La città di Dio |
Dunque i due figli di Isacco, Esaù e Giacobbe, si facevano grandi a parità d'età.
La primogenitura del maggiore si trasferì al minore per un patto e un accordo fra di loro perché il maggiore desiderò con ingordigia avere le lenticchie che il minore aveva ammannito e vendette al fratello con giuramento i diritti del primogenito. ( Gen 25,29-34 )
Dal fatto impariamo che l'uomo si deve incolpare non per il genere di cibo ma per la bramosia sfrenata.
Isacco invecchiava e a causa della vecchiaia veniva a mancare la vista ai suoi occhi.
Voleva benedire il figlio maggiore e inconsapevolmente in suo luogo benedì il minore.
Questi, in luogo del fratello il quale era peloso, si sottopose al controllo della mano del padre ponendosi addosso delle piccole pelli di capretto come se portasse i peccati degli altri.
Affinché questa astuzia di Giacobbe non fosse ritenuta un'astuzia con frode e vi si scorgesse l'allegoria di una grande verità, la Scrittura aveva premesso: Esaù era un uomo esperto della caccia nella steppa, Giacobbe era invece un uomo schietto che rimaneva nella tenda. ( Gen 25,27 )
I nostri interpreti hanno tradotto l'aggettivo con le parole senza astuzia.
Ma tanto se si dice senza astuzia o schietto o piuttosto senza inganno che in greco è άπλαστος, qual è nel ricevere la benedizione l'astuzia di un uomo senza astuzia?
Che cos'è l'astuzia di una persona schietta, quale l'inganno di uno che non mentisce se non una profonda allegoria della verità?
E la benedizione di quale tono è? Dice Isacco: Ecco, il profumo di mio figlio è come il profumo di un campo verdeggiante che il Signore ha benedetto.
E Dio ti conceda dalla rugiada del cielo e dalla fertilità del terreno grande quantità di frumento e di vino.
Ti servano i popoli e i principi pieghino il ginocchio davanti a te.
Diventa il padrone di tuo fratello e i discendenti di tuo padre piegheranno il ginocchio davanti a te.
Chi ti maledirà sia maledetto e chi ti benedirà sia benedetto. ( Gen 27,27-30 )
Dunque la benedizione di Giacobbe è la proclamazione del Cristo fra tutti i popoli.
Questo avviene, questo si compie. Isacco è la legge e la profezia.
Anche attraverso la parola dei Giudei Cristo è benedetto dalla profezia come da una che non lo conosce, perché anche essa non è conosciuta.
Il mondo, come un campo, si riempie del profumo del nome di Cristo.
La sua benedizione proviene dalla rugiada del cielo, cioè dalla pioggia delle parole di Dio, e dalla fertilità della terra, cioè dall'aggregarsi dei popoli.
V'è gran quantità di frumento e di vino, cioè il gran numero di fedeli che associano il pane e il vino nel sacramento del suo corpo e sangue.
I popoli lo adorano, i principi piegano il ginocchio davanti a Lui.
Egli è il padrone di suo fratello perché il suo popolo signoreggia i Giudei.
Lo adorano i discendenti di suo padre, cioè i discendenti di Abramo secondo la fede, perché anche egli è discendente di Abramo secondo la razza.
Chi lo maledice è maledetto e chi lo benedice è benedetto.
Il nostro Cristo, dico, è benedetto, cioè annunziato secondo verità, perfino dalle parole dei Giudei che, sebbene in errore, proclamano tuttavia la Legge e i Profeti.
Eppure si pensa che un altro sia il benedetto perché da essi, che sono in errore, se ne aspetta un altro.
Si spaventa Isacco quando dal maggiore si chiede la benedizione promessa e si accorge di aver benedetto l'uno per l'altro, si meraviglia e chiede chi sia, ma non lamenta di essere stato ingannato anzi, essendogli stato svelato all'improvviso nel cuore il grande significato religioso, evita lo sdegno e conferma la benedizione.
Chi è dunque, disse Isacco, colui che ha cacciato per me la selvaggina e me l'ha portata?
Ho mangiato di tutto, prima che tu venissi, l'ho benedetto e rimanga benedetto. ( Gen 27,33 )
C'era piuttosto da attendersi la maledizione di lui adirato, se i fatti si avveravano secondo l'usanza terrena e non per ispirazione dall'alto.
O fatti avvenuti, ma profeticamente avvenuti, nel mondo ma dal cielo, per mezzo di uomini ma nel volere di Dio!
