La città di Dio |
Tuttavia con queste pratiche si ottengono effetti così grandi e di tale portata da superare ogni limite dell'umana possibilità.
Gli eventi straordinari, come predizione o prodigi, sembrano dovuti a un intervento divino ma non sono relativi al culto dell'unico Dio, dato che unirsi a lui con semplicità, anche per confessione e ripetute dichiarazioni dei platonici, è l'unico bene che rende felici.
Rimane dunque che si debbano spiegare come scherni e ingannevoli ostacoli dei demoni da evitarsi con la vera pietà.
Si deve credere inoltre che i vari miracoli compiuti o mediante gli angeli o con altra forma dell'intervento divino in modo che inculchino il culto e la religione dell'unico Dio, in cui soltanto è la felicità, sono operati veramente da loro o mediante loro che ci amano secondo verità e pietà, con l'intervento di Dio che opera in loro.
In proposito non si devono ascoltare coloro i quali dicono che Dio invisibile non può operare visibili miracoli, poiché, anche secondo loro, ha creato il mondo che certamente, non lo possono negare, è visibile.
Quindi ogni evento straordinario in questo mondo è evidentemente di minore entità di tutto questo mondo, cioè del cielo e della terra e di tutte le cose in essi esistenti che certamente Dio ha creato.
E come egli che li ha creati, così anche il modo con cui li ha creati è occulto e incomprensibile per l'uomo.
Dunque sebbene il miracolo degli esseri visibili si è svilito per l'assiduità nel vederlo, tuttavia, se lo esaminiamo saggiamente, è più grande di quelli più inusitati e rari.
L'uomo infatti è un miracolo più grande di qualsiasi miracolo che si compie mediante l'uomo.
Pertanto Dio che ha creato visibili il cielo e la terra non sdegna di operare miracoli visibili nel cielo e nella terra.
Con essi sollecita l'anima ancora dedita alle cose visibili a onorare lui invisibile.
Dove e quando li operi è decisione immutevole che rimane in lui, perché nel suo ordinamento sono già in atto tutti i tempi futuri. Infatti nel muovere le cose nel tempo egli non si muove nel tempo e non conosce in modo diverso i fatti che devono avvenire da quelli avvenuti e non esaudisce chi lo invoca in modo diverso da come vede chi lo invocherà.
Quando esaudiscono i suoi angeli, è lui che esaudisce in essi come in suo tempio non costruito dall'uomo e allo stesso modo nei suoi uomini santi.
Nel tempo si compiono i suoi decreti che ha contemplato nella sua legge eterna.33
Né deve turbare il fatto che, sebbene sia invisibile, è apparso visibilmente, come si narra, ai patriarchi.34
Come il suono infatti con cui si ode un pensiero formulato nel silenzio dell'intelligenza non è il pensiero stesso, così la figura con cui si manifestò Dio costituito nel suo essere invisibile non era ciò che è lui.
Tuttavia egli appariva nella figura visibile come il pensiero stesso si ode nel suono della voce.
I patriarchi non ignoravano di vedere il Dio invisibile nella figura visibile che non era lui.
Mosè parlava con lui che parlava e tuttavia gli diceva: Se ho trovato grazia davanti a te, mostrami te stesso affinché ti conosca col pensiero. ( Es 33,13 )
Era necessario dunque che si desse la legge di Dio mediante ordinanze degli angeli in forma terrificante, ( At 7,53 ) non a un solo uomo o a pochi saggi ma a tutta una nazione e a un popolo numeroso.
Quindi grandi prodigi furono operati davanti al popolo su un monte, quando per mezzo di uno solo veniva concessa la legge, ( Es 19ss ) mentre la moltitudine vedeva i fatti temibili e terribili che avvenivano.
Infatti il popolo d'Israele non credette allo stesso modo con cui gli Spartani credettero al loro Licurgo che avesse ricevuto da Giove o Apollo le leggi da lui istituite.35
Mentre si dava al popolo una legge con cui si comandava di adorare un solo Dio, davanti al popolo stesso con straordinari segni e movimenti delle cose, nei limiti in cui la divina provvidenza giudicava indispensabile, si rendeva manifesto che per dare quella legge la creatura era sottomessa al Creatore.
Come la retta educazione dell'individuo così anche quella del genere umano, per quanto riguarda il popolo di Dio, progredì attraverso traguardi di tempi, in analogia allo sviluppo delle età, affinché si formasse dalle cose divenienti all'apprendimento delle cose eterne e dalle visibili a quello delle invisibili.36
Quindi anche in quel tempo in cui da Dio si promettevano ricompense visibili, si inculcava che si deve adorare un solo Dio.
Così l'intelligenza umana, anche per quanto riguarda gli stessi beni terreni della vita che fugge, si doveva sottomettere soltanto al vero Creatore e Signore dell'anima.
È irragionevole infatti chi nega che tutte le cose, che gli angeli e gli uomini possano concedere agli uomini, sono in potere di un solo Onnipotente.
Il platonico Plotino ammette senza esitazione la provvidenza e dimostra dalla bellezza dei fiori e delle piante che essa dal sommo Dio, che ha bellezza ineffabilmente intelligibile, giunge fino alle cose più basse della terra.
Dichiara che tutte queste cose spregevoli ed estremamente precarie possono avere i gradi convenienti delle proprie forme soltanto se le ricevono dall'essere in cui permane la forma intelligibile e non diveniente che ha in atto la totalità dell'essere.37
Gesù lo dichiara con le parole: Osservate i gigli del campo, non lavorano e non tessono.
Ma io vi dico che neanche Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di loro.
Se dunque Dio veste così un'erba del campo che oggi è e domani si getta nel braciere, quanto più voi, uomini di poca fede? ( Mt 6,28-29 )
Giustamente quindi l'anima ancora legata ai terreni desideri si abitua ad attendere soltanto dall'unico Dio i beni infimi della terra che desidera nel tempo, perché indispensabili alla vita che fugge, ma spregevoli al confronto con i beni della vita eterna.
Così, pur nel desiderio dei beni terreni, non si allontana dal culto a lui che deve raggiungere disprezzandoli e volgendosi in senso contrario ad essi.
Pertanto è piaciuto alla divina provvidenza di ordinare il corso dei tempi così che, come ho detto e come si legge negli Atti degli Apostoli, ( At 7,53 ) si emanasse mediante le ordinanze degli angeli una legge sul culto dell'unico vero Dio.
In esse la persona di Dio stesso poteva manifestarsi visibilmente, non certo nella sua esseità che rimane sempre invisibile a una vista condizionata alla materia, ma con determinati segni mediante la creatura soggetta al Creatore.
Allo stesso modo egli, sillaba su sillaba, cioè attraverso piccole lunghezze di tempo poste in una successione, parlava con i suoni della lingua umana, sebbene egli nel suo essere, cioè in una dimensione non fisica ma spirituale, non sensibile ma intelligibile, non posta nel tempo ma, per così dire, nell'eternità, non è soggetto all'inizio e alla fine del parlare.38
Gli spiriti che eseguono e annunziano i suoi comandi ascoltano vicino a lui questa sua parola in una dimensione più pura, non con l'udito del corpo ma della mente, perché godono eternamente beati della sua verità, che non è nel divenire, e senza indugio e difficoltà eseguono ciò che in modo ineffabile ascoltano di dover eseguire e calare nella realtà sensibile e visibile.
Questa legge è stata data in tempi diversi perché prima doveva contenere, come è stato detto, le promesse terrene, sebbene con esse venissero significate le eterne che molti celebravano con riti visibili e pochi comprendevano.39
Tuttavia in esse è comandato con una apertissima affermazione di tutte le parole e di tutti i fatti il culto di un solo Dio, non di uno fra una folla di dèi, ma di colui che ha creato il cielo e la terra, ogni anima e ogni spirito che sono altro da lui. ( Es 20,3; Es 34,14; Lv 26,13; Dt 5,6-7 )
Egli li ha creati ed essi sono stati creati e hanno bisogno di lui che li ha creati per esistere e raggiungere il fine.
