La città di Dio |
La città di Dio, che si evolve nella serie dei tempi, indicherà come si adempiano le promesse di Dio rivolte ad Abramo giacché abbiamo appreso che, per garanzia di Dio stesso, sono dovuti alla sua discendenza il popolo d'Israele secondo la razza e tutti i popoli secondo la fede.
Poiché dunque l'epilogo del libro precedente è approdato al regno di Davide, ora da quel regno esponiamo gli eventi che seguono nel limite che si ritiene sufficiente all'opera intrapresa.
Il periodo che va da quando Samuele cominciò a profetare fino a quando il popolo d'Israele fu condotto prigioniero in Babilonia e, al ritorno degli Israeliti dopo settant'anni secondo la profezia del santo Geremia, ( Ger 25,11 ) fu riedificato il tempio, è complessivamente il periodo dei Profeti.
Tuttavia non senza ragione possiamo considerare Profeti lo stesso patriarca Noè, durante la cui vita la terra intera fu sterminata dal diluvio, e gli altri prima e dopo l'epoca in cui nel popolo di Dio cominciarono a dominare i re perché alcuni avvenimenti futuri, che appartenevano alla città di Dio e al regno dei cieli, in qualche modo furono da loro simboleggiati o previsti.
Di alcuni di loro soprattutto leggiamo che più esplicitamente sono stati considerati tali, come Abramo ( Gen 20,7 ) e Mosè. ( Dt 34,10 )
Tuttavia epoca dei Profeti è stata considerata particolarmente e superlativamente quella in cui cominciò a profetare Samuele ( 1 Sam 3, 20 ) che, per comando di Dio, unse come re dapprima Saul ( 1 Sam 10, 1 ) e, dopo che egli fu destituito, lo stesso Davide ( 1 Sam 16, 13 ) perché avesse successori della sua stirpe fino a quando fu opportuno avere successori in quella forma.
Se dunque volessi passare in rassegna tutte le cose che sono state predette dai Profeti sul Cristo, quando la città di Dio attraversava questo periodo con l'avvicendarsi della morte e nascita dei suoi adepti, si sconfina nello sterminato.
Prima di tutto la Scrittura stessa che, distribuendo nella serie i re, le loro imprese e avvenimenti, sembra quasi interessata a narrare i fatti con precisione storica, se si esaminasse con un certo criterio nel sussidio di una ispirazione divina, si scorgerebbe intenta, se non più, certo non meno, a preannunciare eventi futuri che a narrare i passati.
Ed anche chi, pur di sfuggita, esaminasse questi aspetti, non ignorerebbe come sia faticosa, lunga e bisognosa di parecchi volumi l'indagine approfondita e l'esposizione ragionata dell'argomento.
Poi anche i temi, che fuor di dubbio appartengono alla profezia, sono così numerosi sul Cristo e il regno dei cieli, cioè la città di Dio, che per l'esposizione si richiede una trattazione più lunga di quanto il criterio di questa opera richiede.
Quindi, se potrò, col mio metodo la disporrò in modo da non dire cose superflue e non tralasciare quelle che sono indispensabili a questa opera da condurre a termine nella volontà di Dio.
Nel libro precedente abbiamo detto che dall'inizio delle promesse ad Abramo due cose gli furono assicurate.
La prima è che la sua discendenza avrebbe avuto il possesso del paese di Canaan ed è indicata con le parole: Va' nel paese che io ti indicherò e ti renderò un grande popolo. ( Gen 12,1 )
L'altra molto più importante non è relativa a una discendenza razziale ma spirituale, per cui è padre non del solo popolo d'Israele ma di tutti i popoli che seguono le orme della sua fede.
La promessa ebbe inizio con queste parole: In te saranno benedetti tutti i popoli della terra. ( Gen 12,3 )
Abbiamo esposto che in seguito queste due promesse furono confermate da molte altre attestazioni.
Era dunque nella Terra promessa la discendenza di Abramo secondo la razza, cioè il popolo d'Israele, e in essa aveva già iniziato a dominare non solo perché aveva in possesso le città dei nemici ma anche perché aveva i re.
Si erano così in gran parte adempiute le promesse di Dio su questo popolo, non solo quelle che erano state rivolte ai tre patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe e tutte le altre nella loro epoca, ma anche quelle fatte per mezzo dello stesso Mosè.
Da lui il popolo era stato liberato dalla schiavitù d'Egitto ed erano stati manifestati tutti gli eventi passati verificatisi alla sua epoca, mentre guidava il popolo per il deserto.
Dal valente condottiero Giosuè di Nun il popolo, con la sconfitta delle varie popolazioni, fu introdotto nella Terra promessa ed egli, prima di morire, la distribuì alle dodici tribù, alle quali Dio l'aveva assegnata.
Eppure né con lui né dopo di lui, durante l'intero periodo dei Giudici, s'era adempiuta la promessa di Dio relativa alla terra di Canaan da un certo fiume d'Egitto fino al grande fiume Eufrate. ( Gen 15,18 )
Tuttavia non si profetizzava più un fatto che sarebbe avvenuto, si attendeva che si adempisse.
Si adempì per mezzo di Davide e del figlio Salomone, il cui regno si allargò in estensione secondo quanto era stato promesso perché assoggettarono i popoli vicini e li resero tributari. ( 1 Re 5, 1 )
Così dunque la discendenza di Abramo era stata organizzata politicamente nella terra della promessa secondo la razza, cioè nella terra di Canaan, alla dipendenza di re, sicché non mancava nulla perché si adempisse la promessa di Dio.
Restava soltanto che il popolo ebraico rimanesse nella medesima terra in una condizione stabile per l'avvenire, per quanto attiene alla prosperità temporale sino alla fine dei tempi, se obbediva alle leggi di Dio.
