Discorsi sui tempi Liturgici |
1 - Conoscenza naturale di Dio
2 - Dalle creature e dal composito umano si risale a Dio
3 - Stoltezza dell'uomo che adora gli idoli
4 - Pazzesche ipotesi sulla sorte dell'anima umana dopo morte
5 - Continua la polemica sullo stesso tema
6 - Certe conclusioni dei filosofi sono ridicole
7 - Secondo Porfirio l'anima deve separarsi dal corpo
8 - Confronto fra Porfirio e Platone
Una verità di fede propria dei cristiani è la resurrezione dei morti.
Di tale verità, cioè della resurrezione dei morti, Cristo nostro capo ci ha dato in se stesso la prova, fornendo anche alla nostra fede un modello, di modo che le membra debbono sperare per se stesse, ciò che in antecedenza è avvenuto nel capo.
Ieri vi parlavamo dei sapienti del paganesimo - coloro che vengono chiamati filosofi - e in particolare di coloro che sono stati i più qualificati.
Vi sottolineavamo com'essi, scrutando la natura, attraverso le opere del creato sono pervenuti alla conoscenza dell'Artefice.
Non avevano ascoltato i Profeti, non avevano ricevuto la Legge divina, ma Dio, pur rimanendo in silenzio, parlava in certo qual modo alla loro mente attraverso le opere che aveva cosparse nel mondo, e la stessa bellezza dell'universo costituiva per loro un richiamo a ricercare l'Artefice delle cose.
Non potevano infatti accettare l'ipotesi che il cielo e la terra ci fossero senza uno che li avesse fatti.
Di costoro così parla il beato apostolo Paolo: L'ira di Dio - dice - si palesa dal cielo contro ogni empietà.
Che significa? Contro ogni empietà?
L'ira di Dio si palesa dal cielo non solo contro i Giudei, che ricevettero la legge e si ribellarono all'Autore della legge, ma anche contro ogni empietà del mondo pagano.
E affinché nessuno sussumesse: Ma perché questo, dal momento che costoro non hanno ricevuto la legge? prosegue affermando: E contro ogni ingiustizia di coloro che tengono la verità asservita all'iniquità.
Provati a ribattere: Ma qual è questa verità?
Si tratta infatti di gente che non ha ricevuto la legge né ascoltato i Profeti.
Ascolta qual è questa verità.
Dice: Poiché quel che di Dio è conoscibile è stato loro manifestato.
In che maniera manifestato?
Ascolta ancora: Dio l'ha loro manifestato.
E se vuoi sapere ancora in qual maniera lo abbia loro manifestato, dal momento che una legge non l'ha loro data, ascolta come: In effetti, a cominciare dalla creazione del mondo, le cose invisibili di lui si comprendono mediante la penetrazione delle cose create.
Le cose invisibili di lui, cioè quanto in Dio c'è d'invisibile; a cominciare dalla creazione del mondo, cioè da quando egli formò il mondo; si comprendono mediante la penetrazione delle cose create, cioè: le cose invisibili vengono comprese attraverso la penetrazione delle altre.
Non esclusa l'eterna - riferisco ancora le parole dell'Apostolo e le ricollego alle precedenti -, non esclusa l'eterna sua potenza e maestà.
Sottintendi: Vengono comprese attraverso tale penetrazione.
Affinché non possano avanzare scuse.
E perché non lo possono? Perché avendo conosciuto Dio, non l'hanno glorificato come Dio né l'hanno ringraziato. ( Rm 1,18-21 )
Non dice che non hanno conosciuto Dio, ma: Avendolo conosciuto.
Come l'hanno conosciuto? Attraverso le cose create.
Interroga la bellezza della terra, del mare, dell'aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo e l'ordine delle stelle; interroga il sole che col suo splendore illumina il giorno e la luna che con la sua luce attenua l'oscurità della notte che al giorno tiene dietro; interroga gli animali che si muovono nell'acqua, che popolano la terra o svolazzano nel cielo: hanno celata l'anima mentre il corpo è visibile; è visibile ciò che ha bisogno d'esser retto, è invisibile ciò che lo regge.
Interroga tutte queste cose.
Esse ti risponderanno: Guardaci pure e osserva come siamo belle.
La loro bellezza è come un loro inno di lode.
Ora, queste creature, così belle ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è bello in modo immutabile?
Da ultimo passarono a scrutare l'uomo per poter conoscere, adoperando l'acume della mente, Dio creatore dell'intero universo; e dell'uomo interrogarono ( così mi avviavo a dire ) il corpo e l'anima.