A quali angeli dunque riteniamo si debba credere per quanto riguarda la felicità eterna?
A quelli che pretendono di essere adorati con riti religiosi esigendo che dai mortali siano loro resi misteri e sacrifici; ovvero a quelli i quali affermano che l'adorazione è dovuta a un unico Dio, creatore del cielo e della terra, e comandano che gli sia resa con genuina pietà, perché della sua visione anche essi sono beati e promettono che anche noi lo saremo?
Infatti la visione di Dio è visione di una bellezza così grande e degna di un amore così grande che Plotino non esita a considerare veramente disgraziato l'individuo che senza di essa fosse abbondantemente fornito di qualsiasi altro bene.40
Dunque alcuni angeli stimolano con segni straordinari ad adorare l'unico Dio, altri invece ad adorare col culto di latria se stessi, ma con la clausola che i primi proibiscono di adorare questi ultimi e questi non osano proibire di adorare un unico Dio.
Rispondano i platonici a chi si deve credere, lo rispondano i vari filosofi, lo rispondano i teurgi o piuttosto periurgi, perché tutte quelle pratiche sono più meritevoli di questo nome.
Rispondano infine gli uomini se in qualche modo vive in loro un intimo naturale sentimento di essere stati creati ragionevoli.
Rispondano, dico, se si deve sacrificare a dèi e angeli che ordinano di sacrificare a se stessi ovvero a quell'unico al quale ordinano di sacrificare quelli che lo vietano per sé e per gli altri.
Se né gli uni né gli altri facessero miracoli ma si limitassero a comandare, gli uni di sacrificare a se stessi, gli altri lo vietassero ma lo ordinassero soltanto per l'unico Dio, la schietta pietà ne avrebbe abbastanza per distinguere che cosa provenga dal loro orgoglio e che cosa dalla vera religione.
Dico anche di più. Se soltanto quelli che esigono sacrifici per se stessi stimolassero la coscienza dell'uomo con fatti straordinari, mentre quelli che lo proibiscono e comandano di sacrificare soltanto a un unico Dio non si degnassero di operare visibili miracoli, si dovrebbe, fidandosi non del senso ma del pensiero, preferire la loro autorità.
Dio ha agito così per garantire la manifestazione della propria verità.
Quindi mediante questi immortali messaggeri, che non hanno esaltato il proprio orgoglio ma la sua maestà, egli ha compiuto miracoli più grandi, più certi, più evidenti.
Questo affinché gli angeli che esigono sacrifici per sé non inducano con maggior facilità i credenti deboli a una falsa religione nel mostrare ai loro sensi alcuni fatti strepitosi.
Dunque chi si compiace di essere tanto sciocco da non scegliere di accettare una dottrina vera quando scopre di dover ammirare eventi più straordinari?
Ora parliamo dei miracoli degli dèi pagani che la storia ricorda.
Non parlo quindi di quei fatti strepitosi che avvengono ogni tanto per occulti agenti del mondo stesso ma costituiti sotto la divina provvidenza e diretti al fine, come ad esempio, inconsueti parti degli animali e manifestazioni insolite nel cielo e sulla terra che provocano soltanto terrore o anche sciagure.
Si fa credere dalla bugiarda astuzia dei demoni che possono essere provocate o mitigate mediante i loro misteri.
Parlo di quei prodigi che abbastanza evidentemente, come si può vedere, sono operati per effetto del loro potere:
si narra che il simulacro degli dèi penati, che Enea fuggendo trasportò da Troia, è passato da un luogo a un altro;41
Tarquinio tagliò la cote col rasoio;42
il serpente di Epidauro accompagnò Esculapio che navigava per Roma;43
una donnetta, a testimonianza del proprio pudore, fece muovere e avanzare, legandosela alla cintura, la nave con cui era trasportata la statua di Cibele rimasta immobile nonostante gli sforzi di uomini e di buoi;44
una vergine vestale, dato che si trattava la causa della sua prostituzione, pose fine alla discussione attingendo dal Tevere con un crivello acqua senza spargerla.45
Dunque questi miracoli e simili non si possono affatto paragonare per significato e grandezza a quelli che leggiamo avvenuti nel popolo di Dio.
A più forte ragione non reggono il confronto quelli che dalle leggi dei popoli che onorarono questi dèi sono stati giudicati meritevoli di proscrizione con pena, cioè i miracoli magici e teurgici.
Di essi alcuni ingannano solo nell'apparenza i sensi umani con una burlesca mistificazione, qual è far scendere la luna fino a che, come dice Lucano, da vicino non si spanda sull'erba che si stende al di sotto.46
E sebbene alcuni sembrino eguagliarsi nell'azione ad alcuni fatti dei credenti, il fine stesso, per cui si differenziano, mostra che i nostri prodigi eccellono senza possibilità di confronto.
Tanto meno i molti dèi si devono adorare con quei sacrifici quanto più li esigono.
Con i nostri si onora l'unico Dio il quale dichiara mediante l'attestazione delle sue Scritture ( Sal 50,9-14 ) e in seguito con la rimozione dei medesimi sacrifici di non averne alcun bisogno.
Se dunque vi sono angeli che esigono un sacrificio per sé, si devono a loro preferire quelli che li esigono non per sé ma per il Dio creatore di tutti al quale sono sottomessi.
Proprio da questo dimostrano con qual sincero amore ci amano, quando mediante il sacrificio non intendono renderci sottomessi a sé, ma a lui della cui visione essi stessi sono beati, e farci giungere fino a lui dal quale non si sono allontanati.
Ma poniamo che vi siano angeli i quali vogliano che si rendano sacrifici non a un unico Dio ma a più, non a sé ma a quegli dèi di cui sono angeli.
Anche in questo caso si devono preferire quelli che sono angeli dell'unico Dio degli dèi, perché comandano di sacrificare a lui solo e vietano di sacrificare a qualunque altro, mentre i primi non impediscono di offrire sacrifici a colui al quale solamente costoro comandano di sacrificare.
Ma supponiamo, come sta ad indicare soprattutto la loro superba volontà di mentire, che non siano angeli buoni e di dèi buoni ma demoni malvagi, poiché esigono che si onorino con sacrifici non l'unico solo sommo Dio ma se stessi.
Quale maggiore difesa contro di loro si deve scegliere, in tal caso, di quella dell'unico Dio al quale sono sottomessi gli angeli buoni che comandano di offrire il servizio sacrificale non a sé ma a lui di cui noi stessi dobbiamo essere sacrificio?
In seguito la legge di Dio, che fu promulgata con ordinanze degli angeli ( At 7,53 ) e con cui si comandò di adorare con la religione dei sacrifici il solo Dio degli dèi e si proibì di adorarne altri, fu deposta in un'arca. ( Es 25,10-16 )
Si chiamava l'arca della testimonianza.
Col termine s'indica abbastanza chiaramente che non Dio, il quale era adorato per mezzo di tutte quelle strutture, era racchiuso e compreso in quel luogo, sebbene dall'arca si davano i suoi responsi e determinate indicazioni ai sensi umani, ma che da lì si offrivano le testimonianze del suo volere.
E questo indica anche la legge scritta in tavole di pietra e riposta, come ho detto, nell'arca.
Durante il periodo del pellegrinaggio nel deserto i sacerdoti col dovuto rispetto la trasportavano assieme alla tenda chiamata anche essa la tenda della testimonianza. ( Es 26,1-6 )
Ed era un segno il fatto che durante il giorno appariva una nube che di notte splendeva come fuoco.
Quando la nube si muoveva venivano mossi gli accampamenti e quando si fermava gli accampamenti venivano deposti. ( Es 13,21; Es 33,7-11; Es 40,34-35 )
Oltre questi miracoli che ho esposto e oltre alle voci che venivano emesse dal luogo in cui era l'arca, furono rese a quella legge le testimonianze di un grande miracolo.
