La città di Dio |
Quando per la mediazione di Gesù Cristo nostro Signore, giudice dei vivi e dei morti, saranno giunte al fine dovuto le due città, l'una di Dio e l'altra del diavolo, di quale tipo sarà la pena del diavolo e dei suoi adepti è l'argomento che in questo libro debbo svolgere con maggiore attenzione, per quanto ne sarò competente con l'aiuto di Dio.
Ho preferito seguire la coordinazione di trattare la felicità dei santi dopo, poiché l'una e l'altra condizione si avrà col corpo e il conservarsi dei corpi fra tormenti perenni sembra più incredibile del loro perdurare senza alcun dolore nell'eterna felicità.
Perciò l'aver dimostrato che quella pena non si deve ritenere incredibile mi aiuterà assai affinché con molta maggior ragionevolezza si creda che negli eletti si avrà un'immortalità del corpo immune da ogni disagio.
Tale disposizione non contraddice la parola di Dio, anche se talora la felicità degli eletti viene indicata prima, come nel passo: Coloro che hanno fatto del bene andranno nella risurrezione della vita, coloro che hanno fatto del male nella risurrezione della condanna; ( Gv 5,29 ) ma talora è indicata anche dopo, come nel passo: Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli ed estirperanno dal suo regno tutti gli scandali e li getteranno nella fornace ardente, dove si avrà pianto e stridore di denti; allora gli eletti splenderanno come un sole alla presenza del loro Padre; ( Mt 13,41-43 ) e anche in questo passo: Essi andranno al tormento eterno, gli eletti alla vita eterna. ( Mt 25,46 )
Anche nei Profeti, ed è lungo citarli, se uno li vuol confrontare, si trova ora l'una ora l'altra disposizione.
Ma ho già detto per quale motivo ho scelto questa.
Quale caso somigliante presenterò perché i pagani si convincano che il corpo umano animato e vivente non solo non si scompone ma resiste anche nei tormenti del fuoco eterno?
Non vogliono infatti che noi attribuiamo il fatto al potere dell'Onnipotente, ma esigono di essere convinti con un qualche esempio.
Potremmo rispondere che vi sono animali certamente soggetti al disfacimento, perché soggetti a morire, che tuttavia vivono in mezzo al fuoco;1 inoltre che si scorge una famiglia di vermi nella sorgente di acque termali, il cui bollore non si può impunemente sperimentare; essi invece non solo vivono in quel luogo, ma non possono esserne fuori.2
Ma quei tali o non vogliono credere, se non siamo in grado di mostrare la realtà dei fatti, o se fossimo in grado di mostrarla alla vista o d'informare mediante testimoni competenti, obietteranno con immutata incredulità che non è pertinente come esempio sull'argomento che è in discussione perché quegli animali non vivono per sempre e vivono in quei bollori senza soffrire.
Infatti, dicono, sono vivificati, non torturati da quegli elementi, in quanto convenienti alla loro natura, come se non sia più incredibile essere vivificati che torturati da simili cose.
Desta meraviglia infatti soffrire e tuttavia vivere nel fuoco, ma desta maggior meraviglia vivere nel fuoco e non esserne torturati.
Se si crede a questo, perché non anche all'altro?
Ma è impossibile, obiettano, che vi sia un corpo soggetto al dolore e non alla morte.
E questo da che lo sappiamo? Infatti chi sa con certezza, riguardo al corpo dei demoni, se è nel dolore, quando essi ammettono di essere afflitti da grandi tormenti?
Se, soggiungono, si risponde che nella terra non v'è corpo percettibile al tatto o alla vista o, per esprimere il concetto con una sola parola, non v'è carne che possa sentir dolore e non morire, che altro si dice se non ciò che gli uomini hanno reso enunciabile con la sensazione e l'esperienza?
Essi conoscono soltanto una carne soggetta a morire e questo è l'unico loro criterio: che ritengono completamente impossibile quel che non hanno fatto oggetto d'esperienza.
E che razza di criterio, ribatto io, è quello di rendere il dolore dimostrazione della morte quando è piuttosto manifestazione della vita?
E quantunque rileviamo come ipotesi se ogni essere che soffre possa vivere per sempre, è certo tuttavia che ogni dolore può verificarsi soltanto in un essere vivente.
È ineluttabile quindi che chi soffre viva, ma non che la sofferenza faccia morire.
Infatti non ogni dolore fa morire questi corpi, soggetti a morire, che certamente moriranno, e perché un qualche dolore li faccia morire si richiede, dato che l'anima è strettamente unita al corpo, che si arrenda a dolori insostenibili e si separi, poiché il complesso di membra ed organi è così debole che non riesce a tollerare quella violenza che comporta un grande o grandissimo dolore.
Nell'eternità poi l'anima sarà avvinta a un corpo di tal fatta in un modo che il legame non sarà sciolto dall'incessante scorrere del tempo né spezzato da alcun dolore.
Perciò, sebbene nel tempo non si ha la carne che può subire la sensazione del dolore e non la morte, nell'eternità tuttavia si avrà una carne tale, quale non si ha nel tempo, e si avrà una morte tale, quale nel tempo non si ha.
Non che non si avrà la morte, ma si avrà una morte perenne, poiché l'anima non potrà avere la vita non avendo Dio né morendo essere esente dai dolori del corpo.
La prima morte espelle dal corpo l'anima che non vuole, la seconda morte conserva nel corpo l'anima che non vuole.
Dall'una e dall'altra morte si ha in comune che l'anima subisca dal proprio corpo ciò che non vuole.
Questi oppositori considerano che nel tempo non v'è carne la quale possa subire il dolore e non la morte, non considerano tuttavia che v'è un qualcosa che è superiore al corpo.
Ed è l'anima pensante, dalla cui efficienza il corpo ha vita e funzionamento e può subire il dolore senza subire la morte.
