La grazia di Cristo e il peccato originale |
Ma da questa lettera Pelagio vuole che il lettore passi al libro della sua professione di fede, del quale vi ha fatto cenno e nel quale egli ha tirato per le lunghe a discutere di argomenti su cui non era interrogato.
Noi invece vogliamo vedere i punti precisi di cui ci occupiamo nella controversia con i Pelagiani.
Dopo aver terminato un'esposizione lunga quanto ha voluto, dall'unità della Trinità fino alla risurrezione della carne, temi sui quali nessuno sollecitava il suo parere, scrive: " Noi riteniamo un solo battesimo e diciamo che si deve celebrare nei bambini con le medesime parole del rito sacramentale con le quali si celebra pure nei grandi ".29
Questo voi avete detto d'averlo udito con certezza e proprio da lui presente: ma a che serve che ci dica che il sacramento del battesimo si celebra nei bambini con le medesime parole con le quali si celebra anche nei grandi, quando da noi si va in cerca di cose e non di sole parole?
È più importante ciò che rispose a viva voce a voi che lo interrogavate, come voi scrivete: " I bambini ricevono il battesimo in remissione dei peccati ".
Non ha detto infatti anche qui: I bambini si battezzano con le parole della remissione dei peccati, ma ha confessato che i bambini si battezzano proprio in remissione dei peccati; e ciò nonostante, se gli domandate che cosa si debba credere che si rimetta a loro del peccato, sosterrà che essi non hanno nulla del peccato.
Chi crederebbe che sotto questa quasi palese confessione si nasconda un senso contrario, se non l'avesse svelato Celestio?
Questi nel suo libello, che allegò agli Atti ecclesiastici di Roma, confessò per un verso che i bambini si battezzano in remissione dei peccati e per un altro verso negò che essi abbiano un qualche peccato originale.30
Ma poniamo ora attenzione a che cosa Pelagio abbia ritenuto non sul battesimo dei bambini, bensì piuttosto sull'aiuto della grazia anche nel libello della sua professione di fede, mandato da lui a Roma.
Scrive: " Riconosciamo il libero arbitrio così da affermare insieme che abbiamo bisogno sempre dell'aiuto di Dio ".31
Ecco una volta ancora noi domandiamo di quale aiuto ci riconosca bisognosi e lo troviamo di nuovo ambiguo, perché può rispondere che intende la legge o la dottrina cristiana, dalla quale sia aiutata quella nostra famosa possibilità naturale.
Noi al contrario cerchiamo nella confessione dei Pelagiani la grazia di cui parla l'Apostolo dicendo: Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. ( 2 Tm 1,7 )
Ora, non è detto che chi ha il dono della scienza per conoscere cosa fare abbia pure il dono dell'amore necessario a farlo.
Anche quei suoi libri o scritti che Pelagio ricorda nella medesima lettera da lui mandata al papa Innocenzo di santa memoria io me li sono letti tutti, meno che una sola breve lettera che dice d'aver mandata al santo vescovo Costanzo, e in nessuno di tali documenti io sono riuscito a trovare riconosciuta da lui una grazia siffatta: la grazia che non solo aiuta la possibilità naturale di volere e di agire, che Pelagio dice in nostro possesso anche se non vogliamo il bene né lo facciamo, ma aiuta pure, con la somministrazione dello Spirito Santo, la stessa volontà e la stessa nostra attività.
Dice: " Leggano quella lettera che io scrissi al santo vescovo Paolino quasi dodici anni fa e che in circa trecento righe non confessa nient'altro se non la grazia di Dio e il suo aiuto, e riconosce che noi senza Dio non possiamo fare assolutamente nulla di buono".32
Io, dunque, me la sono letta quella lettera e ho trovato in essa che Pelagio non si ferma, quasi per tutta la sua lunghezza, se non sulla facoltà e possibilità della natura e ripone la grazia di Dio appena qui soltanto: nella possibilità naturale.
