La Genesi alla lettera |
Si potrebbe anche pensare che Dio si riposò dal creare altre specie di creature poiché in seguito non creò più nuove specie, ma da allora egli opera fino al presente e continuerà anche dopo a operare governando le medesime specie di esseri che furono create allora; nondimeno neppure in quello stesso settimo giorno Dio cessò di governare con la sua potenza il cielo, la terra e tutti gli altri esseri ch'egli aveva creato, altrimenti sarebbero caduti nel nulla.
In effetti la potenza del Creatore e l'energia dell'Onnipotente e dell'Onnipresente è la causa per cui sussiste ogni creatura; se questa energia cessasse un sol momento di governare gli esseri creati, finirebbe allo stesso tempo anche la loro essenza, e ogni natura cadrebbe nel nulla.
Poiché Dio non è come un costruttore che, dopo aver costruito un edificio, se ne va, ma la sua opera sussiste anche quando egli cessa di agire e se ne va; il mondo invece non potrebbe continuare a esistere neppure un batter d'occhio se Dio gli sottraesse la sua azione reggitrice.
Ecco perché anche l'affermazione del Signore: Il Padre mio opera ancora fino al presente ( Gv 5,17 ) mostra una - diciamo così - continuazione dell'opera del Padre, grazie alla quale mantiene e governa tutto il creato.
Diverso infatti potrebbe essere il senso di queste parole, se il Signore avesse detto: "e opera adesso", poiché non sarebbe necessario che l'intendessimo come continuazione della stessa opera.
Ma un altro è il senso che ci è imposto dall'espressione: fino al presente, vale a dire: "dal momento in cui egli operò creando tutte le cose".
Inoltre quando la Scrittura dice riguardo alla Sapienza di Dio: Si estende da un confine all'altro con forza e governa con bontà ogni cosa, ( Sap 8,1 ) della quale la stessa Scrittura dice parimenti: il suo movimento è più veloce di tutti i moti, ( Sap 7,24 ) appare assai evidente, a chi bene osserva, ch'essa comunica questo medesimo suo movimento, incomparabile e ineffabile - che potremmo chiamare stabile se potessimo concepire un simile attributo - alle cose per disporle con bontà; se però questo movimento venisse loro sottratto, se cioè Dio cessasse di esercitare questa sua azione, le cose scomparirebbero immediatamente.
Quanto poi all'affermazione che fa l'Apostolo parlando di Dio agli Ateniesi: È in lui che noi abbiamo la vita, il movimento e l'essere, ( At 17,28 ) se viene intesa chiaramente nella misura concessa alla mente umana, essa suffraga la convinzione per cui crediamo e affermiamo che Dio agisce continuamente riguardo agli esseri da lui creati.
Noi infatti non esistiamo in lui come un elemento che costituisca la sua natura nel senso in cui la Scrittura dice ch'egli ha la vita in se stesso; ( Gv 5,26 ) ma pur essendo esseri certamente differenti da lui, noi siamo in lui solo perché egli effettua ciò mediante la sua azione e quest'azione è quella per cui egli mantiene tutto e per cui la sua Sapienza si estende da un confine all'altro con forza e governa tutto con bontà; è in virtù di questo divino governo che noi abbiamo la vita, il movimento e il nostro essere in lui.
Per conseguenza, se Dio sottraesse alle creature questa sua virtù operativa, noi cesseremmo di vivere, di muoverci e di essere.
È chiaro dunque che Dio non ha cessato nemmeno per un sol giorno la sua azione di governare le creature da lui create, per evitare che perdessero sull'istante i loro movimenti naturali mediante i quali si muovono e vivono e così sono nature complete e ciascuna continua a rimanere nello stato ch'essa ha conforme alla sua propria specie; altrimenti le creature cesserebbero completamente di esistere, se fosse loro tolto il movimento della divina Sapienza con cui Dio governa tutto con bontà.