S'individua un essere che, pur avendo la sensibilità al dolore, è immortale.
Questo stato si avrà dunque nell'eternità, anche nel corpo dei dannati, perché nel tempo abbiamo coscienza che si ha nell'anima pensante di tutti.
Se poi riflettiamo più attentamente, il dolore, che si considera del corpo, spetta di più all'anima.
Il soffrire infatti è dell'anima, non del corpo, anche quando lo stimolo del soffrire le proviene dal corpo, perché soffre in quella parte in cui si ha una lesione del corpo.
Noi consideriamo senzienti e viventi i corpi poiché derivano dall'anima il senso e la vita; allo stesso modo li consideriamo anche dolenti poiché soltanto dall'anima può derivare il dolore al corpo.
L'anima dunque soffre col corpo in quella parte di esso, in cui si ha un fenomeno che la fa soffrire; soffre anche da sola, quando essa per un qualche motivo, anche invisibile, è triste, sebbene il corpo sia incolume; soffre anche quando non è unita al corpo.
Soffriva il ricco nell'inferno, quando gridava: Sono tormentato in questa fiamma. ( Lc 16,24 )
Il corpo invece non soffre, se è esanime; e se è animato, non soffre senza l'anima.
Se dunque ragionevolmente dal dolore si desumesse la prova per la morte, nel senso che è possibile che avvenga la morte perché è stato possibile che avvenisse il dolore, spetterebbe di più all'anima il morire perché ad essa spetta di più il soffrire.
Perciò benché essa, che può soffrire di più, non possa morire, non v'è motivo per credere che i corpi, perché saranno nei dolori, dovranno anche morire.
Hanno detto i platonici che dai corpi terrestri e dalle membra soggette a morire provengono all'anima timore, desiderio, dolore e piacere. Dice Virgilio: Da essa, cioè dalle membra del corpo terrestre soggette a morire, temono, desiderano, soffrono e godono.3
Ma li abbiamo confutati nel libro dodicesimo di quest'opera4 perché, a sentir loro, le anime, anche se purificate da ogni contaminazione del corpo, hanno lo sfrenato desiderio con cui cominciano ancora una volta a voler tornare nel corpo.5
E quando vi può essere il desiderio, vi può essere anche il dolore.
Il desiderio frustrato infatti, sia perché non giunge al fine a cui tende, sia perché si lascia sfuggire quel che aveva raggiunto, si riversa in dolore.
Perciò se l'anima, che soffre o da sola o principalmente, conserva tuttavia una determinata immortalità in base al suo stato, non potranno morire neanche i corpi dei dannati perché sono nel dolore.
Infine, se i corpi influiscono a fare soffrire le anime, possono loro provocare il dolore e non la morte perché non consegue necessariamente che un fenomeno, il quale cagiona il dolore, cagioni anche la morte.
Quindi non è incredibile che il fuoco possa provocare a quei corpi il dolore e non la morte, come non è incredibile che i corpi stessi facciano soffrire le anime senza indurle a morire.
Dunque il dolore non è prova ineluttabile della futura morte.
Come hanno scritto gli studiosi, che con grande interesse hanno operato indagini sulla natura degli animali, la salamandra vive nel fuoco,6 e alcuni monti molto noti della Sicilia, da un remoto periodo nell'antichità fino ad oggi e in futuro, sono incandescenti nel fuoco e rimangono intatti.
Sono quindi testimoni attendibili che non tutto quel che arde si annienta.
L'anima poi denunzia che non tutto ciò che può soffrire può anche morire.
Non v'è dunque ragione perché da noi si chiedano ancora esempi con cui evidenziare la credibilità che il corpo degli uomini condannati all'eterno tormento non perda l'anima nel fuoco, arda senza consumarsi, soffra senza morire.
Nell'eternità la costituzione della carne avrà tale proprietà innestata da colui che nei vari oggetti che vediamo ne ha innestate molte così stupende e diverse che non le ammiriamo perché sono molte.
Soltanto Dio ha concesso alla carne del pavone morto di non imputridire.
Sembra una cosa incredibile a udirsi quel che ci capitò a Cartagine.
Ci fu imbandito questo uccello arrosto.
Demmo ordine che fosse conservato, quanto sembrò opportuno, uno stacco di magro dal petto.
Consegnato e portato a tavola dopo un periodo di giorni tale che qualsiasi altra carne arrosto sarebbe imputridita, quella non offese affatto il nostro odorato.
Messo da parte, dopo più di trenta giorni fu trovato qual era e così dopo un anno, salvo che era di mole più secca e ridotta.7
Chi ha poi concesso alla paglia un potere tanto agghiacciante da conservare le nevi ricoperte e tanto riscaldante da far maturare le frutta acerbe?
Chi potrebbe rilevare dal fuoco stesso fenomeni stupefacenti?8
Difatti, benché sia splendente, tutti gli oggetti da esso bruciati diventano neri e, sebbene bellissimo di colore, scolora tutte le cose che attornia e lambisce e trasforma le braci lampeggianti in carbone molto nero.
E non è un fatto che avvenga regolarmente.
Difatti al contrario e mattoni bruciati a un fuoco incandescente diventano anch'essi candidi e, sebbene esso piuttosto rosseggi ed essi biancheggino, conviene tuttavia alla luce ciò che è bianco, alle tenebre ciò che è nero.
E poiché il fuoco arde con la legna per cuocere i mattoni, ottiene effetti contrari in oggetti non contrari.
Infatti, sebbene i mattoni e la legna siano diversi, tuttavia non sono contrari come il bianco e il nero; eppure il fuoco produce uno di essi nei mattoni, l'altro nella legna imbiancando, perché bianco, quelli e annerendo questa, sebbene verrebbe a mancare a quelli se non persistesse in questa.
