Il consenso degli Evangelisti |
Continua Matteo: Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: " Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie ". ( Mt 8,16-17; Is 53,4 )
Proseguendo il suo racconto con le parole: Venuta la sera, indicherebbe con sufficiente chiarezza che siamo ancora nel perdurare del medesimo giorno.
Così anche Marco. Raccontato l'episodio della guarigione della suocera di Pietro, che si mise a servirli, aggiunge subito i fatti di cui parla Matteo.
Dice: Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati.
Tutta la città era riunita davanti alla porta.
Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto. ( Mc 1,32-35 )
Sembrerebbe che in questo racconto Marco proceda in quest'ordine: precisato che era venuta la sera, dice che al mattino presto si alzò.
È vero che, di per sé, il dire: Venuta la sera, non si deve necessariamente intendere come riferito alla sera dello stesso giorno e che le parole al mattino presto non riguardano necessariamente il mattino successivo; tuttavia, per la determinazione del succedersi dei tempi, sembra volercisi indicare che l'evangelista abbia effettivamente seguito l'ordine cronologico.
Quanto a Luca, egli dopo averci narrato della suocera di Pietro non dice: Venuta la sera, ma continua con un discorso equivalente.
Al calar del sole - dice -, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui.
Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva.
Da molti uscivano demòni gridando: " Tu sei il Figlio di Dio! ".
Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. ( Lc 4,40-42 )
Vediamo quindi in Luca rispettato scrupolosamente l'ordine cronologico che riscontriamo in Marco.
Matteo invece se ne discosta, dandoci l'impressione di riferire le cose non nell'ordine in cui si sono susseguite ma come uno che ricordi ciò che aveva omesso.
Della suocera di Pietro fa menzione solo dopo che ha narrato tutto ciò che Gesù compì in quel giorno, sera compresa.
Di conseguenza non si sofferma sul particolare del mattino presto ma scrive: Gesù, vedendo intorno a sé una gran folla, comandò di recarsi di là del mare. ( Mt 8,18 )
Ora questo è diverso da quello che riferiscono Marco e Luca, che pongono il mattino presto dopo il vespro.
Dunque quello che qui è stato detto: Gesù, vedendo intorno a sé una gran folla, comandò di recarsi di là del mare, lo dobbiamo intendere nel senso che lo scrivente, seguendo un suo ricordo, ha inserito nel racconto il fatto che Gesù, in un giorno imprecisato, vedendo intorno a sé una gran folla, comandò di recarsi di là del mare.
Prosegue Matteo: Avvicinandosi a lui uno scriba gli disse: " Maestro, ti seguirò dovunque tu andrai ", fino alle parole: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. ( Mt 8,19-22; Lc 9,57-62 )
Simile a quella di Matteo è la narrazione di Luca, ma è collocata dopo molte altre vicende: lo scrittore non precisa l'ordine cronologico ma si comporta come uno che richiami alla memoria i fatti, non saprei se aggiungendo cose in antecedenza omesse o anticipando cose avvenute dopo quelle che riferisce.
Dice così: Mentre camminavano per la strada un tale gli disse: " Ti seguirò ovunque andrai ". ( Lc 9,57 )
E Gesù diede a lui la stessa identica risposta riportata da Matteo.
E se Matteo dice che il fatto avvenne dopo il comando dato dal Signore di recarsi di là del mare, ( Mt 8,18 ) mentre Luca lo colloca durante il cammino lungo la strada, ( Lc 9,57 ) le narrazioni non sono in contrasto fra loro: essi certamente dovettero percorrere della strada per andare in riva al lago.
Inoltre, nei riguardi di colui che chiese di potersi prima recare a dar sepoltura a suo padre, i racconti di Matteo e di Luca convengono in pieno. ( Mt 8,21; Lc 9,58 )
E se Matteo pose prima le parole di colui che avanzava la richiesta a motivo di suo padre e poi la risposta del Signore, che gli diceva di seguirlo, mentre Luca pose prima il comando che gli rivolse il Signore di seguirlo e, dopo il comando, la richiesta di quell'uomo, sono cose che non toccano affatto il contenuto dell'affermazione.