Quanto invece alla grazia cristiana, l'accenna ricordandone solo il nome e tanto fugacemente da non dare nessun'altra impressione che quella d'aver avuto paura di tacerla.
Comunque non apparisce in nessun modo se voglia che la grazia s'intenda nella remissione dei peccati, o anche nella dottrina del Cristo, dove è compresa pure l'esemplarità della sua vita, e ciò fa in alcuni passi delle sue opere, o creda che un qualche aiuto per agire bene sia aggiunto alla natura e alla dottrina mediante l'ispirazione di un'ardentissima e luminosissima carità.
Scrive: "Leggano altresì la mia lettera al santo vescovo Costanzo, dove brevemente, è vero, ma esplicitamente, io ho aggiunto al libero arbitrio dell'uomo la grazia e l'aiuto di Dio ".33
Io questa lettera non l'ho letta, come ho detto sopra, ma se non differisce dagli altri suoi scritti a me noti che egli ricorda, non ha nemmeno essa quello che noi cerchiamo.
Dice: " Leggano inoltre la lettera che abbiamo scritta alla sacra vergine del Cristo Demetriade, in Oriente, e troveranno che difendiamo la natura dell'uomo così da associare sempre l'aiuto della grazia di Dio ".
Questa l'ho letta tutta e mi aveva quasi convinto ch'egli ammettesse il tipo di grazia di cui stiamo discutendo, benché in molti luoghi di quel suo scritto sembri contraddirsi.
Ma, dopo che arrivarono tra le mie mani anche altre opere che Pelagio scrisse più recentemente e più estesamente, ho visto come anche nella lettera a Demetriade aveva potuto nominare la grazia, per nascondere sotto l'ambigua genericità del termine il proprio pensiero, riuscendo tuttavia con il vocabolo di grazia a rompere il malcontento e ad evitare il sospetto.
Infatti all'inizio della stessa lettera, dove dice: " Dedichiamoci all'opera che ci è stata richiesta e non diffidiamo della mediocrità del nostro ingegno, che crediamo aiutato dalla fede della madre e dal merito della vergine ",34 mi era sembrato che riconoscesse la grazia dalla quale siamo aiutati a fare qualcosa, e non avevo badato che egli aveva potuto riporla semplicemente nella rivelazione della dottrina.
Similmente in un altro passo della medesima lettera scrive: " Se anche gli uomini che sono senza Dio mostrano in quali condizioni siano stati fatti da Dio, non ti sfugga che cosa possano fare i cristiani, la cui natura è stata restaurata in meglio per mezzo del Cristo e che sono aiutati inoltre dall'aiuto della grazia divina ".35
Per restaurazione della natura in meglio vuole che s'intenda la remissione dei peccati, e lo indica sufficientemente in un altro testo della stessa lettera dicendo: " Anche coloro che per una lunga abitudine di peccare si sono in qualche modo induriti possono essere restaurati mediante la penitenza ".36
Quanto poi all'aiuto della grazia divina, può anche qui riporlo nella rivelazione della dottrina.
Ugualmente in un altro passo della medesima lettera scrive: " Se anche prima della legge, come abbiamo detto, e molto prima della venuta del nostro Signore e Salvatore si attesta che alcuni vissero nella giustizia e nella santità, quanto più si deve credere che ciò sia possibile a noi dopo l'illuminazione della sua venuta!
Noi infatti siamo stati restaurati, mediante la grazia del Cristo e siamo rinati ad una umanità migliore e perciò, espiati e mondati dal suo sangue ed incitati alla perfezione della giustizia dal suo esempio, dobbiamo essere migliori di coloro che vissero prima della legge ".37
Notate come anche qui, sebbene con altre parole, faccia tuttavia consistere l'aiuto della grazia nella remissione dei peccati e nell'esempio del Cristo.