Interrogavano ciò da cui essi stessi risultavano costituiti: il corpo che vedevano e l'anima che non vedevano.
Eppure, il loro corpo non l'avrebbero veduto se non in virtù dell'anima.
Lo vedevano, sì, con gli occhi, ma colui che guardava attraverso queste finestre stava dentro.
E, per finire, osserva come, allontanandosi il padrone che vi abita, la casa crolla; allontanandosi colui che lo teneva in piedi l'uomo cade e, appunto perché cade, lo si chiama cadavere.
Nel cadavere gli occhi restano sani, ma per quanto li si apra, non vedono nulla.
Restano anche gli orecchi ma è partito chi era in grado di ascoltare.
Parimenti è della lingua: resta lo strumento ma se ne è andato il musicista che lo suonava.
Ebbene, i filosofi interrogarono questi due elementi, il corpo visibile e l'anima invisibile, e riscontrarono che l'elemento invisibile è più nobile di quello visibile, che cioè l'anima, occulta nell'uomo, è superiore e che il corpo, visibile, è inferiore.
Esaminarono questi due elementi, li scrutarono a fondo, discussero sull'uno e sull'altro, e conclusero che quanto compone lo stesso uomo è di natura mutevole.
Muta il corpo col succedersi delle età, perché si deteriora, perché ha bisogno di alimenti per ristorarsi, perché viene meno e nella vita e nella morte.
Passarono poi a considerare l'anima, che ovviamente riscontrarono superiore e si meravigliarono per il fatto che era invisibile.
Tuttavia dovettero concludere che anch'essa è soggetta a mutazioni: ora vuole ora non vuole, ora sa ora non sa, ora ricorda ora dimentica, ora teme ora azzarda, ora avanza verso la sapienza ora si affloscia nella stoltezza.
Videro dunque che anche l'anima è mutevole e si spinsero anche al di sopra di lei cercando qualcosa che fosse immutabile.
In tal modo, servendosi delle cose create da Dio, giunsero a conoscere colui che le aveva create.
Ma - dice l'Apostolo - non lo glorificarono come Dio né lo ringraziarono.
Ma divennero stolti nei loro pensieri e il loro cuore, istupidito, divenne tenebroso.
Pur chiamandosi sapienti, divennero insipienti.
Attribuendo a sé le cose che avevano ricevuto persero ciò che possedevano.
Considerandosi, per così dire, chi sa che cosa, divennero insipienti.
E dove arrivarono? Dice: E scambiarono la gloria dell'incorruttibile Dio forgiandosela simile alla figura dell'uomo corruttibile.
Si riferisce agli idoli, e, a questo riguardo, era poco dire che si forgiarono idoli somiglianti all'uomo e conformarono l'artefice al risultato del loro lavoro.
Era poco questo. E allora che cosa ci aggiunsero?
E di uccelli e di quadrupedi e di serpenti. ( Rm 1,21-23 )
Tutti questi animali, muti e privi di ragione, quei grandi sapienti ( dico per dire ) li presero per loro dèi.
Ti rimproveravo perché adoravi il simulacro di un uomo: cosa dovrò farti adesso che ti vedo adorare una statua raffigurante un cane, un serpente, un coccodrillo?
Poiché fino a questo punto sono arrivati.
Quanto s'erano spinti in alto con le loro ricerche, tanto sono sprofondati in basso allorché sono caduti.
Chi infatti precipita da un luogo elevato cola a picco molto più in profondità.
Orbene, costoro - come vi ricordavo ieri - si misero a ricercare sulla sorte dell'uomo nel mondo avvenire, cioè terminata la vita presente.
Fecero le loro ricerche da uomini, ma, essendo uomini, come avrebbero potuto conoscere [ la verità ]?
Non avendo la rivelazione divina, non avendo ascoltato i Profeti, non poterono trovarla, e si contentarono di far delle congetture.
E quello che essi riuscirono a ipotizzare ve l'ho riferito ieri.
Dicono: le anime dei cattivi, uscite [ dal corpo ], essendo macchiate da colpe, tornano immediatamente in altri corpi; le anime dei sapienti e dei giusti, invece, uscite dal corpo dopo una vita buona se ne volano al cielo.
Va' pure avanti! Mi piace, mi piace!
Hai trovato loro un posto: spiccano il volo e arrivano in cielo.
Ma lì che fanno? Rispondono: Se ne vanno lì e godono il riposo in compagnia degli dèi.
Loro sedi sono le stelle.
Non avete trovato un posto malvagio per il loro riposo!
Lasciatecele almeno per sempre e non scacciatele via!
