Il consenso degli Evangelisti

Indice

Libro II

71.139 - Le nozze del Figlio del Re

Continua Matteo: Udite queste parabole i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo, ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.

Gesù riprese a parlare loro in parabole e disse: Il Regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per il suo figlio.

Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze ma questi non vollero venire ( Mt 21,45-46; Mt 22,14 ) ecc., fino alle parole: Poiché molti sono i chiamati, pochi gli eletti. ( Mt 22,14 )

La parabola degli invitati alle nozze è narrata dal solo Matteo; Luca riferisce qualcosa di simile ma non è lo stesso racconto, ( Lc 14,16-24 ) anche se fra i due brani ci sono delle somiglianze: l'ordine della narrazione sta a indicarne la diversità.

Dopo la parabola della vigna e del figlio del padrone di casa ucciso dai coloni Matteo annota che i Giudei, accortisi che tutto il discorso era contro di loro, cominciarono a tramare insidie per farlo morire: particolare, questo, che è riportato anche da Marco e da Luca. ( Mc 12,12; Lc 20,19 )

Qui i due procedono nel medesimo ordine ma poi se ne distaccano per raccontare altre cose, inserendo dopo ciò quel che Matteo, conforme all'ordinamento del suo scritto, aveva narrato al termine della parabola delle nozze, da lui solo raccontata.

72.140 - Il tributo a Cesare

Così dunque prosegue Matteo: Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.

Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: " Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno.

Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare? " ( Mt 22,15-17 ) ecc., fino alle parole: Udendo ciò, la folla era sbalordita per la sua dottrina. ( Mt 22,33 )

Queste due risposte del Signore, riguardanti e la moneta da pagarsi a Cesare come tributo e la risurrezione dei morti, motivata dal fatto di quella donna che aveva sposato uno dopo l'altro sette fratelli, sono riportate in maniera pressoché uguale da Marco e da Luca, e identico è anche l'ordine della narrazione. ( Mc 12,13-27; Lc 20,20-40 )

Il secondo e il terzo evangelista raccontano infatti la parabola dei coloni cui fu affittata la vigna e la applicano ai Giudei, che per questo motivo tendono insidie al Signore, di modo che in questo racconto convergono tutti e tre; e se poi essi omettono la parabola degli invitati alle nozze, riferita dal solo Matteo, nel seguito del racconto si avvicinano di nuovo a lui e riportano gli episodi del tributo a Cesare e della donna sposata a sette uomini consecutivamente.

Il loro racconto si snoda esattamente nello stesso ordine, per cui non esiste alcun problema di diversità.

73.141 - I comandamenti principali della nuova legge

Prosegue Matteo: Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: " Maestro, qual è il più grande comandamento della legge? ".

Gli rispose: " Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. ( Dt 6,5 )

Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. ( Lv 19,18 )

Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti ". ( Mt 22,34.40 )

La stessa cosa riferisce Marco e nello stesso ordine. ( Mc 12,28-34 )

Né deve sorprendere quanto scrive Matteo, e cioè che quel tale che andò a interrogare il Signore lo fece per metterlo alla prova: particolare, questo, su cui Marco sorvola, anzi alla fine quando il dialogo volgeva alla conclusione annota che, avendo lo scriba risposto conforme a sapienza, il Signore gli disse: Non sei lontano dal Regno di Dio. ( Mc 12,34 )

Poté infatti accadere che egli, avvicinatosi al Signore con l'intenzione di tentarlo, si sia poi ravveduto udendo la sua risposta.

Ovvero, quanto meno, se si trattò realmente di tentazione, non dobbiamo intenderla in senso cattivo, come di uno che volesse trarre in errore un suo nemico, ma piuttosto di una tentazione avanzata da un diffidente che voleva indagare più profondamente su cose sconosciute.

Non senza motivo infatti è stato scritto: Chi crede con faciloneria è un uomo superficiale e la sconterà. ( Sir 19,4 )

73.142 Una narrazione simile a questa è collocata da Luca non nel medesimo ordine ma in tutt'altro contesto. ( Lc 10,25-37 )

Se poi si tratti dello stesso episodio, che egli lì ricorda, ovvero sia un altro lo scriba col quale il Signore discusse parimenti dei due precetti della legge, è cosa totalmente incerta.

In realtà sembra trattarsi di un'altra persona, e questo non solo per la diversità della collocazione ma anche perché, al dire di Luca, chi diede la risposta al Signore che l'aveva interrogato fu lo stesso scriba, che rispondendo parlò appunto dei due comandamenti.

Quando il Signore gli disse: Fa' ciò e vivrai ( Lc 10,28 ) ( doveva cioè metter in pratica quel che lui stesso aveva definito importante ), allora, al dire di Luca: Egli volendo trovare una scusa replicò: " Ma il mio prossimo chi è? ". ( Lc 10,29 )

In risposta il Signore gli raccontò di quel tale che scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti.

Tirando le somme, di lui si afferma all'inizio che andò dal Signore per tentarlo, successivamente che fu lui stesso a dare la risposta dei due comandamenti e che alla fine dovette udire il richiamo del Signore: Fa' questo e vivrai.

Tali rilievi inducono a pensarlo come un poco di buono, anche perché di lui si dice che cercava un appiglio per giustificare la propria condotta.

Molto diverso è dunque quell'altro di cui parlano concordemente Matteo e Marco, i quali lo presentano in così buona luce che il Signore stesso ebbe a dirgli: Non sei lontano dal Regno di Dio. ( Mc 12,34 )

Ragion per cui con molta probabilità lo si ritiene un personaggio diverso, e non lo stesso di Luca.