Se si esaminano minutamente i particolari pregni di tante allegorie, si dovrebbero scrivere molti volumi ma la misura da imporre con misura a questa opera ci spinge ad affrettarci verso altri argomenti.
Giacobbe fu mandato dai genitori in Mesopotamia per prendervi moglie.
Queste sono le parole del padre che ve lo mandava: Non prender moglie dalle figlie dei Cananei.
Va' dunque in Mesopotamia nella famiglia di Batuel, tuo nonno materno, e prendi in moglie una delle figlie di Labano, tuo zio materno.
Il mio Dio ti benedica e renda grande e numerosa la tua discendenza e sarai nelle associazioni dei popoli.
Ti dia la benedizione di Abramo, tuo capostipite, a te e alla tua discendenza, affinché tu possieda il paese in cui abiti come straniero e che Dio diede ad Abramo. ( Gen 28,1-4 )
Dal passo comprendiamo che la discendenza di Giacobbe era già segregata dall'altra discendenza di Isacco avvenuta mediante Esaù.
Quando fu detto: In Isacco avrai la discendenza col tuo nome, ( Gen 21,12 ) una discendenza, cioè, che apparteneva alla città di Dio, fu distinta da essa l'altra discendenza di Abramo che si aveva già nel figlio della schiava e che si sarebbe avuta nei figli di Cettura.
Ma era ancora incerto nei confronti dei due gemelli di Isacco se la benedizione riguardava l'uno e l'altro o uno di loro e, se uno, chi dei due.
Ora si esprime chiaramente la prerogativa poiché profeticamente dal padre viene benedetto Giacobbe con le parole: Sarai nelle associazioni dei popoli e Dio ti dia la benedizione di Abramo tuo capostipite.
Mentre andava in Mesopotamia Giacobbe ebbe una visione in sogno.
Ecco il testo: Giacobbe partì dal pozzo del giuramento e s'avviò verso Carran, giunse in una località e vi dormì perché il sole era tramontato.
Prese una delle pietre del luogo, la pose sotto la testa, dormì in quel luogo e sognò.
Nel sogno vide una scala appoggiata in terra e la sua cima arrivava al cielo, su di essa salivano e discendevano gli angeli di Dio, il Signore si appoggiava ad essa e disse: Io sono il Dio di Abramo, tuo capostipite, e il Dio di Isacco, non temere.
Darò il territorio in cui sei coricato, a te e alla tua discendenza.
La tua discendenza sarà come i granelli di sabbia e si estenderà verso il Mediterraneo, al Sud, al Nord e verso l'Est e saranno benedette in te e nella tua discendenza tutte le razze della terra.
Da questo momento io sono con te per proteggerti dovunque andrai e ti ricondurrò in questo paese perché non ti abbandonerò mentre adempirò tutto ciò di cui ti ho parlato.
Giacobbe si svegliò e disse: Il Signore era in questo luogo e io non lo sapevo.
Si spaventò e disse: Com'è terribile questo luogo.
Non è altro che la casa di Dio e la porta del cielo.
Si alzò e prese la pietra che aveva usato come cuscino, la drizzò come lapide e versò l'olio nell'alto di essa.
Giacobbe chiamò quel luogo casa di Dio. ( Gen 28,10-19 )
Il fatto appartiene alla profezia.
Giacobbe non cosparse di olio la pietra secondo l'usanza dell'idolatria quasi a farne un idolo, non adorò la pietra e non le offrì sacrifici.
Ma poiché l'appellativo di Cristo deriva da crisma, cioè unzione, certamente nel fatto si è avuta l'allegoria di un grande significato religioso.
È facile intendere che il Salvatore ci richiamava alla memoria nel Vangelo questa scala.
In un testo dice di Natanaele: Ecco un vero Israelita in cui non v'è inganno. ( Gv 1,47 )
Poi poiché Israele, che è lo stesso Giacobbe, aveva avuto questa visione, nello stesso brano soggiunge: In verità, in verità vi dico, vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo. ( Gv 1,51 )
Dunque Giacobbe andò in Mesopotamia per prendervi moglie.
La sacra Scrittura narra per quale circostanza gli avvenne di avere quattro donne, dalle quali ebbe dodici figli e una figlia, sebbene non ne avesse posseduta nessuna disonestamente.
Era venuto per averne una, ma siccome gli fu sostituita di nascosto una per l'altra, non abbandonò quella con cui inconsapevolmente s'era unito nella notte affinché non sembrasse che le si era unito per sfregio.
