La città di Dio |
Fra i misteri di Cerere sono segnalati quelli Eleusini che furono molto conosciuti dagli Ateniesi.
Di essi Varrone non interpreta niente, salvo il tema riguardante il frumento, che Cerere trovò, e che Proserpina invece perdé col ratto di Plutone.
Dice anche che Proserpina significa la fecondità dei semi.
Essendo la fecondità venuta a mancare per un certo tempo, spiega Varrone, e per conseguenza essendo la terra devastata dalla sterilità, sorse la saga che Plutone avesse rapito e trattenesse nell'oltretomba la figlia di Cerere, cioè la stessa fecondità che era chiamata Proserpina da proserpere, cioè sgusciar fuori.
Il fatto fu celebrato con pubblico lutto.
E dopo che tornò la fecondità, nacque la gioia per la restituzione di Proserpina e furono quindi istituiti i misteri solenni.
Infine Varrone dice che nei misteri di Cerere molti riti tradizionali riguardano esclusivamente la scoperta del frumento.53
A una grande sconcezza giunsero i misteri di Libero, poiché lo preposero ai semi liquidi e quindi non solo alle parti acquose dei frutti, fra cui in certo senso il vino ha il primato, ma anche ai semi degli animali.
Mi rincresce di parlare di essi perché richiedono un lungo discorso ma ne parlo egualmente per colpire l'ottusità dei pagani.
Sono costretto a tralasciare varie notizie perché sono molte.
Fra le altre, stando a Varrone, nei crocicchi d'Italia furono celebrati i misteri di Libero con tanta licenziosità che in suo onore si ebbe un culto fallico, e almeno fosse avvenuto in un luogo un po' appartato ma in pubblico con sfrenata dissolutezza.
Infatti durante le feste di Libero uno sconcio membro virile, esposto con grande solennità su un carretto, veniva trasportato dapprima in campagna nei crocicchi e poi fino alla città.54
Nel paese di Lavinio si consacrava a Libero un mese intero, durante il quale tutti pronunciavano delle sconce invocazioni fino a quando l'organo fallico non riattraversava la piazza e non veniva ricollocato al suo posto.
La più onesta madre di famiglia doveva pubblicamente imporre una corona all'emblema disonesto.55
In questo modo si doveva propiziare il dio Libero per il buon esito dei semi, si doveva allontanare il malocchio e per questo si costringeva una matrona a compiere in pubblico un rito che non si doveva permettere in teatro neanche a una cortigiana se le matrone fossero state presenti.
Perciò non si riteneva che bastasse soltanto Saturno per i semi.
Così l'anima immorale trovava occasioni per moltiplicare gli dèi e abbandonata per colpa dell'immoralità dal solo vero Dio, disonorata mediante molti falsi dèi nel desiderio di una maggiore immoralità, considerava questi riti osceni come misteri sacri e si offriva al disonore e alla contaminazione per molti sporchi demoni.
Nettuno già aveva per moglie Salacia che, a sentir loro, era l'acqua del fondale marino.
A che scopo le è stata aggiunta anche Venilia?
Certamente perché senza alcuna giustificazione mediante il solo desiderio degli indispensabili misteri si moltiplicasse per l'anima disonorata la provocazione dei demoni.
Ma si citi l'interpretazione della illustre teologia che con la dovuta giustificazione ci trattenga da questa critica.
Venilia, dice Varrone, è l'onda che viene alla spiaggia, Salacia quella che torna al mare.56
Dunque, dico io, perché farne due dee se è la medesima onda che viene e ritorna?
È appunto una passione frenetica che rifluisce nel politeismo.
Sebbene non si duplichi l'acqua che viene e ritorna, tuttavia col pretesto di questa superstizione, ospitando due demoni, l'anima che va e non ritorna si macchia maggiormente.