Tuttavia - sono loro che aggiungono questo - dopo un lungo succedersi di tempi esse dimenticano completamente la miseria di una volta e cominciano a desiderare il ritorno nel corpo.
Le assale questa voglia e tornano a soffrire e tollerare daccapo le peripezie della vita presente.
Tornano a dimenticarsi di Dio o, magari, a bestemmiarlo; tornano a provare il richiamo dei piaceri del corpo e a lottare contro le passioni disordinate.
Ma da dove tornano a sobbarcarsi a queste miserie e con che scopo? Dimmelo!
Perché fanno così? Perché hanno dimenticato.
Se hanno dimenticato tutti i mali dimentichino anche i piaceri carnali!
Questo solo, per loro disavventura, ricordano, cioè quello che le ha rovinate …
E tornano: ma perché? Perché trovano piacevole abitare in un corpo come prima.
Come provano un tal piacere se non perché ricordano che un tempo hanno abitato nel corpo?
Togli via ogni ricordo, e forse otterrai che rimane la sapienza.
Non rimanga null'altro che possa richiamare indietro.
Un autore celebre fra loro rimase inorridito quando negli inferi un padre si fece vedere dal suo figlio o, meglio, quando lui stesso fingeva una tale apparizione.
Quasi tutti conoscete il fatto; o magari foste in pochi a conoscerlo!
Ma, se è vero che pochi lo conoscete dai libri, molti lo sapete attraverso le rappresentazioni teatrali.
Enea scese negli inferi e suo padre gli presentò le anime di romani famosi che si sarebbero incarnate.
Enea rimase esterefatto ed esclamò: O padre, creder debbo che alcune anime eccelse da qui se ne vanno in cielo e ai lenti corpi fanno ancor ritorno?
Voleva dire: è proprio da credersi che vanno in cielo e di nuovo fan ritorno?
Tristi! Un desio sì folle hanno del sole?1
Il figlio capiva le cose più a fondo di quel che il padre potesse spiegare.
Egli disapprovava il desiderio di quelle anime che volevano tornare di nuovo ad abitare nel corpo.
Chiama folle quel desiderio e sventurate quelle anime anche se non si vergogna di loro.
Ebbene, questo sarebbe il vertice a cui voi, filosofi, siete giunti: supporre che le anime riescano a purificarsi fino a conseguire una purezza somma, ma poi, a causa di questa stessa purezza, dimentichino tutte le esperienze fatte e per tale dimenticanza ritornino alle miserie di quand'erano nel corpo!
Ditemi, vi prego: Se tali cose fossero vere non sarebbe meglio ignorarle?
Anche se fossero vere, dico, essendo luride, sono senz'altro false, non sarebbe meglio ignorarle?
O pretendi forse dirmi: Se non saprai queste cose non sarai un filosofo?
Ma perché dovrei saperle?
Potrei forse essere adesso migliore di quando sarò in cielo?
Se in cielo, quando sarò più saggio e più perfetto, dimenticherò tutte le cose imparate quaggiù e il non saperle sarà per me raggiungere una condizione migliore, lascia che le ignori fin da adesso.
Dici che chi abita in cielo dimentica tutto: ebbene, lasciami ignorare tutte queste cose ora che sono sulla terra.
Alla fine delle fini dimmi, per favore: Queste anime, quando si trovano nel cielo, sanno o non sanno che dovranno sperimentare di bel nuovo le miserie della vita presente?
Scegli quel che preferisci.
Se sono al corrente delle miserie così grandi che dovranno subire, al solo pensiero che un giorno dovranno essere in tali miserie, come possono essere beate?
Come possono essere beate se manca loro la sicurezza?
Prevedo quindi la risposta che sceglierai: mi dirai che sono nell'ignoranza.
Celebri dunque l'ignoranza come prerogativa del cielo mentre non tolleri che l'abbia io cittadino della terra; e a me, che sono sulla terra, vuoi insegnare quello che, stando alle tue parole, non conoscerò quando mi troverò in cielo.
Dici: Non lo sanno. Se non lo sanno e nemmeno pensano che avranno da tribolare, sono beate perché preda dell'errore.
Pensano infatti di non dover subire quei mali che di fatto subiranno: e pensare il falso che cos'è se non commettere un errore?
Saranno quindi felici in base a un errore; saranno beate non per l'eternità ma per la falsità …
Oh, ci liberi la Verità, affinché possiamo essere veramente beati!
Non è infatti priva di senso la parola del Redentore: Se il Figlio vi libererà, allora sarete liberi per davvero. ( Gv 8,36 )
Del resto egli aveva anche detto: Se rimarrete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli, e conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi. ( Gv 8,31-32 )
Ascoltate ora un errore più grossolano: un errore che dobbiamo compiangere o, piuttosto, irridere.
