Lettere |
Scritta alla fine del 408 o all'inizio del 409.
In risposta alla precedente Agostino tratta della vita presente in relazione alla futura ( n. 1-6 ), delle qualità corporali dei beati e della funzione delle loro membra dopo la risurrezione ( n. 7-8 ).
Agostino saluta nel Signore i carissimi e sincerissimi suoi signori Paolino e Terasia, santi, amati e venerati suoi fratelli e condiscepoli nella scuola del Signore Gesù Cristo
Quando i nostri fratelli che sono per noi come intimi amici e che al pari di noi siete soliti salutare con lo stesso affetto con cui essi salutano voi, quando - vi dicevo - essi vi fanno frequenti visite, ciò non produce tanto un aumento della nostra felicità quanto un sollievo alle nostre pene.
Ora, per quanto noi ci sforziamo, nei limiti delle nostre possibilità, di evitare ciò che può motivare e rendere necessari tali viaggi, essi tuttavia - non so come - non potranno mancare, a mio parere, in punizione dei nostri peccati.
Quando però essi tornano da noi e ci vedono, allora si avvera quello che dice la sacra Scrittura: Le tue consolazioni hanno rallegrato la mia anima in proporzione dei dolori che hanno amareggiato il mio cuore. ( Sal 94,19 )
Riconoscerai quindi la piena verità di quanto dico a proposito della gioia che vi procura la compagnia del fratello Possidio, quando saprete da lui il motivo penoso per cui si è dovuto recare costà.
Del resto, se qualcuno di noi si recasse oltremare anche solo per godere della vostra presenza, quale motivo potrebbe essere più giusto e più degno di esso?
Noi però ne saremmo impediti dai nostri impegni, che ci costringono a servire le debolezze degli infermi e a non privarli della nostra presenza fisica, salvo che vi fossimo obbligati da cause tanto più imperiose quanto più pericolose fossero le condizioni della loro malattia.
Non so se ciò per me è una prova o piuttosto un castigo, ma so che Dio non ci tratta secondo i nostri peccati, e non ci punisce in proporzione delle nostre iniquità; ( Sal 103,10 ) agli affanni Egli sa unire considerevoli dosi di consolazioni, come somministrandoci una portentosa medicina; affinché non amiamo il mondo, ma contemporaneamente non veniamo meno nel mondo.
Nella mia lettera precedente, ti domandavo come ti raffiguri la vita dei santi nell'eternità.
Tu però mi hai giustamente risposto che bisogna pure preoccuparci delle condizioni della vita presente.
Va bene: ma perché hai voluto consultare proprio me su ciò che io ignoro quanto te, o che tu conosci quanto me e forse meglio di me?
Infatti hai detto pure, assai giustamente, che " bisogna morire in anticipo della morte di cui parla il Vangelo, prevenendo cioè la dissoluzione del nostro corpo con la morte volontaria, staccandoci dalla vita di questo mondo col cuore ed il pensiero, non già col darci la morte fisica".
Questa è una forma di attività semplice, non turbata da nessun'ansia di dubbio, poiché siamo ben certi che nella nostra esistenza terrena bisogna trascorrere la nostra vita mortale sì da renderci, per così dire, conformi alla vita immortale.
Ma il problema che angustia le persone come me, nella loro condotta pratica e nella loro ricerca teorica, consiste tutto nel sapere in qual modo debbano vivere in mezzo a coloro e per il bene di coloro che non sanno ancora vivere, morendo non già con la morte fisica, ma staccandosi col desiderio della volontà dalle lusinghe dei sensi.
Infatti nella maggior parte dei casi abbiamo l'impressione che, se non ci adattiamo un po' alle cose da cui desideriamo staccarli, non potremo arrecare loro alcun giovamento spirituale.
Così facendo si insinua pure in noi tanto fascino per tali cose, che spesso godiamo parlare di sciocchezze e ascoltare chi ne parla; e non solo ne sorridiamo, ma ci lasciamo vincere da un riso sfrenato.
In tal modo appesantendo, per così dire, l'anima nostra con la polvere e il fango degli affetti terreni, con più fatica e lentezza la solleviamo a Dio, per vivere una vita evangelica mediante la morte di cui parla il Vangelo.
E se talora ci riusciamo, ci sentiamo tosto sussurrare: " Bravo, bravo! "; e questa voce non ci viene dagli altri, perché nessuno può avvertire negli altri tale approvazione dello spirito, ma in certo qual modo dal profondo del nostro intimo donde, non so come, si alza quel grido " Bravo, bravo! ".