Scusa tu, Varrone, o anche voi che avete letto libri eccellenti di uomini colti e vi vantate di avere appreso una grande dottrina, interpretate per favore questo mito, non pretendo in relazione all'eterna e non diveniente natura che sola è Dio, ma per lo meno in relazione all'anima del mondo e alle sue parti che, a vostro giudizio, sono i veri dèi.
Che questa dottrina vi abbia fatto considerare la parte dell'anima del mondo che si comunica al mare come il dio Nettuno è in certo senso un errore più tollerabile.
Ma proprio davvero l'onda che viene alla spiaggia e poi torna al mare è due parti del mondo o due parti dell'anima del mondo?
Chi di voi sragiona al punto da ragionare così?
Per quale ragione dunque ve ne hanno fatte due dee?
Certamente perché fu deciso dai saggi vostri antenati non che vi dominassero più dèi ma che vi trattassero da schiavi più demoni che godono di queste superstizioni ed errori.
E per quale motivo, stando a questa interpretazione, la Salacia ha perduto il fondale marino con cui era sottomessa al marito?
Adesso, presentandola come l'onda che torna indietro, la rimandate in superficie.
Oppure, arrabbiata perché ha dovuto accettare Venilia come rivale, ha forse cacciato via suo marito dalla superficie del mare?
23.1 Naturalmente una è la terra, anche se la vediamo piena di esseri animati.
Tuttavia per quale motivo i naturalisti la considerano una dea sebbene sia uno dei principali elementi dei corpi e la parte più bassa del mondo?
Forse perché è feconda? Al limite è preferibile che siano dèi gli uomini che la rendono più feconda con la coltura, arandola, si capisce, non adorandola.
Ma, dicono i naturalisti, la parte dell'anima del mondo che le si comunica la rende una dea.57
Eppure è più nota l'anima umana, poiché sulla sua esistenza non v'è controversia.
Tuttavia gli uomini non sono considerati dèi e, quel che è peggio, con errore che desta meraviglia e commiserazione, sono indotti ad onorare e adorare esseri che non sono dèi e di cui sono più perfetti.
Il citato Varrone nel medesimo libro sugli dèi scelti afferma che tre sono le perfezioni dell'anima nell'universo della natura.
La prima passa per tutte le parti del corpo vivente, non contiene la facoltà di sentire ma soltanto la potenza a vivere; afferma che questa potenza, per quanto riguarda il nostro corpo, penetra nelle ossa, nelle unghie e nei capelli, come nel mondo le piante si nutrono senza percezione sensibile, crescono e in un certo loro limite vivono.
Il secondo grado di perfezione dell'anima è quello in cui si ha la sensazione e questa potenza giunge alla vista, all'udito, all'odorato, al gusto e al tatto.
La terza perfezione, continua Varrone, è la più alta dell'anima ed è lo spirito, nel quale eccelle l'intelligenza.
Di esso tutti i mortali, eccetto l'uomo, sono privi.
La parte spirituale dell'anima del mondo, sempre secondo Varrone, è Dio, in noi si chiama genio.
Afferma infine che nel mondo pietre e terra visibile, a cui non giunge la sensazione, sono come le ossa e le unghie del dio; che il sole, la luna e i pianeti che noi percepiamo col senso e con cui egli stesso percepisce sono i suoi sensi, che l'etere è il suo spirito e che la sua energia, nel giungere agli astri, costituisce dèi anche essi e costituisce dea la terraferma mediante le sue parti che penetrano nella terra e che è il dio Nettuno ciò che dell'etere penetra nel mare oceano.58
23.2 Dunque Varrone torni da quella che ritiene una teologia naturale in quel luogo da cui è uscito quasi a riposare perché affaticato da tanti tortuosi andirivieni; intendo dire, torni alla teologia civile.
Lo trattengo ancora qui, per un po' parlerò di essa.
Non dico per adesso che terra e pietre non hanno intelligenza, come non hanno senso, anche se le nostre ossa e unghie hanno con esse una certa somiglianza.