74.143 - Gesù figlio di Davide

Prosegue Matteo: Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: " Che ne pensate del Cristo? Di chi è figlio? ".

Gli risposero: " Di Davide ". Ed egli a loro: " Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore dicendo: Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?

Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio? ".

Nessuno era in grado di rispondere nulla; e nessuno da quel giorno osò interrogarlo. ( Mt 22,41-46 )

La stessa cosa riferisce Marco e nello stesso ordine. ( Mc 12,35-37 )

Luca si differenzia dagli altri due solo perché non parla di quel tale che chiese al Signore quale fosse il primo comandamento della legge ma, a parte questa omissione, si adegua allo stesso ordine e narra in modo analogo la domanda posta dal Signore ai Giudei nei riguardi del Cristo e com'egli sia da ritenersi figlio di Davide. ( Lc 20,41-44 )

Le differenze esistenti nei singoli evangelisti non toccano dunque l'essenza dei fatti.

Questo diciamo di Matteo, il quale ci presenta Gesù che interroga [ i farisei ] su cosa pensino del Cristo e di chi sia figlio.

Alla sua domanda essi risposero: Di Davide, meritandosi il richiamo: Come mai Davide lo chiama Signore?

Se si sta invece al racconto degli altri due, Marco e Luca, non troviamo cenno né della domanda né della risposta.

Dobbiamo pertanto ritenere che, data dai farisei la propria risposta, i due evangelisti sottolineano l'insegnamento che diede il Signore e dicono anche in quale maniera lo presentò agli uditori.

La sua intenzione era di illuminarli a salvezza mediante il suo insegnamento e distoglierli dalle idee propagandate dagli scribi.

Costoro infatti ammettevano soltanto che il Cristo nella sua umanità discendeva dalla stirpe di Davide ma non lo riconoscevano Dio e, come tale, Signore dello stesso Davide.

In tal modo il Signore parlava riferendosi ai dottori della legge, che erano in errore nei suoi riguardi, ma il discorso era direttamente rivolto ai discepoli che desiderava fossero liberati da tale errore.

Così è riferito dagli evangelisti Marco e Luca, per cui le parole di Matteo: Come potete dire non si debbono intendere rivolte ai Giudei ma, attraverso loro e prendendo lo spunto da loro, dette a coloro cui era rivolto l'ammaestramento.

75.144 - La cattedra di Mosè occupata dai Farisei

Matteo prosegue descrivendo i fatti in questa successione: Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: " Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei.

Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno " ( Mt 23,13 ) ecc., fino alle parole: Non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! ( Mt 23,39 )

Anche Luca parla di un discorso simile tenuto dal Signore contro i farisei, gli scribi e i dottori della legge, ma lo colloca in casa di un fariseo che aveva invitato a pranzo Gesù. ( Lc 11,37-52 )

Per narrare questo episodio si era allontanato da Matteo dopo aver riportato, in comune con lui, le parole del Signore sul segno di Giona con i suoi tre giorni e tre notti, sulla regina del Mezzogiorno, sui Niniviti e lo spirito immondo che tornando trova la casa ripulita. ( Lc 11,29-36; Mt 12,39-45 )

Al termine di questo discorso Matteo dice: Stava ancora parlando alle turbe quando sua madre e i suoi fratelli, giunti sul posto, cercavano di parlargli. ( Mt 12,46 )

Anche Luca riporta questo discorso del Signore, anzi vi inserisce alcuni detti del Signore omessi da Matteo, ( Lc 2,49-50 ) ma poi si stacca dall'ordine che in comune con Matteo aveva fin lì seguito, e scrive: Dopo che ebbe finito di parlare un fariseo lo invitò a pranzo.

Egli entrò e si mise a tavola. Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.

Allora il Signore gli disse: " Voi farisei purificate l'esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità ". ( Lc 11,37-39 )

Continuando su questo tono, riferisce le altre invettive contro i farisei, gli scribi e i dottori della legge che Matteo colloca nel contesto che avevamo preso in esame. ( Lc 11,37-52 )

Nel riferire tali cose Matteo non fa menzione della casa del fariseo ma nemmeno indica, per tale discorso, un luogo che contrasti in qualche modo con la casa di cui Luca.

Egli tuttavia ci ha presentato già prima il Signore come entrato in Gerusalemme, dopo che aveva lasciato la Galilea; e tutto quello che precede il nostro discorso lo colloca dopo il suo arrivo in città, a differenza di Luca, che racconta il fatto come avvenuto durante il cammino del Signore verso Gerusalemme.

Da tutto ciò io propenderei per concludere trattarsi di due discorsi, simili fra loro e narrati l'uno da un evangelista e l'altro dall'altro.

75.145 Occorre vagliare bene come mai Matteo collochi qui le parole: Non mi vedrete più fino al giorno in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, ( Mt 23,39 ) quando egli stesso le ha fatte dire alla gente molto tempo prima. ( Mt 21,9 )

Quanto a Luca, egli le presenta come una risposta data dal Signore a coloro che l'avevano avvertito di lasciare quei luoghi perché Erode lo voleva uccidere.

Egli ricorda ancora come in quell'occasione il Signore pronunziò contro Gerusalemme le stesse parole che Matteo colloca in questo contesto.

Ecco il racconto di Luca: In quel momento si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: " Parti e vattene via di qua, perché Erode ti vuole uccidere ".

Egli rispose: " Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito.

Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme.

Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i Profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!