Poi soggiunge: " Migliori altresì di coloro che vissero sotto la legge, dicendo l'Apostolo: Il peccato non dominerà più su di voi, poiché non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia ". ( Rm 6,14 )
Scrive ancora: " E poiché abbiamo parlato sufficientemente, come penso, di questo tema, provvediamo adesso alla formazione di una vergine perfetta che, sempre fervorosa per la bontà della natura e della grazia, testimoni con la santità del suo comportamento morale la bontà dell'una e dell'altra ".38
In queste sue parole dovete cogliere che la ragione per cui ha voluto concludere in questo modo quello che diceva è di farci intendere per bontà di natura tutto quello che noi abbiamo ricevuto nel momento della nostra creazione e per bontà invece di grazia l'esempio del Cristo al quale possiamo volgere lo sguardo.
Come se a coloro che vissero o vivono sotto la legge non sia stato perdonato il peccato, perché o non hanno avuto l'esempio del Cristo o non ci credono.
Che questo sia il suo pensiero lo mostrano anche altre sue parole, non di questa lettera, ma del terzo libro del suo In difesa del libero arbitrio.
Ivi, rivolgendosi al suo avversario che gli obiettava le parole, dell'Apostolo: Io non faccio quello che voglio, e le altre: Nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente, ( Rm 7,15.23 ) e il seguito di tale testo, risponde: " Quello che tu vuoi riferire all'Apostolo, tutti gli autori ecclesiastici asseriscono che egli l'afferma nella persona del peccatore che è ancora sotto la legge.
Costui per la troppo inveterata abitudine dei vizi è come posseduto da una specie di necessità di peccare e, per quanto desideri con la volontà il bene, tuttavia la consuetudine lo fa precipitare nel male.
Ma Paolo nella persona di un solo uomo al singolare designa il popolo che peccava ancora sotto la vecchia legge e che, dice l'Apostolo, doveva esser liberato da questo suo male dell'abitudine cattiva per mezzo del Cristo, il quale in un primo momento rimette con il battesimo tutti i peccati a coloro che credono in lui, in un secondo momento li incita alla santità perfetta attraverso la sua imitazione e vince con l'esempio delle sue virtù la consuetudine dei vizi ".39
Ecco in che modo Pelagio vuole che s'intenda l'aiuto prestato a coloro che peccano sotto la legge, perché, giustificati per mezzo della grazia del Cristo siano liberi.
Siccome ad essi, per la troppo inveterata consuetudine di peccare, non basta la legge da sola, viene aggiunto come supplemento, non l'immissione nel cuore dell'uomo della carità del Cristo per mezzo dello Spirito Santo, ma attraverso la dottrina evangelica l'esempio della sua virtù che si deve contemplare ed imitare.
E certo, per dire espressamente di quale grazia parlava, aveva un'occasione d'oro qui dove il testo stesso su cui stava rispondendo si chiude così per bocca dell'Apostolo: Sono uno sventurato!
Chi mi libererà dal corpo di questa morte? La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 )
Dal momento che Pelagio colloca questa grazia non nell'aiuto della potenza del Cristo, ma nell'esempio della sua imitazione, che più dobbiamo sperare da lui dovunque rammenta con ambigua genericità il nome di grazia?
Similmente nella medesima lettera a quella sacra vergine di cui abbiamo già parlato sopra, scrive: " Dobbiamo stare sottomessi a Dio e facendo la sua volontà dobbiamo meritare la grazia divina per resistere più facilmente con l'aiuto dello Spirito Santo allo spirito cattivo ".40
Nelle quali sue parole è certamente manifesto questo senso: egli vuole che noi siamo aiutati dalla grazia dello Spirito Santo, non perché senza lo Spirito Santo e con la sola possibilità della natura non possiamo resistere al tentatore, ma perché gli resistiamo " più facilmente " [ con lo Spirito Santo ].