Noi perciò intendiamo il fatto che Dio si riposò da tutte le sue opere che aveva fatte, nel senso che da quel momento in poi non creò più nessun'altra natura nuova, non nel senso che cessò dal mantenere e governare gli esseri da lui creati.
È dunque vero non solo che Dio si riposò il settimo giorno, ( Gen 2,2 ) ma altresì ch'egli continua ad agire fino al presente. ( Gv 5,17 )
Le opere buone di Dio noi le vediamo, ma il suo riposo lo vedremo quando avremo compiuto le nostre opere buone.
Per simboleggiare questo riposo Dio prescrisse l'osservanza d'un dato giorno al popolo ebraico: precetto che gli Ebrei eseguivano in modo così carnale che incolparono il Signore, nostro Salvatore, quando lo videro compiere delle azioni in quel giorno, ( Es 20,8 ) e perciò diede loro una risposta del tutto giusta ricordando loro l'attività del Padre, con il quale anch'egli operava ugualmente non solo per governare tutte le creature ma anche per procurare la stessa nostra salvezza.
Ora invece, nel tempo in cui è stata rivelata la grazia, l'osservanza del sabato, ch'era simboleggiata nel riposo d'un giorno determinato, è stata abrogata per i fedeli.
Infatti nel presente ordine della grazia è ormai osservato un sabato eterno da chi compie tutto il bene che fa nella speranza del riposo futuro e non si vanta delle proprie azioni buone come d'un bene ch'egli possederebbe senza averlo ricevuto.
In tal modo quando egli riceve il sacramento del battesimo nel suo vero significato, intendendolo cioè come il giorno del sabato, ossia come il giorno del riposo di nostro Signore nel sepolcro, egli si riposa dalle sue opere precedenti sicché, percorrendo ormai il cammino d'una vita nuova, ( Rm 6,4 ) riconosca che ad agire in lui è Dio il quale è attivo e si riposa nello stesso tempo somministrando da una parte il governo conveniente alla creatura e dall'altra possedendo in se stesso un'eterna tranquillità.
In breve, Dio non sentì stanchezza quando creò, né ristorò le sue forze quando cessò di creare, ma per mezzo della sua Scrittura volle solo esortarci a bramare il riposo col rivelarci di aver dichiarato sacro il giorno in cui si riposò da tutte le sue opere.
Poiché in nessun [ passo del racconto ] di tutti i sei giorni, in cui furono create tutte le cose, si legge che dichiarasse sacra alcuna sua opera, e neppure prima [ del racconto ] degli stessi sei giorni, ove sta scritto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, ( Gen 1,1 ) la Scrittura aggiunse: E li dichiarò sacri; ma Dio volle dichiarare sacro questo giorno in cui si riposò da tutte le opere che aveva fatte, come se anche per lui, che non prova alcuna fatica nell'agire, il riposo è più importante dell'azione.
Questa verità riferita all'uomo ci è insegnata dal Vangelo quando il nostro Salvatore afferma che la parte di Maria, la quale seduta ai suoi piedi si riposava nell'ascoltare la sua parola, era migliore di quella di Marta, sebbene questa fosse occupata in molte faccende per servirlo, e così facesse un'opera buona. ( Lc 10,39-42 )
Ma in qual senso esista, a proposito di Dio, questa superiorità del riposo sull'azione e in qual modo intenderla è difficile dirlo, anche se con la riflessione si può arrivare a capire un poco perché Dio dichiarò sacro il giorno del suo riposo, mentre non dichiarò sacro alcun altro giorno della sua opera, neppure il sesto, in cui creò l'uomo e contemporaneamente portò a termine tutte le cose.
E innanzitutto, di quale specie è lo stesso riposo di Dio? Qual è l'intelligenza umana il cui acume sarebbe capace di comprenderlo?
E tuttavia, se questo riposo non fosse una realtà, la sacra Scrittura non ne parlerebbe affatto.
