Lettere |
Scritta nel 394-95.
A., pur ossequiando Girolamo, non ne approva la sua nuova traduzione dall'ebraico ( n. 1-2 ), tanto meno l'interpretazione del rimprovero di Paolo a Pietro: la possibilità di una bugia giustificherebbe ogni interpretazione della Scrittura ( n. 3-5 ).
Invia altri suoi scritti onde li esamini e li corregga ( n. 6 ).
Agostino a Girolamo, Signore carissimo, fratello che deve essere ossequiato e abbracciato col più sincero tributo di affetto, e collega nel sacerdozio.
Nessuno mai fu noto a chiunque altro di persona tanto quanto lo è a me l'attività tranquilla, lieta e veramente nobile dei tuoi studi religiosi.
Perciò, sebbene io desideri vivamente di conoscerti sotto ogni aspetto, tuttavia è una parte esigua di te che io conosco meno, cioè il tuo aspetto fisico; ed anch'esso, dopo che il fratello Alipio ( ora beatissimo vescovo, ma già allora degno dell'episcopato ) ti vide e al suo ritorno fu da me veduto, non posso negare che in gran parte sia impresso in me a seguito della sua relazione: ed anche prima del suo ritorno, quando egli ti vedeva costì, io ti vedevo ma con gli occhi di lui.
Infatti chi ci conosca potrebbe dire che io e lui siamo due [ persone ] non quanto all'animo ma quanto al corpo: solo, beninteso, per la nostra concordia e amicizia fedelissima, non per i meriti, in cui egli mi supera.
Poiché dunque tu già mi ami ( inizialmente per comunione di spirito col quale tendiamo ad un unico scopo e poi per le sue parole ), non certo sfacciatamente, come se fossi uno sconosciuto qualsiasi, io raccomando alla tua Fraternità il fratello Profuturo che per i nostri sforzi e poi per il tuo aiuto speriamo sarà veramente "profittevole"; se non che egli forse è tale che diverrò più accetto a te io per mezzo suo che lui per mezzo mio.
Forse io avrei dovuto limitarmi a scrivere fino a questo punto se intendessi accontentarmi di una lettera del tipo di quelle che si scrivono di solito; ma mi urgono nell'animo molti pensieri, che bramo comunicarti, sui nostri studi cui attendiamo in Gesù Cristo nostro Signore, il quale anche per mezzo della tua carità si degna di fornirci con generosa larghezza molti utili mezzi e provviste ( per così dire ) per il viaggio che Egli ci ha additato.
Dunque ti chiediamo, e insieme con noi lo chiedono tutte le comunità di studiosi delle Chiese d'Africa, che non ti rincresca di spendere cura e fatiche per tradurre i libri di coloro che, in greco, hanno commentato le nostre Scritture in modo così egregio.
Giacché tu sei in grado di far sì che anche noi possiamo servirci di tali famosi autori, e soprattutto di uno che tu più volentieri citi nei tuoi scritti.
Quanto poi alla traduzione in lingua latina dei Libri Sacri canonici, non vorrei che tu vi attendessi se non seguendo il metodo da te usato nel tradurre il libro di Giobbe, in modo che, grazie all'uso di segni particolari, appaia in che cosa la tua versione differisca da quella dei Settanta, di cui preminente è l'autorità.
Peraltro non saprei manifestare adeguatamente tutto il mio stupore se nei testi ebraici si trova ancora qualcosa che è sfuggito a tanti traduttori, i quali pur conoscevano a fondo quella lingua.
Lascio da parte i Settanta, sulla cui uniformità di intento e di ispirazione ( maggiore che se si fosse trattato di una sola persona ) io non oso esprimere un parere sicuro in nessun senso se non che io ritengo si debba loro riconoscere, indiscutibilmente, un'autorità preminente in questo campo.
Mi colpiscono maggiormente coloro i quali, pur traducendo in un momento successivo e restando, a quanto si dice, strettamente aderenti al metodo e alle regole del vocabolario e della sintassi ebraici, non solo non sono andati d'accordo tra di loro, ma hanno altresì lasciato molte cose da scoprire e da rendere note tanto tempo dopo.