Ma siccome Dio sapeva che non l'avrebbe fatto, pose in atto le sue pene temporali per stimolare i pochi a lui fedeli in quel popolo e ammaestrare quelli che sarebbero stati tali in tutti i popoli in ciò che era necessario fossero ammaestrati perché in essi avrebbe adempiuto l'altra promessa mediante l'incarnazione del Cristo con la formulazione della Nuova Alleanza.
Perciò le divine predizioni ad Abramo, Isacco e Giacobbe e tutte le altre indicazioni o parole profetiche che si sono avute nei precedenti libri della sacra Scrittura come pure le altre profezie del periodo dei re in parte appartengono alla razza di Abramo, in parte a quella sua discendenza nella quale sono benedetti tutti i popoli coeredi di Cristo nella Nuova Alleanza per possedere la vita eterna e il regno dei cieli.
In parte dunque spettano alla schiava che genera alla schiavitù, cioè alla Gerusalemme terrena che è schiava con i suoi figli, in parte alla libera città di Dio, cioè alla vera Gerusalemme eterna nei cieli i cui figli appartenenti all'umanità, pur vivendo secondo Dio, sono esuli sulla terra. ( Gal 4,21-26 )
Vi sono però in quelle profezie alcuni dati che si avvertono di pertinenza dell'una e dell'altra, cioè propriamente della schiava, allegoricamente della libera.
Si danno dunque tre diverse forme dei modi di esprimersi dei Profeti poiché alcuni sono pertinenti alla Gerusalemme terrena, alcuni alla celeste, parecchi all'una e all'altra.
Noto che il mio assunto si deve dimostrare con esempi.
Il profeta Natan fu mandato a rimproverare d'un grave peccato il re Davide e a preavvisarlo dei gravi mali che ne sarebbero a lui derivati. ( 2 Sam 12, 1-7 )
Non si può dubitare che queste parole divine e simili che sono svelate tanto a vantaggio dello Stato, cioè per il benessere ed utilità del popolo, quanto a privato vantaggio, cioè per i propri personali interessi, riguardano la città terrena perché con esse si conosce qualcosa che deve avvenire in vista di qualche temporale esigenza.
Ad esempio, si legge in un passo: Verranno giorni, dice il Signore, in cui io concluderò con il popolo d'Israele e con il popolo di Giuda una nuova alleanza diversa da quella che ho stabilito con i loro antenati nel giorno in cui ho preso la loro mano per farli uscire dall'Egitto, perché essi non hanno perseverato nella mia alleanza ed io non ho dato loro ascolto, dice il Signore.
Questa è l'alleanza che io concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni, dice il Signore, perché metterò le mie leggi nella loro mente e le scriverò nei loro cuori e veglierò su di loro e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. ( Ger 31,31-33; Eb 8,8-10 )
Nel brano è senza dubbio preannunciata la Gerusalemme celeste, il cui premio è Dio stesso e averlo e a lui appartenere è il bene sommo e ultimo.
All'una e all'altra città sono relative l'affermazione che Gerusalemme è la città di Dio e la predizione che in essa vi sarà la casa di Dio.
Sembra che questa predizione si sia avverata quando il re Salomone edificò il magnifico tempio. ( 1 Re 6 )
Questi fatti appunto avvennero storicamente nella Gerusalemme terrena e furono allegorie di quella celeste. Un terzo tipo di profezia perciò, quasi risultante dalla coordinazione dei primi due, ha grandissima importanza nei libri dell'Antico Testamento, in cui è contenuta la narrazione di avvenimenti storici, e ha molto stimolato e stimola l'ingegno degli esegeti della sacra Scrittura.
Ne consegue che ciò che si legge preannunciato e adempiuto dalla prospettiva storica nella discendenza di Abramo secondo la razza si deve esaminare da una prospettiva allegorica come simbolo di ciò che si dovrà adempiere nella discendenza di Abramo secondo la fede.
Alcuni propongono perfino l'ipotesi che non v'è nulla nei libri della Scrittura di preannunciato e di avvenuto o di avvenuto, sebbene non preannunciato, che non suggerisca per allegoria un concetto relativo alla celeste città di Dio e ai suoi cittadini esuli in questa vita.1
Ma se è così, non sono di due ma di tre forme i vari modi di esprimersi dei Profeti o meglio di tutti i libri della Scrittura che sono registrati con l'appellativo di Antico Testamento.
In essi infatti non v'è nulla che riguardi soltanto la città terrena se tutto ciò che di essa si riferisce o per essa si adempie simboleggia qualcosa che per allegoria si può riferire anche alla Gerusalemme celeste.
Saranno quindi due forme soltanto, una che riguarda la libera Gerusalemme, l'altra che riguarda entrambe.
Io sono dell'opinione che come sbagliano di grosso quelli i quali ritengono che in quel genere letterario gli avvenimenti storici simboleggiano semplicemente che sono avvenuti in quella circostanza, così sono troppo audaci quelli i quali polemizzano che in quei libri tutti i contenuti sono avviluppati di significati allegorici.
Per questo ho detto che sono di tre forme, non di due.
La penso così, però senza incolpare coloro che da qualsiasi avvenimento hanno potuto configurare una nozione di significato spirituale, sempre nel rispetto della verità storica.
Del resto nessun credente può dire che sono formulati senza scopo i discorsi che possono esser riferiti ad eventi avveratisi e da avverarsi da una prospettiva umana o divina.
Ognuno, se può, li riferisca a un significato spirituale e se non può, consenta che vi siano riferiti da chi lo sa fare.
Indice |
1 | Clemente Alessandrino, Strom. 5, 32-34; Origene, De princ. 4, 3, 5 |