Tu, sapiente, filosofo ( per esempio, Pitagora, Platone, Porfirio o chiunque altro fra loro ), quaggiù, in questa terra, cosa intendi raggiungere col tuo filosofare?
Risponde: La vita beata.
E questa vita beata quando l'avrai?
Risponde ancora: Quando avrò consegnato questo corpo alla terra.
Adesso dunque si conduce una vita piena di miserie, ma si ha almeno la speranza di una vita beata; lassù, dove si vivrà la vita beata, si starà invece nella speranza di tornare alla vita colma di miserie.
Vuol dire che la speranza d'essere infelici ci dona la felicità, mentre la speranza della felicità ci rende infelici.
Sbarazziamoci una buona volta di tutte queste fandonie; ridiamone perché sono false, proviamone dispiacere perché c'è chi le crede conquiste notevoli.
Cose di questo genere sono, miei fratelli, grandi pazzie inventate da grandi dotti.
Quant'è meglio per noi mantenerci fedeli alle sublimi, anche se occulte, verità insegnateci dai nostri grandi santi!
Dicono i filosofi che le anime purificate tornano [ in terra ] per amore dei corpi: esenti da colpa, divenute sapienti e pure, le anime tornano nel corpo per amore del corpo.
Tale è dunque l'amore conseguito da un'anima che ha raggiunto la purificazione?
Un amore di questo genere non è una colossale porcheria?
Occorre rifuggire da ogni sorta di corpo.2
Così sentenziò e scrisse un grande filosofo del paganesimo, cioè Porfirio.
Nato più recentemente, quando il Cristianesimo si era già affermato, fu un acerrimo nemico della religione cristiana; tuttavia, vergognandosi e, almeno parzialmente, costretto dai cristiani a rettificare le insensatezze più enormi, disse che occorre rifuggire da ogni corpo.
Disse ogni corpo in quanto ogni corpo sarebbe un legame gravoso per l'anima.
Pertanto, se in maniera assoluta ogni corpo, comunque esso sia, è da fuggirsi, non troverai alcun adito per presentarmi elogi in fatto di corpo; non potrai certo farmi accettare le lodi che la nostra fede, aderendo all'insegnamento di Dio, tributa al corpo.
In effetti è vero che il corpo come lo abbiamo al presente è così fatto che proprio in esso scontiamo la pena del peccato, ed, essendo corpo corruttibile, appesantisce l'anima. ( Sap 9,15 )
Tuttavia è anche vero che il corpo, tale qual è, ha una sua bellezza, un'ordinata disposizione delle membra, la pluralità dei sensi qua e là dislocati, la statura eretta, e tutte le altre doti che stupiscono quanti sanno valutarle a dovere.
Oltre a tutto questo, esso sarà del tutto incorruttibile, immortale e dotato di agilità per cui gli sarà facilissimo muoversi.
Ma Porfirio ribatte: " È inutile che mi decanti il corpo, qualunque esso sia.
L'anima, se vuol essere beata, deve rifuggire da qualsiasi corpo".
È quel che dicono i filosofi.
Ma sono nell'errore, vaneggiano: e lo dimostro subito, senza protrarre all'infinito la discussione.
Dico che l'anima, di cui si tessono gli elogi, deve avere chi le stia soggetto.
Sono due realtà fra loro interdipendenti, e quella che si elogia e quella che le è soggetta.
Al di sopra di tutti gli esseri c'è Dio, e a lui sono sottoposte tutte le creature.
Però, anche riguardo all'anima, se merita una qualche considerazione dinanzi a Dio, deve a sua volta avere qualcosa che le sia sottoposto.
Ma non voglio polemizzare ancora su questo argomento; mi limiterò a leggervi passi dei vostri libri.
Voi asserite che l'intero mondo fisico, cioè il cielo, la terra, i mari con tutti gli esseri giganteschi che vi sono e così fino agli ultimi elementi incommensurabili, tutto è animato.
Tutti questi elementi e l'intero corpo che risulta dal loro insieme, voi dite che è una grande realtà animata, avente cioè una sua propria anima, pur non avendo i sensi del corpo, in quanto al di fuori non c'è nulla che sia oggetto della sensorietà.
Questo complesso ha però un intelletto ed è in unione con Dio: e la stessa anima del mondo si chiamerebbe Giove o Ecate, e sarebbe lei come un'anima universale che regge il mondo e lo costituisce come una specie di essere vivente.
Dello stesso mondo voi dite che è eterno, che durerà per sempre e non avrà fine.