Ecco, la vostra casa sta per essere lasciata! Vi dico infatti che non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! ( Lc 13,31-35 )

Con tale racconto, Luca non sembra essere in contrasto con quel che dissero le folle mentre Gesù entrava in Gerusalemme e cioè: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. ( Mt 21,9; Mt 23,39; Lc 13,35 )

È vero invece che nella successione dei fatti riferita da Luca il Signore non era ancora giunto in città quando tali parole furono pronunziate e, stando sempre a Luca, egli mai lasciò la città per rientrarvi quando gli vennero rivolte tali parole.

Vediamo infatti il Signore continuare il suo viaggio finché non arriva a Gerusalemme: per cui le sue parole: Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito, ( Lc 13,32 ) debbono essere interpretate come da lui dette in senso spirituale e figurato.

In realtà egli non affrontò la passione tre giorni dopo di allora, mentre nel seguito immediato del discorso dice: Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada. ( Lc 13,33 )

Una tale conclusione ci spinge a interpretare in senso spirituale anche le parole: Non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, ( Lc 13,35 ) e a riferirle alla sua venuta nella gloria.

Ciò vorrebbe dire che anche le altre: Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno avrò finito, debbono riferirsi al suo corpo che è la Chiesa.

I demoni infatti vengono cacciati ogni volta che le genti abbandonando le superstizioni dei padri credono in lui, e le guarigioni si operano quando si inizia a vivere secondo i suoi precetti, dopo che si è rinunziato al diavolo e al mondo.

Alla fine poi ci sarà la risurrezione; e allora la Chiesa, giunta al terzo giorno otterrà il suo fine, cioè la sua perfezione, in quanto anche il corpo divenuto immortale possederà la pienezza propria degli angeli.

Concludendo, dovremo ritenere che la successione dei fatti seguita da Matteo non registra digressioni, mentre per Luca si possono proporre diverse spiegazioni.

Egli, potrebbe aver anticipato i fatti accaduti in Gerusalemme, inserendoli nella sua narrazione in un contesto che precede l'ingresso del Signore in città; ovvero la risposta che Gesù diede a quei che l'avvertivano di stare in guardia da Erode poté essere data quando si trovava nelle vicinanze della città, mentre Matteo presenta le stesse cose come dette alle turbe dopo il suo ingresso in Gerusalemme e dopo che ebbe compiuto tutte le gesta di cui s'è parlato sopra.

76.146 - La distruzione del tempio

Matteo continua: Mentre Gesù uscito dal tempio se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio.

Gesù disse loro: " Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata ". ( Mt 24,1-2 )

Marco ricorda questi particolari con una successione più o meno identica.

Se ne allontana solo per ricordare quella vedova che gettò due spiccioli nel tesoro: cosa riferita non solo da lui ma anche da Luca. ( Mc 12,41-44; Mc 13,12; Lc 21,14 )

Stando dunque a Marco, egli ci presenta il Signore che discute con i Giudei sul Cristo e in che senso essi lo ritenessero figlio di Davide; quindi riferisce quanto detto dal Signore sulla necessità di guardarsi dai farisei e dalla loro ipocrisia. ( Mc 12,35-40 )

Su tale argomento Matteo si dilunga parecchio riferendo come detti in quell'occasione molti altri discorsi.

Ne risulta che, dopo quell'identico fatto narrato brevemente da Marco e presentato in maniera diffusa da Matteo, Marco, come ho già detto, non aggiunge altro di proprio all'infuori dell'episodio di quella vedova poverissima e generosissima.

Subito dopo si congiunge con quanto narrato da Matteo sull'imminente distruzione del tempio.

Quanto a Luca, terminata la controversia sul Cristo figlio di Davide, egli riporta poche parole sull'obbligo di guardarsi dall'ipocrisia dei farisei; quindi, come Marco, volge l'attenzione alla vedova che versò i due spiccioli nel tesoro e, alla fine, come Matteo e Marco, fa menzione dell'imminente distruzione del tempio. ( Lc 20,45-47; Lc 21,1-16 )

77.147 - Il discorso escatologico nei tre Sinottici

Prosegue Matteo: Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e in disparte gli dissero: " Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo ".

Gesù rispose: Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno nel mio nome dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno ( Mt 24,35 ) ecc., fino alle parole: E se ne andranno questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna. ( Mt 25,40; Mc 13,4-37; Lc 21,7-36 )

Esaminiamo questo lungo discorso del Signore e vediamo com'è riferito dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca: noteremo subito che la loro narrazione è stilata in maniera simile e secondo un identico ordine.

Ciascuno aggiunge, è vero, dei particolari propri, ma in questo non c'è da temere o supporre contrasti.

Riguardo invece alle cose riferite in comune bisogna discuterle perché non si pensi che ci siano contrapposizioni fra l'uno e l'altro.

Qui infatti, se ci sono delle divergenze, non si può dire che si tratti d'un altro discorso del Signore, cioè di un discorso simile ma pronunciato in circostanze differenti.

I particolari del racconto che leggiamo nei tre, e per i fatti narrati e per la loro cronologia obbligano a collocarli in uno stesso ambiente.

Che se nel riportare gli stessi detti del Signore gli evangelisti non seguono lo stesso ordine, ciò non intacca in alcun modo la retta comprensione del racconto né lo si può prendere come semplice orientamento.

L'importante è che nelle cose narrate e attribuite al Cristo non ci sia contrapposizione fra l'una e l'altra.