Luca ci riferisce anche di un altro che disse a Gesù: Signore, ti seguirò, ma permettimi di andare prima a casa per accomiatarmi dai parenti; ( Lc 9,61 ) della qual cosa nulla dice Matteo.
Successivamente Luca passa a un episodio differente, non curandosi di ciò che cronologicamente era avvenuto subito dopo.
Dice: Dopo ciò il Signore designò altri settantadue discepoli. ( Lc 10,1 )
Questo avvenne, evidentemente, dopo ciò, ma non risulta con chiarezza quanto tempo sia intercorso prima di quel che fece qui il Signore.
In questo periodo accadde quanto aggiunge Matteo, il quale nel suo racconto segue l'ordine cronologico.
Salito nella barca, lo seguirono i suoi discepoli.
Ed ecco si sollevò nel mare una gran tempesta, fino a: Venne nella sua città. ( Mt 8,23-24; Mt 9,1 )
I due avvenimenti che Matteo narra uno dopo l'altro, cioè della bonaccia che sopraggiunse dopo che Gesù, destato dal sonno, ebbe comandato ai venti, e di quegli invasati da un demonio feroce i quali spezzando le catene erano soliti rifugiarsi nel deserto, sono raccontati in forma su per giù identica da Marco e da Luca. ( Mc 4,36-40; Mc 5,1-17; Lc 8,22-37 )
Alcune espressioni, è vero, suonano alquanto diversamente nel racconto dei singoli evangelisti ma non differiscono nella sostanza.
Così, ad esempio, scrive Matteo: Perché siete così paurosi, uomini di poca fede? ( Mt 8,26; Mc 4,40 )
Marco invece: Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede? ( Lc 8,25 )
Egli parlava della fede perfetta, magari come un granellino di senapa, in riferimento al quale Matteo poté dire: Uomini di poca fede.
Che se Luca scrive essere stato detto dal Signore: Dov'è la vostra fede?, è perché tutt'e tre le cose egli poté dire: Perché siete così paurosi?
Dov'è la vostra fede, o uomini di poca fede?, di modo che uno ne riporta una e un altro un'altra.
Riguardo poi alle parole che [ i discepoli ] dissero per destarlo, Matteo scrive: Signore, salvaci! siamo perduti; Marco: Maestro, non t'interessa che andiamo perduti?; Luca: Maestro, andiamo perduti. ( Mt 8,25; Mc 4,38; Lc 8,24 )
Unico e uguale è il significato: essi vogliono destare il Signore ed essere da lui salvati.
Né occorre indagare quali precise parole, fra quelle riferite, siano state rivolte a Cristo.
Che serve infatti sapere se i discepoli dissero, magari in parte, le parole riferite dagli evangelisti ovvero altre non riferite da loro ma contenenti la stessa verità oggettiva?
Inoltre, poté anche accadere che, essendo in molti a svegliarlo gridando insieme, tutte le parole evangeliche furono pronunciate di fatto, le une da alcuni le altre da altri.
Parimenti è di ciò che dissero quando la tempesta fu sedata.
Secondo Matteo: Chi è costui, perché gli obbediscano i venti e il mare? ( Mt 8,27 )
Secondo Marco: Chi pensate che sia costui, se gli obbediscono il vento e il mare? ( Mc 4,40 )
Secondo Luca: Chi pensate che sia costui, se comanda ai venti e al mare e gli obbediscono? ( Lc 8,25 )
Chi non vede subito che si tratta di un identico pensiero?
È infatti esattamente lo stesso, dire: Chi pensate che sia costui? e: Chi è mai costui?
E se non è detto egli comanda, lo si deve logicamente sottintendere perché, quando si obbedisce, si obbedisce a uno che comanda.