Che dire poi del carbone? Deve sorprendere la fragilità così grande che si spezza con un colpo molto leggero, si sbriciola con una stretta assai leggera e insieme la solidità così sicura che esso non si guasta con l'umidità e non è distrutto dal tempo.
Si giunge al punto che gli agrimensori sono abituati a sotterrarlo per convincere chi intenta una lite, chiunque sia che si presenti dopo un periodo di tempo considerevole e insista che la pietra fissata non è quella terminale.
E soltanto il fuoco, che altera le cose, ha permesso che il carbone, sotterrato nell'umida terra, dove la legna imputridisce, abbia potuto durare così a lungo senza alterarsi.
Esaminiamo anche il fenomeno sorprendente della calce.
Eccettuato il caso, di cui abbiamo parlato abbastanza, che biancheggia nel fuoco, mentre in esso altre sostanze anneriscono, accoglie anche in forma molto occulta il fuoco e in una zolla fredda lo conserva così di nascosto a quelli che toccano che non si manifesta affatto ad alcun nostro senso, ma ravvisato con una esperimentazione, anche se non così manifesta, si può notare che vi persiste attutito.
La chiamiamo appunto calce viva, come se il fuoco nascosto sia l'anima invisibile di un corpo visibile.
Ed è un fenomeno sorprendente che quando si spegne allora si accende.
Per privarla del fuoco nascosto viene immersa nell'acqua, viene inondata di acqua e, sebbene prima sia fredda, si riscalda nell'acqua, da cui tutte le cose calde sono raffreddate.
Dunque come se quella zolla esali l'ultimo respiro, il fuoco, che vi era nascosto, esce fuori e la calce, come per morte avvenuta, è così fredda che con l'aggiunta dell'acqua non ribollirà.
E noi consideriamo calce spenta quella che consideravamo calce viva.
Sembra che si possa aggiungere qualcosa a questo fenomeno singolare? Certo che si aggiunge.
Se non applichi l'acqua ma l'olio, che è di più fomite del fuoco, la calce non ribolle né cospargendola d'olio né immergendovela.
Se leggessimo e udissimo questo fenomeno sorprendente in una qualche pietra indiana e non fosse possibile che esso giungesse alla nostra diretta verifica,9 penseremmo sicuramente a un'impostura o ce ne meraviglieremmo fortemente.
Ma le costatazioni giornaliere di questi avvenimenti che accadono sotto i nostri occhi, sebbene non meno sorprendenti nella forma, perdono importanza per la frequente ripetizione.
Difatti abbiamo smesso di meravigliarci di alcuni casi che fu possibile offrire alla nostra ammirazione dalla stessa India, la quale è una parte del globo lontana da noi.
Dalle nostre parti molti, soprattutto orefici e gioiellieri, hanno la pietra diamante che, come si afferma, non va in frantumi né col fuoco né con altra forza tranne il sangue di capro.10
Ma coloro che l'hanno e la conoscono, certamente non si meravigliano come coloro ai quali per la prima volta si fa notare la sua durezza.
Coloro ai quali non è mostrato, forse neanche credono; se credono, si meravigliano come di cose non viste; se capiterà di vederle, si meraviglieranno certamente come di cose prima non viste, ma l'assuefazione elimina un po' alla volta lo stimolo dell'ammirazione.
Sappiamo che il magnete è una pietra che con ammirevole potere attira il ferro.
La prima volta che lo vidi, ne rimasi fortemente sbalordito.
Osservavo che un anello di ferro era attratto dal magnete e sospeso nel vuoto; poi come se avesse concesso e comunicato il proprio potere al ferro che aveva attirato, l'anello fu accostato a un altro anello e lo sospese e come il primo anello era attaccato strettamente al magnete, così il secondo anello al primo; allo stesso modo si aggiunsero un terzo e un quarto.
Così per influssi reciproci a cerchi congiunti era appesa come una catena di anelli, non inseriti l'uno nell'altro, ma attaccati all'esterno.
Chi non rimarrebbe attonito di questo potere di una pietra poiché, non solo era insito in essa, ma si trasmetteva anche a tanti oggetti sospesi e li stringeva a sé con legami invisibili?
Ma è molto più sorprendente quel che sono venuto a sapere di questa pietra dal mio fratello e collega nell'episcopato Severo di Milevi.
Mi raccontò di aver veduto con quale esito Batanario, allora conte d'Africa, un giorno che il vescovo era a pranzo con lui, aveva preso in mano quella pietra, l'aveva collocata sotto un oggetto d'argento e aveva posto sopra l'argento un pezzo di ferro.
Poi, appena in basso muoveva la mano con cui reggeva il magnete, in alto si muoveva il ferro e, mentre in mezzo l'argento non subiva scosse, con un'impetuosissima andata e ritorno in basso la pietra era spostata dall'uomo e in alto il ferro dal magnete.
Ho detto quel che io stesso ho visto, ho detto quel che ho udito da lui, al quale ho creduto come se avessi visto io stesso.
Dirò anche quel che ho letto sul magnete.
Quando gli si pone vicino il diamante, non attira il ferro e, se l'aveva già attirato, appena viene avvicinato al diamante, immediatamente lo molla.11
L'India manda queste pietre ma se noi smettiamo di stupircene perché le conosciamo, a più forte ragione coloro dai quali provengono se le hanno facilmente accessibili.
Forse le hanno come noi la calce, di cui non restiamo sorpresi, perché è alla nostra portata, che in modo sorprendente ribolle con l'acqua, con cui di solito si spegne il fuoco, e non ribolle con l'olio, con cui di solito si alimenta il fuoco.
Tuttavia i pagani, quando proclamiamo le mirabili opere di Dio passate e future, che non siamo capaci di mostrare loro come oggetto di conoscenza, chiedono insistentemente da noi la spiegazione.