77.148 Ecco, ad esempio, una frase di Matteo.

Dice: Questo Vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine. ( Mt 24,14 )

Lo riferisce anche Marco, che procede nello stesso ordine, ma in questo modo: Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le genti. ( Mc 13,10 )

Non dice: Allora verrà la fine, ma questo concetto è contenuto nella parola prima, che è appunto da intendersi così: Ma prima è necessario che il Vangelo sia predicato a tutte le genti.

In effetti quei tali lo avevano interrogato sulla fine, per cui la frase: Ma prima è necessario che il Vangelo sia predicato a tutte le genti, ponendo l'accento su quel prima, vuol dire " prima che giunga la fine ".

77.149 Inoltre dice Matteo: Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo, chi legge comprenda. ( Mt 24,15 )

La stessa cosa intende dire Marco con le parole: Quando vedrete l'abominio della desolazione stare là dove non conviene, chi legge comprenda. ( Mc 13,14 )

Egli cambia solo il verbo, lasciando invariato il concetto.

Dice infatti: Là dove non conviene, perché quella cosa abominevole non deve stare nel luogo santo.

Quanto a Luca, egli non dice né: Quando vedrete l'abominio della desolazione stare nel luogo santo, né parla di luogo dove non dovrebbe, ma afferma: Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. ( Lc 21,20 )

Vuol dire che proprio in quel tempo l'abominio della desolazione starà nel luogo santo.

77.150 Matteo fa dire a Gesù: Allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. ( Mt 24,16-18 )

Il passo è riportato da Marco e press'a poco con le stesse parole. ( Mc 13,14-16 )

Luca al contrario, riferite in accordo con gli altri le parole: Allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, ( Lc 21,21 ) per il resto se ne differenzia notevolmente.

Egli scrive: Coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città.

Saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia. ( Lc 21,21-22 )

Si avverte subito la diversità fra quel che dicono i primi, e cioè: Chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, ( Mc 13,15; Mt 24,17 ) e quel che dice lui: Coloro che sono dentro la città se ne allontanino, a meno che non ci si voglia riferire al grande turbamento provocato dall'imminenza di quello spaventoso pericolo.

In questa ipotesi le parole: Coloro che sono dentro la città, si riferirebbero a quanti erano bloccati dall'assedio, i quali se ne resterebbero sopra i tetti sbigottiti e desiderosi di veder meglio cosa sta loro per succedere e per quale via possano sfuggire [ alla morte ].

Ma come può dire: Si allontanino, se prima ha detto: Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti?

In effetti le parole dette subito dopo, e cioè: Coloro che sono in campagna non tornino in città, sembrano collegarsi bene con questo avvertimento, appropriato alla situazione; ed ha senso l'annotazione che chi sta fuori non deve entrare in essa, mentre invece, se si tratta di chi sta dentro le mura, come si può allontanare quando la città è circondata da eserciti?

Che non sia, allora, il caso di prendere le parole: Coloro che sono dentro la città come dette in riferimento a un pericolo così pressante che, nell'ordine temporale, non se ne possa uscire da vivi, conservando cioè la vita presente?

Di fronte a un tale pericolo l'anima dev'esser pronta e libera; non dev'essere ingombra e appesantita da desideri carnali.

Questa stessa esortazione sarebbe contenuta nella frase riferita dai primi due evangelisti, e cioè: Sul terrazzo o: Sopra il tetto, e in quanto scrive Luca, cioè: Si allontani.

Ci si direbbe insomma di non lasciarci intrappolare dai desideri della vita presente ma essere pronti ad emigrare nell'altra vita.

Questo dicono Matteo e Marco con le parole: Non scendano a prendere la roba da casa, non nutrano cioè inclinazioni o affetti carnali come se ne avessero a conseguire chi sa quali vantaggi; e lo stesso dice Luca affermando: Quei che sono nella campagna non entrino in città.

E vuol dire. " Coloro che con la retta intenzione del cuore sono usciti dalle bramosie della carne non vogliano nutrire ancora tali desideri ".

Così le parole: Coloro che sono nel campo non tornino indietro a prendere il mantello, non potrebbero suggerire l'idea di non lasciarsi invischiare di nuovo dalle preoccupazioni di cui ci si era spogliati?

77.151 Le parole di Matteo: Pregate perché la vostra fuga non avvenga d'inverno o di sabato, ( Mt 24,20 ) sono da Marco in parte riportate, in parte omesse.

Egli scrive: Pregate perché non accadano d'inverno. ( Mc 13,18 )

Quanto a Luca, egli non riporta queste parole ma contiene, lui solo, delle note che a mio avviso giovano a chiarire il senso dell'espressione riportata dagli altri, che è in sé piuttosto oscura.

Egli scrive: State ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.

Vegliate e pregate in ogni momento perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere. ( Lc 21,34-36 )

Così deve intendersi la fuga ricordata da Matteo: quella fuga che non deve avvenire d'inverno o di sabato.

Con l'inverno infatti dicono riferimento gli affanni per la vita presente espressamente ricordati da Luca, mentre al sabato si riferiscono le crapule e le ubriachezze.

Ciò perché gli affanni contengono una nota di tristezza come l'inverno, mentre le crapule e le ubriachezze affogano il cuore in godimenti carnali e specialmente nella lussuria: i quali disordini sono qui chiamati col nome di sabato.

Il motivo d'una tale denominazione è da collocarsi nella pessima costumanza in voga fra i Giudei di allora, come del resto in quelli di oggi, di immergersi proprio in giorno di sabato - non conoscendo il sabato spirituale - in godimenti carnali.

