anche questa parola, ma non ha inserito la grazia di Dio con quella confessione aperta che gli valse d'evitare la pena della condanna ecclesiastica.

32.57 - Un altro motivo di sospetto nei riguardi di Pelagio

C'è anche un altro particolare che non devo tacere.

Nel fascicolo dell'autodifesa che Pelagio mi mandò per mezzo d'un certo Caro, nostro concittadino d'Ippona, ma diacono orientale, egli ha fatto qualcosa che sta diversamente da come si ha negli Atti episcopali.

Ora, quello che hanno gli Atti è molto più utile, più sicuro e più esplicito per la verità cattolica contro la peste di quell'eresia.

Infatti quando io lessi quel fascicolo, prima che arrivassero a noi gli Atti, ignoravo che non aveva riportato le stesse parole da lui usate in tribunale nel difendere se stesso.

Ci sono poche parole diverse e non molto diverse, e di esse non mi curo troppo.

33. Mal sopportavo invece che potesse destare l'impressione di riservarsi la difesa di alcune sentenze di Celestio che negli Atti risultavano chiaramente anatematizzate da lui.13

Infatti per alcune di esse smentì che fossero sue dicendo semplicemente che "per esse non doveva dare nessuna soddisfazione ", ma nello stesso fascicolo non le volle anatematizzare.

Sono le seguenti: " Adamo fu creato mortale: sia che peccasse, sia che non peccasse, sarebbe morto.

Il peccato di Adamo nocque a lui soltanto e non al genere umano.

La Legge manda al regno dei cieli nella stessa maniera del Vangelo.

I neonati si trovano nello stato in cui era Adamo prima della sua prevaricazione.

Per la morte o per la prevaricazione di Adamo non muore tutto il genere umano, né per la risurrezione del Cristo risorge tutto il genere umano.

I bambini ricevono la vita eterna anche se non vengono battezzati.

Ai ricchi dopo il battesimo, se non rinunziano a tutto, non giova a nulla il bene che sembra ad essi di fare e non avranno il regno dei cieli ".

Alla contestazione di queste proposizioni ecco come risponde in quel fascicolo: "Queste asserzioni, secondo la stessa testimonianza di costoro, non sono state fatte da me e di esse non mi devo giustificare ".

Negli Atti invece alle stesse imputazioni Pelagio reagì così: " Queste asserzioni, secondo la stessa testimonianza di costoro, non sono state fatte da me e di esse non mi devo giustificare, ma tuttavia per la soddisfazione del santo Sinodo anatematizzo coloro che ritengono o hanno già ritenuto così ".

Perché dunque anche in quel fascicolo non è stato scritto in questa stessa maniera?

Penso che a farlo non ci sarebbe voluto né molto inchiostro, né molta scrittura, né molto tempo, né molta carta.

Ma chi non sarebbe indotto a pensare che sia stato fatto a bella posta perché quel fascicolo circolasse dappertutto come un riassunto di quegli Atti?

Così si creava l'opinione che non era stata tolta ogni licenza di difendere quelle sentenze, perché esse erano state semplicemente contestate a Pelagio, ma non dimostrate sue, e non erano state tuttavia anatematizzate e condannate.

33.58 - Subdolamente Pelagio ha nascosto la celebrazione del processo che lo aveva condannato

Successivamente nel medesimo fascicolo raccoglie dal libro di Celestio anche molte altre imputazioni, ma non le fa seguire una ad una dalle due risposte contenute negli Atti, con le quali anatematizzò le stesse imputazioni, ma fa seguire a tutte insieme una sola risposta.

Sarei pronto a credere che l'abbia fatto per amore di brevità, se non avessi la sensazione che è di enorme interesse per quello che ci rende preoccupati.

Ecco come chiude: " Ripeto che queste proposizioni, anche secondo la testimonianza di costoro, non sono mie.

Per esse, come ho detto, io non devo nessuna giustificazione.

Le proposizioni invece che ho riconosciute mie, affermo che hanno senso esatto.