Ma se questo mondo è eterno e rimane senza fine e se, per di più, è un mondo animato, ne segue che l'anima così concepita sarà trattenuta per sempre dentro questo mondo.
Perché si dovrebbe - in tal caso - fuggire ogni sorta di corpo?
E come facevi a dire: Occorre fuggire ogni sorta di corpo?
Io piuttosto direi: Beate quelle anime che possederanno per sempre corpi incorruttibili.
Tu, che dici: Occorre fuggire da ogni corpo, devi uccidere il mondo.
Tu mi imponi di fuggire lontano dalla mia carne: ebbene, fa' sì che il tuo Giove fugga lontano dal cielo e dalla terra!
E che dire di quanto abbiamo trovato in Platone, maestro di tutti costoro, in un libro da lui scritto e nel quale tratta di problemi cosmologici?
Egli presenta Dio nell'atto di costruire gli dèi, di formare cioè le divinità celesti, tutte le stelle, il sole e la luna.
Asserisce quindi che Dio è l'artefice degli dèi celesti e che le stelle hanno un'anima intellettuale, con cui comprendono Dio, e quei corpi visibili che noi osserviamo.3
Per farvi intendere dico così: Questo sole visibile voi non lo vedreste se non fosse un corpo; e questo è vero.
Nessuna stella voi vedreste, e nemmeno la luna, se non fossero corpi; e ciò dicendo egli è nella verità.
In modo analogo dice anche l'Apostolo: Ci sono corpi celesti e ci sono corpi terrestri.
E continua: Altro è lo splendore dei corpi celesti e altro quello dei corpi terrestri.
Parlando poi dello splendore dei corpi celesti l'Apostolo prosegue dicendo: Altro è lo splendore del sole, altro quello della luna e altro quello delle stelle, poiché ogni stella è, quanto a splendore, diversa dall'altra.
Così sarà nella resurrezione dei morti. ( 1 Cor 15,40-42 )
Notate come ai corpi dei santi è promessa una gloria, e una gloria che in ciascuno si diversifica da quella degli altri perché in ciascuno sono diversi i meriti della carità.
Ma loro cosa dicono? Che queste stelle visibili sono, certo, dei corpi ma posseggono ciascuno la propria anima intellettiva, e sono divinità.4
Cominciamo con i corpi.
È vero quel che dicono quando li ritengono corpi; ma perché polemizzare sul fatto se abbiano o meno ciascuno la propria anima?
Veniamo piuttosto al nocciolo della questione.
Platone ci descrive lui stesso Dio che interpella gli dèi che ha creati con l'uso di sostanza corporea e sostanza incorporea e, tra l'altro dice loro così: Avendo voi avuto un'origine, non potete essere immortali ed esenti da dissolvimento.
A queste parole essi dovevano già mettersi a tremare.
Perché? Perché desideravano l'immortalità e rifuggivano dalla morte.
Per escludere un tale timore, proseguendo il discorso dice loro: Non sarete dissolti né ci sarà destino mortale che vi annienti.
Nulla infatti prevarrà sulla mia decisione, anzi il legame che da parte mia vi garantisce la perpetuità è più grande di tutti gli altri vincoli da cui siete astretti.5
Ecco, Dio rassicura degli dèi da lui stesso fabbricati: dà loro la sicurezza dell'immortalità, la sicurezza che non dovranno abbandonare i globi del loro corpo.
È dunque vero che si deve rifuggire da ogni corpo?
A mio avviso, una risposta è già stata data, e voi l'avete compresa.
Per quanto potevamo parlarvi, per quanto l'orario in cui è stato tenuto il discorso lo consentiva, per quanto eravate in grado di recepire noi abbiamo loro dato la risposta.
Quanto poi a quello che essi dicono - e con un certo acume - sulla resurrezione dei corpi ( tanto da pensare che a noi manchino risposte adeguate ), è un tema troppo ampio per esporvelo oggi.
Avendovi una volta promesso che in questi giorni approfondirò nei suoi vari aspetti il problema della resurrezione della carne, preparate - con l'aiuto del Signore - il cuore e gli orecchi ad ascoltare quel che ancora rimane.
Ne parleremo domani.
Indice |
1 | Verg., Aen 6, 719-721 |
2 | Porphyr., fragm. (ex De regressu animae sec. AUG. in De Civ. Dei 10, 29, 2; 22, 26) |
3 | Plato, Tm 38c-40b |
4 | Plato, Tm 41b |
5 | Plato, Tm 41b; Aug. De Civ. Dei 13,16; 22,26; Serm. 242,5.7 |