Io, comunque, esporrò la mia opinione personale, premettendo le seguenti verità sicure: Dio non ha goduto una specie di riposo temporale come dopo una fatica o come dopo la fine sospirata d'un suo lavoro; inoltre le Scritture che a buon diritto occupano un posto superiore ad ogni altro scritto per la loro eccezionale autorità, non hanno affermato, né senza motivo né a torto, che Dio si riposò il settimo giorno da tutte le opere che aveva fatte e perciò dichiarò sacro quel giorno.
È senza dubbio un difetto e una debolezza dell'anima quello di compiacersi delle proprie opere al punto di riposarsi in esse anziché trovar riposo da esse in se stessa, poiché essa possiede certamente una facoltà con cui quelle opere sono compiute, facoltà superiore alle stesse opere compiute.
Per questo motivo il passo della Scrittura in cui si dice che Dio si riposò da tutte le opere che aveva compiute ci fa capire che Dio non si compiacque di nessuna sua opera come se avesse avuto bisogno di compierla o gli sarebbe mancato qualcosa non facendola, o sarebbe stato più beato facendola.
Poiché tutto ciò che deriva da Dio è di tal natura che gli è debitore del proprio essere, mentre Dio non è debitore della propria felicità a nulla che deriva da lui stesso; ecco perché, amando se stesso al di sopra delle cose fatte da lui, non dichiarò sacro il giorno in cui cominciò a farle né quello in cui le portò a termine, perché non si pensasse che fosse aumentata la sua gioia di farle o d'averle fatte, ma consacrò il giorno in cui si riposò in se stesso dopo averle fatte.
Egli, certamente, non è stato mai privo di questo riposo, ma ce ne ha rivelato il senso mediante il settimo giorno.
Con ciò ha voluto anche mostrarci che solo i perfetti possono conseguire il suo riposo, dal momento che, per inculcarcelo, destinò solo il giorno che seguì al compimento di tutte le cose.
Poiché egli, ch'è sempre in riposo, si riposò riguardo a noi quando ci fece conoscere d'essersi riposato.
Occorre considerare attentamente anche il fatto ch'era necessario che ci fosse rivelato il riposo di Dio, per cui egli è felice per virtù propria, affinché noi comprendessimo in qual senso è detto che Dio si riposa in noi.
Quest'affermazione va presa solo nel senso che Dio ci rende partecipi del riposo ch'egli ha in se stesso.
Il riposo di Dio, quindi, se viene inteso come si deve, consiste nel non aver bisogno d'alcun bene estraneo; anche per noi quindi il riposo è in lui, poiché noi pure siamo resi felici dal bene ch'è lui stesso, mentre Dio non è reso felice dal bene che siamo noi.
Anche noi infatti siamo un bene creato da lui, che ha fatto tutte le cose molto buone, tra le quali ha fatto anche noi.
D'altra parte fuori di lui non esiste alcun essere buono, di cui egli non sia il creatore e perciò non ha bisogno d'alcun altro bene all'infuori di lui, poiché non ha bisogno del bene da lui creato.
È questo il suo riposo da tutte le opere ch'egli ha fatto.
Di quali beni avrebbe potuto Dio gloriarsi di non aver bisogno, se non ne avesse fatto alcuno?
Si potrebbe infatti anche dire che Dio non ha bisogno d'alcun bene non per il fatto che si riposerebbe in se stesso dalle opere fatte, ma perché non ne avrebbe fatta assolutamente nessuna; ma nell'ipotesi che Dio non potesse creare cose buone, non avrebbe alcuna potenza; se invece ne avesse la potenza e non le facesse, avrebbe una gran gelosia.
Poiché dunque Dio è onnipotente e buono, ha fatto tutte le cose molto buone; ma, poiché è perfettamente felice per il bene che è lui stesso, si riposò in se stesso da tutte le opere che aveva fatte, in virtù cioè del riposo di cui godette sempre.
D'altronde, se la Scrittura dicesse che Dio si riposò dalle opere che doveva fare, noi non potremmo intendere ciò se non nel senso che non le fece; se d'altra parte non dicesse che si riposò dalle opere già fatte, ci persuaderebbe in modo meno convincente che Dio non ha bisogno delle cose fatte da lui.