E poiché non possiamo dare tale spiegazione, in quanto quelle idee superano le capacità del pensiero umano, sentenziano che quelle da noi espresse sono false.
Essi allora devono dare una spiegazione delle tante cose sorprendenti che possiamo vedere o vediamo.
Se riconosceranno che ciò non è possibile all'uomo, devono ammettere che non perché non se ne può dare una spiegazione, un fatto non è avvenuto o non avverrà, giacché dei seguenti fenomeni egualmente non si dà una spiegazione.
Non mi dilungo nei molti casi che sono stati consegnati alla letteratura, non ad avvenimenti passati e trascorsi, ma a fenomeni che sono in atto in vari luoghi.
Se qualcuno verrà o potrà andarvi, costaterà che sono veri, ma io ne adduco pochi esempi.
Dicono che un sale di Agrigento di Sicilia, quando viene avvicinato al fuoco, si scioglie come se fosse acqua e quando è avvicinato all'acqua, sfrigola come nel fuoco.12
Presso i Garamanti v'è una sorgente di acqua così fredda di giorno che non si può bere, così bollente di notte che non si può toccare.13
Nell'Epiro v'è un'altra sorgente in cui le fiaccole, come nelle altre, si spengono se accese ma, non come nelle altre, si accendono se spente.14
V'è una pietra d'amianto d'Arcadia, che si denomina appunto l'inestinguibile, perché una volta accesa non si può spegnere.15
Il legno di un fico d'Egitto nelle acque non rimane in superficie, come gli altri legni, ma si sommerge e quel che è sorprendente, dopo essere stato per un po' in fondo, da lì riemerge alla superficie, quando molto inzuppato avrebbe dovuto appesantirsi nell'acqua.16
Alcune frutta nel territorio di Sodoma fioriscono e giungono a maturità ma, saggiate con un morso o con una stretta, svaniscono in fumo e cenere dalla buccia che si polverizza.17
La pietra pirite di Persia, se viene premuta con forza, brucia la mano di chi la tiene e per questo ha ricevuto l'etimo greco dal fuoco.18
Sempre nella Persia si produce anche la pietra di selenio, il cui naturale candore aumenta e cessa con la luna.19
Nella Cappadocia le cavalle sono fecondate anche dal vento, ma i puledri non vivono più di tre anni.20
Tilo, isola dell'India, è privilegiata su tutte le regioni perché ogni albero, che vi cresce, non è mai spogliato del rivestimento delle foglie.21
Di questi fenomeni meravigliosi e di altri innumerevoli, dei quali tratta l'indagine non di avvenimenti passati ma di odierne località, poiché per me che sto svolgendo un altro argomento sarebbe troppo lungo esporli esaurientemente, diano una spiegazione, se ci riescono, questi pagani che non vogliono credere alla sacra Scrittura.
E questo soltanto perché non ritengono che sia ispirata da Dio, dato che contiene concetti incredibili, come quello di cui stiamo parlando.
Nessun argomento può dimostrare che la carne bruci senza consumarsi, soffra senza morire, dicono essi, i grandi dialettici che potrebbero dare una spiegazione di tutti questi fenomeni che risultano meravigliosi.
Diano dunque una spiegazione dei pochi che abbiamo citati perché senza dubbio, se ignorassero che sono in atto e avessimo detto che si verificheranno in seguito, li crederebbero molto meno di quel che non vogliono credere a un fatto che al presente noi affermiamo che si avrà in futuro.
Nessuno di loro crederebbe a noi se, come affermiamo che vi saranno corpi umani vivi che bruceranno e soffriranno senza morire, affermassimo che nell'eternità vi sarà un sale che il fuoco farebbe sciogliere come in acqua e che l'acqua farebbe sfrigolare come nel fuoco; che vi sarà una sorgente, la cui acqua nel freddo della notte sarà così bollente che non si può toccare, nel caldo del giorno così fredda che non si può bere; che vi sarà una pietra, o quella che col suo calore brucia la mano di chi l'afferra ovvero quella che, incandescente da ogni parte, non si può assolutamente spegnere; inoltre i rimanenti fenomeni che, omessi altri innumerevoli, ho ritenuto frattanto di richiamare all'attenzione.
Se noi dicessimo che questi fenomeni avverranno nel mondo che si avrà dopo il tempo e i pagani ci rispondessero: "Se volete che vi crediamo, date la spiegazione di ciascuno in particolare", noi risponderemmo che non è possibile perché la fallibile dialettica degli uomini sarebbe superata da queste e consimili opere mirabili di Dio.
Affermiamo però che in noi cristiani v'è un'infallibile spiegazione e cioè che non senza una spiegazione l'Onnipotente produce qualcosa, di cui il fallibile pensiero umano non può dare spiegazione; inoltre che per noi rimane nel dubbio il suo volere in molti avvenimenti, ma questo è certissimo: che nulla gli è impossibile di ciò che vuole e che noi crediamo a lui quando preannunzia il futuro perché non possiamo credere che non lo possa o che mentisca.
Ma questi censori della fede e critici esigenti di una spiegazione razionale che cosa risponderanno in merito a questi fenomeni, dei quali l'uomo non può dare una spiegazione e tuttavia avvengono e alla ragione stessa sembrano contrari alla natura delle cose?
Se noi affermassimo che avverranno in futuro, dai pagani ci si richiederebbe egualmente una spiegazione come di quei fatti dei quali affermiamo che avverranno in futuro.
Perciò, sebbene di tali opere di Dio manchi la spiegazione del sentimento e del pensiero umano, poiché simili fenomeni sono comunque reali, così avverranno quei fatti anche se degli uni e degli altri dall'uomo non si può dare una spiegazione.
A questo punto i pagani potrebbero rispondere: "Questi fenomeni non esistono affatto e noi non li crediamo, su di essi sono state dette e scritte delle menzogne".