E anche se si dice che le nostre ossa e unghie hanno l'intelligenza perché sono nell'uomo il quale ha l'intelligenza, io non dico che il tizio il quale dice che terra e pietre sono dèi nel mondo è stupido come quello il quale dice che in noi ossa e unghie sono uomini.
Ma forse questi problemi si devono trattare con i filosofi; quindi voglio ancora il Varrone della teologia dello Stato.
È infatti possibile che gli sia sembrato di essere riuscito ad ergere la testa in quella che egli ritiene la libertà della teologia naturale.
Tuttavia volgendo e rivolgendo l'argomento del libro e accorgendosi che anche egli vi si intratteneva ancora, ha potuto riesaminarlo da un punto di vista naturalistico ed esporre la teoria suddetta affinché non si credesse che gli antenati e le altre città stupidamente avessero onorato Tellure e Nettuno.
Dico questo, però: giacché la terra è una sola, per quale ragione la parte dello spirito cosmico che penetra la terra non ha costituito una sola dea che Varrone chiama Tellure?.59
E se così ha fatto, dove sarà andato a finire Plutone, fratello di Giove e di Nettuno, detto anche Dite padre?
Dov'è la moglie Proserpina la quale, secondo una opinione esposta nei medesimi libri, non è presentata come la fecondità della terra ma come la sua parte più bassa?
E se dicono che la parte dello spirito cosmico nel penetrare attraverso la parte superiore della terra rende dio Dite padre nel penetrare attraverso la parte inferiore rende dea Proserpina,60 Tellure in quale parte si troverà?
Infatti il tutto che essa era è stato distribuito in due parti o dèi, sicché è impossibile sapere che cosa è e dove è questa terza parte.
Qualcuno potrebbe dire che gli dèi Plutone e Proserpina sono insieme la sola dea Tellure e che non sono tre ma una o due.
Eppure se ne dichiarano tre, se ne considerano tre, tre sono adorati con i propri altari, templi, misteri, statue e sacerdoti e con i propri falsi demoni che mediante tutto questo fanno violenza all'anima disonorata.
Si dovrebbe rispondere ancora qual è la parte della terra penetrata dallo spirito cosmico per costituire il dio Tellumone.
No, risponde Varrone, ma una sola e medesima terra ha una doppia energia, maschile che produca i semi e femminile che li accolga e faccia sviluppare.
Quindi dall'energia femminile ha avuto significato Tellure e dalla maschile Tellumone.
Perché dunque i sacerdoti, come egli stesso dichiara, aggiungendone altri due, eseguono il rito religioso per quattro dèi: Tellure, Tellumone, Altore e Rusore?
Di Tellure e Tellumone già è stato detto.
Ad Altore per quale motivo?
Perché dalla terra, risponde, ricevono alimento tutte le cose che sono nate.
E a Rusore per quale motivo? Perché, egli dice, tutte le cose di nuovo vi torneranno.
24.1 Dunque la sola terra in considerazione della quadruplice energia avrebbe dovuto avere quattro appellativi e non costituire quattro dèi, come si ha un solo Giove nonostante tanti appellativi, una sola Giunone nonostante tanti appellativi.
Ma in tutti essi si ha una molteplicità di significati relativi a un solo dio o a una sola dea e non una molteplicità di appellativi che determina una molteplicità di dèi.
Ma come talora anche le prostitute sentono fastidio e rammarico delle soddisfazioni che hanno cercato con la libidine, così l'anima resa vile e schiava degli spiriti immondi il più delle volte sente piacere ma talora anche rincrescimento di crearsi una moltitudine di dèi con cui avvilirsi nella dissolutezza.
Varrone stesso quasi vergognoso di questa folla insegna che la Terra è una sola dea.
I naturalisti, egli dice, affermano che è la Gran Madre e che con l'emblema del cembalo viene significato l'orbe terreno, con quello delle torri in testa le città, dal fatto che è rappresentata seduta immobile mentre attorno a lei tutte le cose si muovono.
Il fatto che hanno posto al suo servizio sacerdoti galli significa che coloro i quali hanno bisogno delle sementi devono attendere alla terra perché in essa si trovano tutti i semi.