Appunto per questa specie di tentazione l'incomparabile Apostolo confessa di venire schiaffeggiato dall'Angelo. ( 2 Cor 12,7 )
Ecco perché la vita dell'uomo su questa terra è tutta una tentazione, dal momento che l'uomo è tentato nell'atto stesso in cui cerca di conformare, per quanto è capace, la sua vita e renderla simile a quella celeste.
Che dire poi del problema se si deve punire o non punire, dal momento che in entrambi i casi abbiamo di mira solo di giovare alla salvezza dei fedeli?
Altro problema è sapere la misura da conservare nel punire, poiché occorre tener presente non solo la natura e il numero delle colpe, ma pure la forza d'animo con cui uno sopporta o rifiuta il castigo, affinché ne ritragga vantaggio o almeno non ne ricavi uno svantaggio.
Quanto è misterioso ed oscuro tutto ciò e di quanti temono un castigo imminente, aspettato generalmente con paura, non so se siano più quelli che si emendano o quelli che prendono una piega peggiore!
Che dire poi dei casi assai frequenti, in cui si produce la rovina del colpevole se viene punito, mentre se non lo si punisce si procura la rovina d'un altro?
Quanto a me confesso che a tale proposito mi succede di sbagliare ogni giorno e di non sapere quando e come osservare il precetto scritturistico: Quelli che mancano, riprendili alla presenza di tutti, affinché tutti ne abbiano timore ( 1 Tm 5,20 ); e quest'altro: Riprendi [ il tuo fratello ] fra te e lui solo; ( Mt 18,15 ) e quest'altro: Non giudicate prima del tempo; ( 1 Cor 4,5 ) e ciò che sta scritto: Affinché non siate giudicati; ( Mt 7,1 ) poiché qui al secondo membro il Signore non aggiunge: " prima del tempo "; così pure l'altra espressione della Scrittura: E chi sei tu, che ti fai giudice del servo altrui?
Se sta in piedi o se cade, è affare del suo padrone; ma starà ritto in piedi perché Iddio ha il potere di sostenerlo. ( Rm 14,4 )
L'Apostolo afferma di parlare qui di coloro che sono dentro la Chiesa; d'altra parte, comanda che siano giudicati, quando dice: Perché infatti dovrebbe toccare a me giudicare quelli di fuori?
Non sono forse quelli di dentro che voi giudicate?
Togliete codesto malvagio di mezzo a voi stessi! ( 1 Cor 5,12s )
Anche quando pare doveroso giudicare, quale ansia, quale angoscia determinare fino a qual punto farlo, per paura che non succeda quello che l'Apostolo raccomanda chiaramente d'evitare ancora nella seconda Lettera ai Corinti: Per paura - dice - che quel tale non venga sommerso da tristezza anche maggiore. ( 2 Cor 2,7 )
E perché nessuno pensasse che ciò si potesse prendere alla leggera, nello stesso passo aggiunge: Affinché non veniamo soggiogati da Satana, di cui ben conosciamo i raggiri. ( 2 Cor 2,11 )
Quanti motivi di trepidazione in tutti questi casi, mio caro Paolino, sant'uomo di Dio!
Quanti timori, quale oscurità! Non crediamo forse che a proposito di tali situazioni sia stato detto: Sono stato preso da timore, mi sono trovato avvolto nelle tenebre, ed ho esclamato: Chi mi darà le ali d'una colomba, per volare dove poter avere un po' di pace?
Ecco, sono fuggito lontano e sono andato a stare nel deserto.
Ma perfino nel deserto il profeta ebbe a provare quel che dice appresso: Aspettavo che mi liberasse dall'abbattimento di spirito e dalla tempesta. ( Sal 55,6-9 )
Proprio vero dunque che la vita umana su questa terra è piena di tentazioni! ( Gb 7,1 )
Ma non basta: le stesse Scritture non sono da noi piuttosto sfiorate con la mano, anziché maneggiate e comprese, dal momento che sono assai più numerose le massime di cui indaghiamo il senso anziché quelle di cui troviamo un senso preciso e immutabile?
Questa cautela però, sebbene sia piena di ansie, è molto migliore di un'affermazione temeraria.
E non avviene forse, in tanti casi, che se uno non giudica secondo la carne ( che l'Apostolo considera essere causa di morte ), riesce di grande scandalo a chi giudica ancora secondo la carne? ( Rm 8,5s )
In tal caso è assai pericoloso dire ciò che pensi, è assai penoso non dirlo ed è assai dannoso dire il contrario di quel che pensi!