Quelle poi che ho detto non essere mie, le riprovo secondo il giudizio della santa Chiesa, dicendo anatema a chiunque contravvenga alle dottrine della Chiesa santa e cattolica, come pure a coloro che inventando delle falsità ci hanno calunniati ".

Queste ultime parole non si trovano negli Atti, ma non interessano il problema che ci deve stare a cuore.

Sia anatema senz'altro anche a coloro che inventando delle falsità li hanno calunniati.

Ma quando io lessi per la prima volta: " Quelle poi che ho detto non essere mie le riprovo secondo il giudizio della santa Chiesa", non sapendo io che quel giudizio della Chiesa era già stato fatto, perché li è stato taciuto ed io non avevo letto gli Atti, non pensai altro se non questo: egli promette di ritenere nei riguardi di quelle imputazioni non quello che la Chiesa aveva già giudicato, ma quello che avrebbe giudicato in futuro, e di riprovare non quelle imputazioni che la Chiesa aveva già riprovate, ma quelle che avrebbe riprovate in futuro.

In questo modo intendevo pure le parole da lui aggiunte: " Dicendo anatema a chiunque contravvenga o contraddica alle dottrine della santa Chiesa cattolica ".

Al contrario, come attestano gli Atti, era già stato pronunziato su quelle imputazioni il giudizio ecclesiastico dai quattordici vescovi ed era secondo quel giudizio che Pelagio diceva di riprovarle tutte e di anatematizzare coloro che pensando in quella maniera contravvenivano al giudizio che gli Atti indicano come già emesso allora.

I giudici infatti avevano già chiesto: " Che cosa dire, relativamente a queste imputazioni che sono state lette, il monaco Pelagio qui presente?

Tutto questo riprova il santo Sinodo e la Chiesa di Dio, santa e cattolica ".

Ora, quelli che ignorano i fatti e leggono questo fascicolo, possono pensare che qualcuna di quelle imputazioni si possa difendere lecitamente, dal momento che non era stata giudicata contraria alla dottrina cattolica e dal momento che Pelagio s'era dichiarato disposto a ritenere su tali punti non quello che la Chiesa aveva deciso, ma quello che avrebbe deciso.

In quel fascicolo dunque, di cui ora parliamo, Pelagio non si esprime così da far riconoscere quello di cui fanno fede gli Atti, cioè che tutti quegli errori, con i quali la medesima eresia serpeggiava e cresceva con litigiosa audacia, erano stati condannati dal tribunale ecclesiastico sotto la presidenza dei quattordici vescovi.

Se Pelagio ebbe paura di far conoscere la reale verità dei fatti, emendi se stesso, invece di prendersela con la nostra vigilanza, quale che sia e benché tardiva.

Se invece è falso che egli abbia avuto paura e se il nostro è un sospetto che facciamo da uomini che siamo, ci perdoni.

Comunque però gli errori che sono stati anatematizzati e riprovati nel processo dove egli fu assolto, li combatta per l'avvenire, perché mostrandosi indulgente con essi non dia l'impressione non solo d'averli creduti allora, ma di crederli tuttora.

34.59 - Questo libro di Agostino deve dissipare gli equivoci

Ho voluto, perciò, scrivere alla tua venerazione questo libro, forse non inutilmente lungo in una causa tanto grave e tanto grande, precisamente con il desiderio che, se non dispiacerà ai tuoi sentimenti e con la tua autorità molto più efficace dell'affannarsi della nostra esiguità, venga a conoscenza di coloro ai quali lo stimerai necessario.

Che esso giovi a reprimere le nullità e le litigiosità di quanti pensano che, con l'assoluzione di Pelagio, quegli errori abbiano avuto l'approvazione dei vescovi orientali, chiamati a giudicare.

Invece queste eresie, che pullulano assai pericolosamente contro la fede cristiana e contro la grazia divina della nostra vocazione e giustificazione, ( Rm 8,30 ) sono state sempre condannate dalla verità cristiana.

Inoltre sono state condannate dall'autorità di questi quattordici vescovi, i quali avrebbero insieme ad esse condannato anche Pelagio, se egli non le avesse anatematizzate.