Col rito in cui i sacerdoti si agitano attorno a lei si comanda, continua Varrone, che coloro i quali coltivano la terra non rimangano seduti perché hanno sempre qualcosa da fare.
I suoni dei cembali significano i vari rumori degli strumenti di ferro da usare, delle mani e dell'operazione che si compie nel coltivare i campi; e il cembalo è di bronzo perché gli antichi, prima che fosse scoperto il ferro, coltivavano la terra con utensili di bronzo.
Aggiungono un leone sciolto e mansueto per indicare che non v'è un tipo di terra tanto lontano e fortemente selvaggio che non convenga dissodare e coltivare.61
Poi aggiunge l'osservazione che la terra madre è stata considerata più dèi dai vari nomi e appellativi con cui l'hanno designata.
Pensano, egli dice, che la terra sia Opi perché diviene più feconda con l'opera, Madre perché produce molti frutti, Grande perché produce il cibo, Proserpina perché da lei vengono fuori i frumenti, Vesta perché si veste di erbe.
In tal senso non irragionevolmente riconducono a lei altre dee.62
Se dunque, dico io, è una sola dea, che comunque alla luce della verità non lo è neanche essa, per quale motivo se ne traggono fuori molte?
Di una sola dovrebbero essere i molti numi e non dovrebbero essere molte dee ma piuttosto nomi.
Ma l'autorità degli antenati, anche se sbagliavano, soggioga e mette in allarme lo stesso Varrone pur dopo la citata interpretazione.
Aggiunge infatti questa osservazione: L'opinione degli antenati relativa a queste dee, che cioè le hanno distinte in molte, non è contraria alle teorie naturalistiche.
Ma come non è contraria? Altro è che una sola dea abbia più nomi ed altro che siano molte dee.
È possibile, egli dice, che una cosa sia una e che in essa alcune cose siano molteplici.63
Io concedo che in un solo uomo vi siano molte cose ma non per questo sono molti uomini.
Così che in una sola dea vi siano più cose non significa che sono più dee.
Ma in definitiva dividano e congiungano, moltiplichino, raddoppino e riuniscano a loro piacimento.
24.2 Questi sono i decantati significati misterici della Terra e della Gran Madre che si riferiscono tutti ai semi destinati a morire e alla tecnica dell'agricoltura.
Dunque il cembalo, le torri, i sacerdoti galli, la folle convulsione del corpo, il tintinnare dei cembali, l'allegoria dei leoni riferiti a questi significati e aventi questo limite non promettono a nessuno la vita eterna.
Dunque i sacerdoti galli evirati non rendono servizio a questa dea Grande per significare che coloro i quali hanno bisogno del seme debbono attendere alla terra, giacché è proprio il loro servizio che li rende bisognosi del seme.
Infatti nell'attendere a questa dea non ottengono il seme quando ne hanno bisogno ma piuttosto nell'attendere a questa dea perdono il seme che hanno.
Questa non è una interpretazione, è uno scempio.
E non si riflette al grande vantaggio che ne hanno tratto gli spiriti maligni che non hanno avuto neanche il coraggio di promettere cose grandi e sono comunque riusciti ad esigere pratiche tanto crudeli.
Nell'ipotesi che la terra non sia una dea, gli uomini lavorando adopererebbero le mani su di lei per ottenere con la sua mediazione le sementi e non per perdere il seme facendo scempio di se stessi in suo onore.
Nell'ipotesi che non sia una dea, diverrebbe feconda con le mani altrui e non costringerebbe un individuo a rendersi sterile con le proprie mani.
Nei misteri di Libero una onorata matrona appendeva dinanzi alla folla una corona sull'asta genitale di lui e al rito era forse presente anche il marito, rosso e sudato, se negli uomini esiste ancora un pudore.
