Lettere |
Scritta nel 415.
Dopo un cenno ai suoi ultimi scritti ( n. 1 ) Agostino risponde a due quesiti di Evodio:
I) sulla Trinità.
Contro chi è diretta la frase di S. Paolo: Chi ignora, sarà ignorato ( n. 2-4 ).
Le tre facoltà dell'anima, immagine impropria della Trinità ( n. 5-6 ).
L'umanità assunta dal Verbo e la c.d. " comunicazione degli idomi " ( n. 8 ).
Risposta al Il): Immagini sensibili o visioni delle Persone divine: la colomba ( n. 9-12 ).
E. mandi uno a copiare le ultime opere di Agostino ( n. 13 ).
Agostino Vescovo al Vescovo Evodio
Se la Santità tua ci tiene tanto a conoscere le opere mi tengono maggiormente occupato e dalle quali non desidero essere distolto per attendere ad altro, manda qualcuno che te le ricopi.
Parecchi scritti che avevo cominciati quest'anno prima di Pasqua all'avvicinarsi della Quaresima, sono stati già portati a termine.
Ho aggiunto altri due libri ai tre della Città di Dio contro gli adoratori dei demoni, nemici della città celeste.
In questi cinque libri credo d'aver addotto sufficienti ragioni contro coloro che reputano necessario alla felicità della vita presente il culto politeistico e che sono ostili ai Cristiani poiché ci considerano un ostacolo alla loro felicità.1
Come inoltre ho promesso nel primo libro, debbo confutare coloro che per la vita futura dopo la morte credono necessario il culto dei loro dèi,2 mentre noi siamo Cristiani proprio al fine di arrivare a possedere la vita futura.
In un'opera assai voluminosa ho anche dettato e spiegato tre Salmi e cioè il 67° il 71° e il 77°.
Sono attesi e richiesti con insistenza anche gli altri non ancora dettati né spiegati.
In questi lavori non vorrei essere né distratto né ritardato da quesiti di qualsiasi genere che mi piombino addosso all'improvviso.
Per il momento non vorrei occuparmi nemmeno dei libri Sulla Trinità che da tempo ho fra le mani ma non ho potuto ancor terminare perché mi costano molta fatica e penso che possano essere capiti solo da poche persone; mi premono maggiormente quegli scritti che spero saranno utili a un pubblico più vasto.
Quando l'Apostolo scrisse: Chi ignora, sarà ignorato, ( 1 Cor 14,38 ) non intese dire, come scrivi tu nella tua lettera, che debba esser punito con questa sorta di castigo chi non è capace di discernere con la propria intelligenza l'ineffabile unità della Trinità, come nella nostra anima si distinguono la memoria, l'intelligenza e la volontà.
L'Apostolo diceva ciò a proposito d'un'altra cosa.
Leggi e vedrai che parlava di cose che fanno crescere la fede e la moralità di Molti ( 1 Cor 14,1-37 ), non ciò che arriva all'intelligenza di pochi, che, per quanta se ne possa avere in questa vita, è piuttosto scarsa per poter comprendere un mistero così profondo.
In quel passo l'Apostolo raccomandava che al dono delle lingue si anteponesse quello di spiegare le Scritture; che le assemblee non si svolgessero in mezzo alla confusione, come se lo spirito profetico costringesse a parlare pure chi non ne avesse voglia; che le donne in chiesa tacessero, in modo che tutto si svolgesse con decoro e con ordine.
Trattando di questi argomenti ecco quel che disse: Se uno crede d'essere profeta o spirituale, riconosca che quello ch'io vi scrivo è un comando del Signore.
Se uno ignora ciò, sarà ignorato anche lui. ( 1 Cor 14,37-38 )
Con queste parole voleva tenere a freno e richiamare all'ordine e alla pace i turbolenti, tanto più pronti alla ribellione, quanto più credevano d'essere superiori agli altri nello spirito, turbando ogni assemblea col loro spirito d'orgoglio.