Adesso, dopo aver reso a Pelagio il debito della nostra carità fraterna, dopo aver sinceramente dimostrato la nostra preoccupazione su lui e per lui, dobbiamo vedere come si possa far capire brevemente che anche con l'assoluzione di Pelagio davanti agli uomini, com'essa è chiara, nondimeno l'eresia stessa, sempre condannabile dal giudizio divino, è stata condannata anche dal giudizio dei quattordici vescovi orientali.

35.60 - I due punti essenziali della sentenza del Concilio

Ecco l'ultima sentenza di quel tribunale.

Il Sinodo disse: " Poiché ora è stata data soddisfazione a noi con le spiegazioni del monaco Pelagio qui presente, il quale da una parte acconsente ai santi insegnamenti della Chiesa e dall'altra riprova e anatematizza le affermazioni contrarie alla fede della Chiesa, noi confessiamo che egli è nella comunione ecclesiastica e cattolica ".

Due punti abbastanza chiari hanno messo insieme nella brevità della loro sentenza i santi vescovi giudici per quanto si riferiva al monaco Pelagio: il primo che " acconsente ai santi insegnamenti della Chiesa ", il secondo che " riprova e anatematizza le affermazioni contrarie alla fede della Chiesa ".

Per questi due motivi Pelagio fu dichiarato " nella comunione ecclesiastica e cattolica ".

Ricapitolando tutto brevemente, vediamo dunque da quali parole di Pelagio l'uno e l'altro motivo sia venuto alla luce in quel momento, per quanto quei giudici poterono giudicare su elementi manifesti sotto i loro occhi.

Si dice infatti che tra gli errori che gli furono obiettati riprovò e anatematizzò come contrari alla fede quelli che non riconobbe suoi.

Brevemente dunque riassumiamo così, se è possibile, tutta la vicenda di questa eresia.

35.61 - Le tesi del pelagianesimo sulla grazia

Poiché era inevitabile l'avverarsi della profezia dell'apostolo Paolo: È necessario che avvengano eresie tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi, ( 1 Cor 11,19 ) dopo le antiche eresie n'è stata suscitata anche recentemente una nuova, non da vescovi o da presbiteri o da chierici, ma da una sorta di monaci.

Essa con il pretesto di difendere il libero arbitrio si oppone alla grazia di Dio, che ci viene per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, ( Rm 7,25 ) e tenta di sovvertire il fondamento della fede cristiana in riferimento al quale è scritto: A causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti, e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo. ( 1 Cor 15,21 )

Questa eresia nega nelle nostre azioni l'aiuto di Dio, dicendo che "a non peccare e ad adempiere la giustizia può bastare la natura umana creata con il libero arbitrio, poiché la natura è grazia di Dio.

Infatti siamo stati creati tali che possiamo con la nostra volontà raggiungere questo scopo, e Dio ci ha dato l'aiuto della sua legge e dei suoi comandamenti e perdona i peccati passati a coloro che si convertono a lui".

Secondo essa solo in questi benefici è da collocarsi la grazia di Dio, non nell'aiuto alle nostre singole azioni: " L'uomo infatti può essere senza peccato e può osservare facilmente i comandamenti di Dio, se vuole ".

35.62 - Quello che i vescovi approvarono e quello che non approvarono

Poiché questa eresia aveva sedotto moltissimi e turbava i fratelli che non aveva sedotti, un certo Celestio che sosteneva tali errori fu condotto al tribunale della Chiesa di Cartagine e condannato da una sentenza di vescovi.

Poi dopo alcuni anni, fu accusato della medesima eresia Pelagio che passava per maestro di Celestio, e finì anche lui davanti ad un tribunale episcopale.

Gli furono contestate tutte le accuse che venivano mosse nel libello d'accusa presentato contro di lui dai vescovi galli Eros e Lazzaro, che erano assenti a causa della malattia d'uno di essi.

Quattordici vescovi della provincia della Palestina ascoltarono le risposte di Pelagio su tutti i punti e secondo le sue risposte lo dichiararono immune dalla perversità di quest'eresia, condannando però l'eresia stessa senza nessuna esitazione.