Nella celebrazione delle nozze si ordinava alla novella sposa di sedere sopra il membro virile di Priapo.64
Ma questi riti sono molto più innocui e accettabili di questa crudele sconcezza o anche sconcia crudeltà ove con riti diabolici viene certamente oltraggiato l'uno e l'altro sesso ma senza che né l'uno né l'altro venga soppresso.
Nel primo caso si teme il malocchio dei campi, in questo non si teme la mutilazione delle membra.
Nell'altro caso si disonora il pudore della novella sposa ma senza che le siano tolte non solo la fecondità ma neanche la illibatezza, in questo si sottrae la virilità a un individuo che non diventa donna e non più uomo.
25 Da Varrone non è stato ricordato Attis e non ne è stata da lui data una interpretazione, sebbene il sacerdote gallo si evira in ricordo del suo amore.
Ma i più informati pensatori greci non hanno taciuto una spiegazione di tanto illustre fama misterica.
In considerazione dell'aspetto della terra nella primavera che è la più bella delle stagioni, Porfirio illustre filosofo ha scritto che Attis significa i fiori e che è stato mutilato perché il fiore cade prima del frutto.
Dunque non hanno posto in analogia al fiore l'uomo stesso o il mezzo uomo che si chiamava Attis ma il suo organo virile.65
Esso infatti, mentre egli rimaneva in vita, cadde, o meglio non cadde e non fu colto ma fu proprio strappato.
E perduto il fiore non ne conseguì il frutto ma piuttosto la sterilità.
Che cosa è dunque egli e tutto ciò che di lui rimane dopo la mutilazione? che cosa ne viene significato secondo loro? con che cosa ha analogia? quale interpretazione se ne dà?
O piuttosto affannandosi inutilmente senza trovare una spiegazione accettabile i naturalisti inducono ad ammettere che la fama ha sublimato l'episodio della evirazione di un uomo e che per questo è stato consegnato alla tradizione letteraria?
Giustamente dunque per questo motivo Varrone lo sdegnò e non ne volle parlare perché certamente egli informatissimo conosceva l'episodio.
26 Allo stesso modo Varrone non ha voluto parlare, ed io non ricordo di aver letto in alcuna parte, degli effeminati consacrati contro ogni decoro maschile e femminile alla Grande Madre, i quali fino a ieri con i capelli unguentati, con la faccia imbellettata, con l'andatura flessuosa e il portamento donnesco per le piazze e le strade di Cartagine richiedevano di che vivere disonestamente perfino dai merciai ambulanti.
L'interpretazione è venuta a mancare, la spiegazione si è confusa, il discorso non è venuto fuori.
La grandezza non della divinità ma della delinquenza della Grande Madre ha superato tutti gli dèi figli.
Perfino la mostruosità di Giano non ha confronto con questo essere mostruoso.
Egli presentava la bruttezza soltanto nelle statue, lei una brutta crudeltà nei misteri; egli aveva parti del corpo in più nelle statue, lei in meno negli uomini.
Neanche i tanti e grossi adultèri dello stesso Giove superano una tale turpitudine.
Egli, intento a sedurre le donne, soltanto con Ganimede infamò il cielo, lei con tanti effeminati consacrati e pubblicamente riconosciuti ha contaminato la terra e ha ingiuriato il cielo.
Forse in questa forma di turpe crudeltà le potremmo paragonare o anche anteporre Saturno che, come si tramanda, ha evirato il padre, ma nei misteri di Saturno è potuto avvenire forse che uomini siano stati uccisi dalle mani altrui e non evirati con le proprie.
Egli ha divorato i figli, come cantano i poeti, mentre i naturalisti danno del mito una interpretazione arbitraria, perché, come afferma la spiegazione storica, li ha uccisi.
Comunque i Romani non hanno accolto l'usanza dei Punici che gli hanno sacrificato i figli.
Al contrario, questa Grande Madre degli dèi ha introdotto gli evirati anche nei templi di Roma e ha conservato questo spietato costume perché si è creduto che col mutilare l'organo virile degli uomini lei aiutasse la virtù dei Romani.