Tale aiuto nondimeno, di qualunque genere e portata esso sia, è da credere che egli lo faccia consistere in questo: per mezzo della dottrina comunicataci per rivelazione dallo Spirito noi riceviamo un supplemento di scienza che o non possiamo avere affatto o possiamo avere difficilmente per mezzo della natura.
Questi sono i punti che ho potuti rilevare nella lettera scritta da lui a quella vergine del Cristo e nella quale sembra riconoscere la grazia.
Del valore che possano avere questi testi ve ne accorgerete certamente da voi.
Scrive Pelagio: " Leggano altresì la mia recente opera In difesa del libero arbitrio, che da poco tempo siamo stati spinti a pubblicare, e riconosceranno quanto ingiustamente si siano adoperati ad infamarci di negare la grazia, mentre in quasi tutto il testo di quest'opera confessiamo perfettamente e integralmente tanto il libero arbitrio, quanto la grazia".41
Quattro sono i libri di quest'opera. Io li ho letti.
Ho preso da essi i punti che mi sono proposto di esaminare e discutere, e che ho esaminati come ho potuto, prima di passare alla sua lettera spedita a Roma.
Ma anche tutto quello che in questi quattro libri sembra dire a favore della grazia che ci aiuta ad allontanarci dal male e a fare il bene, lo dice in tal modo da non scostarsi per nulla da una ambiguità verbale.
Egli poi risolve questa ambiguità con i suoi discepoli così che non credano in nessun altro aiuto di grazia che aiuti la possibilità della natura all'infuori della legge e della dottrina.
Di conseguenza Pelagio, come afferma tanto apertamente nei suoi scritti, ritiene che anche alle stesse orazioni non si debba ricorrere per nessun altro fine che questo: che la dottrina apra a noi tutte le sue porte anche con le chiavi della rivelazione divina, e non che l'animo umano riceva un aiuto perché con l'amore e con l'azione arrivi anche a fare ciò che la dottrina gli ha insegnato di dover fare.
Non recede Pelagio dunque minimamente da quel suo notissimo dogma dove stabilisce i tre elementi della possibilità, della volontà e dell'attività, e dove dice che soltanto la possibilità è sempre aiutata dall'aiuto divino, mentre ritiene che non abbiano bisogno di nessun aiuto di Dio la volontà e l'attività.
Quanto poi allo stesso aiuto dal quale attesta che è aiutata la possibilità naturale, lo colloca nella legge e nella dottrina, e riguardo alla dottrina riconosce che essa ci è pure rivelata per mezzo dello Spirito Santo, per cui ammette anche la necessità di ricorrere alla preghiera.
Ma è sua opinione che l'aiuto della legge e della dottrina esistesse già anche ai tempi dei profeti e invece l'aiuto della grazia, che si chiama grazia in senso proprio, consista nell'esempio del Cristo: il quale esempio tuttavia, ben lo capite, rientra nella dottrina evangelica a noi predicata, di modo che noi, ricevuta, per così dire, l'indicazione della strada su cui camminare, già con le forze del libero arbitrio, senza aver bisogno dell'aiuto di nessun altro, bastiamo a noi stessi per non svenire lungo la via. ( Mt 15,32 )
Sostiene però che la medesima strada si può trovare anche con la sola natura, ma si trova più facilmente, se ci aiuta la grazia.
Questo ho potuto capire, secondo i limiti della mia intelligenza, negli scritti di Pelagio, quando nomina la grazia.
Ora, voi vedete che i sostenitori di queste idee, ignorando la giustizia di Dio, ne vogliono stabilire una propria ( Rm 10,3 ) e se ne stanno lontani da quella che a noi deriva da Dio, ( Fil 3,9 ) non da noi, e che avrebbero dovuta conoscere e riconoscere massimamente nelle sante Scritture canoniche.
Ma poiché costoro le leggono seguendo i loro preconcetti, non possono vedere in esse nemmeno le verità evidenti.