Infatti mentre entravano nella terra della promessa e passava l'arca, il fiume Giordano, fermandosi a monte e scorrendo a valle, offrì un passaggio asciutto all'arca e al popolo. ( Gs 3,14-17 )
In seguito le mura della città nemica che per prima s'incontrò e che adorava secondo l'usanza dei pagani molti dèi, dopo che l'arca fu trasportata per sette volte attorno ad esse, caddero all'improvviso senza che fossero attaccate dall'esercito e colpite dall'ariete. ( Gs 6,20 )
Dopo questi fatti, quando già gli ebrei erano nella terra della promessa, a causa delle loro colpe l'arca fu presa dai nemici.
Costoro la posero con rispetto nel tempio del dio che preferivano agli altri, chiusero e se ne andarono.
Il giorno dopo, aperto il tempio, trovarono l'idolo che imploravano caduto a terra e malamente infranto.
In seguito mossi dai prodigi e puniti più aspramente restituirono l'arca della divina testimonianza al popolo al quale l'avevano sottratta.
La restituzione fu strepitosa.
La posero sopra un carro che fecero trainare da giovenche dalle quali avevano allontanato i vitellini lattanti.
Le lasciarono andare dove volevano, perché desideravano verificare anche in questo caso la potenza divina.
Ed esse, senza che l'uomo le indirizzasse e guidasse, prendendo con sicurezza la via che portava agli ebrei e non lasciandosi stornare dai muggiti dei figli affamati, riportarono l'oggetto sacro agli uomini che lo onoravano. ( 1 Sam 4,11; 1 Sam 6,16 )
Questi e simili prodigi per quanto riguarda Dio sono piccole opere ma grandi per intimorire salutarmente e ammonire gli uomini.
Si riconosce infatti a loro lode che i filosofi e principalmente i platonici hanno avuto maggiore sapienza degli altri, come dianzi ho affermato,47 perché hanno insegnato, adducendo l'argomento di armoniose bellezze, che la divina provvidenza dirige al fine anche le infime cose della terra che si producono non solo nel corpo degli animali ma anche nelle erbe da fieno.
A più forte ragione dunque i fatti citati rendono testimonianza alla divinità, perché si verificano al momento del suo manifestarsi, quando si inculca una religione che vieta di sacrificare ad esseri celesti, terrestri ed infernali e ordina di sacrificare soltanto a Dio, dato che egli solo amandoci e amato da noi ci rende felici.
Egli predeterminando i tempi stabiliti per quei sacrifici e preannunciando che dovevano divenire più perfetti mediante un sacerdote più perfetto attesta che non li desidera per sé ma che attraverso essi ne significa altri più eccellenti.
Questo non perché egli viene elevato con simili onori ma affinché noi incendiati dal fuoco del suo amore ci sentiamo spronati ad amarlo e a unirci a lui.
Ed è un bene per noi, non per lui.
Qualcuno potrà dire che sono falsi miracoli e che non avvennero ma furono inventati.
Chi lo afferma, se intende dire che in merito a questi fatti non si deve prestar fede ad alcuni documenti scritti, può per lo stesso motivo affermare che non vi sono dèi a curare le cose umane.
Infatti indussero a farsi adorare soltanto attraverso il compimento di fatti meravigliosi.
Ne è testimone anche la letteratura dei pagani, i cui dèi preferirono offrirsi alla meraviglia che rendersi utili.
Per questo con la presente nostra opera, di cui abbiamo sotto mano il libro decimo, non abbiamo inteso confutare coloro che negano l'esistenza di Dio o dichiarano che non provvede alle cose umane, ma coloro che credono superiori i propri dèi al nostro Dio fondatore di una santa e veramente gloriosa città.
Essi non riflettono infatti che egli è anche il creatore invisibile e immutabile di questo mondo visibile e mutevole ed è vero datore della felicità derivante non dalle cose che ha creato ma da se stesso.
Un suo profeta veritiero ha detto: Il mio bene è unirmi a Dio. ( Sal 73,28 )
Tra i filosofi si discute del fine del bene che per essere raggiunto subordina a sé tutti i doveri.48
Il profeta non ha detto: "Per me esser carico di ricchezze è il bene", ovvero: "essere insignito di porpora e dominare con lo scettro e con la corona regale".
Non ha detto ciò che alcuni filosofi non si vergognano di dire: "Per me il piacere fisico è il bene";49 ovvero ciò che di più nobile parve di dire ad alcuni più nobili: "Per me la dignità della mia coscienza è il bene".50
Ha detto invece: Il mio bene è unirmi a Dio.
Glielo aveva insegnato colui al quale soltanto si devono sacrifici, come hanno avvertito anche i santi angeli mediante la testimonianza dei prodigi. ( Es 22,20 )
Anche il profeta quindi era divenuto suo sacrificio perché ardeva investito dal suo fuoco intelligibile ed era portato da un santo desiderio al suo abbraccio ineffabile e immateriale.
Dunque i politeisti, quali che siano i loro dèi secondo loro, fondandosi sulla storia dei fatti civili o sui libri di magia ovvero, dato che la ritengono più onorata, di teurgia, credono che da loro siano stati operati miracoli.
Quale motivo c'è allora per non credere in base ai libri della Scrittura che questi miracoli sono avvenuti?
Ad essi si deve tanto maggior fede quanto è superiore a tutti gli dèi il Dio al quale solo comandano che si deve sacrificare.
Vi sono alcuni i quali ritengono che i sacrifici visibili convengono agli altri dèi, a lui invece in quanto invisibile convengono invisibili, in quanto più grande, in quanto più perfetto più perfetti, quali sono gli omaggi di un'anima pura e di una buona volontà.51
Costoro non riflettono che i sacrifici visibili sono segni degli altri come le parole pronunziate sono segni dei concetti.
Quando lo lodiamo con le parole rivolgiamo a lui dei suoni che hanno un significato, perché gli offriamo le cose cui diamo significato nel cuore.
Dunque quando sacrifichiamo dobbiamo riconoscere che il sacrificio visibile non si deve offrire ad altri che a lui poiché noi stessi dobbiamo essere l'invisibile suo sacrificio nel nostro cuore.
Allora i vari angeli e gli spiriti più alti e potenti per bontà e pietà ci sostengono e godono con noi aiutandoci allo scopo secondo le loro forze.
Se volessimo offrire sacrifici a loro non li accettano e lo vietano apertamente, quando sono inviati agli uomini in maniera che la loro presenza sia avvertita.
Ve ne sono esempi nelle sacre Scritture.
Alcuni ritennero di dover con l'adorazione o col sacrificio deferire agli angeli l'onore dovuto a Dio ed è stato loro proibito dall'avvertimento degli angeli stessi e ordinato di deferirlo a lui.
Appresero così che a lui solo è lecito deferirlo. ( Gdt 13,16; Ap 19,10; Ap 22,9 )
Anche i santi uomini di Dio hanno imitato i santi angeli.
Infatti Paolo e Barnaba in Licaonia, avendo compiuto un miracolo di guarigione, furono creduti dèi e i Licaoni volevano immolare loro delle vittime; ed essi rifiutando con umile sentimento religioso annunziarono loro il Dio in cui credere. ( At 14,10-17 )
I demoni falsi si arrogano orgogliosamente tali onori soltanto perché sanno che sono dovuti al Dio vero.
Infatti, come dice Porfirio e alcuni ritengono, in realtà non godono del lezzo delle carogne ma degli onori divini.52
In definitiva hanno dovunque grande abbondanza di lezzi e se ne volessero di più potrebbero offrirseli.
Dunque gli spiriti che si arrogano la divinità non si dilettano dell'odor di bruciato di un corpo qualsiasi, ma della coscienza del loro devoto per dominarlo dopo averlo ingannato e sottomesso.
Così sbarrano il cammino verso il Dio vero affinché l'uomo non sia suo sacrificio nell'atto che si rende sacrificio ad altri che Dio non è.