Potrebbero anche aggiungere una dimostrazione affermando: "Se si deve prestar fede a simili cose, anche voi credete a ciò che è stato riferito, e cioè che v'è stato o vi è un tempio di Venere e in esso un candeliere, in cui all'aperto è fissata una lucerna così ardente che non la spegne né pioggia né tempesta, e quindi è stata definita: λύχνος άσβεστος, cioè: "lucerna inestinguibile"".
Potrebbero fare questa obiezione per porci alle strette nel rispondere perché, se diremo che non si deve credere, invalideremo quelle testimonianze di fenomeni meravigliosi, se ammetteremo che si deve credere, convalideremo le divinità dei pagani.
Ma noi cristiani, come ho detto nel libro diciottesimo di quest'opera,22 non abbiamo bisogno di credere a tutte le notizie che la storiografia dei popoli gentili contiene poiché, come dice Varrone, gli storici quasi di proposito e con impegno si scontrano in vari argomenti, ma con libertà accettiamo quelle notizie che non contrariano quei Libri, ai quali riteniamo obbligatorio dover credere.
Riguardo ai luoghi di fenomeni sorprendenti, con i quali intendiamo dimostrare ai pagani quelli del mondo futuro, bastino quelli che anche noi possiamo costatare e i cui testimoni attendibili non è difficile incontrare.
Riguardo poi al tempio di Venere e alla lucerna inestinguibile, non solo non siamo posti alle strette, ma ci si apre un campo in cui spaziare.
Aggiungiamo a questa lucerna inestinguibile anche i molti fatti sorprendenti delle arti umane e magiche, cioè dei demoni per mezzo degli uomini e degli stessi demoni da soli.
Se volessimo negarli, contraddiremmo alla stessa verità della sacra Scrittura in cui crediamo.
Dunque in quella lucerna o l'arte umana ha prodotto un congegno dalla pietra inestinguibile o è avvenuto mediante l'arte magica che gli uomini nel tempio ne rimanessero stupefatti o un qualche demone si è fatto avanti col nome di Venere con tanta efficacia che in esso si manifestò questo prodigio agli uomini e vi rimase a lungo.
I demoni sono allettati a mostrarsi attraverso le creature che non loro ma Dio ha creato.
Lo fanno con attrattive maggiori, diverse in base alla propria diversità, non come gli animali con i cibi ma come spiriti, con manifestazioni congeniali alla soddisfazione dei singoli, attraverso i vari generi di pietre, erbe, alberi, animali, canti, riti.
Per essere attirati dagli uomini prima li ammaliano con furberia molto sottile, o istillando nel loro cuore un occulto veleno o manifestandosi con ipocrite amicizie, e rendono i loro pochi scolari maestri di moltissimi.
Non era possibile infatti, se prima gli stessi demoni non lo insegnavano, apprendere che cosa ciascuno di loro desidera, che cosa detesta, con quale nome lo si può invitare, con quale costringerlo.
Da qui le arti magiche e gli operatori di esse.
Essi s'impossessano del cuore dei mortali e di questo possesso si vantano moltissimo, soprattutto quando si trasformano in angeli di luce. ( 2 Cor 11,14 )
Vi sono dunque molte loro azioni che quanto più riconosciamo meravigliose, con tanta maggior cautela dobbiamo schivare, ma anche esse ci sono utili all'argomento che stiamo trattando.
Infatti, se gli immondi demoni hanno il potere di compiere queste azioni, quanto maggior potere hanno gli angeli santi, quanto maggior potere su tutti loro ha Dio che ha reso anche gli angeli operatori di tanti miracoli.
Si costruiscono dunque tanti e tali ordigni meravigliosi, che definiscono μηχανήματα ( congegni ), con una creatura di Dio, mediante l'impiego di arti umane, sicché coloro che ignorano tali fatti ritengono che siano opera di Dio.
È avvenuto, ad esempio, che in un tempio erano stati posti magneti sul pavimento e sulla volta a volumi proporzionati.
Per coloro, che non sapevano che cosa vi fosse in alto e in basso, sembrava che un'immagine di ferro rimanesse sospesa come per potere del dio a mezz'aria fra l'uno e l'altro magnete.23
Abbiamo già parlato della possibilità che qualcosa di simile fosse stato operato da un artigiano nella lucerna di Venere con la pietra inestinguibile.
I demoni hanno potuto esaltare le azioni dei maghi, che la Bibbia definisce stregoni e incantatori, al punto che a un grande poeta è sembrato che l'incantesimo fosse congeniale al sentimento degli uomini, dicendo di una donna eminente in tale arte: Costei garantisce di liberare con canti le coscienze che vuole, ma produce in altre dure angosce, di fermare l'acqua nei fiumi e di far tornare indietro le stelle; chiamerà per nome le ombre dei morti nella notte; udrai mugghiare la terra sotto i piedi e i frassini scendere dai monti.24
A più forte ragione quindi Dio può conseguire effetti che ai pagani sembrano incredibili, ma sono fattibili dalla sua potenza.
Egli difatti ha prodotto l'energia dei magneti e degli altri corpi, l'ingegno degli uomini i quali li usano con ammirevoli risultati e le nature angeliche più potenti di tutti gli esseri animati della terra.
Egli l'ha fatto con un potere meraviglioso che supera ogni cosa meravigliosa e con la sapienza dell'agire, dell'ordinare e del lasciare agire perché muove al fine tutte le cose con l'atto meraviglioso con cui l'ha create.
Perché dunque Dio non potrebbe fare che risorga il corpo dei morti e che sia tormentato nel fuoco il corpo dei dannati, Egli che ha creato il mondo, pieno di cose meravigliose nel cielo, sulla terra, nell'aria e nell'acqua, poiché anche il mondo è un'opera meravigliosa più grande e più stupenda di tutte quelle di cui è pieno?