Magari dunque considerassero attentamente negli scritti degli autori cattolici, dai quali non dubitano che le Scritture siano state intese nel modo giusto, che cosa si debba pensare dell'aiuto della grazia divina e non lo volessero passare sotto silenzio per eccessivo attaccamento alla propria opinione!
Sentite infatti come lo stesso Pelagio in quella sua recente opera a cui rimanda per difendersi, cioè nel terzo libro del suo In difesa del libero arbitrio, loda S. Ambrogio.
Scrive: " Il beato vescovo Ambrogio, nei cui libri la fede romana splende in modo particolare, che tra gli scrittori latini spiccò come un fiore pieno di bellezza, la cui fede e la cui purissima interpretazione delle Scritture non ha osato intaccare nemmeno un nemico ".42
Ecco con quali e con quante lodi celebra un personaggio santo e dotto quanto vuoi, ma non tuttavia paragonabile affatto all'autorità della Scrittura canonica.
La ragione per cui lo incensa così è che gli sembra di poter adoperare un passo dei suoi libri come testimonianza per dimostrare che l'uomo può essere senza peccato.
Questo non è l'argomento di cui si tratta adesso, ma si tratta dell'aiuto della grazia, dal quale siamo aiutati a non peccare e a vivere nella giustizia.
Pelagio ascolti dunque quel venerabile vescovo quando spiega ed insegna, nel secondo libro dell'Esposizione del Vangelo secondo Luca, che il Signore collabora altresì con le nostre volontà.
Dice Ambrogio: " Tu vedi che la potenza del Signore coopera sempre con gli sforzi dell'uomo, così che nessuno può edificare senza il Signore, nessuno può custodire senza il Signore, nessuno può cominciare alcunché senza il Signore.
Perciò secondo l'Apostolo: Sia che mangiate, sia che beviate, fate tutto per la gloria di Dio ". ( 1 Cor 10,31 )
Voi vedete che Ambrogio con queste parole spazza via anche la solita affermazione comune tra la gente: " Noi cominciamo e Dio finisce ", dicendo che " nessuno può nemmeno cominciare alcunché senza Dio ".
Ugualmente nel sesto libro della stessa opera, parlando di quei due debitori di un medesimo creditore, dice: " Secondo gli uomini ha offeso forse di più colui che doveva di più, ma per la misericordia del Signore la situazione si ribalta, cosicché ama di più colui che doveva di più, a patto però che ne riceva la grazia ".43
Ecco, insegna con tanta trasparenza questo dottore cattolico, che anche lo stesso amore con il quale uno ama di più appartiene al beneficio della grazia.
Il beato Ambrogio, nel nono libro della stessa opera, dice perfino che la stessa penitenza, che è opera senza dubbio della volontà umana, viene attuata mediante la misericordia e l'aiuto del Signore.
Egli così si esprime: " Buone le lacrime che lavano la colpa! Finiscono col piangere quelli che Gesù guarda.
Pietro negò una prima volta e non pianse perché il Signore non lo guardò.
Negò una seconda volta e non pianse perché il Signore non lo guardò ancora.
Negò una terza volta, Gesù lo guardò e Pietro pianse amarissimamente ".44
Leggano il Vangelo i Pelagiani e si accorgano che in quel momento il Signore era dentro, essendo sotto l'interrogatorio dei principi dei sacerdoti, mentre l'apostolo Pietro stava fuori in basso nell'atrio con i servi, ora a sedere presso il fuoco e ora in piedi, come mostra il racconto veracissimo e concorde al massimo degli evangelisti.
Non si può dire pertanto che il Signore si sia voltato a guardare Pietro con i suoi occhi corporali, rimproverandolo in modo visibile.
Il fatto quindi attestato dalle parole: Il Signore, voltatosi, lo guardò, ( Lc 22,61 ) si compì in modo interiore, si compì nell'anima, si compì nella volontà.
