Lettere |
Scritta il 25 maggio del 408 o del 409.
Paolino ringrazia Agostino per il libro o lettera ricevuta ( n. 1 ), tesse l'elogio di Melania e del figlio Publicola, morto da poco ( n. 2-4 ); propone infine alcune questioni sul futuro modo di agire dei beati dopo la loro risurrezione ( n. 5-8 ).
Paolino e Terasia, peccatori, ad Agostino, beatissimo e santo Vescovo del Signore, singolarmente a noi intimo e venerabile Padre, Fratello e Maestro nostro
La tua parola è sempre lampada ai miei passi e luce ai mie sentieri. ( Sal 119,105 )
Così, ogni qual volta ricevo una lettera dalla tua beatissima Santità, vedo dileguarsi le tenebre della mia ignoranza e, come se mi venisse spalmato del collirio rischiarante sugli occhi della mente, vedo più chiaramente come se si fosse dissipata la notte della mia ignoranza e dissolta la caligine del dubbio.
Ho provato spesso altre volte questo effetto delle tue lettere, ma lo provo al massimo grado per la tua ultima lettera in forma di opuscolo, di cui fu latore tanto gradito quanto degno il diacono Quinto, nostro fratello benedetto dal Signore.
Egli mi recapitò la tua lettera contenente le sante parole della tua bocca dopo un bel pezzo dalla sua venuta a Roma, ove io mi ero recato, secondo la mia abitudine di ogni anno, dopo la Pasqua, in devoto pellegrinaggio a venerare le tombe degli Apostoli e dei martiri.
Poiché ignoravo il tempo da lui trascorso a Roma a mia insaputa, mi parve che arrivasse proprio allora dal tuo cospetto, in modo che, appena lo vidi e mi consegnò il tuo opuscolo, pieno del profumo della tua soavità, esalante dalle tue espressioni fragranti di un purissimo balsamo celeste, stentai a credere che gli si fosse potuto allontanare dalla tua presenza e arrivare così presto da me.
Confesso tuttavia alla tua veneranda Carità di non aver potuto leggere subito a Roma il tuo opuscolo appena mi fu consegnato; c'era lì tanta gente, che non ebbi modo d'esaminare diligentemente il tuo scritto prezioso e godermelo come era mio desiderio, leggendolo tutto di seguito da cima a fondo, appena avessi potuto iniziarne la lettura.
Quindi, come suole accadere allorché si attende sicuri una mensa già imbandita, sebbene dovessi frenare la fame dell'avida mente, tenni in mano il tuo libro, ch'era come il pane tanto desiderato, nella sicura speranza che in seguito avrei trovato piena soddisfazione nel divorarlo; esso infatti di lì a non molto arrecò invincibile dolcezza alla mia bocca e al mio corpo.
Potei così trattenere facilmente la gola avida d'assaporare il miele della tua lettera fino a quando non partii da Roma e non interruppi il viaggio, durante la sosta d'un giorno che avrei dovuto fare e che realmente feci, nella città di Formia, allora impiegai quell'intero giorno nella lettura della tua opera.
Potei in tal modo assaporare le delizie spirituali della tua lettera, libero com'ero da ogni preoccupazione, lontano dallo strepito assordante della folta.
Che cosa potrei dunque rispondere io, tanto basso e terreno, alla tua sapienza concèssati dall'alto, non compresa dal mondo, non gustata se non da chi è sapiente della sapienza di Dio ed eloquente della parola di Dio?
Ti risponderò quindi di avere la prova che Cristo parla per tuo mezzo: loderò in Dio le tue parole ( Sal 56,11 ) non temerò lo spavento notturno, ( Sal 91,5 ) poiché mediante lo spirito di verità mi hai insegnato la salutare rassegnazione dell'animo nei casi luttuosi della vita, con la quale hai visto la beata madre e nonna Melania piangere la morte fisica del suo unico figlio con tacito cordoglio, è vero, ma pure con dolore non privo di lacrime materne.
E tu, per essere più vicino e più simile di spirito a lei, hai potuto comprendere più a fondo le sue modeste e nobili lacrime e senza perdere la forza del tuo animo virile, hai potuto contemplare meglio il cuore materno di quella perfetta donna cristiana, data la somiglianza del tuo cuore col suo e la condizione di spirito consimile alla sua.