Quindi il Mediatore, in quanto prendendo la forma di schiavo ( Fil 2,6 ) è divenuto l'uomo Cristo Gesù mediatore di Dio e degli uomini, ( 1 Tm 2,5 ) riceve nella forma di Dio il sacrificio assieme al Padre con cui è un solo Dio.
Tuttavia nella forma di schiavo preferì essere che accettare il sacrificio affinché con questo pretesto non si pensasse che si deve sacrificare a una creatura.
Per questo è sacerdote, egli offerente, egli offerta.
E volle che il sacramento quotidiano di questa realtà sia il sacrificio della Chiesa la quale, essendo il corpo di lui in quanto capo, sa di offrire se stessa per mezzo di lui. ( Ef 4,15; Col 1,18 )
Gli antichi sacrifici dei Patriarchi erano i molteplici e vari segni di questo sacrificio vero, perché in molti si figurava l'unico come se con diverse parole si esprimesse un solo concetto.
Così veniva fortemente inculcato senza destare avversione.53
Tutti i falsi sacrifici cedettero il posto a questo sommo e vero sacrificio.
In tempi stabiliti dalla provvidenza è stato anche concesso ai demoni il potere di provocare odi contro la città di Dio istigando gli individui loro sottomessi e non solo di ricevere sacrifici dai devoti e di esigerli da chi è disposto ma anche di estorcerli violentemente con la persecuzione da chi non è disposto.
Ma questo potere non è dannoso, anzi riesce utile alla Chiesa perché si compia il numero dei martiri.54
La città di Dio li ritiene cittadini tanto più illustri e onorati quanto con maggiore fortezza combattono fino all'effusione del sangue contro il peccato di idolatria. ( Eb 12,4 )
Se il linguaggio ecclesiastico lo permettesse, molto più elegantemente li chiameremmo nostri eroi.55
Si dice che la parola sia derivata da Giunone, perché in greco Giunone si dice Ήρα.
Quindi secondo la mitologia greca un suo figlio, non saprei quale, sarebbe stato chiamato Eroe.
Quanto dire che il mito verrebbe nel caso a significare che l'aria è attribuita a Giunone perché, come dicono costoro, in essa abiterebbero con i demoni gli eroi.
Con questo nome designano le anime dei defunti di un certo rango.
Ma i nostri martiri sarebbero considerati eroi da una prospettiva opposta se, come ho detto, il linguaggio ecclesiastico lo permettesse.
Non sarebbero infatti in compagnia dei demoni nell'aria ma vincerebbero i medesimi demoni, cioè gli spiriti dell'aria e in essi, qualunque cosa s'intenda simboleggiare con lei, Giunone.
Ella non del tutto inconvenientemente viene indicata dai poeti come nemica delle virtù e invidiosa degli uomini forti che raggiungono il cielo.
Ma disgraziatamente ancora una volta a lei soggiace e le si arrende Virgilio.
Difatti ella dice nella sua opera: Sono vinta da Enea;56 ma Eleno ammonisce Enea stesso quasi con una motivazione religiosa col dire: Manifesta liberamente i desideri a Giunone e supera la potente signora con doni che la rendano propizia.57
Da questo modo di pensare Porfirio, quantunque non in base a un parere suo ma altrui, afferma che il dio buono, ossia genio, non viene a dimorare in un uomo se prima il cattivo non è stato placato.58
Sembrerebbe che secondo i pagani siano più forti le divinità cattive che quelle buone.
Le cattive, salvo che rese propizie cedano il posto alle buone, possono impedire il loro intervento.
Inoltre le divinità buone non possono rendersi utili se le cattive non lo permettono e le cattive possono nuocere perché le buone non riescono a resister loro.
Non è questo il modo di procedere della vera e veramente santa religione.
I nostri martiri non vincono così Giunone e gli spiriti dell'aria che invidiano le virtù dei credenti.
I nostri eroi propriamente non vincono, se l'uso permettesse l'espressione, Giunone con i doni che la rendono propizia ma con il valore che viene da Dio.
Scipione è stato chiamato Africano per avere vinto l'Africa col valore più convenientemente che se avesse placato i nemici con doni affinché lo risparmiassero.
Mediante la vera pietà gli uomini di Dio scacciano lo spirito dell'aria nemico e avversario della pietà esorcizzandolo, ( Ef 2,2 ) non rendendolo propizio, e superano tutti i suoi attacchi ostili pregando non lui ma il proprio Dio contro di lui.
In definitiva egli vince e assoggetta soltanto con l'associare al peccato.
Viene quindi vinto nel nome di colui che senza peccato assunse e portò l'umanità.
Perciò in lui che è insieme sacerdote e sacrificio, cioè nel Mediatore di Dio e degli uomini l'uomo Cristo Gesù, ( 1 Tm 2,5 ) avviene la remissione dei peccati, perché per suo mezzo ci riconciliamo a Dio con la remissione dei peccati.
Infatti soltanto con i peccati gli uomini si separano da Dio, poiché in questa vita la purificazione non si ottiene con la nostra virtù ma per sua misericordia, attraverso la sua indulgenza e non mediante un nostro potere.
Anche la minima virtù che si ritiene nostra ci è concessa dalla sua bontà.
Ci arrogheremmo molto mentre viviamo in questa carne se fino al suo dissolversi non vivessimo di perdono.
Proprio per questo attraverso il Mediatore ci è stata data la grazia affinché, macchiati come siamo dalla terrenità del peccato, fossimo purificati dalla somiglianza con la terrenità del peccato. ( Rm 8,3 )
Dalla grazia di Dio, con cui egli ha mostrato la grande sua misericordia verso di noi, ( Tt 2,5 ) siamo regolati in questa vita mediante la fede e dopo questa vita mediante la partecipazione stessa della immutabile verità saremo condotti alla piena perfezione.
Porfirio dice anche che, secondo il responso degli oracoli degli dèi, noi non siamo purificati con le iniziazioni della luna e del sole.
Si affermava così che l'uomo non può esser purificato con le iniziazioni di alcun dio.
Di quale dio infatti purificano le iniziazioni se non purificano quelle della luna e del sole?
Li ritengono appunto gli dèi celesti più eminenti.
Afferma inoltre che secondo una dichiarazione del medesimo oracolo i principi possono purificare.
Essendo stato detto, cioè, che le iniziazioni del sole e della luna non purificano, non si doveva pensare che le iniziazioni di un qualche altro dio della folla fossero valide per la purificazione.
Sappiamo quali sono i principi di cui come platonico intende parlare.
Parla infatti di Dio Padre e di Dio Figlio che in greco denomina intelletto o mente del Padre.59
Non dice nulla o per lo meno non apertamente dello Spirito Santo.
Non capisco quindi quale sia il principio che pone di mezzo fra i due.
Se volesse far intendere che la terza ipostasi è la natura dell'anima, come fa Plotino quando discute sulle tre principali ipostasi,60 non direbbe certamente che è di mezzo fra i due, cioè il Padre e il Figlio.
Plotino appunto pone l'anima dopo l'intelletto del Padre, egli invece col dire di mezzo non lo pone dopo ma fra l'uno e l'altro.61
Naturalmente ha considerato così, come ha potuto o come ha voluto, quello che noi consideriamo lo Spirito Santo che è Spirito non solo del Padre e non solo del Figlio ma dell'uno e dell'altro.
I filosofi però parlano liberamente e in argomenti veramente difficili per l'intelligenza non si preoccupano di offendere l'udito dei credenti.
A noi invece è consentito di esprimerci in base a una regola determinata affinché il libero uso delle parole non generi una erronea credenza anche in merito a oggetti che si esprimono con quelle parole.
Noi pertanto, quando parliamo di Dio, non intendiamo due o tre principi, come non ci è consentito pensare a due o tre dèi.
Tuttavia parlando in particolare o del Padre o del Figlio o dello Spirito Santo ammettiamo che ognuno singolarmente è Dio.