24.56 Riguardo a coloro che erano tormentati da quella legione di demoni cui fu concesso d'entrare nei porci, Matteo scrive che erano due, mentre Marco e Luca parlano di una sola persona. ( Mt 8,28; Mc 5,1; Lc 8,28 )
Dovrai intendere che uno dei due era un personaggio più noto e più celebre e quindi per lui soprattutto la contrada era rattristata e si preoccupava moltissimo della sua liberazione.
Volendo sottolineare questa preminenza, due degli evangelisti ritennero opportuno menzionare una sola persona, cioè colui riguardo al quale la fama dell'avvenimento si era diffusa più ampiamente e con maggiori ripercussioni.
Né presentano difficoltà le parole che, secondo i diversi evangelisti, sarebbero state pronunziate dai demoni, potendosi ridurre tutte ad un'unica affermazione o interpretando il testo nel senso che tutte quante furono di fatto pronunziate.
Nessuna difficoltà il fatto che in Matteo i demoni parlano al singolare mentre negli altri due evangelisti al plurale.
Difatti anche secondo costoro, interrogato del suo nome, il demonio rispose che erano una legione, e cioè in molti.
Né sono in contrasto fra loro Marco e Luca, sebbene Marco scriva che la mandria dei porci stava alle falde del monte mentre Luca li colloca sul monte.
Era infatti così numerosa quella mandria di porci che una parte doveva stare in cima al monte mentre un'altra ai lati del monte.
Precisa infatti Marco che quei porci erano duemila.
Nel continuare il racconto Matteo, rispettando sempre l'ordine cronologico, soggiunge: Salito su una barca, Gesù passò all'altra riva e giunse alla sua città.
Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto, ( Mt 9,12 ) ecc. fino alle parole: A quella vista, la folla fu prese da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini. ( Mt 9,8 )
Di questo paralitico parlano anche Marco e Luca, ( Mc 2,3-12; Lc 5,18-26 ) ma quanto alle parole che secondo Matteo il Signore gli disse - e cioè: Figliolo, abbi fiducia, ti sono rimessi i peccati ( Mt 9,2 ) - Luca non ha Figliolo ma Uomo, ( Lc 5,20 ) e questo ha il merito d'inculcarci più efficacemente il pensiero del Signore in quanto era un uomo colui al quale venivano rimessi i peccati.
Essendo infatti uomo, per ciò stesso non avrebbe potuto dire d'essere senza peccato; e inoltre ci si lascia comprendere che colui che perdonava all'uomo i peccati doveva essere Dio.
Quanto a Marco, dice le stesse cose di Matteo, ( Mc 2,5 ) ma omette le parole: Abbi fiducia.
In realtà l'espressione originaria poté essere o " Confida, uomo; ti sono rimessi i peccati ", o " Confida, figlio; ti sono rimessi i peccati, o uomo ", o qualsiasi altra formulazione comunque sistemata quanto alle parole.
25.58 Può creare un certo imbarazzo la localizzazione dell'episodio del paralitico.
Scrive infatti Matteo: Salito su una barca, Gesù passò all'altra riva e giunse nella sua città.
Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. ( Mt 9,12 )
Questo episodio, dice Marco che non avvenne nella sua città, cioè a Nazareth, ma a Cafarnao.
Egli scrive: Ed entrò di nuovo a Cafàrnao dopo alcuni giorni.
Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola.
Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone.
Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico.
Gesù, vista la loro fede, ( Mc 2,1-5 ) ecc. Luca non precisa il luogo in cui avvenne il fatto ma scrive così: Un giorno sedeva insegnando.
Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme.
E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni.
Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui.
Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza.
Veduta la loro fede, disse: " Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi ", ( Lc 5,17-20 ) ecc.
Il problema si pone dunque nei confronti di Marco e Matteo in quanto Matteo scrive che il fatto avvenne nella città del Signore, mentre Marco lo colloca a Cafarnao.
La soluzione sarebbe più difficile se Matteo avesse menzionato espressamente Nazareth; in concreto però l'intera Galilea poté essere denominata città di Cristo dal momento che in essa si trova la città di Nazareth.