L'hai osservata dapprima commossa per causa dell'affetto naturale e poi, fortemente addolorata per un motivo più elevato, l'hai vista piangere non tanto per il fatto umano d'aver perduto in questa vita l'unico suo figlio ( pur sempre soggetto alla condizione mortale ), quanto per il fatto ch'egli - così essa pensava - era stato per così dire sorpreso dalla morte nella vanità della vita umana, quando ancora non aveva rinunciato al fasto della dignità senatoriale.
La madre lo piangeva soprattutto perché era stato tolto da questo mondo non come essa avrebbe bramato nei suoi santi desideri, perché avrebbe voluto che dalla gloria di questa terra fosse passato alla gloria della risurrezione per ricevere con la madre il premio del riposo e della corona celeste, qualora nella vita terrena, seguendo l'esempio della madre, avesse preferito l'umile abito monacale alla toga pretesta e il monastero al senato.
Ciononostante lo stesso nobile uomo, come credo d'aver già fatto sapere alla tua Santità, è morto ricco di tali opere buone che, anche se non mostrò con l'abito la nobiltà dell'umile vita della madre, non di meno la diede a vedere nell'intimo dell'animo.
In realtà fu tanto mite di costumi e tanto umile di cuore secondo la parola del Signore, ( Mt 11,29 ) che possiamo a ragione crederlo già entrato nella pace del Signore, poiché appartengono al pacifico i beni degli uomini che restano alla fine, ( Sal 37,37 ) e possederanno la terra i mansueti, ( Mt 5,4 ) e saranno accetti a Dio nella regione dei vivi. ( Sal 115,9 )
Egli infatti non solo era religioso nel segreto affetto dell'animo, ma pure nell'adempimento delle sue mansioni mise certamente in pratica la massima dell'Apostolo: così, pur essendo per ceto e per dignità collega dei grandi di questo mondo, non aspirò alle grandezze come i desiderosi di gloria di questa terra, ma, da perfetto imitatore di Cristo, si lasciò attrarre dalle cose umili ( Rm 12,16 ) e neppure un giorno cessò di essere compassionevole e largo nel dare. ( Sal 37,26; Sal 112,2-3 )
Anche la sua discendenza perciò è diventata potente sulla terra tra coloro i quali, come gli dei potenti della terra, sono stati grandemente esaltati. ( Sal 47,10 )
Per conseguenza il santo merito del nostro amico si è reso manifesto nella beatissima afflizione della sua famiglia e della sua casa.
La generazioni dei giusti - dice la Scrittura - sarà benedetta, [ regnerà ] gloria - non caduca - e ricchezza - non passeggera - nella sua casa; ( Sal 112,2 ) casa che viene costruita nei cieli non con la fatica delle mani, ma con la santità delle opere.
Tralascio di rievocare tanti altri ricordi di questo mio tanto caro amico e tanto devoto di Cristo, rammentandomi di aver già rievocati tanti particolari sulla sua persona nella mia lettera precedente.
Io poi non saprei neppure elogiare la beata madre di tanto figlio e di Melania seniore, radice comune di santi discendenti, in modo migliore e più santo di quanto si è già degnata di parlarmene e di trattarne la tua Santità.
Io, peccatore dalle labbra immonde, nulla di degno saprei dire, troppo essendo lontano dai meriti e dalle virtù di quell'anima.
Tu, invece, uomo di Cristo, maestro d'Israele nella Chiesa della verità, per una disposizione provvidenziale di Dio, sei più atto e più degno di celebrare quell'anima virile in Cristo; poiché hai potuto contemplare - come ho già detto - con spirito più simile la sua mente resa forte dalla grazia di Dio, e lodarne con espressioni più degne la pietà unita alla virtù.
Tu hai avuto la degnazione di chiedermi quale sarà l'occupazione dei beati nella vita futura, dopo la risurrezione della carne.
Io, al contrario, chiedo consiglio a te, mio maestro e medico spirituale, circa lo stato presente della mia vita, affinché tu mi voglia insegnare a fare la volontà di Dio e a camminare sulle tue orme al seguito di Cristo e a morire in anticipo della morte di cui parla il Vangelo, ( Gv 12,24s ) prevenendo la morte fisica con la morte volontaria, ritirandoci cioè, non con la morte fisica ma con saggia decisione, dalla vita mondana, tutta piena di tentazioni, che tu stesso una volta hai detto essere una serie di tentazioni.