Non accettiamo comunque la teoria degli eretici sabelliani, che il Padre è il medesimo col Figlio e che lo Spirito Santo è il medesimo col Padre e col Figlio;62 al contrario che il Padre è il padre del Figlio e che il Figlio è il figlio del Padre e che lo Spirito Santo del Padre e del Figlio non è né il Padre né il Figlio.
È pertanto vera l'affermazione che l'uomo è purificato soltanto dal Principio, sebbene nei platonici si parli di principi al plurale.
Ma Porfirio, soggetto a poteri malevoli dei quali arrossiva, ma che temeva di denunziare liberamente, non volle capire che Cristo Signore è Principio dalla cui incarnazione siamo purificati.
Lo disprezzò appunto a causa della carne che egli assunse in ordine al sacrificio della nostra purificazione.63
Non capiva un grande mistero a causa di quella superbia che il vero e benevolo Mediatore distrusse con la propria umiltà, perché ad esseri soggetti a morire si mostrò con la soggezione alla morte.
Al contrario i malevoli e falsi mediatori, non avendo tale soggezione, si inorgoglirono più superbamente e promisero, come non soggetti a morire, un aiuto ingannevole all'umanità infelice soggetta a morire.
Il buono e vero Mediatore ha mostrato che male è il peccato e non l'esseità ossia la natura della carne, perché è stato possibile che senza peccato sia ricevuta e portata assieme all'anima umana, sia deposta con la morte e resa più perfetta con la resurrezione. ( Gv 10,17-18 )
Ha mostrato anche che la morte, sebbene fosse pena del peccato e che egli tuttavia senza aver peccato ha sofferto per noi, non si deve evitare col peccare ma piuttosto, se si presenta l'occasione, accettare per riparare alla giustizia.
Egli ha potuto appunto riscattare i peccati con la morte, perché è morto, ma non in riparazione d'un suo peccato.
Il platonico Porfirio non conobbe che egli è principio perché nel caso l'avrebbe riconosciuto come datore di purificazione.
Infatti non sono principio né la carne né l'anima umana ma il Verbo, perché in lui sono state create tutte le cose. ( Gv 1,3 )
Non la carne dunque purifica da se stessa ma il Verbo da cui è stata assunta, perché il Verbo è divenuto carne e si è intrattenuto con noi. ( Gv 1,14 )
Un giorno parlò simbolicamente che si doveva mangiare la sua carne.
Alcuni che non capirono se ne andarono scandalizzati dicendo: Questo è un discorso duro, chi può ascoltarlo?
Ed egli disse a quelli che erano rimasti: È lo spirito che dà la vita, la carne non ha alcun valore. ( Gv 6,63 )
Dunque il Principio, assumendo l'anima e la carne, purifica l'anima e la carne dei credenti.
E per questo ai Giudei che gli chiesero chi fosse rispose di essere il Principio.64
Noi carnali, deboli, soggetti ai peccati, avvolti nelle tenebre dell'ignoranza, non potremmo riconoscerlo se non fossimo purificati e guariti mediante ciò che eravamo e non eravamo.
Eravamo uomini ma non giusti;65 invece nella sua incarnazione c'è la natura umana ma giusta, non peccatrice.
Questa è la mediazione con cui è stata stesa la mano ai caduti incapaci di risollevarsi.
Questo è il seme gettato per mezzo degli angeli, giacché con le loro dichiarazioni veniva promulgata una legge con cui si ordinava di adorare un solo Dio e si prometteva la venuta di un Mediatore. ( Gal 3,19-20 )
Con la fede nel mistero del Mediatore anche gli antichi giusti poterono essere purificati se vissero religiosamente, non solo prima che fosse data la legge al popolo ebraico, dato che Dio e gli angeli se ne fecero annunziatori, ma anche al tempo della legge stessa, sebbene poteva sembrare che essa per simboleggiare i beni spirituali contenesse promesse terrene.
Per questo è detto l'Antico Testamento. ( Eb 11 )
Infatti vi erano allora i profeti, mediante i quali, come prima mediante gli angeli, fu resa nota la medesima promessa.
Era del loro numero quegli di cui poco fa ho ricordato la grande e divina concezione sul fine ultimo dell'uomo: Il mio bene è unirmi a Dio. ( Sal 73,28 )
In questo salmo è sufficientemente determinata la distinzione dei due Testamenti chiamati l'Antico e il Nuovo.
In relazione alle promesse carnali e terrene, poiché osservava che esse erano abbondantemente elargite agli empi, dice che i suoi piedi si stavano quasi mettendo in moto e i suoi passi si avviavano ormai alla caduta.
Gli sembrava quasi che invano rendesse servizio a Dio, poiché osservava che i miscredenti godevano di quella prosperità che egli attendeva da lui.
Aggiunge che egli si affannò nell'esame di questo problema, dato che voleva scoprire perché le cose stessero così, fino a che entrò nel santuario e comprese il destino ultimo di quegli uomini che a lui, poiché era in errore, sembravano felici.
Allora comprese, come dice, che furono atterrati perché si erano innalzati e che erano declinati e andati in rovina a causa delle loro iniquità ( Sal 73,17-19 ) e che l'apogeo della prosperità terrena divenne per loro come il sogno di chi si sta svegliando.
Egli si trova privo all'improvviso delle fallaci gioie che sognava.
E poiché si ritenevano grandi in questa terra, ossia nella città terrena, soggiunse: Signore, tu nella tua città ridurrai al nulla la loro figura. ( Sal 73,20 )
E come fosse stato per lui vantaggioso chiedere all'unico vero Dio anche i beni terreni, poiché in suo potere sono tutte le cose, lo ha dimostrato chiaramente con le parole: Davanti a te sono diventato come una bestia, ma io sono sempre con te. ( Sal 73,23 )
Ha detto Come una bestia per far comprendere che non capiva.
Avrei dovuto desiderare da te i beni che non possono essermi comuni con i miscredenti; ma io vedendo che essi ne abbondavano, ho pensato di averti reso servizio inutilmente, perché li avevano anche coloro che non avevano voluto renderti servizio.
Tuttavia io sono sempre con te, perché pur nel desiderio di quei beni terreni non ho cercato altri dèi.
E perciò continua: Hai afferrato con la mano la mia destra, mi hai condotto secondo il tuo volere e mi hai ricevuto con onore. ( Sal 73,24 )
Sembrerebbe che alla sinistra appartengono quei beni, a causa dei quali, poiché li aveva visti elargiti in abbondanza ai miscredenti, era quasi caduto nella colpa.
Poi soggiunge: Che cosa v'è per me nel cielo e da te che cosa ho voluto sopra la terra? ( Sal 73,25 )
Si è rimproverato e giustamente non era contento di se stesso, poiché pur avendo un gran bene in cielo ( lo ha capito dopo ) ha richiesto in terra dal suo Dio un bene passeggero, una prosperità fragile e in certo senso banale.
O Dio del mio cuore, soggiunge, il mio cuore e la mia carne sono venuti meno, ( Sal 73,26 ) certamente di un onesto venir meno, cioè dalle cose più basse alle più alte.
Quindi in un altro salmo dice: La mia anima anela e viene meno nel desiderio del tempio del Signore; ( Sal 84,3 ) e in un altro: La mia anima è venuta meno nel muovermi alla tua salvezza. ( Sal 119,81 )
Tuttavia avendo parlato del venir meno del cuore e della carne, non ha soggiunto: "Dio del mio cuore e della mia carne", ma Dio del mio cuore.
La carne è purificata appunto mediante il cuore.
Per questo dice il Signore: Purificate le cose che sono dentro e saranno pure anche le cose di fuori. ( Mt 23,26 )
Continuando il salmista afferma che Dio è sua eredità, non un qualcosa che viene da lui ma lui stesso.
O Dio del mio cuore, afferma, tu Dio mia eredità per i secoli, ( Sal 73,26 ) perché fra molte cose che gli uomini scelgono, egli ha deciso di dover scegliere lui.