Se uno chiedesse: "Quale giorno, se non il settimo, era opportuno per farci capire questo insegnamento?", lo comprenderà se rammenterà come la perfezione del numero sei, di cui abbiamo parlato più sopra, è adatta a rappresentare la perfezione della creazione.
Se infatti la creazione doveva essere portata a perfezione secondo il numero sei - come lo fu in realtà - e se ci doveva essere fatto conoscere il riposo di Dio con cui ci fosse mostrato ch'egli non è reso felice dalle sue creature neppure dopo ch'esse sono state portate a termine, era ovvio che in questo racconto della rivelazione il giorno da dichiarare sacro doveva essere quello che viene dopo il sesto, per eccitarci a desiderare questo riposo, e così trovare noi pure il nostro riposo in lui.
Ora, se desiderassimo somigliare a Dio, in modo da riposarci anche noi dalle nostre opere in noi stessi allo stesso modo ch'egli si riposò dalle sue opere in se stesso, questa somiglianza non sarebbe santa, poiché noi dobbiamo riposarci in un bene immutabile e per noi questo bene è Colui che ci ha fatti.
Questo sarà quindi il nostro supremo riposo completamente privo d'orgoglio e veramente santo.
Per conseguenza, come Dio si riposò da tutte le sue opere, poiché per lui non le sue opere, ma è lui stesso il suo proprio bene e fonte della propria felicità, così anche noi dobbiamo sperare di trovare in lui solo il nostro riposo da tutte le opere non solo nostre ma anche sue; è questo ciò che dobbiamo desiderare dopo aver compiuto le opere buone che, sebbene si trovino in noi, le riconosciamo come sue anziché nostre.
In tal modo si riposerà anche lui, dopo aver compiuto le sue opere buone, quando ci concederà di riposarci in lui in seguito alle opere buone che faremo dopo essere stati giustificati da lui.
È un gran dono di Dio l'aver ricevuto l'esistenza da lui, ma sarà un dono più grande l'avere in lui il riposo, allo stesso modo che Dio è felice non perché fece le sue opere, ma perché non avendo bisogno neppure delle opere fatte, si riposò in se stesso anziché in esse.
Ecco perché Dio dichiarò sacro non il giorno del suo operare, ma quello del suo riposo, poiché volle farci capire d'esser felice non già per aver fatto quelle opere ma per il fatto di non aver bisogno delle opere da lui compiute.
Che cosa c'è dunque di più semplice e facile a dirsi, ma anche più sublime e più difficile a concepirsi che Dio riposantesi da tutte le opere che aveva compiute?
E dove mai Dio si riposa se non in se stesso, poiché è beato solo in se stesso? E quando, se non sempre?
Rispetto però ai giorni riguardo ai quali la Scrittura narra il compimento delle cose create da Dio, dalle quali è distinto il racconto del riposo di Dio, quando mai Dio si riposò se non nel settimo, quello successivo al perfetto compimento delle creature?
Dio infatti si riposa dopo aver portato a termine la creazione delle creature, ma, per poter essere più felice, non ha bisogno di esse neppure dopo averle compiute.
Per quanto riguarda Dio è bensì vero che il suo riposo non ha né mattina né sera poiché non si apre con un inizio né si conchiude con una fine, ma per quanto riguarda le opere portate a compimento da Dio, il suo riposo ha un mattino ma non una sera, poiché la creatura perfetta ha una specie d'inizio della sua conversione verso il riposo del Creatore, ma essa non ha una fine paragonabile al termine della sua perfezione come l'hanno gli esseri che sono stati creati.
Di conseguenza il riposo di Dio non comincia per lo stesso Dio ma per la perfezione delle cose create da lui, cosicché ciò ch'è portato alla perfezione da lui comincia a riposare in lui e ad avere in lui il mattino - poiché per quanto concerne il suo genere è limitato come da una sera - ma considerato in Dio non può aver più sera, per il fatto che non ci sarà nulla di più perfetto di quella perfezione.