Se uno crede d'essere profeta o spirituale, riconosca che quel ch'io vi scrivo è un comando del Signore.
Se uno ignora ciò, sarà ignorato anche lui.
Se uno crede d'essere profeta, non lo è affatto proprio per questo, poiché il vero profeta conosce senz'alcun dubbio e non ha bisogno d'avvertimenti o d'esortazionì, poiché giudica tutto e non è giudicato da nessuno. ( 1 Cor 2,15 )
A provocare dunque tumulti e disordini nella Chiesa erano coloro che credevano d'essere nella Chiesa ciò che non erano.
L'Apostolo fa loro sapere che il suo è un comando del Signore, poiché Egli non è il Dio del disordine, ma della pace. ( 1 Cor 14,33 )
Chi poi ignora ciò, sarà ìgnorato; ( 1 Cor 14,38 ) cioè sarà riprovato.
Non è infatti la conoscenza intellettiva o razionale quella con cui Dio conosce coloro ai quali dirà: Non vi conosco, ( Lc 13,27 ) poiché con queste parole si vuol far intendere la riprovazione di quei dannati.
Inoltre, dato che il Signore dice: Beati i puri di cuore, poiché vedranno Dio ( Mt 5,8 ) e questa visione ci è promessa come il premio più grande alla fine della vita, non si deve temere che, se non possiamo vedere adesso chiaramente le verità di fede sulla natura di Dio, le parole: Chi ignora, sarà ignorato si riferiscano a questa nostra ignoranza.
Poiché, infatti, nella sapienza di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio; è piaciuto a Dio di salvare i credenti mediante la stoltezza della predicazione. ( 1 Cor 1,21 )
Questa stoltezza della predicazione e questa follia di Dio, ch'è più sapiente degli uomini, ( 1 Cor 1,25 ) guadagna alla salvezza molti individui in modo che dalla salvezza, che tale follia della predicazione procura ai fedeli, non saranno esclusi non solo coloro che non riescono ancora a comprendere con sicura intelligenza la natura di Dio, da loro ammessa per fede, ma altresì quelli che perfino nella propria anima non distinguono ancora la sostanza spirituale da ciò ch'è la materia in generale con la stessa certezza con cui sono certi di vivere, di conoscere e di volere.
Se Cristo è morto solo per coloro che sono in grado di distinguere le suddette verità con sicura intelligenza, le nostre fatiche nella Chiesa sono pressoché inutili.
Se invece come dice la S. Scrittura, folle inferme di credenti accorrono a Cristo e a Cristo crocifisso ( 1 Cor 2,2 ) come al medico per esser guarite, affinché, ove abbondò il peccato, sovrabbondi la grazia; ( Rm 5,20 ) ecco che accade questa cosa meravigliosa: per effetto delle incommensurabili ricchezze della sapienza e scienza di Dio e dei suoi imperscrutabili disegni, ( Rm 11,33 ) alcuni che sanno distinguere le sostanze spirituali dalla materia e che per questo si credono grandi e scherniscono la stoltezza della predicazione, in virtù della quale i credenti si salvano, si smarriscono assai lontani dall'unica via che conduce alla vita eterna; molti invece i quali ripongono la propria gloria nella croce di Cristo e non s'allontanano dalla via della salvezza, anche se ignorano questioni su cui si discute con eccessiva sottigliezza, si salvano poiché non perisce neppure uno di quei piccolini ( Mt 18,14 ) per i quali Cristo è morto, e giungono alla medesima eternità, verità e carità, cioè alla felicità stabile, sicura e completa, dove ogni cosa è chiara a coloro che ivi dimorano vedono e amano.
Crediamo dunque con fermezza e religioso amore in un sol Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, senza però credere che il Padre sia il Figlio né che il Figlio sia il Padre né che lo Spirito, il quale procede dall'uno e dall'altro, sia il Padre o il Figlio.