Approvarono infatti quanto egli rispondeva alle accuse: Che " l'uomo viene aiutato dalla conoscenza della legge a non peccare, com'è scritto: Egli ha dato la legge in loro aiuto ". ( Is 8,20 )

Non per questo tuttavia identificarono la medesima conoscenza della legge con la grazia di Dio, della quale è scritto: Chi mi libererà dal corpo di questa morte?

La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 )

Che " tutti sono governati dalla propria volontà " Pelagio non l'affermò intendendo escludere il governo da parte di Dio.

Infatti rispose: " L'ho detto per il libero arbitrio che Dio aiuta nello scegliere il bene.

Quando invece l'uomo pecca, sua è la colpa, dotato com'è di libero arbitrio ".

Approvarono pure che " per gli iniqui e i peccatori non ci sarà misericordia nel giorno del giudizio, ma saranno puniti con fuochi eterni ", perché rispose che " l'aveva detto secondo il Vangelo dove è scritto: E se ne andranno questi al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna". ( Mt 25,46 )

Non aveva detto però che tutti i peccatori sono destinati al supplizio eterno, perché si sarebbe mostrato contrario all'Apostolo, il quale dice che alcuni saranno salvi quasi però attraverso il fuoco. ( 1 Cor 3,15 )

In tanto approvarono che "il regno dei cieli è stato promesso anche nel Vecchio Testamento" in quanto Pelagio si riferiva al testo del profeta Daniele dove è scritto: I santi dell'Altissimo riceveranno il regno. ( Dn 7,18 )

Intesero che in questo caso egli chiamava Vecchio Testamento non solo il patto del monte Sinai, ma tutte le Scritture canoniche somministrate prima dell'avvento del Signore.

Che "l'uomo può essere senza peccato, se vuole" non fu approvato nel senso in cui sembrava che l'avesse detto Pelagio nel suo libro, cioè come se il risultato fosse unicamente in potere dell'uomo mediante il libero arbitrio.

( Proprio questo lo si accusava d'aver sostenuto dicendo: " Se vuole " ).

Ma fu approvato nel senso in cui Pelagio rispose in giudizio, anzi nel senso in cui ancora più brevemente ed esplicitamente si espressero i vescovi giudicanti interloquendo: l'uomo può essere senza peccato con l'aiuto di Dio e con la sua grazia.

Ciò nonostante, non fu precisato quando i santi conseguiranno questa perfezione: se nel corpo di questa morte o se dopo che la morte sarà ingoiata per la vittoria. ( 1 Cor 15,54 )

35.63 - Quattro accuse respinte da Pelagio

Anche alcune delle affermazioni dette o scritte da Celestio, che furono opposte a Pelagio come opinioni di quel suo discepolo, Pelagio le riconobbe come proprie, ma disse di averle intese diversamente da come gli venivano imputate.

Tra esse c'era la proposizione: " Prima della venuta del Cristo alcuni vissero in santità e giustizia".

Ma correva la voce che Celestio avesse detto: "Furono senza peccato".

Fu pure obiettato che Celestio avesse detto: "La Chiesa è senza macchia e senza ruga".

Pelagio però rispose parlando di se stesso che " l'aveva detto, sì, ma perché la Chiesa viene mondata da ogni macchia e ruga per mezzo del battesimo e il Signore vuole che essa rimanga così".

Fu obiettata parimente la proposizione di Celestio: "Noi facciamo più di quanto è comandato nella Legge e nel Vangelo".

Ma Pelagio rispose di se stesso che "l'aveva detto nei riguardi della verginità, rispetto alla quale Paolo scrive: Non ho alcun comandamento dal Signore". ( 1 Cor 7,25 )

Similmente fu obiettato che Celestio avesse detto: "Ogni uomo può avere tutte le virtù e le grazie eliminando così la diversità delle grazie che insegna l'Apostolo ".

Ma Pelagio rispose: " Io non elimino la diversità delle grazie, ma dico che Dio dona tutte le grazie a chi è degno di riceverle, come le donò all'apostolo Paolo ".

