La dignità del matrimonio |
Senza dubbio la continenza è una virtù non del corpo ma dell'animo.
Ma le virtù dell'animo talvolta si manifestano nell'azione, talvolta restano latenti nella disposizione abituale dell'indole.
Così la virtù del martirio spicca e si svela sopportando le torture; ma quanti uomini ci sono, forniti della stessa virtù, ai quali viene a mancare la prova con cui manifestare agli occhi degli uomini ciò che dentro di loro è chiaro alla vista di Dio!
La virtù non comincia ad esistere al momento di metterla in pratica, ma solo a farsi conoscere.
Infatti in Giobbe c'era già la pazienza, Dio la conosceva e gliela testimoniava; ma alla prova della tentazione fu conosciuta anche dagli uomini: ciò che era nascosto all'interno non nacque, ma si manifestò grazie alle prove che gli furono inferte dall'esterno. ( Gb 1 )
Senz'altro anche Timoteo possedeva la virtù di astenersi dal vino e Paolo non gliela tolse consigliandolo a fare un uso moderato del vino a causa dello stomaco e delle sue frequenti infermità; ( 1 Tm 5,23 ) altrimenti gli avrebbe dato una raccomandazione assai pericolosa, se per la salute del corpo fosse stata danneggiata la virtù nell'animo.
Ma poiché era possibile fare ciò che consigliava senza pregiudicare la virtù, fu concesso al corpo il vantaggio del bere moderatamente e rimase nell'animo la disposizione abituale alla continenza.
Infatti la disposizione abituale è quella con cui si compie un'azione, quando è necessaria; quando l'azione non si compie, è possibile compierla, ma non è necessario.
Riguardo alla continenza nei rapporti carnali, non possiedono questa disposizione coloro ai quali sono rivolte le parole: Se non sono capaci di essere continenti si sposino; ( 1 Cor 7,9 ) l'hanno invece quelli ai quali si dice: Chi può comprendere, comprenda. ( Mt 19,12 )
Così gli animi giunti a perfezione fecero uso dei beni terreni necessari ad altro scopo conservando la continenza come disposizione abituale; grazie a questa virtù non rimanevano vincolati ad essi, ma potevano anche non usarne, se non ve n'era necessità.
E usa correttamente questi beni solo chi può anche fare a meno di usarli.
Per molti davvero è più facile astenersi del tutto dall'uso di essi che limitarsi a farne buon uso; tuttavia non può sfruttarli con saggezza, se non chi, grazie alla continenza, può anche astenersene.
Di questa capacità anche Paolo diceva: So vivere nell'abbondanza e sopportare la ristrettezza. ( Fil 4,12 )
Certo sopportare la ristrettezza è di qualsiasi essere umano, ma saper sopportare la ristrettezza è dei grandi.
Chi non è capace di vivere nell'abbondanza?
Ma saper vivere nell'abbondanza è solo di quelli che l'abbondanza non corrompe.
Ma perché si capisca più chiaramente come la virtù possa rimanere nella disposizione abituale anche senza passare in atto, porterò un esempio di cui non dubita nessun cattolico.
Infatti nostro Signore Gesù Cristo ebbe fame e sete, mangiò e bevve nella realtà della carne: nessuno di coloro che prestano fede al suo Vangelo lo mette in dubbio.
Dunque forse non c'era in Lui quanto in Giovanni Battista la virtù di astenersi dal cibo e dalla bevanda?
Giovanni è venuto, senza mangiare né bere, e hanno detto: è posseduto dal demonio; è venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e hanno detto: è mangiatore e bevitore, amico dei pubblicani e dei peccatori. ( Mt 11,18-19 )
E forse non dicono così anche dei nostri santi Padri, compartecipi della sua stirpe, perché in quello che riguarda i rapporti carnali hanno usato diversamente i beni terreni: Ecco uomini libidinosi e impuri, amatori di donne e di lascivie?
Eppure non era giusta l'accusa contro di Lui, anche se era vero che non si asteneva come Giovanni dal mangiare e dal bere, dato che Egli stesso disse in modo estremamente chiaro e veritiero: Venne Giovanni senza mangiare né bere; è venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve.
Così non è giusta neppure l'accusa contro quei santi Padri.
È venuto or non è molto l'Apostolo di Cristo senza nozze e senza figli, e i pagani hanno detto: Era mago; e venne un tempo il profeta di Cristo sposandosi e procreando, e i manichei hanno detto: Era lussurioso.
E la sapienza fu giustificata dai suoi figli, ( Mt 11,19 ) soggiunse il Signore, quando pronunciò quella frase riguardo a Giovanni e a se stesso.
La sapienza, come Egli disse, fu giustificata dai suoi figli, perché essi vedono che la virtù della continenza deve sempre essere nella disposizione abituale dell'animo e manifestarsi in pratica secondo i casi e i momenti opportuni.
Così la virtù della pazienza è apparsa in atto nei santi che hanno subìto il martirio, ma è rimasta lo stesso come disposizione abituale negli altri che furono ugualmente santi.