Inoltre, può anche ammettersi che nelle parole riportate da Matteo e da Marco sia da intendersi una qualche altra cosa e un'altra ancora in quelle riportate da Luca.

L'importante per noi è che non ne sorgano problemi di contrapposizione, poiché questo è il compito che ci siamo proposti in quest'opera: difendere i Vangeli dalle calunnie di falsità o di errori, non quello di farne un commento esauriente.

Tornando dunque al nostro tema, osserviamo che le altre cose riferite da Matteo e, insieme, da Marco nel contesto di questo discorso, non pongono alcun problema.

Ci sono poi particolari che Matteo ha in comune con Luca ma non sono riportati nel contesto di questo discorso, dove Luca si adegua all'ordine di Matteo, ma altrove.

Vuol dire che in tal caso egli, ricordando delle parole del Signore, o le descrive in anticipo, cioè prima che il Signore le abbia effettivamente proferite; o si può anche supporre che il Signore ripeté due volte le stesse cose, una volta conforme narra qui Matteo, un'altra - anteriore - come narra Luca.

78.152 - L'approssimarsi della Pasqua

Continua Matteo: Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: " Voi sapete che tra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso ". ( Mt 26,1-2 )

Concordano con lui Marco e Luca che seguono lo stesso ordine; tuttavia non sottolineano che tali parole furono dette dal Signore - una precisazione di questo genere è da loro omessa - ma le espongono parlando in persona propria.

Così Marco: Dopo due giorni era la Pasqua e gli azzimi; ( Mc 14,1 ) e Luca: Si avvicinava intanto la festa degli azzimi, chiamata Pasqua. ( Lc 22,1 )

Si avvicinava nel senso che sarebbe stata fra due giorni, come affermano concordemente gli altri due evangelisti.

Quanto a Giovanni, egli ricorda l'avvicinarsi della festa in tre passi, due dei quali si collocano in tempi antecedenti, cioè durante il racconto di altri fatti.

La terza volta invece da tutto il racconto traspare che ci si trova nelle stesse circostanze di tempo di cui si occupano gli altri tre, cioè quando la passione del Signore era ormai vicina. ( Gv 11,55; Gv 12,1; Gv 13,1 )

78.153 Chi osserva le cose con poca accuratezza potrebbe riscontrare una contraddizione fra il racconto di Matteo e Marco e quello di Giovanni.

I primi infatti dicono che fra due giorni sarebbe stata la Pasqua e successivamente raccontano di Gesù che si trovava in Betania dove venne cosparso di unguento prezioso. ( Mt 26,6; Mc 14,3 )

Sono quindi in contrasto con Giovanni che pone l'andata di Gesù a Betania sei giorni prima della Pasqua e lì colloca l'episodio dell'unzione. ( Gv 12,1 )

Ci si chiede quindi: Come poteva esser Pasqua fra due giorni - cosa che affermano i primi due - se dopo che hanno riferito questo fatto s'accordano con Giovanni nel dirci che Gesù si recò a Betania, dove fu cosparso d'unguento, cosa che secondo Giovanni avvenne sei giorni prima della Pasqua?

Chi si turba di questa difficoltà mostra di non capire come il racconto lasciatoci da Matteo e da Marco sui fatti di Betania, e in particolare sull'unzione, è un racconto riassuntivo e lo si colloca lì non perché avvenuto dopo la predizione dei due giorni ma perché così lo ricordavano, anche se in realtà era avvenuto sei giorni prima della Pasqua.

Nessuno dei due evangelisti infatti, dopo aver asserito che mancavano due giorni per la Pasqua, a questa affermazione ricollega i fatti di Betania dicendo che subito dopo Gesù era a Betania; ma Matteo dice: Quando poi Gesù era a Betania, ( Mt 26,6 ) e Marco: Quand'era a Betania, ( Mc 14,3 ) espressioni da intendersi come riferite a un tempo anteriore ai due giorni precedenti la Pasqua.

Stando dunque alla relazione di Giovanni, si ricava che Gesù sei giorni prima della Pasqua venne a Betania, dove durante un pranzo fu unto, come l'evangelista ricorda, con unguento prezioso.

Successivamente entrò in Gerusalemme cavalcando un asinello e, dopo questo, accaddero gli altri fatti che gli evangelisti collocano dopo il suo ingresso in città.

Ne segue che dal giorno in cui si recò a Betania, dove accadde l'episodio dell'unzione, fino al momento in cui avvennero questi altri fatti e discorsi, se intendiamo a dovere le cose, dovettero passare quattro giorni ( non menzionati dagli evangelisti ) prima che giungesse quel giorno che, al dire di due di loro, era l'antivigilia della Pasqua.

Quanto a Luca, nelle sue parole: Si avvicinava la festa degli azzimi ( Lc 22,1 ) non si fa espressa menzione dei due giorni, ma la vicinanza da lui annotata ben si lascia identificare con l'intervallo di due giorni.

Diverso però è il caso di Giovanni. Se egli dice: Era vicina la Pasqua dei Giudei, ( Gv 11,55 ) non è possibile che si riferisca ai due famosi giorni in quanto egli asserisce che alla Pasqua mancavano ancora sei giorni.

In effetti, dopo quell'affermazione egli ricorda alcuni fatti e, dopo questi fatti, volendo specificare in che senso aveva detto che la Pasqua era vicina, scrive: Sei giorni prima della Pasqua Gesù si recò a Betania, il paese di Lazzaro, il morto che Gesù aveva risuscitato.