In confronto a questo male che cosa sono i furti di Mercurio, i facili costumi di Venere, gli adulteri e la dissolutezza degli altri che potremmo allegare dai libri se non fossero rappresentati con canti e danze nei teatri?
Questi mali sono una bazzecola al confronto con un male così grande, la cui grandezza è esclusiva competenza della Grande Madre, tanto più che, come si afferma, questi fatti sono stati inventati dai poeti, come se essi abbiano inventato anche che sono graditi e accetti agli dèi.
Passi che è audacia o anche insolenza dei poeti che siano cantati o anche scritti; che invece siano aggregati al culto religioso per comando ed esigenza degli dèi non è altro che un delitto degli dèi, anzi una manifestazione di demoni e un inganno di infelici.
Comunque non sono stati i poeti a inventare l'episodio che la Madre degli dèi ebbe la prerogativa di essere adorata con la consacrazione di uomini evirati; essi hanno preferito esecrarlo anziché celebrarlo nella poesia.
Dunque un tizio si dovrebbe forse consacrare a questi dèi eletti per vivere nella felicità dopo la morte quando consacrato a loro non può vivere moralmente prima della morte, perché schiavo di turpi superstizioni e legato a demoni immondi?
Ma tutte queste cose, dice lui, sono relative al mondo.
Badi piuttosto che non siano relative all'immondo.
E poi quale cosa che si indica esistente nel mondo non si può rapportare al mondo?
Noi, al contrario, cerchiamo lo spirito che, fidando nella vera religione, non adori il mondo come suo dio ma, per amore di Dio, riconosca la bellezza del mondo in quanto opera di Dio e purificato dalle macchie terrene giunga mondo fino a Dio che ha creato il mondo.
Osserviamo poi che questi dèi scelti sono stati più celebri degli altri non nel senso che le loro azioni buone erano più illustri ma meno nascoste le loro azioni vergognose.
Quindi è più credibile che siano stati uomini, come non solo la letteratura poetica ma anche quella storica tramanda.
Dice appunto Virgilio: Per primo venne dall'etereo Olimpo Saturno nel fuggire le armi di Giove ed esule per avere perduto il regno.66
Evemero dimostra la realtà storica di questo fatto e degli altri successivi ad esso pertinenti.
Ennio ha tradotto l'opera in lingua latina.67
Quindi, dato che sull'argomento hanno esposto molte idee coloro che contro simili errori hanno scritto tanto in greco che in latino, ho deciso di non trattenermi a lungo su di esso.
27.2 Quando esamino le spiegazioni naturalistiche, con cui uomini dotti e intelligenti tentano di volgere questi fatti umani a significati religiosi, costato che fu loro possibile ricondurli soltanto ad azioni temporali e terrene, alla natura corporea o anche spirituale comunque mutevole.
E questo non è il vero Dio.
Se almeno questa dottrina fosse stata riferita al sentimento religioso con una simbologia conveniente, era sempre da lamentare che con essa non veniva indicato chiaramente il vero Dio, ma era comunque accettabile che non si compissero e non si comandassero riti osceni e disonesti.
Ma ora che è proibito adorare il corpo o l'anima in luogo del vero Dio, giacché l'anima diventa felice soltanto se egli in lei dimora,68 a più forte ragione è inammissibile adorarli in maniera che il corpo o l'anima dell'adoratore non conservino il benessere e la dignità umana.
Pertanto se con templi, sacerdoti e sacrifici, che si devono al Dio vero, si adorano un elemento del mondo o uno spirito creato, anche se non immondo e malvagio, non si ha immoralità perché sono immorali gli atti con cui essi si adorano ma perché sono atti con cui si deve adorare soltanto colui al quale è dovuto il servizio del culto.