Per questo la pazienza di Pietro, che subì il martirio, non ha maggior merito rispetto a quella di Giovanni che non lo subì; così in Giovanni, che non sperimentò il matrimonio, il merito della continenza non è maggiore che in Abramo, anche se questi ebbe figli.
Sia il celibato dell'uno sia il matrimonio dell'altro militarono per Cristo secondo le diverse esigenze dei tempi: Giovanni metteva la continenza in atto, Abramo invece la conservava in abito.
Dunque nel tempo in cui la legge successiva all'epoca dei Patriarchi chiamò maledetto chi non continuasse la stirpe in Israele, ( Dt 25,5-10 ) anche chi era in grado di vivere in continenza, non estrinsecava questa virtù che pure possedeva.
Ma poi venne la pienezza dei tempi ( Gal 4,4 ) e fu detto: Chi può comprendere, comprenda. ( Mt 19,12 )
Da allora fino ad oggi, e da oggi fino alla fine, chi ha la capacità la mette in opera; chi non vuole metterla in opera, non dica bugiardamente di possederla.
Coloro che con discorsi malvagi corrompono i buoni costumi, ( 1 Cor 15,33 ) dicono con inutile e vuota malizia al cristiano continente e che rifiuta il matrimonio: Tu dunque sei migliore di Abramo?
Egli, quando sente una domanda del genere, non si scomponga e non osi rispondere: Sì, sono migliore.
Ma non si lasci distogliere dal suo proponimento: una risposta come quella non sarebbe secondo verità, una decisione come questa non sarebbe secondo saggezza.
Dica invece: No, io non sono migliore di Abramo; certo la castità dei celibi è superiore alla castità delle nozze; ma Abramo le possedeva entrambe nella disposizione abituale, anche se ne metteva in atto una sola.
Egli visse castamente nel matrimonio, ma avrebbe potuto essere casto senza matrimonio, solo che allora non si doveva.
Per me certo è più facile non sposarmi come si è sposato Abramo piuttosto che usare delle nozze nello stesso modo in cui le usò Abramo: e perciò sono migliore di quelli che per l'incontinenza non possono quello che posso io, non di quelli che per la diversità dell'epoca non fecero quello che faccio io.
Infatti quello che faccio io oggi, essi lo avrebbero fatto meglio, se allora fosse stato necessario; ma quello che fecero loro, io non potrei farlo alla stessa maniera, anche se ora fosse necessario.
Ma forse un simile cristiano si può sentire e riconoscere in grado di rivolgersi al matrimonio per un qualche dovere religioso, conservando integra nell'abito interiore la virtù della continenza; nel qual caso sarebbe marito e padre allo stesso modo di Abramo.
Allora osi pure apertamente rispondere a quel capzioso interrogatore: Non sono certo migliore di Abramo, per quanto riguarda, si intende, questo genere di continenza di cui egli non era privo, per quanto non in maniera esteriore.
Ma sono pari a lui, perché ho le medesime qualità, pur agendo diversamente.
Dica apertamente così, perché anche se si gloria, non lo fa stoltamente: infatti dice la verità. ( 2 Cor 12,6 )
Ma se si astiene da una risposta del genere, perché qualcuno non lo ritenga presuntuoso rispetto a quello che vede o sente dire di lui, distolga il nodo della questione dalla sua persona e risponda all'argomento in sé: Chi può fare altrettanto, è tale quale fu Abramo.
Può avvenire che la virtù della continenza nell'animo di chi rinuncia alle nozze sia inferiore a quella che ebbe Abramo, ma tuttavia è superiore a quella di colui che osserva la castità del matrimonio per il semplice fatto che non può osservarne una più meritoria.
Così anche una donna non sposata, che pensa alle cose del Signore e a essere santa di corpo e di spirito, ( 1 Cor 7,34 ) quando udrà questa domanda sconsiderata: Tu dunque sei migliore di Sara?
Risponda: Io sono migliore, ma di quelle che sono prive della virtù della continenza, e non credo che questa mancasse a Sara; ella si comportò con questa virtù come quell'epoca richiedeva; ma io oggi ne sono esentata, pertanto ciò che ella conservava nell'animo, in me si può manifestare anche nel corpo.
Se paragoniamo dunque le cose in sé, in nessun modo bisogna dubitare che la castità della continenza è migliore della castità nuziale, benché entrambe siano un bene; ma se paragoniamo fra loro gli uomini, è migliore quello che possiede un determinato bene in grado maggiore di un altro individuo.
Infatti chi ha un grado maggiore del medesimo bene ha anche quello minore; ma chi ha soltanto quello minore certo non ha quello maggiore.
Infatti nel sessanta è contenuto anche il trenta, ma nel trenta non è contenuto anche il sessanta.
Perciò non utilizzare nelle opere il bene posseduto dipende dalla diversa distribuzione dei doveri, non dalla mancanza della capacità: uno non mancherà certo del bene della misericordia solo perché non trova dei miseri da poter aiutare con la misericordia.