Lì gli fecero un pranzo. ( Gv 12,1-2 ) È questo l'episodio che in compendio ricordano Matteo e Marco collocandolo dopo la nota cronologica concernente i due giorni antecedenti la Pasqua.

Alla maniera di uno che ricapitoli le cose essi tornano al fatto di Betania, accaduto sei giorni prima della Pasqua, e raccontano al pari di Giovanni i particolari della cena e dell'unzione.

In seguito Gesù sarebbe entrato in Gerusalemme e, compiuto tutto quello che gli accadde in città, sarebbe arrivato all'antivigilia della Pasqua, e cioè al momento dove gli altri evangelisti, distanziandosi da Giovanni, inseriscono il racconto sunteggiato dei fatti di Betania, unzione compresa.

Terminato questo racconto, essi tornano al punto da dove s'erano allontanati riportando il discorso tenuto dal Signore due giorni prima della Pasqua.

In questo modo, eliminando cioè il racconto che Matteo e Marco compilarono in base a ciò che ricordavano e in forma riassuntiva sui fatti di Betania senza badare alla loro successione, la struttura della narrazione lasciataci da Matteo sarebbe la seguente: Il Signore disse: Sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso.

Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire.

Ma dicevano: " Non durante la festa, perché non avvengano tumulti tra il popolo ". ( Mt 26,2-5 )

Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti. ( Mt 26,14 )

Tra le parole: Perché non avvengano tumulti tra il popolo, e le altre: Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda andò, furono collocati dall'evangelista gli eventi di Betania, riferiti in modo sommario.

Omettendo questi fatti, noi abbiamo sistemato il racconto mostrando come non ci sia ripugnanza nella successione cronologica dei fatti riferiti.

Quanto poi a Marco, anch'egli omette il racconto del banchetto di Betania e lo inserisce là dove ritiene opportuno procedendo col metodo di chi riassume. ( Mt 26,6-13 )

Pertanto la successione degli eventi secondo Marco si snoderebbe così: Mancavano due giorni alla Pasqua e agli azzimi, e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo d'impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo.

Dicevano infatti: "Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo ". ( Mc 14,1-2 )

Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici andò dai sommi sacerdoti per consegnarlo, ( Mc 14,10 ) ecc.

Anche nel suo racconto fra le parole: Perché non succeda un tumulto di popolo, e quanto aggiunge: Giuda Iscariota, uno dei Dodici è da porsi quel che accadde a Betania, narrato sommariamente dai due primi evangelisti, mentre Luca sorvola su tutta la vicenda di Betania. ( Lc 22,1 )

Il presente ragionamento l'abbiamo fatto per concordare i sei giorni prima della Pasqua menzionati da Giovanni ( Gv 12,1 ) nel riferire quanto accaduto a Betania e i due giorni di cui parlano Matteo e Marco, collocando dopo questa precisazione cronologica gli stessi avvenimenti di Betania esposti da Giovanni.

79.154 - L'unzione di Betania

Continuando il racconto dal punto dove l'avevamo interrotto per un esame più approfondito, Matteo scrive: Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire.

Ma dicevano: " Non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo ".

Mentre Gesù si trovava a Betania, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa ( Mt 26,3-7 ) ecc., fino alle parole: Sarà detto anche ciò che essa ha fatto in ricordo di lei. ( Mt 26,13 )

Prendiamo in esame i fatti di Betania soffermandoci particolarmente sulla donna e sull'unguento prezioso.

Un avvenimento simile a questo è ricordato anche da Luca, ( Lc 7,36-50 ) e troviamo che identico è il nome del fariseo presso il quale il Signore pranzava.

Si chiamava infatti Simone, com'è detto anche dagli altri evangelisti.

Dobbiamo però a questo riguardo notare che, se non è innaturale né insolito che un uomo abbia due nomi, tanto meno lo è il fatto che due diverse persone abbiano lo stesso nome, per cui è assai verosimile che il Simone non lebbroso, di cui Luca, sia differente da quell'altro in casa del quale avvenne l'episodio che Matteo situa in Betania.

In realtà Luca non dice che quanto da lui narrato accadde a Betania: di modo che, non avendo egli precisato né la città né il villaggio, sembra preferibile concludere che non si tratta della medesima località.

Riguardo invece alla donna io sarei dell'avviso che Luca si riferisca alla stessa Maria di cui ci parlano gli altri evangelisti, e non ad un'altra.

È sempre la stessa peccatrice: la quale si gettò ai piedi di Gesù e li baciò, li lavò con le lacrime, li asciugò con i capelli e li unse con l'unguento; e a lei il Signore, mediante la parabola dei due debitori, disse che erano stati rimessi molti peccati perché aveva molto amato.

Da ciò segue che la stessa Maria ripeté due volte il suo gesto, e di queste due volte Luca ci narra la prima, quando cioè la donna si presentò a Gesù la prima volta e ottenne il perdono dei peccati mediante l'umiltà e le lacrime.

Di quanto raccontato da Luca, sebbene non scenda nei particolari dell'episodio, si occupa anche Giovanni, presentandoci la stessa Maria quando si accinge a narrare la risurrezione di Lazzaro, prima che Gesù entri in Betania.

Egli scrive: Era allora malato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella.

Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. ( Gv 11,1.2 )

Con tali parole Giovanni conferma il racconto di Luca che colloca l'episodio in casa di un certo Simone fariseo. ( Lc 7,36-50 )

Maria dunque aveva già una prima volta compiuto quel gesto.