Nell'interpretare i giorni della creazione noi prendevamo la sera nel senso ch'essa indicasse il limite della natura creata e il mattino seguente come indicante l'inizio di un'altra natura che doveva essere creata.
Per conseguenza la sera del quinto giorno è il termine della creazione compiuta il quinto giorno, mentre il mattino susseguente alla sera dello stesso quinto giorno è l'inizio della creazione che doveva essere fatta il sesto giorno; compiuta la creazione di questo giorno venne di seguito la sera che fu per esso una specie di termine.
E poiché non era rimasto nient'altro da creare, dopo quella sera venne il mattino affinché fosse non l'inizio della creazione d'un'altra creatura, ma l'inizio del riposo di tutte le creature nel riposo del Creatore.
Poiché cielo e terra e tutto ciò che essi contengono, ossia tutto il mondo creato, spirituale e materiale, non sussiste in se stesso ma in Colui del quale la Scrittura dice: In lui viviamo, ci muoviamo e siamo, ( At 17,28 ) poiché, sebbene ciascuna parte possa essere nell'intero di cui è parte, tuttavia lo stesso intero è soltanto in Colui dal quale è stato creato.
Non è quindi illogico pensare che al termine del sesto giorno successe il mattino alla sera non a significare l'inizio della creazione di un'altra creatura come nei giorni precedenti, bensì ad indicare l'inizio della permanenza e del riposo di tutto ciò ch'è stato creato nel riposo di Colui che l'ha creato.
In Dio questo riposo non ha né inizio né fine; nella creatura invece ha un inizio ma non ha un termine.
Per la stessa creatura il settimo giorno cominciò quindi con un mattino ma non termina con alcuna sera.
In effetti, se negli altri [ sei ] giorni [ della creazione ] la sera e il mattino indicano l'avvicendarsi dei tempi come quello che si compie nell'attuale durata d'ogni giorno, non vedo che cosa avrebbe impedito che anche il settimo giorno terminasse con una sera, e la notte terminasse con un mattino e di conseguenza la Scrittura - come per gli altri giorni - dicesse: "E fu sera e fu mattino: settimo giorno", dal momento che anch'esso è uno dei giorni - sette in tutto -, la cui ripetizione forma i mesi, gli anni e i secoli.
In questa ipotesi il mattino successivo al settimo giorno sarebbe l'inizio dell'ottavo, di cui non sarebbe stato più necessario parlare in seguito, poiché sarebbe stato identico al primo, al quale si torna e dal quale ricomincia la serie dei giorni della settimana.
È dunque più probabile che i giorni della nostra settimana, sebbene uguali per nome e numero a quelli della creazione, succedendosi gli uni agli altri, determinino con il loro corso la durata dei tempi, mentre quegli altri primi sei giorni si sarebbero svolti secondo un modo particolare a noi sconosciuto e inusitato durante la creazione stessa degli esseri.
In quei primi sei giorni la sera e il mattino, come la luce e le tenebre, ossia il giorno e la notte, non davano origine ai nostri giorni attraverso i giri del sole: ciò siamo certamente costretti ad ammettere, almeno per i tre giorni ricordati e nominati prima della creazione dei luminari del cielo.
Per questo motivo, quali che fossero in quei giorni la sera e il mattino, non si deve credere affatto che in quel mattino, successivo alla sera del sesto giorno, cominciasse il riposo di Dio - saremmo, in questo caso, sospettati d'immaginarci in modo sciocco e temerario che un bene temporale potesse sopraggiungere all'Eterno e all'Immutabile - ma si deve credere che il riposo di Dio, con cui si riposa in se stesso ed è felice grazie al bene ch'è lui stesso per se stesso, non ha per lui né principio né fine.