In quel tempo, in cui nessuna legge proibiva di prendere più mogli per avere una numerosa discendenza, prese per moglie anche quella a cui aveva assicurato l'impegno del futuro matrimonio.
Ma poiché era sterile, offrì al marito la propria schiava da cui avere figli.
Anche la sorella maggiore, imitandola, sebbene avesse già partorito, poiché desiderava avere più figli, compì quel gesto.
Si legge che Giacobbe ne chiese una soltanto e che si unì a loro unicamente per l'obbligo di avere figli, nel rispetto del vincolo coniugale tanto che non si univa se le mogli non lo reclamavano perché avevano un legittimo potere sul corpo del marito. ( 1 Cor 7,4 )
Da quattro donne dunque ebbe dodici figli e una figlia. ( Gen 29, 1 - 30,24 )
Poi andò in Egitto tramite il figlio Giuseppe che, venduto dai fratelli invidiosi, vi era stato condotto e poi elevato ad una alta carica.
Giacobbe, come ho detto poco fa, si chiamava anche Israele.
È un nome che ha avuto soprattutto il popolo che da lui discende.
Gli fu imposto dall'angelo il quale, indubbio portatore dell'immagine di Cristo, aveva lottato con lui che tornava dalla Mesopotamia. ( Gen 32,24-32 )
Il fatto che Giacobbe prevalse su di lui, che evidentemente così volle per allegorizzare significati occulti, simboleggia la passione di Cristo, durante la quale parve che i Giudei prevalessero su di lui.
E tuttavia ottenne la benedizione dall'angelo stesso che aveva sconfitto e così l'imposizione di quel nome fu una benedizione.
Israele si traduce appunto "chi vede Dio".
Questo sarà alla fine il premio di tutti gli eletti.
L'angelo toccò a lui che aveva, per così dire, prevalso, la sporgenza del fianco e in questo modo lo rese zoppo.
Era dunque lo stesso e medesimo Giacobbe benedetto e zoppo, benedetto in quei che dal medesimo popolo credettero in Cristo e zoppo nei miscredenti.
Difatti la sporgenza del fianco significa il gran numero dei discendenti.
Vi sono molti infatti in quella razza, dei quali profeticamente è stato predetto: E zoppicando uscirono dai propri sentieri. ( Sal 18,46 )
Si ha la notizia che entrarono in Egitto assieme a Giacobbe, lui compreso e i figli, settantacinque persone.
Nel numero sono comprese soltanto due donne, una figlia e una nipote.
Ma il caso attentamente considerato non conferma che si avesse un numero così elevato di individui nella discendenza di Giacobbe il giorno o l'anno che emigrò in Egitto.
Tra loro sono stati menzionati anche i pronipoti di Giuseppe, eppure era assolutamente impossibile che già esistessero.
Infatti Giacobbe aveva allora centotrenta anni, il figlio Giuseppe trentanove; egli, come risulta, aveva preso moglie a trent'anni o più.
Non si spiega come poté in nove anni avere nipoti dai figli che aveva avuto dalla moglie.
Quindi poiché Efraim e Manasse, figli di Giuseppe, non avevano figli ma Giacobbe, emigrato in Egitto, li conobbe fanciulli in età inferiore ai nove anni, per quale ragione sono annoverati non solo figli ma anche nipoti fra le settantacinque persone che con Giacobbe andarono in Egitto?
Nel testo, sono menzionati Machir, figlio di Manasse e nipote di Giuseppe e il figlio di Machir, cioè Galaad, nipote di Manasse e pronipote di Giuseppe.
V'è inoltre un figlio di Efraim, l'altro figlio di Giuseppe, cioè Utalaam, nipote di Giuseppe e il figlio di Utalaam, Edem, nipote di Efraim e pronipote di Giuseppe.
È del tutto impossibile che costoro esistessero quando Giacobbe emigrò in Egitto e trovò i figli di Giuseppe, suoi nipoti e nonni di costoro, ancora fanciulli in età inferiore ai nove anni.
Evidentemente l'entrata di Giacobbe in Egitto, quando la Scrittura lo rammenta con i settantacinque familiari, non è relativa a un solo giorno o a un solo anno ma a tutto il tempo che visse Giuseppe, per la cui mediazione avvenne la loro emigrazione.