Che se poi un gesto uguale lo compì a Betania, si tratta d'un avvenimento diverso, rimasto fuori dal racconto di Luca ma riportato concordemente dagli altri tre, cioè Giovanni, Matteo e Marco. ( Mt 26,6-13; Mc 14,3-9 )

79.155 Prendiamo ora in esame gli evangelisti Matteo, Marco e Giovanni e vediamo come sia concorde il loro racconto.

Non c'è dubbio che essi narrino la stessa vicenda, cioè quel che accadde a Betania.

Basti sottolineare la nota, riferita da tutti e tre, concernente i discepoli che brontolavano contro la donna quasi che avesse sprecato quell'unguento preziosissimo.

Se poi Matteo e Marco dicono che con l'unguento fu cosparso il capo del Signore mentre Giovanni i piedi, è facile dimostrare che non esiste opposizione fra i due racconti se si tiene presente quella norma che abbiamo esposta trattando delle folle sfamate con i cinque pani.

Narrando quell'episodio un evangelista parla di persone divise cinquanta per cinquanta e cento per cento mentre un altro ricorda la sola divisione per gruppi di cinquanta. ( Mc 6,40; Lc 9,14 )

I due racconti non sono certo contrastanti fra loro, mentre invece lo sarebbero se uno avesse parlato solo della distribuzione per centinaia e l'altro solo di quella per cinquantine: nel quale caso si sarebbe dovuto ugualmente investigare come poterono accadere l'una e l'altra cosa.

In quell'occasione, e prendendo proprio lo spunto da quell'esempio, avvisai [ il lettore ] che con un tal modo di narrare ci si inculca una norma, quella cioè che, se un evangelista dice una cosa e un altro un'altra, le si deve intendere come avvenute tutt'e due. ( Mc 14,3 )

Di conseguenza nel nostro caso dobbiamo ritenere che la donna cosparse d'unguento non solo la testa ma anche i piedi.

Che se Marco annota che, rotto il vaso di alabastro, fu unta la testa del Signore, bisogna essere proprio accaniti nel calunniare lo scrivente per asserire che nel vaso rotto non ci poté restare una qualche goccia per ungere i piedi.

Ora, se uno, lottando contro la verità del Vangelo, si intestardisse nel ritenere che la rottura del vaso fu tale da non consentire che vi restasse una qualsiasi goccia, quanto non fa meglio quell'altro che, lottando con animo pio per sostenere la verità del Vangelo, afferma coraggiosamente che quel vaso non si dové rompere al segno che tutto il liquido ebbe a versarsi?

Ma supponiamo che quell'accanito avversario del Vangelo sia talmente cieco che, prendendo lo spunto dalla rottura del vaso, voglia infrangere l'accordo che regna tra i Vangeli.

Costui si convinca che l'unzione dei piedi avvenne prima della rottura del vaso, il quale pertanto rimase intatto finché non fu unto anche il capo, quando lo si ruppe e tutto il liquido si versò.

Se infatti l'esperienza ci dice che normalmente si inizia con la cura del capo, non è anormale - a quel che ci consta - risalire dalla cura dei piedi a quella della testa.

79.156 Per il resto penso che l'episodio di cui ci occupiamo non presenti alcun problema.

Ci sarebbe, è vero, il particolare della mormorazione sull'unguento prezioso che gli evangelisti attribuiscono ai discepoli mentre Giovanni al solo Giuda, aggiungendovi anche il motivo, e cioè che egli era un ladro. ( Mt 26,8-9; Mc 14,4-5; Gv 12,4-6 )

A quanto mi è dato supporre, ritengo con certezza che col nome " discepoli " si sia voluto indicare il solo Giuda, per quella figura grammaticale che consente l'uso del plurale in luogo del singolare, come accennammo nell'episodio dei cinque pani dove Giovanni menziona solamente Filippo. ( Gv 6,7 )

Il testo si potrebbe anche intendere nel senso che la stessa cosa pensarono o dissero anche gli altri discepoli o magari che tutti si lasciarono convincere dalle parole di Giuda, e questa convinzione, comune a tutti, secondo Matteo e Marco l'avrebbero espressa tutti anche a parole: solo che Giuda ne parlò perché era ladro, mentre gli altri perché avevano a cuore i bisogni dei poveri.

Quanto a Giovanni, se egli volle ricordare il solo Giuda, lo fece perché, approfittando di quanto allora accaduto, si credette in dovere di segnalarci che egli a rubare c'era abituato.

80.157 - I preparativi per la Pasqua

Matteo prosegue: Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: " Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni? ".

E quelli gli fissarono trenta monete d'argento ( Mt 26,14-16 ) ecc., fino alle parole: I discepoli fecero come aveva ordinato Gesù e prepararono la Pasqua. ( Mt 26,19 )

In questo brano nulla è da ritenersi contrario al racconto di Marco e di Luca, che narrano le stesse cose e in maniera su per giù uguale. ( Mc 14,10-16; Lc 22,3-13 )

Se infatti dice Matteo: Andate in città da un tale e ditegli: " Il Maestro dice: Il mio tempo si avvicina, presso di te celebro la Pasqua con i miei discepoli ", ( Mt 26,18 ) si riferisce a quell'uomo che Marco e Luca qualificano come padre di famiglia o padrone della casa in cui, stando alle indicazioni ricevute, era il cenacolo dove avrebbero dovuto preparare la Pasqua.

Che se Matteo ce lo presenta come un tale, ciò fa come parlando in persona propria e volendo menzionarlo in maniera brachilogica, come cioè chi si preoccupa della brevità.