È quello che facciamo noi quando parliamo della città di Roma estendendo la denominazione a tutto l'Impero, sebbene composto di tante città.
Allo stesso modo è composta da moltissime genti la città di cui sta scritto: Cose gloriosissime si dicono di te, città di Dio. ( Sal 87,3 )
E di quell'antico popolo di Dio, sparso in così numerose città, si diceva che era un'unica casa: la casa d'Israele. ( Is 5,7; Ger 3,20; Ez 3, 4.7 )
Chi potrà quindi mettere in dubbio che Gesù fece il miracolo nella sua città se lo fece a Cafarnao che era una città della Galilea?
Dalla regione dei Geraseni egli, traversando il mare, era venuto in Galilea; e pertanto, qualunque fosse la città della Galilea dov'egli si trovava, si poteva sempre dire con esattezza che era nella sua città.
Questo a maggior ragione vale per Cafarnao in quanto era il più importante fra i centri della Galilea, tanto che lo si poteva considerare capoluogo della regione.
Ma ammettiamo pure che non sia lecito intendere come città di Cristo né l'intera Galilea, in cui era Nazareth, e nemmeno Cafarnao, che aveva sulle altre città una specie di primato per cui poteva essere considerata loro capitale.
In questo caso diremo che Matteo tralasciò il racconto delle cose avvenute dopo il ritorno del Signore nella sua città fino al suo arrivo a Cafarnao.
Riferì solo la guarigione del paralitico.
È un sistema che molti adottano: omettono le vicende intermedie e dànno l'impressione che si siano susseguite immediatamente le cose che raccontano senza lasciar traccia dell'intervallo che le ha separate.
Continua Matteo: Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: " Seguimi". Ed egli si alzò e lo seguì. ( Mt 9,9 )
Marco procede nello stesso ordine e colloca il fatto dopo la guarigione del paralitico.
Scrive: Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava.
Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: " Seguimi ". Egli, alzatosi, lo seguì. ( Mc 2,13-14 )
Nessun contrasto fra i due, poiché Matteo e Levi sono la stessa persona.
Anche Luca racconta il fatto ponendolo dopo la guarigione del paralitico.
Dopo ciò - dice - egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: " Seguimi! ". Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. ( Lc 5,27-28 )
A questo proposito sembra essere più probabile che Matteo racconti i fatti come uno che rammenti cose avvenute antecedentemente, se è da ritenersi che la vocazione di Matteo accadde prima del discorso della montagna.
Luca infatti riferisce che su quel monte erano vicino a Gesù tutti i Dodici che egli aveva scelti fra la moltitudine dei discepoli e chiamati Apostoli. ( Lc 6,13 )
Prosegue Matteo: Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli, fino alle parole: Ma il vino nuovo lo si mette in otri nuovi e così si conservano e l'uno e gli altri. ( Mt 9,10 )
Nel suo racconto Matteo non specifica in quale casa si trovasse Gesù a mangiare con i pubblicani e i peccatori e potrebbe anche dare l'impressione che nella sua narrazione non abbia proceduto secondo l'ordine dei fatti ma abbia qui inserito, ricordandolo a memoria, un episodio accaduto in altro tempo.
Ma ecco intervenire al riguardo Marco e Luca, i quali, raccontando il fatto con tratti del tutto simili, ( Mc 2,15-22; Lc 5,27-39 ) precisano con chiarezza che Gesù era seduto a mensa in casa di Levi, cioè di Matteo, e lì disse tutte le parole riportate nei Vangeli.
Marco riferisce la cosa rispettando anche l'ordine nella descrizione: Ora avvenne che mentre stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù. ( Mc 2,15 )
Dicendo: Nella casa di lui, certo intende riferirsi al personaggio di cui aveva parlato prima, cioè a Levi.
Così anche Luca. Dopo aver detto che Gesù lo invitò a seguirlo e che Matteo, lasciando tutto, si alzò e lo seguì, aggiunge immediatamente: Levi gli fece un gran banchetto in casa sua.