La misericordia del Signore intervenne segretamente, gli toccò il cuore, gli svegliò la memoria, visitò l'intimo di Pietro con la sua grazia, smosse i sentimenti nell'intimo dell'uomo e li rese palesi con le lacrime esterne.
Ecco in che modo si affianca Dio con il suo aiuto alle nostre volontà e alle nostre attività, ecco in che modo suscita Dio in noi e il volere e l'operare. ( Fil 2,13 )
Nel medesimo libro lo stesso Ambrogio scrive: " Dal momento che cadde Pietro, il quale aveva detto: Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai, ( Mt 26,33 ) chi altri potrebbe giustamente fidarsi di sé?
Anche Davide, che aveva affermato: Nella mia prosperità ho detto: Nulla mi farà vacillare, confessa che gli fu fatale la sua spavalderia: Quando hai nascosto il tuo volto, io sono stato turbato ( Sal 30,7-8 ) " .45
Un personaggio tanto grande, di cui ha elogiato la dottrina e la fede, l'ascolti Pelagio nella dottrina che insegna, lo imiti nella fede che professa.
Lo ascolti umilmente, lo imiti fedelmente.
Non presuma ostinatamente di se stesso per non perdere se stesso.
Perché mai Pelagio vuole affogare in quel Pelago dal quale per intervento della Pietra fu liberato Pietro"
Ascolti Pelagio il medesimo vescovo di Dio, che scrive ugualmente nel sesto libro della stessa opera: " Perché non l'abbiano accolto lo ricorda lo stesso evangelista dicendo: Era diretto verso Gerusalemme. ( Lc 9,53 )
I suoi discepoli si davano però da fare per avere l'accesso in Samaria.
Ma Dio chiama chi si degna di chiamare e rende religioso chi vuole ".46
O sensibilità di quell'uomo di Dio, bevuta dalla stessa fonte della grazia di Dio!
" Dio chiama chi si degna di chiamare " dice " e rende religioso chi vuole ".
Guardate se non è quello che afferma il profeta: Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia, ( Es 33,19; Rm 9,15 ) e quello che attesta l'Apostolo: Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. ( Rm 9,16 )
Proprio quello che dice anche quest'uomo di Dio dei nostri tempi: " Dio chiama chi si degna di chiamare e rende religioso chi vuole ".
Oserà forse dire qualcuno che non è ancora religioso " chi corre al Signore e desidera d'esser governato da lui e lega la propria volontà alla volontà di lui e aderendo continuamente a lui diventa, secondo l'Apostolo, un solo spirito con lui "? ( 1 Cor 6,17 )
Ma tutto questo gran lavoro di un uomo religioso, secondo Pelagio, " si compie esclusivamente con la libertà dell'arbitrio ".
Al contrario, il beato Ambrogio, tanto eccellentemente lodato dalla bocca dello stesso Pelagio, dice: " Il Signore Dio chiama chi si degna di chiamare e rende religioso chi vuole ".
Perché dunque corra al Signore e desideri d'esser governato da lui e leghi la propria volontà alla volontà di lui e aderendo a lui continuamente diventi con lui, secondo l'Apostolo, un solo spirito, Dio " rende religioso chi vuole ".
E tutte le suddette operazioni non le fa se non l'uomo religioso.
Pertanto se Dio non fa sì che l'uomo le faccia, chi mai le fa?
Ma poiché la matassa dei rapporti tra l'arbitrio della volontà e la grazia di Dio è talmente difficile a dipanarsi che, quando si difende il libero arbitrio sembra negata la grazia, e quando viceversa si asserisce la grazia si crede portato via il libero arbitrio, Pelagio può avvolgersi così bene dentro gli oscuri risvolti di tale questione.
Egli può dire che acconsente anche ai passi che io ho riferiti dagli scritti di S. Ambrogio, e proclamare di condividere anche lui le medesime convinzioni e d'averle sempre condivise, e tentare di spiegare uno ad uno i propri testi così da farli combaciare con il modo di sentire d'Ambrogio.