In breve, egli afferma, coloro che si allontanano da te si perderanno, tu hai dato alla perdizione chi si dà alla dissolutezza lontano da te, ( Sal 73,27 ) cioè chi vuole essere il luogo d'infamia di molti dèi.
Poi segue quel pensiero, al quale mi è sembrato opportuno riferire gli altri dal medesimo salmo: Il mio bene è unirmi a Dio, ( Sal 73,28 ) non andar lontano, non darsi alla dissolutezza in molteplici esperienze.
Allora l'unirsi a Dio sarà compiuto quando tutto ciò che deve essere liberato sarà liberato.
Per ora si avvera il concetto che viene di seguito: Porre in Dio la mia speranza.
Dice appunto l'Apostolo: Una speranza che si scorge non è speranza.
Come si può infatti scorgere un oggetto e sperarlo?
Se quindi speriamo ciò che non vediamo, lo attendiamo con costanza. ( Rm 8,24-26 )
Fondati su questa speranza, dobbiamo mettere in opera quel che segue nel salmo ed essere anche noi nel nostro limite angeli di Dio, cioè suoi messaggeri, annunziando la sua volontà e lodandone la gloria e la grazia.
Quindi dopo le parole Porre in Dio la mia speranza, aggiunge: per annunziare tutte le tue lodi alle porte della figlia di Sion. ( Sal 73,28 )
Questa è la gloriosissima città di Dio; ella conosce e adora un solo Dio; l'hanno annunziata i santi angeli che ci hanno invitato alla sua vita comunitaria e hanno voluto che in essa noi fossimo loro concittadini.
Non vogliono che li onoriamo come nostri dèi ma assieme ad essi il loro e nostro Dio; non vogliono che sacrifichiamo loro ma assieme ad essi siamo sacrificio a Dio.
Non v'è alcun dubbio in proposito se senza una maligna ostinazione si considerano le cose.
Tutti gli immortali felici ci vogliono bene.
Se non lo volessero, non sarebbero felici.
Ci vogliono bene appunto affinché anche noi siamo felici con loro, ci soccorrono e ci aiutano di più se adoriamo con loro il solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, che se adorassimo loro stessi con sacrifici.
Non so in quale misura ma, per quanto ne capisco io, Porfirio si vergognava dei suoi amici.
Aveva in proposito una teoria filosofica ma non la difendeva liberamente contro il politeismo.66
Sostenne anche che vi sono alcuni angeli i quali, discendendo in basso, annunziano agli uomini della teurgia riti religiosi; e altri i quali rivelano in terra gli attributi del Padre e la sua immensità.
Dunque si può credere forse che questi angeli, la cui funzione è rivelare la volontà del Padre, non intendano che siamo sottomessi soltanto a lui, di cui ci manifestano il volere?
E per questo il filosofo platonico ci avverte che essi si devono piuttosto imitare che invocare.67
Non dobbiamo dunque temere che spiriti immortali e felici sottomessi all'unico Dio si offendano se ad essi non si offrono sacrifici.
Essi sanno che il sacrificio si deve al solo Dio vero, perché anche essi unendosi a lui sono felici.
Quindi indubbiamente non vogliono che siano resi loro gli onori significati dai misteri tanto mediante una figura simbolica quanto nella realtà stessa.
Dei demoni infelici nella loro superbia è questa presunzione ed è quindi molto diverso l'ossequio di spiriti sottomessi a Dio, felici soltanto nella unione con lui.
È necessario che essi con sincera benevolenza aiutino anche noi a raggiungere questo bene e che non si arroghino l'ossequio di sottomissione a loro ma ci rivelino lui, affinché a lui sottomessi ci associamo a loro nella pace.
Perché, o filosofo, trepidi ancora di alzare la libera voce contro i poteri contrari ai veri poteri e ai doni del Dio vero?
Hai già distinto gli angeli che annunziano il volere del Padre da quelli che, mossi da non saprei quale pratica, discendono agli uomini della teurgia.
Perché dunque li onori ancora al punto di dire che inculcano riti religiosi?
Alla fin fine quali riti religiosi inculcano se non annunziano il volere del Padre?
Naturalmente, come tu affermi, sono quelli che una persona malevola ha legato con pratiche misteriche affinché non concedano la catarsi e non hanno potuto essere sciolti dall'impedimento e restituiti alla propria funzione da una persona onesta che desiderava la catarsi.
E ancora dubiti che essi sono demoni maligni, ovvero, preoccupato di non urtare i teurghi, fingi di non saperlo, perché ingannato dalla curiosità hai appreso da loro come enorme favore queste teorie insensate e malefiche?.68
Oseresti innalzare fino al cielo, nel superamento della sfera dell'aria, questa malevola infamia, che non è potere, e non direi padrona ma schiava ( lo ammetti tu stesso ) di uomini malevoli e porla fra i vostri dèi anche stellari, ossia imbrattare perfino le stelle con simili turpitudini?
Molto più ragionevolmente e accettabilmente di te ha errato Apuleio, platonico della tua medesima scuola.69
Egli, lo volesse o no, ha ammesso, pur onorandoli, che soltanto i demoni, stabiliti nel mondo sublunare, sono agitati dal male delle passioni e dai turbamenti dello spirito.
Tuttavia con un discorso, il più diffuso possibile, ha dimostrato immuni dal contagio delle umane passioni gli dèi superiori del cielo appartenenti allo spazio etereo, sia i visibili, che vedeva splendere perché esposti alla vista, come il sole, la luna e le altre stelle, sia gli invisibili che immaginava.
Tu invece hai appreso non da Platone ma da maestri caldei la teoria di innalzare i vizi umani alle alte sfere eteree o empiree e nelle regioni immobili del cielo affinché i vostri dèi potessero indicare i riti religiosi ai teurghi.
Tu comunque col pretesto della cultura ti ritieni superiore a questi riti, sicché per te, che sei filosofo, non sembrano affatto necessarie le purificazioni della teurgia.
Comunque le fai conoscere agli altri per dare ai tuoi maestri questa plausibile ricompensa, che seduci a tali pratiche chi non è capace di filosofare ma le consideri inutili per te che sei capace di catarsi più elevate.
Così coloro che sono lontani dalla dignità della filosofia, che è di pochi perché troppo difficile, mossi dalla tua autorità, vanno in cerca degli uomini della teurgia affinché li purifichino se non nell'anima intellettuale per lo meno in quella spirituale.
Poiché la folla di coloro che sono inabili al filosofare è senza confronto più numerosa, quelli che sono spinti a frequentare i tuoi maestri dediti a pratiche occulte e proibite sono di più di quelli che sono invitati a frequentare le scuole di Platone.
Infatti, fingendosi dèi eterei, i demoni immondi, di cui sei divenuto annunziatore e messaggero, ti hanno fatto intendere che i purificati nell'anima spirituale con la pratica teurgica non tornano, è vero, al Padre ma abiteranno sopra le regioni dell'aria in mezzo agli dèi eterei.70
Non ascolta questa dottrina la moltitudine degli uomini, per la cui liberazione dal potere dei demoni è venuto il Cristo.
In lui infatti conseguono una misericordiosa purificazione della mente, dello spirito e del corpo.
Egli ha preso tutto l'uomo senza il peccato appunto per guarire dalla contaminazione del peccato il tutto di cui è composto l'uomo.
Magari anche tu lo avessi riconosciuto e ti fossi per una guarigione più sicura affidato a lui anziché alla tua virtù, che è umana, fragile e debole, o a una deleteria curiosità.
Egli non ti avrebbe tratto in inganno.
I vostri oracoli, come tu stesso scrivi, lo hanno dichiarato santo e immortale.
Di lui anche il più alto poeta ha detto, certo con un discorso poetico perché nella persona vagamente accennata di un altro, ma con verità se a lui lo riferisci: Con la tua guida, se rimangono alcune tracce del nostro peccato, ( i nuovi tempi ) libereranno il mondo dalla vana perenne paura.71
Anche se non di peccati, ha parlato tuttavia di tracce di peccati, perché anche in uomini molto avanzati in virtù possono rimanere a causa della insufficienza della vita terrena.