Non si deve pensare che nella Trinità ci possa essere distanza di tempi e di spazi, mentre si deve credere che le tre Persone sono eguali, coeterne in un'unica natura, né si deve pensare che dal Padre sia stata creata una creatura, dal Figlio un'altra e un'altra ancora dallo Spirito Santo, ma che tutte e singole le cose create, o che vengono create, sussistono in virtù della Trinità che le crea.
Crediamo che nessuno può essere redento e salvato dal Padre senza il Figlio e lo Spirito Santo oppure dal Figlio senza il Padre e lo Spirito Santo, unico vero Dio e veramente immortale, cioè dall'unico Dio assolutamente immutabile.
Nelle Scritture si affermano molte cose attribuite separatamente alle singole persone divine per farci capire che la Trinità, benché indivisibile, è sempre la Trinità.
Inoltre allo stesso modo che le tre Persone non possono esser nominate nella stessa frazione di tempo allorché sono ricordate col suono delle parole, benché siano inseparabili, così in alcuni passi delle Scritture ci vengono mostrate separatamente, ora l'una, ora l'altra, mediante qualcuna delle creature, come per esempio il Padre nella voce che si udì: Mio Figlio sei tu, ( Lc 3,22 ) il Figlio nell'uomo di cui si rivestì incarnandosi nella Vergine, ( Lc 2,7 ) lo Spirito Santo nell'aspetto corporeo d'una colomba. ( Mt 3,16 )
Queste cose ci mostrano le tre persone separatamente ma in alcun modo divise tra loro.
Per far capire in qualche modo questa verità, prendiamo come esempio la memoria, l'intelligenza e la volontà.
Quantunque enunciamo separatamente queste facoltà una alla volta in momenti diversi e particolari per ciascuna, non possiamo far nulla né parlare di una di esse senza il concorso delle altre due.
Non dobbiamo tuttavia credere che il paragone di queste tre facoltà con la Trinità sia così esatto da corrispondere in ogni parte.
Del resto, in una discussione, quale paragone riesce così calzante da adattarsi in ogni parte all'argomento per il quale dev'essere usato?
O quando mai si può prendere una creatura per un paragone che si confaccia al Creatore?
Si riscontra dunque che questa similitudine è dissimile in primo luogo per il fatto che le tre facoltà, cioè memoria, intelligenza e volontà, sono insite nell'anima, ma l'anima non è nessuna di queste tre facoltà.
La Trinità invece non è insita in Dio, ma è Dio essa medesima.
Qui risalta una semplicità meravigliosa, poiché non c'è diversità tra l'essere, l'intendere e qualsiasi altro attributo della natura di Dio, mentre invece, poiché l'anima esiste anche quando non comprende, il suo essere e il comprendere sono due cose diverse.
Inoltre chi oserebbe dire che il Padre non comprende da se stesso ma per mezzo del Figlio, come la memoria non comprende da se stessa ma per mezzo dell'intelligenza o piuttosto come l'anima, in cui sono insite queste facoltà, comprende solo mediante l'intelligenza, ricorda solo mediante la memoria e vuole solo mediante la volontà?
Questo paragone è usato perché, in un modo quale che sia, si comprenda ciò: allo stesso modo cioè che quando si enuncia ognuna delle tre facoltà insite nell'anima mediante i termini che le denotano, il termine corrispondente a ciascuna non può essere enunciato senza il concorso di tutt'e tre le facoltà in quanto per enunciarle bisogna ricordare, comprendere e volere, così non c'è creatura con cui si denoti soltanto il Padre o soltanto il Figlio o soltanto lo Spirito Santo e non insieme la Trinità, senza che una tale creatura sia l'opera simultanea della Trinità che opera sempre indivisibilmente.
Per conseguenza né la voce del Padre né l'anima e il corpo del Figlio né la colomba dello Spirito Santo sono stati fatti senza il concorso simultaneo delle tre Persone della Trinità.