Ma costoro, con i quali o meglio contro i quali stiamo discutendo, credono che Dio esiste, che da lui è stato creato il mondo, che da lui sono stati creati gli dèi, mediante i quali da lui è governato il mondo.
Non negano anche o senz'altro esaltano le potenze del mondo operatrici di fenomeni meravigliosi, o spontanei o ottenuti con l'esercizio o con un rito o anche magici.
Eppure quando noi proponiamo l'energia meravigliosa di altre potenze, che non sono animali ragionevoli né spiriti dotati di ragione, come sono alcuni fatti che abbiamo menzionato, di solito rispondono: "È un'energia della natura, la loro natura si comporta così, sono proprietà di nature specifiche".
Dunque la spiegazione definitiva del motivo per cui il fuoco fa scorrere il sale di Agrigento e l'acqua lo fa sfrigolare è questo, che è la sua natura.
Ma il fatto sembra piuttosto contro natura perché essa ha dato all'acqua e non al fuoco di liquefare il sale e al fuoco e non all'acqua di bruciarlo.
Ma, osservano essi, è un'energia naturale del sale subire da essi effetti contrari.
Tale spiegazione quindi si dà pure della sorgente di Garamanto, in cui una medesima polla è fredda di giorno e bolle di notte e con l'uno e l'altro stato causa dolore a chi tocca; si dà anche dell'altra sorgente che, essendo fredda per coloro che la palpano, spegne, come le altre sorgenti, una fiaccola accesa, al contrario e sempre con effetto mirabile essa stessa ne accende una spenta.
È una spiegazione che si darebbe anche della pietra asbesta che, pur non avendo un proprio ardore, ricevutolo dall'esterno, lo ha così intenso che non è possibile spegnerlo.
Altrettanto si dice anche dei rimanenti fenomeni, che rincresce ripetere, perché, sebbene sembri che in essi si abbia un'insolita energia contro natura, l'unica spiegazione che di essi si può dare è che quella energia è secondo la loro natura.
È stringata questa spiegazione e concisa la risposta, lo ammetto.
Ma poiché Dio è l'artefice di tutte le nature, perché mai i pagani non vogliono che noi ne diamo una spiegazione più stringente, quando ricusano di accettare una verità come se fosse un assurdo e a loro che chiedono la motivazione della spiegazione rispondiamo che questa è la volontà di Dio onnipotente?
Egli certamente è considerato onnipotente per l'unica ragione che può ciò che vuole e ha potuto porre in atto cose che se non fossero osservate direttamente o riferite oggi da testimoni attendibili, si considererebbero inverosimili, non solo quelle che dalle nostre parti non sono affatto conosciute ma anche quelle che, assai conosciute, ho riferito.
È poi consentito senza censura non credere a quei fenomeni che [ dalle nostre parti ] non hanno un teste, esclusi coloro dei quali su questi fatti abbiamo letto i libri, e a quei fenomeni che sono stati tramandati da scrittori non ispirati divinamente e che hanno potuto umanamente essere in errore.
Neanche io voglio che si creda senza un criterio a tutti i casi che ho citato, perché neanche da me sono creduti, come se nel mio pensiero non vi sia una sospensione di giudizio, fatta eccezione per quelli che ho costatato di persona ed è facile a ognuno di costatare.
È il caso della calce che ribolle nell'acqua ed è fredda nell'olio; del magnete che, non saprei per quale impercettibile attrazione, non muove uno stelo e attira il ferro; della carne del pavone che non imputridisce, sebbene sia imputridita anche quella di Platone; della paglia così ghiacciata che non lascia sciogliere la neve, così calda che muove i frutti a maturare; della fiamma incandescente che in base alla sua incandescenza, nel cuocere i mattoni, li rende bianchi e contro la sua incandescenza, nel bruciare, annerisce molti oggetti.
Fenomeno simile è quello che nere macchie si spandono dal limpido olio ed egualmente che nere linee siano tracciate col bianco argento; altrettanto si dice dei carboni giacché con la fiamma si ha un passaggio all'opposto, in quanto essi deformi si traggono da splendidi legni, fragili da duri, non soggetti a imputridire da soggetti a imputridire.
Di questi fenomeni io ne conosco alcuni con molti altri, alcuni con tutti e ne conosco molti altri che sarebbe stata una divagazione addurre in questo libro.
Su tutti questi fenomeni, che ho citato, non conosciuti per diretta osservazione ma dalla lettura, non ho potuto incontrare testimoni attendibili, da cui informarmi se fossero veri, fuorché su quella sorgente, in cui le fiaccole accese si spengono e quelle spente si accendono, e sulle frutta del territorio di Sodoma all'esterno quasi mature ed all'interno vuote.
E neanche ho incontrato individui i quali affermassero di aver visto la sorgente nell'Epiro, ma alcuni che conoscevano una sorgente eguale non lontano da Grenoble.
Sui frutti degli alberi di Sodoma non parlano soltanto libri degni di fede ma parecchi affermano di averli visti, sicché non ne posso dubitare.
Considero i casi rimanenti con un criterio tale da decidere che non si possono né negare né affermare, però ho allegato anch'essi perché li ho letti negli storici pagani contro i quali stiamo trattando.
Voglio dimostrare in questo modo che molti di loro credono senza alcuna spiegazione a molti fatti riferiti nei libri dei loro letterati, eppure si rifiutano di credere a noi, anche se si dà una spiegazione, quando affermiamo che Dio attuerà ciò che trascende la loro facoltà di osservare e percepire.
Infatti si dà una spiegazione più vera e più valida di simili fenomeni soltanto quando si dimostra che l'Onnipotente ha il potere di attuarli e si afferma che attuerà quei fatti che, come si legge nella Bibbia, Egli ha preannunziato, perché in essa ne ha preannunziati molti altri che, come si può costatare, Egli ha attuato.