Esse saranno guarite soltanto da quel Salvatore, per il quale è stato formulato il verso citato.
Infatti Virgilio nel quarto verso dell'egloga dichiara che non è una sua affermazione personale quando dice: È giunta già l'ultima età dell'oracolo di Cuma.72
Da ciò appare indubbiamente che il fatto fu preannunciato dalla sibilla di Cuma.
I teurghi al contrario o piuttosto i demoni che simulano la sembianza e gli aspetti degli dèi, anziché purificare, contaminano lo spirito umano con l'impostura delle apparizioni e con la burla menzognera di forme vane.
Come infatti rendono puro lo spirito umano se hanno impuro il proprio?
Altrimenti non sarebbero impediti dalle formule magiche di un individuo malevolo e non inibirebbero per paura o non negherebbero per analoga malevolenza l'inutile favore che sembravano voler concedere.
Basta a dimostrarlo che, come tu dici, non è possibile con la catarsi teurgica purificare l'anima intellettuale, cioè la nostra mente.
In quanto a quella spirituale, cioè la parte della nostra anima inferiore alla mente, che, a sentir te, si può purificare con simile pratica, tu stesso ammetti che con quel rito non può esser resa immortale ed eterna.
Il Cristo invece promette la vita eterna.
Per questo il mondo, malgrado la vostra stizza congiunta comunque a meraviglia e stupore, si accalca attorno a lui.73
Che te ne viene in definitiva?
Non hai potuto negare che con la disciplina teurgica gli uomini sono tratti in errore, che moltissimi gabbano mediante un cieco e sciocco responso e che è innegabile errore degradarsi a invocare con pratiche e formule spiriti superiori e angeli.
Poi, quasi per dare a vedere che non hai sprecato la fatica apprendendo la teurgia, indirizzi gli uomini dai teurghi affinché per loro mezzo sia purificata l'anima spirituale degli individui che non vivono secondo l'anima intellettuale.
Dunque indirizzi gli uomini a un innegabile errore e non ti vergogni di un'azione così malvagia, sebbene ti professi amatore della virtù e della sapienza.
Se tu l'avessi amata con genuina coerenza, avresti riconosciuto il Cristo Virtù e Sapienza di Dio ( 1 Cor 1,24 ) e non saresti balzato lontano dalla sua umiltà apportatrice di salvezza perché tronfio dell'orgoglio di una vana scienza.
Ammetti tuttavia che anche l'anima spirituale può esser purificata con la virtù della continenza senza le pratiche teurgiche e senza le iniziazioni.
Tu allora senza vantaggio ti sei affaticato ad apprenderle.
In altri passi dici anche che le iniziazioni non elevano l'anima dopo la morte.
Sembra quindi che esse non giovino affatto dopo la fine di questa vita neanche all'anima che chiami spirituale.
Tuttavia rigiri queste dottrine in varie maniere e le riesamini al solo intento, come penso, di apparire informato in simili argomenti e di renderti gradito ai curiosi di pratiche illecite o di renderli tu stesso curiosi.
Dici bene comunque che la teurgia è da evitarsi, sia per il rischio delle leggi come della pratica in sé.
Magari i poveri disgraziati ascoltino da te questo avvertimento e si allontanino da essa per non esserne trascinati o meglio non vi si appressino neanche.
Affermi anche che l'ignoranza e i molti vizi che ne conseguono non sono purificati mediante alcuna iniziazione ma solo mediante il πατρικόν νούν, cioè la mente ossia intelletto del Padre perché conosce la volontà del Padre.
Tu non credi che sia il Cristo perché lo disprezzi a causa del corpo ricevuto da una donna e dell'umiliazione della croce.
Ti ritieni cioè capace di cogliere dalle sfere superiori una più alta sapienza per avere rifiutato sprezzantemente le cose più basse.74
Ma egli dà compimento a ciò che i santi profeti hanno con verità preannunziato di lui: Manderò in rovina la sapienza dei sapienti e riproverò la prudenza dei prudenti. ( Is 29,14; 1 Cor 1,19 )
Infatti non manda in rovina e non riprova la propria sapienza in essi, perché egli l'ha donata, ma quella che si arrogano coloro che non hanno la sua.
Per questo, dopo aver ricordato il passo profetico citato, l'Apostolo continua con le parole: Dov'è un sapiente? dove un letterato? dove uno scienziato di questo mondo?
Forse che Dio non ha reso insipiente la sapienza di questo mondo?
Infatti poiché il mondo per colpa della propria sapienza non ha conosciuto Dio nella sapienza di Dio, egli ha deciso di salvare i credenti nella insipienza della evangelizzazione.
Dato che, soggiunge, i Giudei chiedono i prodigi e i Greci ricercano la sapienza, noi invece annunziamo con l'evangelizzazione il Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, insipienza per i Greci, ma per i Giudei e i Greci chiamati Cristo Virtù e Sapienza di Dio, poiché ciò che è insipiente di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debole di Dio è più forte degli uomini. ( 1 Cor 1,19-25 )
I sapienti e i forti di un proprio supposto valore disprezzano questa dottrina come insipiente e debole.
Ma questa è la grazia che sana i deboli, i quali non vantano per orgoglio una propria falsa felicità ma dichiarano piuttosto con umiltà una infelicità vera.
Ammetti il Padre e il suo Figlio, che consideri intelletto ossia mente del Padre, e uno in mezzo fra di essi.
Noi riteniamo che intendi lo Spirito Santo.75
Tu secondo il vostro modo di pensare li consideri tre dèi.76
In proposito, sebbene usiate parole non rette, vedete in qualche modo, e quasi attraverso gli ombreggiamenti di un vago fantasticare, l'obiettivo a cui tendere ma non volete ammettere l'incarnazione dell'immutabile Figlio di Dio.
Eppure da essa noi otteniamo la salvezza per raggiungere quei valori che accettiamo per fede o che, per quanto poco, riusciamo a comprendere.
Pertanto vedete in qualche modo, sebbene di lontano, sebbene con la vista annebbiata, la patria in cui si deve abitare ma non prendete la via per cui giungervi.
Tu comunque ammetti la grazia, quando affermi che a pochi è accordato di giungere a Dio con la dignità dell'intelligenza.
Non dici: "pochi hanno scelto" o "pochi hanno voluto"; ma quando dici che è stato accordato, indubbiamente parli della grazia divina e non della autonomia umana.
Usi più esplicitamente questa parola in un passo in cui spieghi la dottrina di Platone.77
Come lui anche tu non metti in dubbio che in questa vita l'uomo non può assolutamente raggiungere la perfezione della sapienza, ma che per chi vive secondo l'intelletto tutto ciò che manca può esser condotto a pienezza dopo questa vita dalla provvidenza e dalla grazia divina.78
Se tu avessi riconosciuto la grazia mediante il Signor nostro Gesù Cristo e la sua incarnazione, con cui ha assunto l'anima e il corpo dell'uomo, avresti potuto scorgere che vi è un sublime modello di grazia.
Ma che dovrei fare? So che inutilmente sto parlando a un morto, per quanto riguarda te personalmente.
Forse non inutilmente al contrario per quanto riguarda coloro che ti stimano e ti prediligono o per un certo amore della sapienza o per curiosità delle pratiche teurgiche, che non avresti dovuto apprendere.
In definitiva apostrofando te mi rivolgo a loro.
La grazia di Dio non poteva esser fatta valere in una forma più gratuita di quella per cui lo stesso Figlio di Dio, rimanendo in sé fuori del divenire, ha assunto l'uomo e ha dato agli uomini lo Spirito del suo amore con la mediazione dell'uomo.
Così mediante la grazia gli uomini sono venuti a lui che era da loro distante come un immortale da mortali, come un immune dal divenire da soggetti al divenire, come giusto da empi, come felice da infelici.