E inoltre talora, credendo che ciò faccia parte della franchezza e della carità fraterna, non nascondiamo il nostro giudizio su discorsi o scritti di coloro che sono in seno alla Chiesa cattolica, i quali invece s'immaginano che noi lo facciamo non per benevolenza, ma per malanimo!
Quante mancanze si commettono allora contro di noi!
E allo stesso modo quante mancanze commettiamo noi pure contro gli altri, quando abbiamo il sospetto che critichino le nostre opinioni più per offenderci che per correggerci!
È un fatto: per tale motivo nascono per lo più le inimicizie tra persone assai care ed intime, allorché, anche più di quanto è scritto, l'uno si gonfia contro l'altro; ( 1 Cor 4,6 ) e mentre si mordono e si beccano a vicenda, c'è pericolo che periscano insieme. ( Gal 5,15 )
Chi dunque mi darà le ali della colomba, per volare e trovare riposo? ( Sal 55,7 )
Infatti, sia perché i pericoli in cui ci troviamo ci paiono più gravi di quelli non ancora sperimentati, sia perché lo siano davvero, qualunque scoraggiamento e tempesta si possa incontrare in un deserto mi appare meno molesta delle sofferenze e delle apprensioni che si provano nel tumulto della gente?
Sono quindi pienamente d'accordo con te che ci si debba preoccupare dello stato o, per meglio dire, del corso della vita presente.
Aggiungo pure che dobbiamo esaminare ed occuparci di ciò prima di sapere quel che sarà la condizione alla quale ci porta questa corsa della vita terrena.
Ecco perché chiedevo la tua opinione; m'illudevo che una volta trovata ed osservata la retta regola della vita presente, potessimo crederci ormai al sicuro, mentre al contrario mi sento di correre gravissimi pericoli in tanti casi, specialmente in quelli da me ricordati con la brevità che mi è stata possibile.
Ma poiché l'ignoranza e la difficoltà della nostra condotta pratica sembra derivare solo dal fatto che, fra tante persone così diverse per condotta e per carattere, noi trattiamo gli interessi non tanto di un popolo la cui patria è Roma o la terra, ma la Gerusalemme celeste; per questo mi piaceva di parlare con te di quel che saremo, anziché di quel che siamo ora.
Di fatto sebbene non sappiamo quali beni troveremo lassù, tuttavia siamo sicuri di una cosa molto importante: che cioè nella vita futura non incontreremo i pericoli che incontriamo quaggiù.
Quanto dunque a trascorrere questa vita temporale in modo da arrivare a quella eterna, so che si devono reprimere i desideri carnali e concedere ai piaceri corporali solo quanto basta al sostentamento e all'attività di questa vita; so che si devono tollerare con pazienza e fortezza tutte le molestie temporali per la verità rivelata da Dio e per l'eterna salvezza nostra e del prossimo. So pure che dobbiamo preoccuparci con tutto lo zelo della carità perché il prossimo si comporti rettamente in questa vita in modo che possa raggiungere la vita eterna.
So pure che dobbiamo anteporre gli interessi spirituali a quelli materiali, le cose immutabili alle mutevoli, e che si può riuscire a seconda che si è più o meno aiutati dalla grazia di Dio, per i meriti di nostro Signore Gesù Cristo.
Perché poi uno sia aiutato in un modo o in un altro o in nessun modo, non lo so: so però che Dio agisce con un criterio di somma giustizia, noto a Lui solo.
Se però hai qualche idea chiara e precisa riguardo agli altri uomini, ti prego di farmela sapere; se invece ti causano perplessità come a me, discutine con un dolce e paziente maestro di spirito, che si trovi o dove abitate voi o a Roma, dove vi recate ogni anno; fammi poi sapere per iscritto quanto il Signore vi avrà manifestato, sia mediante le istruzioni di quello, sia nelle discussioni tra voi.
Siccome a tua volta mi chiedevi il mio parere circa la risurrezione dei corpi e le funzioni delle membra nello stato futuro d'incorruttibilità e d'immortalità, ascolta cosa in breve ne penso; e, se non ti soddisferà, ne potremo discutere più a lungo, con l'aiuto di Dio.
Si deve credere con tutta la forza quanto nella sacra Scrittura è affermato in modo veridico, e chiaro: che cioè i nostri corpi visibili e terreni, che ora chiamiamo animali, nella risurrezione dei fedeli e dei giusti, diventeranno spirituali.