Ed esse o sono oscure o sono chiare.
Se sono oscure, è da credere che anche tu possa ingannarti su di esse; se sono chiare, non è da credere che essi vi abbiano potuto commettere degli errori.
Ti pregherei dunque vivamente per la tua carità di rendermi edotto su questo problema, portando degli argomenti.
Ho letto anche alcuni scritti a te attribuiti, sulle Lettere dell'apostolo Paolo.
Nella spiegazione che tu hai inteso dare di quella ai Galati, t'è capitato tra le mani il famoso passo in cui si cerca di distogliere l'apostolo Pietro da una funesta simulazione. ( Gal 2,14 )
Io mi dolgo non poco - lo confesso - che a proposito di esso sia stata assunta la difesa della menzogna o da te, che pur sei un tal uomo, o da qualcun altro, se altri è l'autore di quegli scritti, fintantoché non vengano confutate ( se per avventura è possibile confutarle ) le mie ragioni.
Mi pare infatti che sia quanto mai funesto credere che nei libri Sacri vi sia qualche menzogna; cioè che quegli uomini per opera dei quali è stata redatta e ci è stata trasmessa la Scrittura abbiano detto delle menzogne nei loro libri.
Giacché una cosa è chiedersi se all'uomo onesto sia lecito talvolta mentire e un'altra chiedersi se uno scrittore delle Sacre Scritture si sia trovato nella opportunità di mentire: anzi non si tratta di un'altra cosa, bensì la questione non esiste.
Invero, una volta ammessa una menzogna officiosa in un grado così alto di autorità, non resterà più alcuna parte per quanto esigua di quei libri, la quale, a seconda che sembrerà a ciascuno difficile per la morale o incredibile per la fede, usando lo stesso funestissimo sistema non possa essere riferita ad un preciso intento e ad una esigenza dell'autore che mente.
Supponiamo infatti che mentisse l'apostolo Paolo allorché, rimproverando l'apostolo Pietro, diceva: Se tu, che sei Giudeo, vivi alla maniera dei pagani e non dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei? pur giudicando che Pietro avesse agito rettamente, disse e scrisse che non aveva agito rettamente, quasi coll'intenzione di placare gli animi della folla in tumulto.
Che cosa risponderemo quando salteranno su degli uomini perversi ( e lui stesso disse che ne sarebbero sorti ( 1 Tm 4,1-3; 1 Cor 7,10-16 ) ), a vietare il matrimonio, e diranno che tutto quello che lo stesso Apostolo disse per confermare la legittimità del matrimonio, egli lo disse mentendo a causa di uomini che potevano mettersi a tumultuare per amore delle loro spose, cioè non perché la pensasse così ma perché la loro ostilità si calmasse?
Non c'è bisogno di addurre molti esempi.
Giacché si potrebbe credere che anche quando si tratta della gloria di Dio vi siano delle menzogne officiose, affìnché l'amore di Lui divampi presso uomini meno ferventi: e così, nei Libri Sacri, in nessun punto sarà sicura l'autorità della pura e nuda verità.
Come non tener conto di ciò che dice il medesimo Apostolo col preciso impegno di affermare la verità: Ma se Cristo non è risorto, la nostra predicazione è vana, vana è anche la nostra fede.
Più ancora, noi risultiamo dei falsi testimoni riguardo a Dio, poiché abbiamo testimoniato contro Dio che Egli ha risuscitato Cristo pur non avendolo risuscitato? ( 1 Cor 15,14s )
Se qualcuno gli avesse detto: "Perché provi un grande orrore per questa menzogna, dal momento che hai detto una cosa la quale, anche se falsa, serve in sommo grado alla gloria di Dio"?
Forse che, dopo aver maledetto la follia di costui con tutte le parole e le spiegazioni possibili, non avrebbe rivelato chiaramente i segreti del suo cuore proclamando che è colpa non meno grave, o forse anche più grave, lodare in Dio la menzogna che vituperare la verità?