Infatti di Giuseppe dice la Scrittura: Giuseppe rimase in Egitto egli, i fratelli e tutta la famiglia di suo padre, visse centodieci anni e conobbe i discendenti di Efraim fino alla terza generazione.
Sono i pronipoti al terzo grado da Efraim.
La Scrittura delimita la terza generazione al figlio, al nipote e pronipote.
E continua: I figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle ginocchia di Giuseppe. ( Gen 50,22 )
Anche qui si tratta di un nipote di Manasse e pronipote di Giuseppe.
Tuttavia è stato nominato al plurale come fa di solito la Scrittura che ha designato come figlie una sola figlia di Giacobbe.
Pur nell'uso della lingua latina i figlioli sono detti al plurale liberi anche se non sono più d'uno.
Sebbene si voglia segnalare la fortuna dello stesso Giuseppe, perché poté conoscere i pronipoti, non si deve però assolutamente pensare che c'erano già quando il bisnonno aveva trentanove anni, allorché suo padre Giacobbe si trasferì da lui in Egitto.
Quel che inganna coloro, i quali considerano meno attentamente, è l'inserto: Questi sono i nomi dei discendenti d'Israele che emigrarono in Egitto assieme a Giacobbe loro capostipite. ( Gen 46,8 )
Si ha questa espressione perché sono calcolate settantacinque persone assieme a lui, non perché erano già tutte insieme quando egli andò in Egitto ma, come ho detto, si calcola come sua entrata tutto il tempo che visse Giuseppe perché in lui viene considerata una entrata.
Quindi sull'argomento del popolo cristiano, in cui la città di Dio è esule sulla terra, se ci proponiamo l'umanità di Cristo nella discendenza di Abramo, a parte i figli delle concubine, ci si presenta Isacco; se nella discendenza di Isacco, a parte Esaù che è anche Edom, ci si presenta Giacobbe che è anche Israele; se nella discendenza dello stesso Israele, a parte gli altri figli, ci si presenta Giuda perché dalla tribù provenne il Cristo.
Perciò ascoltiamo con quali parole Israele, sul punto di morire in Egitto, nel benedire i figli, benedisse profeticamente Giuda; egli disse: Giuda, ti loderanno i tuoi fratelli.
Le tue mani obbligheranno i tuoi nemici a piegar la schiena e davanti a te si curveranno anche i tuoi fratelli.
Giuda sei come un giovane leone che sei risalito, figlio mio, dal far preda, accovacciato nella tana ti sei addormentato come un leone e un leoncello.
Chi oserà svegliarlo? Non cesseranno i principi da Giuda e il comando dai suoi fianchi finché non giunga il destino che gli è riservato ed egli sarà l'attesa dei popoli.
Legando alla vite il suo puledrino e alla tenda il piccolo della sua asina laverà nel vino la sua veste e nel mosto il suo mantello.
I suoi occhi sono luminosi per il vino e i suoi denti più bianchi del latte. ( Gen 49,8-12 )
Ho esposto questi concetti nella polemica Contro Fausto il manicheo13 e penso che sia sufficiente a far sì che risalti l'avverarsi di questa profezia.
Difatti in essa la morte di Cristo è preannunziata col termine di sonno e non v'è un destino fatale ma il libero potere nella figura del leone.
Egli stesso nel Vangelo fa risaltare questo libero potere con le parole: Ho il potere di offrire la mia anima e il potere di riaverla.
Nessuno me la toglie ma io la offro di mia volontà e poi la riprendo. ( Gv 10,17-18 )
Così ha ruggito il leone e ha adempiuto ciò che ha detto.
Appartiene appunto a quel libero potere ciò che è stato aggiunto: Chi oserà svegliarlo?
Significa che nessun uomo ma egli soltanto che ha detto del suo corpo: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificherò. ( Gv 2,19 )
Anche il genere di morte, cioè l'altezza della croce, è espresso in una sola parola: Sei salito.
Ciò che segue: Accovacciato nella tana ti sei addormentato, dall'Evangelista è espresso con le parole: E chinata la testa morì. ( Gv 19,30 )
Vi si configura senza dubbio anche il suo sepolcro in cui si distese per dormire.
Da lì nessun uomo lo fece risorgere, come fecero i Profeti con alcuni ed egli con altri, ma da sé si destò come da un sonno.
La sua veste, che lava nel vino, cioè rende monda dai peccati nel suo sangue, è senz'altro la Chiesa perché i battezzati sono consapevoli del sacramento di questo sangue e per questo soggiunge: E nel mosto il tuo mantello.