C'era una folla di pubblicani e d'altra gente seduta con loro a tavola. ( Lc 5,28-29 )
È pertanto indiscusso a chi appartenesse la casa in cui accadde l'episodio.
27.61 Ora diamo uno sguardo alle parole che, secondo quanto riferiscono tutti e tre i nostri evangelisti, furono rivolte al Signore dai presenti e alle risposte che egli diede loro.
Scrive Matteo: Al vedere ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: " Perché mai il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori? ". ( Mt 9,11 )
Su per giù con le stesse parole si esprime Marco: Perché mai il vostro maestro mangia e beve con i pubblicani e i peccatori? ( Mc 2,16 )
L'aggiunta di Marco: E beve è omessa da Matteo; ma cosa rappresenta questa omissione, se nulla toglie alla completezza della frase, dove si presenta il gruppo radunato per il pranzo?
Quanto a Luca, sembrerebbe che la sua descrizione sia alquanto diversa.
Scrive: I farisei e i loro scribi mormoravano dicendo ai discepoli di lui: " Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori? ". ( Lc 5,30 )
Non voleva certo escludere il loro maestro, ma lascia sufficientemente intendere che l'osservazione fu rivolta a tutti i presenti, cioè a Gesù e ai discepoli; solo che le parole, da riferirsi al maestro e ai discepoli, non furono direttamente rivolte a lui ma a questi ultimi.
Riportandoci infatti la risposta che diede loro il Signore, Luca attesta: Io non sono venuto a chiamare alla conversione i giusti ma i peccatori. ( Lc 5,32 )
La quale risposta non sarebbe pertinente se le parole: Perché mangiate e bevete non fossero state rivolte principalmente a lui.
In vista di ciò, si comprende anche perché Matteo e Marco raccontino che fu rivolta ai discepoli l'obiezione che riguardava Cristo.
Facendo infatti una rimostranza contro i discepoli, la si faceva a maggior ragione contro il maestro che essi seguivano e imitavano.
Identico dunque il senso della frase: il quale senso poi risulta tanto più efficacemente espresso quanto più, nella differenziazione di alcuni termini, resta immutata l'identica verità.
Lo stesso principio vale anche per la risposta che secondo quanto riferisce Matteo diede loro il Signore: Non i sani hanno bisogno del medico ma i malati.
Andate dunque e imparate che cosa significhi: "Misericordia io voglio e non sacrificio". ( Os 6,6 )
Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori. ( Mt 9,12-13 )
Questa frase è riportata da Marco e da Luca più o meno con le stesse parole, ( Mc 2,17; Lc 5,31 ) con la sola differenza che essi non citano la testimonianza desunta dal Profeta: Voglio la misericordia piuttosto che il sacrificio. ( Os 6,6 )
Luca, inoltre, dopo le parole: Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori, aggiunge: alla conversione, ( Lc 5,32 ) frase che tende a chiarificare le precedenti parole, in modo che nessuno abbia a pensare che Cristo ama i peccatori per il fatto che sono peccatori.
Del resto il paragone dei malati sottolinea bene cosa si attenda Dio quando chiama i peccatori: egli agisce come il medico nei confronti dei malati: vuole cioè liberarli dalla loro cattiveria, che in fondo è una grave malattia.
Ora tale guarigione si consegue con ravvedimento.
27.62 Vediamo un istante le successive parole di Matteo: Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: " Perché noi e i farisei digiuniamo frequentemente? ". ( Mt 9,14 )
L'episodio è narrato da Marco con uguali parole: Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno.
Si recarono allora da Gesù e gli dissero: " Perché i discepoli di Giovanni e dei farisei digiunano? ". ( Mc 2,18 )
Se Marco aggiunge la menzione dei farisei, si potrebbe pensare che a porre la domanda furono, insieme con i discepoli di Giovanni, anche i farisei, sebbene Matteo ci abbia tramandato che a dire ciò furono soltanto i discepoli di Giovanni.