Se al contrario si pretendesse di adorare l'unico vero Dio, creatore di ogni anima e di ogni corpo, con la bruttura e la mostruosità degli idoli, col sacrificio di vite umane, con l'incoronazione degli organi meno onesti, col guadagno derivato dalla prostituzione, con la mutilazione, con l'evirazione, con la consacrazione di effeminati, con le feste di spettacoli licenziosi e osceni, non si pecca perché non si deve adorare colui che si adora ma perché si adora chi si deve adorare non come si deve adorare.
Se poi si adora con tali atti, cioè osceni o delittuosi, non il vero Dio, creatore dell'anima e del corpo, ma una creatura, quantunque non malvagia, sia essa spirituale o materiale o l'uno e l'altro, si pecca doppiamente contro Dio, prima perché si adora in luogo di lui un essere che non è lui, poi perché si adora con atti con cui né lui né altri si devono adorare.
Ma il modo turpe e indecente con cui i pagani hanno reso il culto è nell'immediata evidenza.
Sarebbero invece oscuri l'oggetto o gli oggetti del loro culto se la loro storia non attestasse che i riti da loro stessi riconosciuti come licenziosi e osceni furono resi alle divinità perché esse stesse li esigevano con minacce.
Appare dunque al di là di ogni dubbio che demoni esecrabili e spiriti impuri sono stati invitati da tutta la teologia civile ad essere ospiti di idoli abominevoli e per la loro mediazione a rendere schiave le coscienze degli insipienti.
28 Che significa dunque che Varrone, uomo veramente colto e intelligente, tenta con un discorso che pretende di esser critico di restituire tutti questi dèi esclusivamente al cielo e alla terra?
Non gli riesce, gli sgusciano di mano, vanno in su e giù e cadono.
In procinto di parlare delle femmine, dee si capisce, dice: Come ho detto nel primo libro parlando dei luoghi, due sono le categorie degli dèi derivate dal cielo e dalla terra e per questo alcuni dèi sono considerati celesti ed altri terrestri.
Dunque come nei precedenti libri ho cominciato dal cielo nel trattare di Giano, che alcuni hanno considerato il cielo ed altri il mondo, così nel trattare delle femmine ho cominciato dalla Terra.69
Noto l'imbarazzo che prova un ingegno così grande.
È mosso da una ragione verosimile a pensare che il cielo influisce e che la terra subisce l'influsso e quindi assegna al cielo un ruolo maschile e alla terra un ruolo femminile, senza accorgersi che chi ha prodotto l'uno e l'altra ha prodotto anche i sessi.
Perciò nel libro precedente interpreta in questo senso anche i celebri misteri degli dèi di Samotracia e con sentimento veramente religioso promette che ne tratterà per iscritto perché non sono conosciuti neanche ai loro cultori e che spedirà loro l'opera.
Infatti, come egli afferma, da molteplici indizi ha rilevato che in essi una delle varie figurazioni simboleggia il cielo, l'altra la terra e un'altra i principi esemplari delle cose che Platone chiama idee; afferma che col cielo si designa Giove, con la terra Giunone e con le idee Minerva e che il cielo è il principio da cui si fanno le cose, la terra con cui si fanno è la causa esemplare secondo cui si fanno.
Sull'argomento non sto a dire che secondo Platone le idee hanno tanta principalità che non è il cielo a fare sul loro modello ma il cielo stesso è stato fatto sul loro modello.70
Questo dico però che in questo libro degli dèi scelti Varrone si è dimenticato della citata interpretazione dei tre dèi in cui aveva conchiuso l'universo.
Infatti in esso assegna al cielo gli dèi maschi, alla terra le femmine fra le quali ha inserito anche Minerva che in un libro precedente aveva collocato sopra il cielo.
C'è poi Nettuno, un dio maschio, che è nel mare il quale appartiene piuttosto alla terra che al cielo.
Infine Dite padre, che in greco si dice Πλούτων, anche egli maschio e fratello di Nettuno e di Giove, è presentato come un dio terreno perché occupa la parte superiore della terra e ha nella inferiore la moglie Proserpina.
In qual senso dunque si affannano a rapportare gli dèi al cielo e le dee alla terra?