Il suono di quella voce, che subito cessò d'esistere, non s'identificò con l'unità della persona del Padre, né la forma esteriore della colomba s'identificò con l'unità della persona dello Spirito Santo, poiché anche essa cessò subito di esistere dopo aver adempiuto il suo ufficio simbolico, come la nube splendente che sul monte avvolse il Salvatore con i suoi tre Discepoli, ( Mt 17,5 ) oppure, se si preferisce, come il fuoco che simboleggiava lo Spirito Santo. ( At 2,3 )
Soltanto l'umanità, per redimere la quale si compivano tutte quelle manifestazioni simboliche, si uni, per un mirabile e singolare privilegio, nell'unità della persona del Verbo di Dio, ossia dell'unico Figlio di Dio, pur sussistendo il Verbo nella sua natura immutabile nella quale l'immaginazione umana non deve supporre nulla di composto con cui possa sussistere, poiché si legge nella S. Scrittura: Lo Spirito di sapienza è molteplice; ( Sap 7,22 ) ma è anche detto ch'egli è semplice. ( 1 Cor 12,14 )
È molteplice poiché ha molte virtù, ma è semplice poiché sussiste solo per quello che ha, come è detto che il Figlio ha la vita in sé stesso ( Gv 5,26 ) ed è egli stesso la vita. ( Gv 11,25; Gv 14,16 )
L'uomo dunque si uni al Verbo ma il Verbo non si trasformò in uomo e perciò anche con la natura umana assunta si chiama sempre Figlio di Dio e per conseguenza il Figlio di Dio è immutabile e coeterno col Padre, ma solamente in quanto Verbo di Dio; il Figlio di Dio fu anche sepolto, ma solo in quanto corpo.
Bisogna dunque vedere in qual senso si prendono i termini quando si parla del Figlio di Dio.
Il numero delle persone non aumentò di certo con l'incarnazione del Verbo ma la Trinità rimase identica.
Mi spiego: come in un uomo qualunque, eccettuato quell'unico il quale fu elevato in modo singolare all'unione col Verbo, l'anima e il corpo formano un'unica persona, così in Cristo il Verbo e l'Uomo sono un'unica persona.
E così, come per esempio un uomo, si dice filosofo solo in relazione all'anima e tuttavia, con un'espressione assai appropriata e d'uso comune ma per nulla illogica, si dice ch'è stato ucciso, ch'è morto, ch'è stato sepolto, benché tutto questo si avveri solo in rapporto al corpo, così Cristo si dice Dio, Figlio di Dio, Signore della gloria e si usa qualsiasi altro appellativo di tal genere solo in relazione al Verbo, eppure giustamente si dice che Dio fu crocifisso, pur essendo certo che patì solo secondo la carne, non secondo la natura immutabile, per cui è Signore della gloria.
Il suono della voce del Padre, l'apparizione della colomba sotto forma corporea, ( Lc 3,22 ) le lingue simili al fuoco e biforcate che si posarono su ciascuno degli Apostoli, ( At 2,3 ) i fenomeni spaventosi apparsi sul monte Sinai, ( Es 19,18-19 ) la colonna di nuvola durante il giorno e di fuoco durante la notte; ( Es 13,21 ) furono fatti aventi un significato simbolico e sono passati.
A proposito di tali fatti bisogna guardarsi soprattutto dal credere che la natura di Dio Padre Figlio e Spirito Santo possa mutarsi e trasformarsi.
Non ci deve inoltre impressionare il fatto che il simbolo prenda il nome dalla cosa simboleggiata, come quando la S. Scrittura dice che lo Spirito Santo discese sotto l'aspetto corporeo simile a una colomba e si posò su Cristo. ( Mc 1,10 )
Così la pietra è CriSto, ( 1 Cor 10,4 ) perché è simbolo di Cristo.