Bisogna pertanto adoprarsi affinché chi s'accosta alla conoscenza delle Divine Scritture sia in tale disposizione d'animo da giudicare dei Libri Sacri con tanta pietà e rispetto della verità da non volere trovar gusto nel ricorrere in qualsiasi passo di esse a menzogne officiose e da passar sopra a ciò che non capisce piuttosto di preferire il proprio pensiero alla verità.
È certo infatti che quando sostiene questo, vuole che si creda a lui ed agisce in modo da farci perdere la fiducia nell'autorità delle S. Scritture.
Quanto a me, con quelle forze che il Signore mi fornisce, cercherei di dimostrare che debbono essere intese diversamente tutte quelle testimonianze che sono state addotte per provare l'utilità della menzogna affinché si possa in ogni punto mostrare la loro sicura veridicità.
Infatti, come le testimonianze non devono essere mendaci, così non devono favorire la menzogna.
Ma questo io lascio alla tua competenza.
Se infatti tu porrai nella lettura una più diligente riflessione, forse vedrai questo molto più facilmente di me.
A questa riflessione t'indurrà la pietà, per cui tu comprendi che l'autorità delle Divine Scritture vacilla al punto che ciascuno potrà credere quello che vuole e non credere quel che non vuole in esse, una volta che ci si sia convinti che quegli uomini, per opera dei quali esse ci sono state elargite, hanno potuto in qualche caso mentire per ragioni di officiosità nei loro scritti.
A meno che tu non ti accinga a darci delle regole per cui noi sapremo quando bisogna mentire e quando non bisogna.
Se questo è possibile, spiegamelo, te ne prego, con argomenti che non siano in alcun modo menzogneri e dubbi; e non giudicarmi fastidioso o sfrontato, te lo chiedo per l'umanità veracissima di nostro Signore.
Infatti se, a tuo giudizio, ci può essere un giusto motivo per la verità di giustificare la menzogna, non sarà colpa o almeno grave colpa se il mio errore giustifica la verità.
Di molte altre cose io vorrei parlare col tuo sincerissimo cuore e discutere riguardo agli studi cristiani, ma nessuna lettera è sufficiente per realizzare questo mio desiderio.
Ciò io posso fare più diffusamente per mezzo del fratello che mi rallegro d'aver mandato affinché partecipi alle tue piacevoli ed utili conversazioni e ne venga nutrito.
Tuttavia forse neppure lui è in grado di trarne quanto io vorrei ( mi sia lecito dirlo con sua buona pace ): per quanto io non oserei affatto preferirmi a lui.
Infatti ammetto d'esser più capace di comprenderti, ma vedo che lui trae maggior profitto, e in questo senza dubbio mi supera: e dopo che sarà ritornato - il che spero avverrà felicemente con l'aiuto del Signore - quando sarò stato messo a parte di quanto tu hai riversato nel cuore di lui, egli non riuscirà a riempire quello che vi sarà ancora in me di vuoto nell'avidità di conoscere i tuoi pensieri.
Così avverrà che anche allora io sarò ancora più povero, lui più ricco di me.
Orbene, il medesimo fratello porta con sé alcuni scritti miei; e se farai loro l'onore di leggerli, usa anche nei loro confronti una sincera e fraterna severità, ti prego.
Giacché io non intendo altrimenti quello che è stato scritto: Il giusto mi correggerà nella sua misericordia e dimostrerà la mia colpa: ma l'olio del peccatore non ungerà il mio capo, ( Sal 141,5 ) se non nel senso che ama di più il censore che sana dell'adulatore che unge il capo. Per me, ben difficilmente nel leggere sono buon giudice di quello che ho scritto, lasciandomi vincere o da uno scrupolo o da un entusiasmo eccessivo.
Vedo anche qualche volta i miei errori; ma preferisco sentirmeli dire dai più esperti di me, per non lusingarmi di nuovo, dopo essermi rimproverato forse a ragione, pensando di aver pronunciato nei miei confronti un giudizio pedante piuttosto che giusto.
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