A ciò si aggiunge che non si possono paragonare correttamente tra loro gli individui considerando un solo bene.
Infatti può avvenire che uno non abbia il bene che ha un altro, ma ne possieda uno diverso che è da stimarsi di più.
Infatti è maggiore il bene dell'obbedienza che quello della continenza: in effetti mai dall'autorità delle nostre Scritture è condannato il matrimonio, ma la disobbedienza non è mai assolta.
Se dunque prendiamo una che intende rimanere vergine, ma che tuttavia non è obbediente, e una maritata che non abbia potuto rimanere vergine, ma che tuttavia è obbediente, quale dovremo chiamare migliore?
Quella che è meno lodevole che se fosse vergine, o quella che è condannabile anche se vergine?
Allo stesso modo, se tu paragonassi una vergine dedita al bere con una coniugata sobria, chi esiterebbe ad esprimere il medesimo parere?
Nozze e verginità sono senz'altro due beni, dei quali uno è maggiore; invece tra la sobrietà e l'ubriachezza, come tra l'obbedienza e la disobbedienza l'uno è un bene, l'altro un male.
È meglio avere tutti i beni, anche in minor misura, che un grande bene con un grande male: anche nei beni fisici è meglio avere la statura di Zaccheo con la salute, che la statura di Golia con la febbre.
La domanda posta giustamente dunque non è se si debba paragonare una vergine sotto ogni rispetto disobbediente a una coniugata obbediente, ma una vergine meno obbediente a una coniugata più obbediente: infatti anche quella nuziale è castità, e pertanto un bene, anche se è inferiore alla castità verginale.
Ora la vergine in paragone con la maritata è di tanto inferiore nel bene dell'obbedienza quanto superiore nel bene della castità; quale delle due vinca il confronto lo si può giudicare paragonando prima direttamente la castità con l'obbedienza: allora si vedrà che l'obbedienza è in un certo qual modo la madre di tutte le virtù.
Per questo vi può essere l'obbedienza senza la verginità, perché la verginità proviene da un consiglio, non da un precetto.
Ma per obbedienza io intendo naturalmente la sottomissione ai precetti divini; quindi l'obbedienza ai precetti si potrà trovare senza la verginità, ma non senza la castità.
Alla castità infatti appartiene di non fornicare, non commettere adulterio, non macchiarsi di nessuna relazione illecita: chi non osserva tutto ciò, agisce contro i precetti di Dio, e perciò è bandito dalla virtù dell'obbedienza.
Ma la verginità può trovarsi senza l'obbedienza per il fatto che una donna, presa e osservata la risoluzione della verginità, può trascurare i precetti.
Conosciamo molte vergini consacrate a Dio che sono pettegole, curiose, propense al bere, litigiose, avare, superbe, tutte cose che sono contrarie ai precetti e che inducono in perdizione, come Eva stessa, attraverso la colpa della disobbedienza.
Perciò non solo si deve preferire la donna obbediente alla disobbediente, ma la coniugata più obbediente alla vergine meno obbediente.
Per osservare questa obbedienza il Patriarca, che non si privò di una sposa, fu pronto a privarsi dell'unico figlio, uccidendolo con le sue mani.5
E si può ben chiamare unico quel figlio di cui il Signore disse: Da Isacco prenderà nome la tua progenie. ( Gen 21,12 )
Quanto più prontamente avrebbe accettato di rimanere anche senza sposa, se ciò gli fosse stato comandato?
Per questo, spesso non senza ragione, destano la nostra meraviglia certi individui dell'uno e dell'altro sesso, astinenti da ogni rapporto, che mentre con tanto entusiasmo hanno scelto di rinunciare a cose lecite, obbediscono poi negligentemente ai precetti divini.
Quindi, anche se quei santi furono padri e madri, e generarono figli, senza dubbio a torto si paragonano alla loro eccellenza uomini e donne del nostro tempo, perché questi, anche quando si astengono da ogni rapporto, restano inferiori ad essi nella virtù dell'obbedienza.
E resterebbero inferiori anche ammettendo che a quei padri mancasse perfino nella disposizione abituale dell'animo la continenza che è manifesta nell'agire di costoro.
Dunque i giovani che non si contaminarono con donne, ( Ap 14,4 ) come è scritto nell'Apocalisse, seguono l'Agnello cantando il nuovo cantico, per non altro diritto se non perché rimasero vergini.
E tuttavia essi non devono ritenere con questo di essere migliori dei santi Padri antichi, che usarono delle nozze, per così dire, in maniera nuziale.
L'uso delle nozze comporta infatti che oltrepassare in esse con l'unione carnale la necessità di procreare costituisce una contaminazione, benché non grave.
Infatti che cosa purifica l'indulgenza, se l'eccesso carnale non è affatto colpevole?
Ma sarebbe strano se i giovani che seguono l'Agnello fossero immuni da questa contaminazione, salvo il caso che siano rimasti vergini.
Indice |
5 | Retract. 2, 22,2 |