Se infatti avesse scritto che il Signore disse ai discepoli di recarsi in città e di dire non si sa a chi: " Ecco cosa ti dice il Maestro: Il mio tempo è vicino, io voglio fare da te la mia Pasqua ", tali parole qualcuno le avrebbe potute intendere come rivolte alla città stessa.

Per evitare ciò l'evangelista sottolinea che il Signore comandò ai discepoli di recarsi da un tale, non mette però il nome con cui venne designato in bocca al Signore, del quale riferisce il comando, ma come parlando lui personalmente.

In tal modo lo scrivente non ha bisogno di raccontare ogni cosa, ritenendo l'espressione usata sufficiente perché si comprenda il pensiero di colui che aveva impartito il comando.

Chi infatti non sa che nessuno, avendo voglia di farsi capire, dice: Andate da vattelappesca?

Se invece si dicesse: Andate da uno qualunque, o: Andate da chi vi pare, la frase in se stessa sarebbe completa, pur rimanendo imprecisata la persona dalla quale li si manda.

Nel nostro caso tuttavia non esiste imprecisione poiché Marco e Luca, pur tacendone il nome, dicono trattarsi di una persona ben determinata. ( Mc 14,13; Lc 22,10 )

Il Signore infatti sapeva da chi li mandava e, affinché anche gli inviati lo potessero identificare li preavvertì d'un segno dal quale l'avrebbero dovuto riconoscere.

Si trattava di un uomo che portava una brocca, o anfora, d'acqua.

Costui avrebbero dovuto seguire per giungere alla casa prescelta dal Maestro.

Non si poteva pertanto, nel nostro caso, dire: " Andate da chi vi pare ", che sarebbe stata un frase in sé completa ma non in grado d'esprimere la verità del comando loro impartito; e tanto meno: " Andate da un tale comechessia ", espressione che il parlare corretto assolutamente non ammette.

È pertanto da ritenersi come scontato che il Signore non inviò i discepoli a una persona qualunque ma a quel tale uomo, cioè a un uomo ben determinato.

Parlando di quest'uomo in prima persona l'evangelista può senza alcun dubbio presentarlo a noi, che leggiamo il suo racconto, dicendoci semplicemente: [ Il Signore ] li mandò da un tale con l'incarico di comunicargli che avrebbe fatto la Pasqua in casa sua.

Ovvero: Li mandò da un tale dicendo loro: Andate e ditegli: In casa tua mangerò la Pasqua.

Riferito, insomma, l'ordine del Signore di andare in città, di sua iniziativa l'evangelista scrive: Da un tale, non perché il Signore s'era espresso proprio così ma perché allo scrivente stava a cuore farci sapere che nella città ci fu un tizio, di cui tace il nome, dal quale furono inviati i discepoli del Signore per preparare la Pasqua.

Dopo questa interruzione di due sole parole, che l'evangelista conia personalmente, egli riprende la narrazione ordinata delle parole dette dal Signore e cioè: Andate a dirgli: Il Maestro dice.

Se mi chiedi: A chi dovevano dire quelle parole?, con buone ragioni ti rispondo: A quell'uomo nella cui casa il Signore li aveva mandati e al quale accenna l'evangelista designandolo di sua iniziativa come un tale.

È, questo, un modo d'esprimersi non molto frequente ma, inteso così, più che corretto.

Che se poi l'ebraico - lingua nella quale, a quanto ci si tramanda, Matteo scrisse il Vangelo - ha delle licenze per cui la frase, anche se proferita tutta intera dal Signore non è priva di completezza, lo lasciamo valutare agli esperti.

Anche in latino sarebbe ammessa un'espressione simile, letta però in questa maniera: Andate in città presso un tale che vi verrà mostrato da un uomo il quale vi verrà incontro portando in testa una brocca d'acqua.

A un simile comando si sarebbe potuto obbedire senza possibilità di confusioni.

Così, se la frase fosse stata specificata ancora con un: "Andate in città presso un tale che risiede in tale o talaltro posto, o in tale o talaltra casa ".

Con la precisazione del posto o l'indicazione della casa, la frase era comprensibile e il precetto fattibile.

Uno che dice: Andate da un tale e ditegli, ma non precisa queste o altre simili note indicative, non si esprime in modo incomprensibile, perché, se è vero che dicendo: Andate da un tale si riferisce a una persona determinata, a noi mancano gli elementi per identificarla.

Preferiamo quindi ritenere quelle parole come espressione personale dell'evangelista che ha voluto collocarle in quel contesto.

Con questa interpretazione otteniamo, è vero, una frase piuttosto oscura - e ciò lo si deve alla sua brevità - ma in se stessa completa.

Quanto finalmente alla menzione che Marco fa di una brocca, mentre Luca di un'anfora, ci sembra che l'uno abbia voluto sottolineare che si trattava di un vaso, l'altro ne ha descritto la forma, ma l'uno e l'altro raccontano la sostanza della verità.

80.158 Continua Matteo: Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici.

Mentre mangiavano disse: " In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà ".

Ed essi, addolorati profondamente, cominciarono ciascuno a domandargli: " Sono forse io, Signore? " ( Mt 26,20-22 ) ecc., fino alle parole: Giuda il traditore disse: " Rabbi, sono forse io? ".

Gli rispose: " Tu l'hai detto ". ( Mt 26,25 )

Nel racconto che ora prendiamo in esame non ci sono problemi, in quanto anche gli altri evangelisti riferiscono le stesse cose. ( Mc 14,17-21; Lc 22,14-23; Gv 13,21-27 )

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