Tuttavia, le parole che nel testo di Marco si leggono dette da quegli interlocutori indicano che a dirle furono piuttosto degli estranei.
E cioè: i discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare; mossi da questo fatto, alcuni dei commensali di Gesù vennero da lui e gli posero la domanda su questo loro comportamento.
Il verbo vengono non ha come soggetto coloro di cui aveva affermato: I discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare, ma a venire da lui furono certuni che, sorpresi del fatto che quei tali digiunavano, andarono a dirgli: Come mai i tuoi discepoli non digiunano mentre digiunano i discepoli di Giovanni e dei farisei?
La cosa è esposta in forma più chiara da Luca, il quale, volendo sottolineare il dettaglio, dopo aver riferito la risposta che il Signore diede a proposito dei peccatori, da lui chiamati in quanto erano gente malata, si esprime così: Ora quelli gli dissero: " I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; così pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono! ". ( Lc 5,33 )
Anche Luca dunque narra, alla pari di Marco, che le parole furono dette da altri che non gli interessati.
Ma allora come fa Matteo a dire: Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: " Perché noi e i farisei digiuniamo "?. ( Mt 9,14 )
Ovviamente erano lì presenti anche costoro e tutti insieme alla rinfusa gli mossero la stessa obiezione com'era in grado di fare ciascuno.
La loro obiezione è presentata dai tre evangelisti in termini fra loro diversi, senza però che abbiano a discostarsi dalla verità.
27.63 L'accenno ai figli dello sposo i quali non digiuneranno finché è con loro lo sposo, ( Mt 9,15; Mc 2,19; Lc 5,34 ) l'hanno riferito in maniera somigliante Matteo e Marco: con la sola differenza che Marco chiama " figli delle nozze " quelli che Matteo chiama " figli dello sposo ", differenza, questa, che non intacca in nulla la sostanza delle cose se " figli delle nozze " l'intendiamo come una precisazione per dirci che erano figli non soltanto dello sposo ma anche della sposa.
Si tratta dunque della stessa affermazione espressa in termini più chiari, non di un'altra di significato opposto.
Luca non scrive: " Possono forse digiunare i figli della sposo? ", ma: Potete voi forse costringere al digiuno i figli dello sposo mentre questo sposo è con loro? ( Lc 5,34 )
Con questa variante egli, riferendoci la stessa frase, ce la chiarifica elegantemente facendoci intravedere una nuova idea.
Dal suo racconto ci si fa comprendere che proprio quei tali che l'interrogavano avrebbero fatto piangere e digiunare i figli dello sposo, essendo gli stessi che più tardi avrebbero ucciso lo sposo.
Che se Matteo parla di piangere, mentre Marco e Luca di digiunare, la sostanza delle cose non cambia, anche perché proseguendo Matteo dice: Allora digiuneranno, e non: " Piangeranno ".
Usando il termine digiuno l'evangelista volle significarci che il Signore parlava di quel digiuno che riveste le note dell'umiliazione e della tribolazione.
Dell'altro digiuno, che consiste nel godimento dello spirito quando si eleva al possesso dei beni spirituali e conseguentemente diventa, per così dire, estraneo al cibo materiale, parlerà il Signore nelle similitudini che dirà più tardi.
In tal senso pertanto dovremo interpretare le immagini del vestito nuovo e del vino nuovo: ( Mt 9,16-17 ) immagini con cui voleva significare che questo secondo genere di digiuno non si addice ad uomini dalla vita animalesca e carnale, a gente cioè immersa nelle realtà corporee, che quindi si trascina dietro l'antica sensualità.
Sono, questi, paragoni che anche gli altri due evangelisti riferiscono con termini press'a poco identici.
È stato infatti ormai abbastanza ribadito il concetto che, se un'evangelista riporta parole o cose omesse dagli altri, non esiste fra loro contrapposizione; basta che non ci siano differenze di contenuto e, se in uno di loro ci sono delle diversità, basta che gli altri non dicano l'opposto.
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