Voglia dunque Dio che le mie vie siano dirette sulle tue orme in modo che, sul tuo esempio, sciogliendomi dai piedi i vecchi calzari, io spezzi le mie catene e mi slanci speditamente a percorrere la via ( Sal 19,6 ) per la quale arrivare alla morte, secondo la quale tu sei già morto al mondo, e vivi con Dio in Cristo il quale vive in te, e la cui morte e vita sono manifeste nel tuo corpo, nel tuo cuore e sulle tue stesse labbra.
Il tuo cuore infatti non ha alcun gusto per le cose terrene, né la tua bocca parla delle opere umane, ma la parola di Cristo abbonda nel tuo cuore ( Col 3,6 ) e lo spirito della verità è sparso sulla tua lingua, allietando la città di Dio coll'impetuosità del fiume che sgorga dall'alto. ( Sal 46,5 )
Ma qual è la virtù che produce in noi questa morte se non la carità, forte come la morte? ( Ct 8,6 )
È essa a cancellare e distruggere nel nostro spirito questo mondo, in modo da produrre l'effetto di questa morte con l'affetto di Cristo: convertendoci a Lui ci distacchiamo da questo mondo e vivendo in Lui moriamo agli elementi materiali del mondo visibile. ( Col 2,20; Gal 4,3 )
Allora non giudicheremo più come se vivessimo soltanto in vista di essi e del loro godimento, poiché parteciperemo alla morte di Cristo; ma non arriveremo a meritare la sua risurrezione dai morti nella gloria, se prima non avremo imitato la sua morte in croce mortificando le membra del nostro corpo e i sensi della nostra carne.
Dovremmo insomma vivere non secondo i nostri istinti o capricci, ma secondo la volontà del Signore che vuole la nostra santificazione. ( 1 Ts 4,3 )
Poiché Egli è morto per noi ed è risorto affinché noi non vivessimo più per noi ma per Lui, ( 2 Cor 5,15 ) che è morto e risorto e ci ha dato col suo Spirito il pegno della promessa, come ha posto nei cieli il pegno della nostra vita col suo corpo, che è il capo del nostro corpo.
Pertanto il Signore è quel che noi aspettiamo al presente e presso di Lui è il nostro bene ( Sal 39,8 ) creato da Lui e in Lui e per mezzo di Lui, che s'è conformato a questo nostro misero corpo per conformare noi al suo corpo glorioso ( Fil 3,21 ) e collocarci presso di sé nelle regioni celesti.
Coloro, quindi, che sono degni della vita eterna, saranno nella gloria del suo regno per vivere, come dice l'Apostolo, insieme con Lui ( 1 Ts 4,17 ) e restare con Lui secondo quanto Egli ha detto al Padre: Voglio che dove sono io, siano pure essi con me. ( Gv 17,24 )
Senza dubbio ritrovi questa espressione anche nei salmi: Beati coloro che abitano nella tua casa; essi ti loderanno per tutti i secoli. ( Sal 84,5 )
Orbene, io penso che tale lode sarà espressa dalle voci di persone cantanti in coro, anche se i corpi dei santi nella risurrezione saranno trasfigurati perché siano simili a quello del Signore, quale apparve dopo la sua risurrezione, in essa in anticipo risplende una viva immagine della risurrezione umana, poiché il Signore risuscitando col medesimo corpo con cui aveva sofferto, è stato per tutti come uno specchio in cui possiamo contemplare quel che sarà il nostro dopo la risurrezione.
Il Signore infatti, dopo essere risorto nella stessa carne in cui era morto ed era stato sepolto, spesso apparve agli uomini facendo presenti ai loro occhi e alle loro orecchie le funzioni di ciascuna delle proprie membra.
Ora se si dice che anche gli Angeli, la cui natura è semplicemente spirituale, hanno una lingua per cantare certamente le lodi a Dio creatore senza mai cessare di rendergli grazie, quanto più i corpi degli uomini, sebbene spiritualizzati dopo la risurrezione, conservando nondimeno tutte le membra del corpo glorificato con le relative fattezze e proporzioni, avranno pure la lingua nella loro bocca?
Articolando la loro lingua essi faranno sentire la loro voce! ( Sal 104,12 ) con cui cantano le lodi di Dio ed esprimono con parole gli affetti e i sentimenti della loro gioia!