Ignoro d'altronde come si possa comprendere o far comprendere ad altri di quale specie sia un corpo spirituale, di cui non abbiamo conoscenza sperimentale.
È certo però che in quello stato i corpi non avranno corruzione di sorta e perciò non sentiranno, come ora, il bisogno di questo cibo corruttibile: potranno tuttavia prenderlo e consumarlo realmente, non costretti da necessità, ma assecondando una possibilità.
Altrimenti neppure il Signore avrebbe preso cibo dopo la sua risurrezione dandoci in tal modo l'immagine della risurrezione corporea; per cui l'Apostolo dice: Se i morti non risorgono, non è risorto neppure Cristo. ( 1 Cor 15,16 )
Il Signore infatti, apparendo con tutte le sue membra, e servendosi delle loro funzioni, mostrò pure il posto delle ferite. ( Gv 20,24-27; Lc 24,15-43; Mc 16,12-14 )
Io ho sempre creduto che non si tratti di ferite, ma di cicatrici, conservate dal Signore non già per necessità, ma per sua volontà.
E la facilità di attuare questa sua volontà, la dimostrò soprattutto e quando apparve sotto altre sembianze e quando apparve com'era realmente, a porte chiuse, nella casa dove si erano adunati i discepoli. ( Lc 24,13-43; Gv 20,15; Mc 16,12 )
Di qui sorge la questione se gli Angeli hanno un corpo adatto per i loro uffici e per accorrere in aiuto degli uomini, oppure sono puri spiriti.
Se infatti diciamo che hanno un corpo, ci si presenta l'espressione della sacra Scrittura: Che fa suoi Angeli gli spiriti. ( Sal 104,4 )
Se invece diciamo che non lo hanno, crea un imbarazzo anche maggiore il fatto che nella Scrittura si dice che essi, benché privi di corpo, sono apparsi ai sensi corporei degli uomini, sono stati da essi ospitati, sono stati lavati loro i piedi, ed è stato servito loro da mangiare e da bere. ( Gen 18,2-9; Gen 19,1-3 )
Ma sembra più facile pensare che gli Angeli sono stati chiamati spiriti, come gli uomini sono stati chiamati anime, in quanto è scritto che insieme a Giacobbe discesero in Egitto molte anime ( Gen 46,27 ) [ e non potevano certo non avere un corpo ]; ciò potrebbe sembrare più facile che credere che tutte le azioni, più su ricordate, siano state compiute da creature senza corpo.
Nell'Apocalisse inoltre si trova designata una precisa statura dell'Angelo, ( Ap 10 ) con una specie di misura che può essere propria solo dei corpi, e per conseguenza le apparizioni fatte agli uomini non sono frutto di allucinazioni, ma del potere e della facoltà propria dei corpi spiritualizzati.
Avranno gli Angeli un corpo o si può dimostrare che essi, pur non avendolo, hanno potuto compiere diversamente tutte quelle azioni fisiche?
Comunque stiano le cose, è certo che nella città dei Santi, dove anche i redenti, per opera di Cristo, dal peccato insito nella natura umana saranno uniti in eterno alle migliaia di Angeli, voci fisiche indicheranno tutti i pensieri dell'animo, perché nel consorzio di Dio nessun pensiero potrà nascondersi al prossimo, ma regnerà l'armoniosa concordia nei cantici di lode a Dio, espressa non solo con lo spirito, ma anche con il corpo spiritualizzato: così almeno mi pare.
Aspetto intanto con la più viva brama di sapere da te se hai già qualche opinione più conforme alla verità, o che hai potuto apprendere da persone più istruite di me.
Esamina comunque attentamente la mia lettera, alla quale hai risposto in fretta e furia, adducendo il motivo che il diacono latore di essa aveva urgenza di partire.
Dico ciò non per muoverti una lagnanza, ma solo per ricordarti di dare adesso le risposte per caso tralasciate.
Esamina inoltre e considera quanto ho cercato di sapere da te, ossia qual è la tua opinione sulla vita cristiana, lontana dalle occupazioni, per poter apprendere e insegnare ad altri la sapienza cristiana; fammi pure sapere di qual tempo libero disponi, avendo io immaginato che tu ne godessi tanto, mentre ora mi giungono notizie di tue incessanti occupazioni.
E inoltre ricordatevi di noi, santi di Dio, nostra immensa gioia e nostra consolazione, e vivete felici.
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