Egli attuerà, perché ha predetto di attuare, eventi che sembrano impossibili e li ha promessi e attuati affinché fatti incredibili fossero creduti dai pagani increduli.
Potrebbero rispondere di non credere alla nostra tesi sui corpi umani che brucerebbero per sempre senza mai morire.
Sappiamo infatti che la natura del corpo umano è strutturata in tutt'altra maniera, sicché non si può dare la spiegazione che si dava di quelle nature meravigliose dicendo: "Questa è un'energia naturale, tale è la natura di questo corpo", perché sappiamo che non è questa la natura della carne umana.
Noi cristiani abbiamo la risposta dalla sacra Scrittura, che proprio la carne umana fu strutturata in un'altra maniera prima del peccato, cioè che non avrebbe mai subito la morte; in altra maniera dopo il peccato, cioè quale si è rivelata nell'angoscia di questa soggezione alla morte, sicché non può conservare la perennità della vita; quindi nella risurrezione dei morti sarà strutturata diversamente da come è conosciuta da noi.
Ma i pagani non credono alla sacra Scrittura, in cui si legge in quale condizione visse l'uomo nel paradiso terrestre e in quali termini fu immune dalla ineluttabilità del morire.
Se vi credessero, non staremmo a trattare con loro tanto faticosamente sulla futura pena dei dannati.
Si deve quindi dai libri di coloro, che furono assai dotti ai loro tempi, allegare qualche brano da cui risulti la possibilità che un essere qualunque venga a trovarsi in una condizione diversa da come si era manifestato precedentemente nella realtà secondo il limite della propria natura.
V'è nell'opera di Marco Varrone, intitolata La razza del popolo romano, un brano che citerò qui con le medesime parole del testo: Nel cielo, dice, si manifestò un meraviglioso portento; difatti Castore scrive che nella molto luminosa stella di Venere, che Plauto chiama astro della sera,25 e Omero, definendola bellissima, stella della sera,26 si manifestò un portento così grande al punto che mutò colore, grandezza, forma, corso, ed è un fatto che né prima né poi avvenne.
Adrasto di Cizico e Dione di Napoli, famosi astronomi, affermavano che l'evento si ebbe sotto il re Ogige.27
Varrone, grande scrittore, certamente non lo avrebbe considerato portento se non l'avesse ritenuto contro natura.
Noi infatti pensiamo che tutti i portenti siano contro natura, ma in verità non lo sono.
Non può essere contro natura ciò che avviene per la volontà di Dio, perché la volontà dell'eccelso Creatore è la natura di qualsiasi essere creato.
Il portento dunque non avviene contro natura ma contro quella natura che a noi si manifesta.
Difatti non si può calcolare il gran numero di portenti che è contenuto nella storia dei popoli.
Ma ora rivolgiamo l'attenzione a un solo caso che attiene all'argomento di cui stiamo trattando.
Ora nessun essere è stato così ordinato dall'Autore dell'ordine naturale del cielo e della terra come il sommamente ordinato corso delle stelle, ratificato anche da leggi così stabili e fisse.
Tuttavia quando Egli, che regge con supremo dominio e ordine il creato, ha voluto, una stella, molto nota fra le altre per grandezza e splendore, ha mutato il colore, la grandezza, la forma e, quel che meraviglia maggiormente, l'ordine e la legge del proprio corso.
Il fatto certamente pose in crisi, se già vi erano, le leggi degli astronomi, che essi conservano in formule quasi con calcolo infallibile sul passato e sull'avvenire degli astri e, conformandosi a queste leggi, hanno osato dire che quel che è avvenuto del pianeta di Venere né prima né dopo è avvenuto.
Ma noi nei libri della Bibbia leggiamo che perfino il sole si è fermato quando lo chiese da Dio Signore il santo uomo Giosuè di Nave fino a quando la vittoria pose fine alla battaglia in corso; ( Gs 10,13 ) e che tornò indietro affinché i quindici anni di vita in più, assegnati al re Ezechia, ( Is 38,8 ) fossero simboleggiati con questo prodigio aggiunto alla promessa di Dio.
Ma quando i pagani sono convinti che questi miracoli, accordati ai meriti dei santi, sono avvenuti, li attribuiscono alle arti magiche.
Da qui il pensiero, che ho riportato precedentemente, formulato da Virgilio: [ La maga garantisce di ] fermare l'acqua nei fiumi e di far tornare indietro le stelle.28
Leggiamo infatti nella Bibbia che questo fenomeno è avvenuto, cioè che un fiume si fermò a monte e continuò a scorrere a valle, quando il popolo di Dio, sotto la guida del nominato Giosuè di Nave, attraversava una strada, ( Gs 3, 16 - 4,18 ) e quando l'attraversavano il profeta Elia e poi il suo discepolo Eliseo. ( 2 Re 2, 8.14 )
Abbiamo ricordato anche, poco fa, che regnando Ezechia l'astro più grande tornò indietro.
Invece riguardo a ciò che Varrone ha scritto sulla stella del mattino non è stato espresso che fu un favore accordato a qualche personaggio autorevole.
Quindi i pagani non facciano levare a proprio vantaggio una nebbia sulla conoscenza delle nature, come se non sia possibile che per intervento di Dio avvenga in un essere qualcosa di diverso da ciò che nella natura di esso hanno conosciuto mediante la personale esperienza umana; eppure anche le cose, che nel mondo sono note a tutti, non sono meno meravigliose e sarebbero ammirevoli per tutti coloro che le osservano, se gli uomini non fossero soliti di ammirare come cose meravigliose soltanto quelle rare.