Che cosa di consistente, di coerente, di sensato e di preciso ha questa teoria?
Quella è la Terra, origine delle dee, cioè la Gran Madre, e presso di lei fa baccano l'invasata e oscena schiera di effeminati, di evirati e di individui che presi da convulsioni si incidono le membra.
Che cosa sono dunque Giano che è considerato capo degli dèi e la Terra capo delle dee?
Nel caso di Giano l'errore non lo considera il solo capo e in quello della Terra la follia non la rende un capo assennato.
E perché si affannano inutilmente di ricondurli al mondo?
E se anche ci riuscissero, nessun uomo religioso adora il mondo in luogo del vero Dio e comunque l'evidente verità dimostra che non vi riusciranno.
Riconducano piuttosto queste credenze a personaggi morti e a demoni maligni e il problema sarà risolto.
29 Tutti i significati che dai pagani mediante la teologia degli dèi scelti con le pretese spiegazioni naturalistiche sono ricondotti al mondo, noi cristiani senza il rischio di una teoria irriverente riconosciamo che si devono attribuire piuttosto al vero Dio che ha creato il mondo e ha dato l'esistenza ad ogni anima e ad ogni corpo.
E la formula è questa: Noi adoriamo Dio e non il cielo e la terra che sono le due parti di cui è composto il mondo visibile; non adoriamo l'anima o le anime partecipate a tutti i viventi ma il Dio che ha prodotto il cielo e la terra e tutte le cose che in essi esistono, che ha prodotto ogni anima, quella priva di senso e di pensiero e comunque vivente, quella dotata di senso e quella dotata di pensiero.
Indice |
53 | Varrone, Antiq. (rer. div. 16), frr. 264, 241; Ennio, Epicharmus, fr. 8, in Varrone, De ling. lat. 5, 6 |
54 | Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 264; vedi sopra 4, 11; 6, 9; 7, 2 |
55 | Aristofane, Acharn. 243ss.; Arnobio, Adv. nat. 5, 39 |
56 | Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 242; cf. fr. 194 (in Servio, Ad
Aen.
10, 76); De ling. lat. 5, 72 |
57 | Ennio, Epicharmus, fr. 4 (in Varrone, De ling. lat. 5, 64-65); Annales 1, fr. 6 (in Varrone, De ling. lat. 5, 59); Varrone, De ling. lat. 5, 58-60; vedi sopra 4, 10 |
58 | Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 276 |
59 | Varrone, De ling. lat. 5, 62. 67; De re rust. 1, 1, 5 |
60 | Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 257; Hymn. hom. min. Gea mat.; Esiodo, Theog. 125-153; Lucrezio, De rer. nat. 2, 599-668; Vedi sopra 4,10 |
61 | Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 263 |
62 | Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 241; De ling. lat. 5, 64 |
63 | Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 241 |
64 | Vedi sopra 6,9.3 |
65 | Porfirio, in Eusebio, Praep. evang. 3, 11, 12 |
66 | Virgilio, Aen. 8, 319s |
67 | Lattanzio, Div. inst. 1, 11-13 |
68 | Sopra 6,8; Agostino, De agone chr. 10; De anima et eius orig. 1, 4; 3, 3; 4, 2, 2; 12, 17-18: NBA, XVII/2; De quant. animae 3, 4; 15, 26; 32, 68; 33; De lib. arb. 3, 20: NBA, III/2; De civ. Dei 10, 31; 11, 10; Conf. 3, 6; 7, 9: NBA, I; De Gen. ad litt. 10, 4: NBA, IX/2; In Io. ev. tr. 23: NBA, XXIV/1; Ad Orosium 2; Epp. 18, 2; 140, 3, 7; 190, 1, 4; 202/A, 6ss.: NBA, XXI/1; XXII; XXIII; Enarr. in ps. 121, 1; 140, 10: NBA, XXVIII |
69 | Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 261 (solo in Agostino) |
70 | Platone, Politeia 506c-511e; Parmenide 132d-135c; Timeo 28b-29b |