Al contrario, il riposo di Dio, in quanto proprio della creazione portata a compimento, ha un inizio, poiché ciascun essere, nei limiti della propria natura, trova la sua perfezione non tanto nell'universo, di cui è parte, quanto piuttosto in Colui dal quale ha l'esistenza e nel quale sussiste lo stesso universo: solo in questo modo può aver riposo, mantenere cioè il grado del proprio peso.
Per conseguenza tutto l'universo delle creature, che fu compiuto in sei giorni, ha nella sua natura una condizione diversa da quella che ha nell'ordine od orientamento per cui esso è in Dio, non come lo è Dio, ma tuttavia in modo da non trovare il riposo della propria stabilità se non nel riposo di Dio, il quale all'infuori di se stesso non agogna alcun altro bene per riposarvisi una volta che l'abbia raggiunto.
Egli perciò, rimanendo in sé stesso, trae a sé tutto ciò ch'è fatto da lui affinché ogni creatura abbia in sé il limite della propria natura per cui essa non è ciò ch'è lui ma abbia in lui il luogo del proprio riposo, grazie al quale rimane ciò ch'essa è.
So che il termine "luogo", da me usato, è improprio poiché in senso proprio è usato per lo spazio occupato dai corpi.
Ma, poiché anche gli stessi corpi non restano fermi se non nel luogo in cui arrivano come spinti dal desiderio ch'è una specie di peso e, una volta trovatolo, sono in riposo, non è illegittimo usare questo termine trasportandolo dal senso concreto a quello spirituale, e parlare di luogo in questo senso, benché si tratti d'una cosa assai diversa.
A mio parere, dunque, l'inizio del riposo nel Creatore goduto dalla creazione è significato nel mattino che venne dopo la sera del sesto giorno, poiché non avrebbe potuto riposarsi in lui se non dopo essere stata compiuta.
Ecco perché, dopo che nel sesto giorno era stata compiuta la creazione di tutti gli esseri, alla sera successe il mattino a indicare il momento in cui la creazione finalmente terminata cominciò a riposarsi in Colui dal quale era stata creata.
In questo inizio essa trovò Dio riposante in se stesso e in lui trovò ove poter riposarsi anch'essa in modo tanto più stabile e sicuro quanto più aveva essa bisogno di lui per riposarsi, e non lui di essa per il proprio riposo.
Ma poiché tutto il mondo creato, nonostante ciò che potrà divenire a causa dei suoi mutamenti, di qualunque genere essi saranno, non cesserà di esistere e perciò rimarrà sempre nel suo Creatore, per conseguenza a quel mattino non seguì alcuna sera.
18.36 Ciò abbiamo esposto al fine di spiegare perché il settimo giorno, in cui Dio si riposò da tutte le sue opere, ebbe il mattino dopo la sera del sesto ma non ebbe la sera.
A proposito di questo argomento c'è un'altra spiegazione che, a mio modesto avviso, ci può far capire nel senso più appropriato e migliore, ma un po' più difficile ad esporsi, come cioè il riposo della creazione ma anche di Dio in se stesso il settimo giorno ebbe un mattino senza una sera, cioè un inizio senza fine.
Se infatti la Scrittura dicesse: "Dio si riposò il settimo giorno", senza aggiungere: "da tutte le sue opere che aveva compiute" sarebbe inutile indagare sull'inizio di questo riposo.
Dio infatti non comincia a riposarsi poiché eterno è il suo riposo, senza inizio e senza fine.
Ma poiché egli si riposò da tutte le sue opere che aveva compiute senza aver bisogno di esse, si comprende che il riposo di Dio non ha avuto né inizio né fine, mentre il suo riposo da tutte le opere da lui compiute comincia dal momento in cui le ha terminate.
In realtà dalle sue opere, di cui non aveva bisogno, Dio non si sarebbe riposato prima che esistessero, pur non avendone bisogno neppure dopo il loro compimento.
E poiché di esse egli non ha assolutamente mai avuto bisogno, e poiché la sua felicità, grazie alla quale non ne ha bisogno, non avrà bisogno di perfezionarsi con nessuna specie d'incremento, il settimo giorno non ebbe la sera.
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