Con riflessa ponderazione ognuno può costatare che nell'incalcolabile numero degli uomini, anche per la grande rassomiglianza della natura e con formula altamente ammirevole, ciascuno ha una propria fisionomia e che, se le singole non fossero simili l'una con l'altra, il loro aspetto non si distinguerebbe da quello degli altri animali e d'altra parte, se non fossero dissimili fra di loro, gli individui non si distinguerebbero l'uno dall'altro.
Quindi quelli stessi che consideriamo simili, li riscontriamo dissimili.
Ma desta maggior meraviglia la riflessione sulla dissomiglianza, poiché pare che la natura comune più convenientemente esiga la somiglianza.
Eppure, poiché le cose rare sono più ammirevoli, ci meravigliamo molto di più quando incontriamo due così somiglianti che, nel distinguerli, sempre o spesso prendiamo abbaglio.
Ma forse i pagani non credono che sia realmente avvenuto quel fenomeno che, come ho detto, è stato riferito da Varrone, sebbene sia un loro storico e il più dotto; ovvero sono meno impressionati da questo caso perché l'altra traiettoria dell'astro non rimase a lungo, ma si è avuto il ritorno al consueto.
Hanno quindi un altro caso che anche adesso si può osservare e penso che a loro dovrebbe bastare per essere ammoniti, qualora notassero qualcosa in qualche conformazione della natura e ne avessero l'evidenza, che non per questo debbono imporsi a Dio, come se Egli non la possa mutare o trasformare in qualcosa di molto diverso da quel che era da loro conosciuta.
La regione di Sodoma non era com'è attualmente, ma si stendeva in una configurazione eguale alle altre e godeva prestigio per la medesima o anche più notevole fertilità, tanto che nella sacra Scrittura è stata paragonata al giardino di Dio. ( Gen 13,10 )
Essa, dopo che fu sinistrata, come narra anche la storia di quei popoli,29 e come si può costatare da coloro che si recano in quei luoghi, è di raccapriccio a causa di una mostruosa fuliggine e i suoi frutti, sotto la menzognera apparenza della maturazione, contengono cenere all'interno.
Ecco, non era così e adesso lo è.
Ecco, dal Creatore delle nature la sua natura con sorprendente cambiamento è stata trasformata in un'apparenza diversa assai ripugnante e quel che è avvenuto da tanto tempo si mantiene per tanto tempo.
Come dunque non fu impossibile a Dio creare le nature che volle creare, così non gli è impossibile trasformarle, perché le ha create, in quel che vuole.
Da qui s'infittisce come in un bosco una moltitudine di fatti miracolosi che si denominano monstra, ostenta, portenta, prodigia.
Se li volessi rievocare e passare in rassegna tutti, non si vedrebbe la fine di quest'opera.
Affermano comunque che monstra derivano da monstrare, perché dimostrano facendo conoscere qualcosa; ostenta da ostendere; portenta da portendere, cioè perché fanno presagire, e prodigia, perché dicono in appresso, cioè preannunziano il futuro.
Ma se la vedano i loro indovini in quali termini o sono ingannati da questi segni; o anche predicono il vero per subornazione degli spiriti, che hanno interesse a impigliare nelle reti di una dannosa curiosità la coscienza degli uomini meritevoli di tale pena; ovvero talora fra tante ciance inciampano in qualcosa di vero.
Per noi tuttavia queste pratiche avvengono apparentemente contro natura e sono considerate contro natura.
In base a un modo di agire umano appunto ha parlato l'Apostolo, dicendo che l'ulivo selvatico, inserito contro natura nell'ulivo, è divenuto partecipe della linfa dell'ulivo. ( Rm 11,17-24 )
Dunque quei fenomeni che si denominano monstra, ostenta, portenta, prodigia devono mostrare, ostendere, portendere e predire che Dio compirà gli atti che ha preannunziato di compiere sul corpo degli uomini perché non lo trattiene alcuna difficoltà, non l'ostacola una legge di natura.
Penso di avere informato a sufficienza nel libro precedente in quali termuni lo ha preannunziato, spigolando dai libri della Bibbia del Nuovo e Antico Testamento non tutti i brani attinenti all'argomento, ma quelli che ho ritenuti sufficienti a quest'opera.
Indice |
1 | Plinio, Nat. hist. 11, 42 |
2 | Plinio, Nat. hist. 2, 106 |
3 | Virgilio, Aen. 6, 733 |
4 | Vedi sopra 14,3,5 |
5 | Virgilio, Aen. 6, 719-721 |
6 | Plinio, Nat. hist. 10, 86 |
7 | Plinio, Nat. hist. 10, 22-23 |
8 | Plinio, Nat. hist. 2, 110-111; 36, 68 |
9 | Plinio, Nat. hist. 38, 54ss |
10 | Plinio, Nat. hist. 37, 15 |
11 | Plinio, Nat. hist. 37, 15 |
12 | Plinio, Nat. hist. 31, 41 |
13 | Plinio, Nat. hist. 5, 5 |
14 | Plinio, Nat. hist. 2, 106 |
15 | Plinio, Nat. hist. 37, 54 |
16 | Plinio, Nat. hist. 13, 14 |
17 | Plinio, Nat. hist. 36, 19 |
18 | Plinio, Nat. hist. 36, 30 |
19 | Plinio, Nat. hist. 37, 67 |
20 | Plinio, Nat. hist. 8, 67 |
21 | Plinio, Nat. hist. 12, 21 |
22 | Vedi sopra 18,18 |
23 | Rufino, Hist. eccl. 2, 23; Plinio, Nat. hist. 34, 14 |
24 | Virgilio, Aen. 4, 487-491 |
25 | Plauto, Amphitr. 1, 1, 119 |
26 | Omero, Il. 10, 318 |
27 | Varrone, De gente pop. rom. fr. 6 |
28 | Virgilio, Aen. 4, 489 |
29 | Tacito, Hist. 5, 7 |