I suoi occhi luminosi per il vino sono quelli che appartengono al suo Spirito e che sono inebriati dalla sua coppa di vino, di cui canta il Salmo: Quanto è bello il tuo calice che inebria. ( Sal 23,5 )
E i suoi denti più bianchi del latte, di cui, secondo l'Apostolo, come di parole che nutriscono, bevono i bambini non ancora adatti al cibo solido. ( 1 Cor 3,2 )
È Egli dunque colui in cui erano riposte le promesse di Giuda e fino a che esse non si avveravano, non sarebbero mai mancati dalla stirpe i principi, cioè i re d'Israele.
Ed Egli sarà l'attesa dei popoli è un fatto che è più evidente nella diretta esperienza che per dimostrazione.
Dunque i due figli di Isacco, Esaù e Giacobbe, hanno suggerito l'allegoria di due popoli nei Giudei e nei cristiani.
Tuttavia per quanto riguarda la discendenza razziale né i Giudei ma gli Idumei provengono dalla discendenza di Esaù, né i popoli cristiani ma i Giudei da Giacobbe.
In questo senso soltanto ha avuto significato l'allegoria così espressa: Il più grande sarà sottomesso al più piccolo. ( Gen 25,23 )
Così è avvenuto per i due figli di Giuseppe, poiché il più grande ha suggerito l'immagine dei Giudei, il più piccolo dei cristiani.
Lo mostrò Giacobbe quando li benedisse, perché pose la mano destra sopra il più piccolo che aveva alla sinistra e la sinistra sopra il più grande che aveva alla destra.
Al loro padre parve una cosa insopportabile e avvisò il proprio padre quasi a rettificare il suo errore e mostrare quale fosse il maggiore.
Ma egli non volle spostare le mani e disse: Lo so, figlio, lo so.
Anche questi diverrà un popolo e sarà onorato, ma il suo fratello più giovane sarà più grande di lui e la sua discendenza si distribuirà in un gran numero di popoli. ( Gen 48,12-19 )
Nulla è più evidente che in queste due promesse sono indicati il popolo di Israele e il mondo intero nella discendenza di Abramo, uno secondo la razza, l'altro secondo la fede.
Dopo la morte di Giacobbe e di Giuseppe, per i rimanenti centoquarantaquattro anni fino all'uscita dall'Egitto, il popolo ebraico s'accrebbe in maniera incredibile sebbene colpito da tante rappresaglie.
A un certo punto venivano perfino uccisi i bimbi maschi perché l'eccessivo aumento della popolazione atterriva gli Egiziani sgomenti. ( Es 1,15-22 )
Allora Mosè, sottratto con uno stratagemma agli incaricati della strage dei piccoli, fu portato nella casa del re, poiché Dio predisponeva per suo mezzo avvenimenti straordinari, ( Es 2,5-10 ) e fu allevato e adottato dalla figlia del faraone, nome comune in Egitto a tutti i re.
Riuscì uomo di tanto rilievo da sottrarre quel popolo, mirabilmente cresciuto di numero, dall'assai duro e penoso gravame di schiavitù cui soggiaceva, o meglio per suo mezzo Dio che l'aveva promesso ad Abramo.
Prima era fuggito dal luogo perché nel difendere un Israelita aveva ucciso un Egiziano ed era stato minacciato. ( Es 2,11-15 )
Poi mandato per divina mozione nel potere dello Spirito di Dio ( Es 3,7-10; Es 4,19-23 ) aveva sconfitto i fattucchieri del faraone che lo contrastavano.
Allora per suo mezzo furono inflitte agli Egiziani le dieci celebri piaghe poiché non volevano lasciar partire il popolo di Dio e cioè l'acqua cambiata in sangue, i ranocchi, le zanzare, i mosconi, la morte del bestiame, le ulcere, la grandine, le cavallette, le tenebre, la morte dei primogeniti. ( Es 7,11 )
In ultimo gli Egiziani, mentre inseguivano gli Israeliti che avevano lasciato partire perché abbattuti da tante e sì gravi sciagure, furono sterminati nel Mar Rosso.
Il mare diviso tracciò una via a quelli che se ne andavano, il flutto che rifluiva sommerse questi che li inseguivano. ( Es 14,5-31 )
In seguito il popolo per quarant'anni si trattenne nel deserto sotto la guida di Mosè.