Mi meraviglio che, mentre credi che il suono di quella voce che disse: Mio Figlio sei tu, ( Mt 3,17; Lc 3,22 ) si sia potuto produrre non per opera d'un essere animato, ma per volontà divina dalla sola natura corporea, non credi poi che allo stesso modo sia potuto prodursi l'aspetto corporeo d'un animale qualsiasi e un movimento simile a quello d'un essere vivente solo per volontà di Dio senza l'interposizione d'alcuno spirito d'essere vivente.
Se la creatura corporea ubbidisce a Dio senza l'aiuto dell'anima vivificante e riesce a produrre suoni simili a quelli emessi di solito da un corpo animato di modo che penetri negli orecchi qualcosa di simile a una locuzione articolata, perché mai non dovrebbe ubbidire in modo Che, senza l'aiuto dell'anima vivificante, si offrano alla vista l'aspetto e il moto d'un volatile in virtù della medesima potenza del Creatore?
Può forse meritare questo privilegio il senso dell'udito e non il senso della vista?
Eppure sono formati entrambi della stessa materia fisica, come lo sono pure ciò che risuona agli orecchi, ciò che appare alla vista, la voce articolata, le fattezze delle membra e il movimento che si percepisco con l'udito e con la vista, per cui è vero corpo quello che si percepisce con un senso del corpo e corpo non è se non quel che si percepisce col senso del corpo.
L'anima, al contrario, non si percepisce con alcun senso del corpo e neppure in alcun essere animato.
Non c'è quindi bisogno d'indagare in che modo apparve l'aspetto fisico della colomba, come non cerchiamo di sapere in che modo si fecero sentire le voci articolate d'un corpo.
Se infatti poté non esserci bisogno d'un essere vivente quando la S. Scrittura dice che si fece sentire una voce, non " come una specie di voce ", con quanto maggior ragione poté non esserci bisogno quando dice " come una colomba "?
Con tale parola la S. Scrittura volle indicare solo l'aspetto corporeo apparso agli occhi, ma non volle denotare la natura d'un essere vivente.
Allo stesso modo la S. Scrittura dice: D'un tratto venne dal cielo un rumore come di vento che soffia impetuoso e apparvero loro delle lingue biforcute come di fuoco. ( At 2,3 )
Qui si parla di qualcosa che ha l'apparenza di vento e di fuoco sensibile, di qualcosa somigliante a sostanze consuete e note, ma non di sostanze consuete e note, create per una data circostanza.
Se un'argomentazione più sottile e un esame più profondo della questione ci dimostra che la sostanza, ch'è incapace di muoversi nel tempo e nello spazio, non si muove se non in virtù della sostanza che può muoversi solo nel tempo ma non nello spazio, ne consegue che tutte quelle cose furono prodotte con l'aiuto di qualche creatura vivente, come vengono effettuate per mezzo degli angeli; ma parlare di ciò più accuratamente, sarebbe troppo lungo e nient'affatto necessario.
A ciò s'aggiunga che ci sono visioni che appaiono tanto allo spirito quanto ai sensi del corpo, non solo a chi dorme o è in preda al delirio, ma anche a chi veglia ed è sano di mente, e non già mediante un inganno dei demoni che si beffano di noi, ma per mezzo d'una rivelazione spirituale, che si manifesta sotto aspetti corporei simili a corpi.
Tali visioni non possono distinguersi del tutto se non ci vengono rivelate più chiaramente con l'aiuto di Dio e spiegate dall'intelligenza della mente, assai di rado quando hanno luogo ma più di frequente quando sono passate.
Stando così le cose, quali che siano le visioni ricordate dalla S. Scrittura, sia che sembrino impressionare il nostro spirito come succede ai sensi del corpo, sia che vengano prodotte mediante sostanze corporee, sia che abbiano solo l'apparenza sensibile, ma in realtà sono causate da una sostanza spirituale, non dobbiamo giudicare temerariamente di quale delle due specie di visioni si tratti e, nel caso che siano corporee, se avvengano per l'intervento di qualche creatura vivente.