Forse il Signore aggiungerà tanta grazia e gloria ai suoi santi nel suo regno eterno da renderli capaci di cantare con lingue e voci tanto più potenti, quanto più alto sarà il grado della natura beata dei loro corpi conseguito mediante la beata trasfigurazione.
Col corpo ormai spiritualizzato parleranno forse con parole non più umane ma angeliche e celestiali, come quelle che l'Apostolo udì in paradiso. ( 2 Cor 12,4 )
Forse per questo egli dichiarò che non è lecito ad alcun uomo proferire simili parole, perché per i santi sono preparate, tra le altre specie di premi, anche lingue nuove: ecco perché non è concesso agli uomini di potersene servire in questa terra essendo riservate, in quanto convenienti alla loro gloria, a quelli già diventati immortali, di essi infatti è detto: Leveranno la voce e canteranno inni. ( Sal 65,14 )
Ciò avverrà senza dubbio nei cieli, dove saranno col Signore e godranno dell'abbondanza della pace, ( Sal 37,11 ) tripudiando davanti al trono dell'Agnello, deponendo coppe e corone ai suoi piedi, cantandogli un inno nuovo, ( Ap 4,10; Ap 5,9 ) uniti ai cori degli Angeli, delle Virtù, delle Dominazioni, dei Troni; assieme ai Cherubini e ai Serafini e ai quattro animali, cantando con incessante voce, ripetano: Santo, santo, santo è il Signore, Dio degli eserciti, ( Is 6,3; Ap 4,8 ) col resto a te ben noto.
Su questo argomento io, bisognoso, povero, ignorante e meschino tuo allievo, che tu, veramente saggio, sei ormai abituato a sopportare, ti prego di insegnarmi qual è la tua convinzione o la tua opinione, sapendo che sei illuminato da Dio stesso, ispiratore e fonte dei sapienti.
Allo stesso modo con cui conosci le cose passate e capisci le presenti, con cui congetturi le future, ( Sap 8,8 ) così vorrei mi indicassi cosa pensi a proposito di tali parole eterne delle creature celesti o che vivono al di sopra dei cieli al cospetto dell'Altissimo, e finalmente con quali organi si esprimono.
Sì, è vero, l'Apostolo dicendo: Se per parlare mi servissi della lingua degli Angeli, ( 1 Cor 13,1 ) ha mostrato come essi hanno un linguaggio appropriato alla loro natura, e per così dire, alla loro stirpe; un linguaggio tanto più alto della facoltà di intendere e di esprimersi degli uomini, quanto la natura e la dimora degli Angeli è superiore alla natura ed alla dimora degli abitanti della terra.
Nondimeno egli, parlando di lingue degli Angeli, ha inteso forse parlare delle varie specie di voci e di parole, come quando, parlando di vari carismi, fra i doni della grazia enumera le varie specie di lingue, ( 1 Cor 12,10-28 ) volendo con questo termine significare come a ciascuno di essi fu concesso il dono di parlare le lingue di molti popoli.
Ma anche la voce di Dio, fatta giungere ai santi dall'interno di una nube, dimostra come può esistere un linguaggio senza l'articolazione della lingua.
Questa è solo un membro più o meno grande del corpo; ma siccome Dio ha attribuito a questo membro la funzione della voce, forse ha chiamato lingua anche la parola e la voce degli Angeli, creature incorporee, al modo stesso che la Scrittura suole attribuire a Dio diverse specie di operazioni, indicandone pure le membra con cui si effettuano. Prega per noi ed illuminaci.
Il carissimo e dolcissimo nostro fratello Quinto, come è stato pigro nel partire da te per recarsi da noi, così ha avuto fretta di partire da noi per tornarsene da te.
Anche questa lettera, contenente più cancellature che righe scritte, rivela l'insistenza di lui per averla al più presto; e la stessa lettera una volta scritta, ha acuito nel suddetto esattore la fretta di partire.
È venuto il 14 maggio a chiedermi la risposta e ha avuto il permesso di congedarsi il 15 maggio prima di mezzogiorno.
Vedi ora da te stesso se, dicendo così, te lo raccomando o te lo accuso.
Poiché forse e senza forse sarà giudicato da te più lodevole che colpevole, in quanto dalle tenebre, che sono io in confronto a te che sei la luce, egli si è affrettato più che giustamente a fare ritorno alla luce.
Indice |