35.64 - Il Concilio ha approvato Pelagio, non Celestio

Queste quattro sentenze presentate sotto il nome di Celestio non furono approvate dal vescovi giudicanti nel senso che si diceva attribuito ad esse da Celestio, ma nel senso in cui rispose su di esse Pelagio.

Videro infatti i giudici che altro è vivere senza peccato, altro è vivere in santità e giustizia, come la Scrittura attesta che vissero alcuni anche prima della venuta del Cristo.

E sebbene presentemente la Chiesa non sia senza macchia e ruga, tuttavia per un verso il lavacro della rigenerazione la monda da ogni macchia e ruga, e per l'altro verso il Signore vuole che essa rimanga così.

E di fatto rimarrà così, perché regnerà nella felicità eterna certamente senza sorta di macchie e di rughe.

La verginità perpetua che non è di precetto vale senza dubbio più della castità coniugale che è di precetto, benché la verginità perseveri in molti che non sono tuttavia senza peccato.

L'apostolo Paolo ebbe tutte quelle grazie che egli ricorda in blocco in un suo testo.

Tuttavia che egli sia stato " degno " di riceverle lo poterono intendere i giudici in qualche buon modo, pensando forse non ai suoi meriti ma piuttosto alla predestinazione, poiché egli stesso dichiara: Non sono degno, oppure: Non sono adatto ad essere chiamato apostolo. ( 1 Cor 15,9 )

Ovvero quella parola " degno " sfuggì all'avvertenza dei giudici, e Pelagio stesso se la veda con quale mai intenzione l'abbia usata.

Questi sono i punti nei quali i vescovi dichiararono che Pelagio era d'accordo con le sante dottrine della Chiesa.

35.65 - Le tesi del pelagianesimo condannate da Pelagio e dal Concilio

Adesso ricapitolando alla stessa maniera vediamo un poco più attentamente le proposizioni che, a detta dei giudici, Pelagio riprovava e anatematizzava come contrarie alla fede della Chiesa.

In esse sta principalmente tutta quest'eresia.

Mettiamo da parte le affermazioni che si dicono messe da Pelagio nei suoi libri in adulazione di non so quale vedova.

A loro riguardo egli rispose che " né erano nei suoi libri, né aveva mai detto cose simili ", e anatematizzò invece " non come eretici, ma come stolti coloro che la pensano in quel modo ".

Queste invece sono le spine di quella eresia che con dolore vediamo diventare quotidianamente più rigogliosa e anzi già una boscaglia: " Adamo fu fatto mortale: sia che peccasse, sia che non peccasse, era destinato a morire.

Il peccato di Adamo danneggiò lui soltanto e non il genere umano.

La Legge porta al regno così come il Vangelo.

I neonati sono nello stato in cui era Adamo prima della sua prevaricazione.

Né per la morte o per la prevaricazione di Adamo muore tutto il genere umano, né per la risurrezione del Cristo risorge tutto il genere umano.

I bambini hanno la vita eterna, anche se non si battezzano.

Ai ricchi dopo il battesimo, se non rinunziano a tutte le loro ricchezze, non viene accreditato il bene che sia sembrato ad essi di fare e non possono avere il regno di Dio.

La grazia di Dio e il suo aiuto non si dà per le nostre singole azioni, ma consiste nel libero arbitrio, nella legge e nella dottrina.

La grazia di Dio si dà secondo i meriti e perciò la grazia stessa è riposta nella volontà dell'uomo, degno o indegno che sia.

Non si possono chiamare figli di Dio se non coloro che sono diventati tali da essere assolutamente senza peccato.

La dimenticanza e l'ignoranza non soggiacciono al peccato, perché non provengono da volontà, ma da necessità.

Non è libero l'arbitrio, se esso ha bisogno dell'aiuto di Dio, perché ciascuno ha, per fare o non fare un'azione, la propria volontà.

La nostra vittoria non proviene dall'aiuto di Dio, bensì dal libero arbitrio.