Perciò quanto alla presente questione sulla grazia e sull'aiuto di Dio badate bene ai tre fattori che Pelagio ha distinti con tanta evidenza: il potere, il volere, l'essere, cioè la possibilità, la volontà e l'attività.
Se dunque egli converrà con noi che non solo la possibilità dell'uomo, anche quando non vuole e non fa il bene, ma altresì la volontà stessa e l'attività stessa, cioè il fatto che noi vogliamo il bene ed operiamo il bene - azioni che nell'uomo non ci sono se non quando vuole effettivamente in maniera buona e agisce in maniera buona -;
se, come dicevo, converrà con noi che anche la volontà stessa e l'attività stessa sono aiutate da Dio ed aiutate in tal modo che senza l'aiuto di Dio noi non vogliamo e non facciamo nulla di buono;
se converrà con noi che è questa la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore, ( Rm 7,25 ) nella quale egli ci rende giusti della giustizia sua e non della nostra, cosicché la nostra vera giustizia sia quella che viene a noi da Dio, ( Fil 3,9 ) allora, per quanto posso giudicare io, non rimarrà tra noi più nulla di tutto il contenzioso sull'aiuto della grazia di Dio.
Il motivo perché Pelagio ha elogiato in tal modo S. Ambrogio è d'aver trovato nei suoi scritti che si può dedurre, dalle lodi tributate da lui a Zaccaria ed Elisabetta, la possibilità dell'uomo d'essere senza peccato in questa vita.
Sebbene tale possibilità non si debba negare, se il risultato è voluto da Dio al quale è possibile tutto, ( Mt 19,26 ) consideri nondimeno Pelagio con maggiore diligenza il contesto in cui ciò è stato detto.
Infatti è stato detto, per quanto sembra a me, relativamente ad un certo modo di comportarsi in mezzo agli uomini che è degno d'approvazione e di lode e di cui nessuno potrebbe giustamente lamentarsi con accuse e incriminazioni.
Un simile comportamento si dice osservato da Zaccaria e dalla sua moglie davanti a Dio, ( Lc 1,6 ) perché essi nella loro condotta non ingannavano il prossimo con nessuna simulazione, ma come apparivano alla gente così erano noti agli occhi di Dio.
Non è stato detto invece relativamente a quella perfezione di giustizia nella quale vivremo veramente ed assolutamente immacolati e perfetti.
A riprova, anche l'apostolo Paolo ha detto d'essere stato irreprensibile secondo la giustizia derivante dalla legge. ( Fil 3,6 )
In questa legge lo stesso Zaccaria si comportava irreprensibilmente.
Ma l'Apostolo reputò tale giustizia spazzatura e perdita ( Fil 3,8 ) a confronto con la giustizia che speriamo nell'eternità e della quale dobbiamo avere adesso fame e sete, ( Mt 5,6 ) per essere saziati un giorno nella visione della medesima giustizia che ora, finché il giusto vive di fede, ( Rm 1,17 ) sta nella nostra fede.
Qualunque sia il giudizio di S. Ambrogio su Zaccaria ed Elisabetta, esso va inteso in accordo con la sua dichiarazione che nessuno può in questo mondo essere senza peccato.
49.54 - Pelagio ascolti inoltre lo stesso venerabile vescovo Ambrogio che nel suo Commento al profeta Isaia dice: " Nessuno può essere senza peccato in questo mondo ".
Dove non si può affermare che abbia detto " in questo mondo " quasi intendesse nell'amore di questo mondo.
Parlava infatti dell'Apostolo che ha scritto: La nostra patria è nei cieli. ( Fil 3,20 )
Spiegando il senso di queste parole il suddetto vescovo Ambrogio dice: " L'Apostolo ammette che in questo mondo, ancora viventi con lui, ci sono molti cristiani perfetti.