Basta che crediamo senz'alcuna esitazione o che comprendiamo - per quanto è capace la nostra intelligenza - che la natura del Creatore, ossia della somma e ineffabile Trinità, è invisibile, immutabile, lontana e separata dai sensi della carne mortale, esente da qualsiasi mutabilità in meglio o in peggio o in qualunque altra successiva trasformazione.
Ecco quanto io, pur occupatissimo, ho potuto scrivere a te che sei libero da occupazioni, a proposito dei due quesiti propostimi, l'uno sulla Trinità e l'altro sulla colomba nella quale si velò lo Spirito Santo non già nella sua natura, ma in un aspetto simbolico. ( Mt 3,17; Mc 1,10; Lc 3,22 )
Allo stesso modo il Figlio di Dio fu crocifisso dai Giudei non in quanto è generato ( eternamente ) dal Padre, il quale così si esprime: Ti ho generato prima dell'aurora, ( Sal 110,3 ) ma in quanto uomo per l'umanità assunta nel seno della Vergine.
Non ho creduto doveroso trattare a fondo tutti gli argomenti che m'hai proposti nella tua lettera, ma credo d'aver risposto ai due sui quali volevi sentire il mio parere, se non in modo da soddisfare la tua brama, tuttavia col senso dell'obbedienza dovuta alla tua Carità.
Oltre ai due libri, che più sopra ho ricordato d'avere aggiunti ai tre della Città di Dio e oltre all'esposizione di tre Salmi, ho scritto anche un libro Sull'origine dell'anima indirizzato al santo prete Girolamo per chiedergli come si possa difendere l'opinione da lui esposta come propria in una lettera a Marcellino, di santa memoria, che cioè " le singole anime sono create nuove per ognuno che nasce ";3
Il mio intento mira a far sì che non vacilli la fede della Chiesa posta su solide basi, in virtù della quale crediamo con fermissima fede che tutti gli uomini muoiono per la loro unione con Adamo ( 1 Cor 15,22 ) e che sono trascinati nella dannazione se non vengono redenti dalla grazia di Cristo, la quale produce il suo effetto perfino nei bambini mediante il battesimo.
Ho scritto anche un'altra lettera4 al medesimo Girolamo, per chiedergli come si debba intendere, a suo avviso, il passo della lettera di S. Giacomo che dice: Chi avrà osservata tutta la Legge, ma ne trasgredirà un solo precetto, si rende colpevole di tutti, ( Gc 2,10 ) senza però nascondergli la mia opinione in proposito, mentre nella lettera sull'origine dell'anima mi sono limitato a chiedere il parere di Girolamo in una specie di discussione consultiva.
Ho approfittato per questa cosa dell'occasione offertami da Orosio, un giovane prete molto santo e studioso che, infiammato del solo zelo per le Sante Scritture, era giunto da me fin dall'estremità della Spagna, cioè dalle coste dell'Oceano.
L'ho persuaso a recarsi anche da Girolamo.
Con uno scritto non voluminoso, ma della maggior brevità e chiarezza possibili, ho risposto anche ad alcuni quesiti del medesimo Orosio sull'eresia dei Priscillianisti e su alcune opinioni di Origene, non accolte dalla Chiesa e dalle quali egli era rimasto assai sconcertato.
Ho scritto anche un'opera voluminosa contro l'eresia di Pelagio, dietro le pressanti premure di alcuni fratelli, che quello aveva attratti alla sua dannosissima opinione contraria alla grazia di Cristo.
Se vorrai avere tutti questi scritti, manda qualcuno che te li ricopi.
Permettimi inoltre di attendere allo studio e alla dettatura di cose che sono necessarie a molti e che perciò, a mio avviso, bisogna anteporre ai tuoi quesiti, che interessano ben poche persone
Indice |
1 | AUG., De civ. Dei 5,26; AUG., De civ. Dei 10,32 |
2 | AUG., De civ. Dei 1,36 |
3 | Ep. 166,1 |
4 | Ep. 167 |