Dall'affermazione di Pietro che noi siamo partecipi della natura divina ( 2 Pt 1,4 ) deriva conseguentemente che la nostra anima può essere senza peccato alla stessa maniera di Dio ".

Quest'ultima frase io stesso ho letto nell'undicesimo capitolo di un libro che veramente non porta l'indicazione del proprio autore, ma passa per un libro di Celestio, espressa con queste parole: " Come potrebbe una persona esser diventata partecipe di una sostanza ed esser dichiarata estranea allo stato e al potere di quella sostanza? ".

Perciò i nostri fratelli che opposero questi punti intesero come se egli avesse detto che l'anima e Dio sono della stessa natura e che l'anima è una parte di Dio: così infatti interpretarono il suo pensiero che l'anima ha in comune con Dio lo stato e il potere.

Nell'ultima contestazione si legge poi: " Ai penitenti non si concede il perdono secondo la grazia e la misericordia di Dio, ma secondo il merito e la fatica dei penitenti, i quali mediante la penitenza sono diventati degni di misericordia ".

Pelagio che negò come suoi e anatematizzò tutti questi errori e le eventuali argomentazioni con cui furono difesi, fu approvato dai giudici, i quali perciò sentenziarono che egli riprovandoli e anatematizzandoli aveva condannato errori contrari alla fede della Chiesa.

Pertanto, in qualunque modo li abbia esposti o non esposti Celestio, in qualunque, modo li abbia condivisi o non condivisi Pelagio, per il fatto che errori così gravi di un'eresia così nuova siano stati condannati da quel tribunale ecclesiastico noi dobbiamo gioire e rendere grazie a Dio ed elevargli inni di lode.

35.66 - Agostino deplora le violenze perpetrate da parte pelagiana

Si racconta che dopo questo processo gravi crimini furono commessi in Palestina con incredibile audacia da parte di non so quale crocchio di uomini sfrenati, che si fanno passare per partigiani di Pelagio e lo spalleggiano in maniera assai perversa.

Accadde che i servi e le serve di Dio addetti alle cure del santo presbitero Girolamo furono vittime di uno scelleratissimo assalto, un diacono rimase ucciso, e edifici di monasteri furono incendiati.

A mala pena lo stesso Girolamo per la misericordia di Dio fu protetto contro questa violenta incursione di gente empia da una torre meglio difesa delle altre.

Preferisco non parlare di questi fatti e aspettare che cosa decidano di fare in relazione a così grandi mali i nostri fratelli che sono vescovi del luogo.14

Chi potrebbe credere che di fronte a tali fatti possano tirarsi indietro?

Certamente gli empi dogmi di uomini di tal sorta devono essere riprovati da tutti i cattolici, anche se stanno molto lontani da quelle terre, perché non possano nuocere dove possono arrivare; invece le azioni empie, la cui coercizione spetta alla disciplina episcopale, si devono colpire nel medesimo luogo dove si commettono, con pastorale puntualità e con santa severità, soprattutto dai vescovi locali o da quelli vicini.15

Noi pertanto, posti a così grande distanza, dobbiamo augurare che a tali fatti si ponga fine lì sul luogo in tal modo che non ci sia più bisogno di sottoporli ad ulteriore giudizio in nessun altro posto, e a noi non rimanga altro che far conoscere questo provvedimento. In tal modo gli animi di tutti coloro che sono stati gravemente feriti dalla fama di quelle scelleratezze, che sta volando dappertutto, saranno risanati dalla misericordia soccorritrice di Dio.

Poniamo qui termine al presente libro, il quale, se meriterà, come spero, d'incontrare il gradimento del tuo animo, sarà utile ai lettori con l'aiuto del Signore, raccomandato ad essi più dal tuo che dal mio nome, e sarà conosciuto da moltissime persone per mezzo della tua premura.

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13 Aug., Contra Iulianum 1,5.19
14 EP. Innocentii ad Gv. Hierosolymitanum 43;
Ep. Innocentii ad Hieronymum: 42
15 Ep. tertia Innocentii ad episcopos quintos 41;
Ep. 183 (tra le agostin.): NBA 22, 922-927