Allora fu istituita la tenda dell'alleanza in cui si adorava Dio con sacrifici che preannunciavano il futuro quando era già stata data la legge sul monte in modo terrificante perché la divinità la ratificava con segni e suoni molto evidenti.
Avvenne subito dopo l'uscita dall'Egitto, quando il popolo era già entrato nel deserto, cinquanta giorni dopo che la Pasqua era stata celebrata con l'immolazione di un agnello.
Esso è simbolo di Cristo perché preannuncia che egli attraverso il sacrificio della croce da questo mondo sarebbe passato al Padre.
Difatti Pasqua nella lingua ebraica si traduce "Passaggio". ( Es 12,11 )
Così si rendeva manifesta la Nuova Alleanza poiché cinquanta giorni dopo che Cristo fu sacrificato come nostro agnello pasquale, ( 1 Cor 5,7 ) scendeva dal cielo lo Spirito Santo, ( At 2,1-4 ) che nel Vangelo è indicato come dito di Dio, ( Lc 11,20 ) per richiamare il nostro pensiero al ricordo del primo avvenimento allegorico perché anche le tavole della legge furono scritte dal dito di Dio. ( Es 31,18 )
Dopo la morte di Mosè diresse il popolo Giosuè di Nun, lo introdusse nella Terra promessa e la distribuì al popolo.
Da questi due grandi condottieri furono sostenute delle guerre con sorprendente successo, sebbene Dio desse testimonianza che quelle vittorie provenivano loro non tanto per i meriti del popolo ebraico ma a causa delle colpe dei popoli che venivano sconfitti.
Dopo questi condottieri vi furono i giudici, quando già il popolo era sistemato nella Terra promessa.
Così frattanto cominciava ad essere adempiuta la prima promessa, fatta ad Abramo, relativa a un solo popolo, quello ebraico, e alla terra di Canaan, ( Gdc 2,6-9 ) non ancora a tutti i popoli e al mondo intero. L'avrebbe adempiuta la presenza di Cristo nell'umanità, non l'osservanza della vecchia legge, ma la fede del Vangelo.
Ne è allegoria profetica il fatto che non fu Mosè, il quale sul monte Sinai aveva ricevuto la legge per il popolo, a introdurlo nella Terra promessa, ma Giosuè, al quale per ordine di Dio era stato cambiato il nome. ( Nm 13,17 )
All'epoca dei giudici, nel rapporto fra le colpe del popolo e la misericordia di Dio, si alternano successi e insuccessi militari. ( Gdc 2,16-19 )
Si giunse all'epoca dei re. Il primo fu Saul.
A lui destituito e ucciso durante una sconfitta, ( 1 Sam 31 ) ed essendo anche radiata la sua stirpe dal rango dei re, gli successe nel regno Davide.
Soprattutto di lui il Cristo fu detto figlio.
Con lui si aprì un periodo e in certo senso l'inizio della giovinezza del popolo di Dio, di cui la quasi adolescenza si era protratta da Abramo a Davide.
Non senza ragione l'evangelista Matteo ha ordinato le generazioni in modo da segnalare con quattordici generazioni un primo lasso di tempo, cioè da Abramo a Davide. ( Mt 1,1-17 )
Con l'adolescenza appunto l'uomo inizia a poter generare e per questo l'inizio delle generazioni fu intrapreso da Abramo che fu costituito anche patriarca dei popoli quando ebbe mutato il nome.
Prima di lui dunque, cioè da Noè fino allo stesso Abramo, si ebbe come la fanciullezza di questo modo di essere del popolo di Dio e perciò si concretizzò nella lingua, quella ebraica.
Infatti l'uomo comincia a parlare dalla fanciullezza che segue all'infanzia la quale è stata così denominata perché l'uomo è privo di favella.
L'oblio sommerge questa prima età dell'uomo come la prima età del genere umano fu distrutta dal diluvio.
Difatti non v'è nessuno che ricordi la propria infanzia.
Perciò come in questa evoluzione della città di Dio il libro precedente ha svolto soltanto la prima età, così questo svolgerebbe la seconda e la terza.
Nella terza appunto, in considerazione della giovenca, della capra e dell'ariete, tutti e tre dell'età di tre anni, fu imposto il giogo della legge, si manifestò il gran numero dei peccati e si ebbe l'inizio del regno terreno, però non mancarono gli spirituali dei quali si manifestò l'allegoria nella tortora e nel colombo. ( Gen 15,9 )
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13 | C. Faustum 12, 42 |