Se però guardi alla vera perfezione, questi non potevano essere perfetti.
Egli dice infatti: Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia.
Ora conosco in modo imperfetto, allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. ( 1 Cor 13,12 )
Pertanto uomini immacolati ci sono in questo mondo e uomini immacolati ci saranno nel regno di Dio, sebbene sia certo che, se esamini più sottilmente, nessuno può essere immacolato adesso, perché nessuno è senza peccato ".47
Perciò la testimonianza di S. Ambrogio di cui Pelagio si vale48 per la propria sentenza o è stata pronunziata secondo un certo senso, buono, sì, ma non esaminato troppo minuziosamente, o, se quell'uomo santo ed umile credette che Zaccaria ed Elisabetta erano di una giustizia somma e assolutamente perfetta, alla quale non si potesse aggiungere più nulla, è certo che, esaminando più accuratamente la propria sentenza, l'ha poi corretta.
Presti inoltre buona attenzione Pelagio che, in quel medesimo passo da cui ha preso la testimonianza che gli è piaciuta, Ambrogio dice pure questo: " È cosa impossibile alla natura umana essere senza macchia fin dalle origini ".49
E qui, riguardo a quella famosa possibilità naturale, che Pelagio non vuol riconoscere, in conformità con la fede, viziata dal peccato, e per questo la porta con superbia alle stelle, il venerando Ambrogio la dichiara assolutamente impotente ed inferma: senza dubbio contro la volontà di Pelagio, ma non contro la verità dell'Apostolo, dove si legge: Anche tutti noi un tempo eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. ( Ef 2,3 )
Fu infatti la stessa natura ad essere viziata e condannata per il peccato del primo uomo, che provenne dal suo libero arbitrio; e l'unica a venire in soccorso della natura umana è stata la grazia divina per mezzo di colui che è il Mediatore tra Dio e gli uomini ( 1 Tm 2,5 ) e il Medico onnipotente.
È già un bel pezzo che discorriamo dell'aiuto della grazia per la nostra giustificazione, aiuto con il quale Dio fa concorrere tutti gli eventi al bene di coloro che lo amano ( Rm 8,28 ) e che egli ha amati per primo, ( 1 Gv 4,19 ) donando ad essi l'amore per amarlo.
Quindi cominciamo subito, secondo l'aiuto che ci concederà il Signore, ad esporre quanto ci sembrerà sufficiente anche sul peccato, che insieme con la morte a causa di un solo uomo è entrato nel mondo e così ha raggiunto tutti gli uomini, ( Rm 5,12 ) contro i Pelagiani, i quali hanno rotto ancora più apertamente verso l'errore che si oppone a questa verità.
Indice |
29 | Pelag., Libellus fidei 7 |
30 | Celest., Libellus fidei |
31 | Pelag., Libellus fidei 13 |
32 | Pelag., Ep. ad Innocentium |
33 | Pelag., Ep. ad Innocentium |
34 | Pelag., Ep. ad Demetr. 1 |
35 | Pelag., Ep. ad Demetr. 3 |
36 | Pelag., Ep. ad Demetr. 17 |
37 | Pelag., Ep. ad Demetr. 8 |
38 | Pelag., Ep. ad Demetr. 8-9 |
39 | Pelag., Pro lib. arb. 3 |
40 | Pelag., Ep ad Demetr. 25 |
41 | Pelag., Ep. ad Innocentium |
42 | Pelag., Pro lib. arb. 3 |
43 | Ambr., Expos. Ev. Lc 6, 25 |
44 | Ambr., Expos. Ev. Lc 10, 89 |
45 | Ambr., Expos. Ev. Lc 10, 91 |
46 | Ambr., Expos. Ev. Lc 7, 27 |
47 | Ambr., Expos. Is proph |
48 | Pelag., Pro lib. arb. 3 |
49 | Ambr., Expos. Ev. Lc 1, 17 |