E poiché per natura ha impresso in noi il desiderio di essere felici e immortali, rimanendo felice e assumendo l'essere mortale, per darci ciò che amiamo, ci ha insegnato con la sua passione a disprezzare ciò che temiamo.
Ma per potere accogliere con fiducia questa verità vi era necessaria l'umiltà che può essere difficilmente inculcata alla vostra alterigia.
Che cosa d'incredibile si dice, soprattutto a voi che sostenete certe dottrine filosofiche, con cui dovreste stimolare a credere questa verità; che cosa, ripeto, vi si dice d'incredibile, quando vi si dice che un Dio ha assunto l'anima umana e il corpo?
Voi, è vero, assegnate un grande ruolo all'anima ragionevole, che è appunto l'anima umana.
Affermate infatti che può divenire consostanziale alla mente paterna che dichiarate figlio di Dio.
Perché è dunque incredibile se una determinata anima intelligente in modo ineffabile e singolare è stata assunta per la salvezza di molti?
Sappiamo bene, per conferma della nostra stessa natura, che per avere la interezza e la pienezza dell'uomo il corpo è unito all'anima.
Se il fatto non fosse nella nostra immediata esperienza, sarebbe certamente ancora più incredibile.
Più facilmente infatti si può accogliere per fede che uno spirito è unito a un altro spirito, quantunque uno umano con uno divino, uno diveniente con uno indiveniente o, per usare la vostra abituale terminologia, un incorporeo con un incorporeo, che non l'unione di un corpo con un incorporeo.
Vi urta forse lo straordinario concepimento del corpo da una vergine?
Anche questo fatto non deve urtarvi, anzi addurvi ad accogliere la religione, perché un individuo fuori del comune è nato in modo fuori del comune.
O forse vi rifiutate di credere che ha levato in alto il corpo abbandonato con la morte, reso perfetto con la resurrezione, ormai incorruttibile e non più soggetto a morte?
Fate così perché sapete che Porfirio in quei libri Sul regresso dell'anima, da cui ho citato molti passi, ha ripetutamente insegnato che il mondo corporeo si deve fuggire affinché sia consentito all'anima di rimanere costantemente serena con Dio.79
Egli piuttosto, che la pensava così, doveva essere emendato, soprattutto perché accettate con lui tante teorie incredibili sull'anima del mondo visibile e dell'ingente massa corporea.
Dietro l'autorità di Platone infatti affermate che il mondo è un vivente e un vivente assolutamente felice perché, a sentir voi, sarebbe anche eterno.80
Come avviene dunque che esso non sarà mai libero dal corpo e nello stesso tempo non sarà mai privo di felicità se per la felicità dell'anima si deve fuggire il mondo della materia?
Insegnate non solo nei vostri libri che il sole e le altre stelle sono corpi, e l'umanità intera non ha difficoltà a costatarlo ed affermarlo assieme a voi, ma con una dottrina esoterica, a vostro parere più nobile, dichiarate che sono viventi altamente felici ed eterni assieme ai loro corpi.81
Quale sistema dunque è il vostro che, quando vi si inculca la fede cristiana, dimenticate o fate lo gnorri sulla dottrina che siete soliti sostenere e insegnare?
Che motivo v'è dunque di non volere essere cristiani in base alle vostre opinioni che voi stessi confutate, se non quello che il Cristo è venuto nell'umiltà e voi siete superbi?
Fra gli uomini più dotti della letteratura cristiana si può trattare con un approfondimento il discorso sulle caratteristiche che avranno i corpi nella resurrezione,82 tuttavia noi non dubitiamo che saranno indefettibili e corrispondenti al modello che il Cristo ha mostrato nella sua resurrezione.
Qualunque caratteristica abbiano, da noi si ritiene che saranno del tutto immuni dalla corruzione e dalla morte e che non impediranno in alcun modo la visione con cui l'anima si figge in Dio; ma anche voi dite che negli spazi celesti vi sono corpi immortali di esseri immortalmente felici.
Per quale ragione dunque ritenete che per essere felici si deve fuggire il mondo corporeo tanto per dare a vedere che ragionevolmente rifiutate la religione cristiana?
La ragione è quella e la ripeto: il Cristo è umile, voi siete superbi.
Vi vergognate forse di dovervi ricredere? Anche questo difetto è soltanto dei superbi.
Come individui superbi vi vergognate appunto di diventare da discepoli di Platone discepoli di Cristo che col suo spirito ha insegnato a un pescatore a pensare e dire: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Questo era nel principio presso Dio.
Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e senza di lui non è stato fatto nulla di quel che è stato fatto.
In lui era la vita e la vita era luce degli uomini e la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno accolta. ( Gv 1,1-3 )
È l'inizio del santo Vangelo che ha il nome di Giovanni.
Un platonico, come ho udito frequentemente dire dal santo vecchio Simpliciano, che poi resse la Chiesa di Milano come vescovo,83 affermava che si doveva scrivere in lettere d'oro ed esporlo presso tutte le chiese in luoghi facilmente visibili.
Ma il Dio maestro è stato misconosciuto dai superbi, perché il Verbo si è fatto carne e si è intrattenuto con noi.84
In definitiva sarebbe poco per miserabili lo star male se per di più non insuperbissero nel loro male e non si vergognassero della medicina con cui potevano essere guariti.
Perché non si comportano così per rialzarsi ma per perdersi più rovinosamente nella caduta.
Se dopo Platone si crede sconveniente rettificare una sua dottrina, perché Porfirio stesso ne ha rettificate alcune e piuttosto importanti?
Platone ha scritto, è innegabile, che l'anima umana dopo la morte è ricondotta anche in corpi belluini.85
Anche Plotino, maestro di Porfirio, ha sostenuto questa dottrina; e giustamente Porfirio non l'accolse.86
Ha ritenuto però che l'anima umana non torna nel proprio corpo che ha abbandonato, ma in altri.
Ebbe ritegno appunto a credere che una madre trasformata in mula trasportasse eventualmente un figlio e non ebbe ritegno a credere che una madre, una volta ritornata fanciulla, sposasse eventualmente un figlio.
Molto più ragionevolmente si crede ciò che gli angeli santi e veritieri hanno insegnato, ciò che hanno affermato i profeti mossi dall'ispirazione divina, ciò che ha affermato colui che messaggeri inviati davanti a lui preannunciarono come il Salvatore, ciò che hanno affermato gli Apostoli da lui inviati a riempire il mondo della buona novella.
Molto più ragionevolmente, dico, si crede che le anime tornano una sola volta ai propri corpi, anziché tornare tante volte ad altri.
Tuttavia, come ho detto, Porfirio su questa dottrina si è in gran parte ravveduto, tanto da ritenere che le anime umane possono essere calate soltanto in uomini e non ebbe alcuna esitazione a demolire le carceri belluine.
Afferma anche che Dio ha dato l'anima al mondo affinché conoscendo il male della materia tornasse al Padre e non rimanesse, altre volte ancora, macchiata dal contagio degli esseri materiali.
Ragiona un po' incoerentemente, perché l'anima è stata data al corpo per operare il bene e non conoscerebbe il male se non lo facesse.
Però ha rettificato, e non in un tema insignificante, la teoria degli altri platonici, perché ha ammesso che l'anima purificata da tutti i mali e posta stabilmente nel Padre non avrebbe più soggiaciuto al male del mondo.87
Con questa teoria ha eliminato la dottrina, che si tramanda come eminentemente platonica, cioè che perpetuamente i morti divengono dai vivi e i vivi dai morti.88
Ha inoltre dichiarato ciò che Virgilio con reminiscenza, come sembra, platonica ha cantato.
Le anime purificate sarebbero mandate ai Campi Elisi.
Con questo termine si designano nella mitologia i godimenti dei beati.
Poi sarebbero condotte al fiume Lete, cioè all'oblio del passato, affinché resi immemori, tornino a guardare la superiore volta del cielo e ricomincino a voler tornare nel corpo.89
Giustamente Porfirio non accolse questa fola.
In realtà è sciocco credere90 che da quella vita, la quale non potrà essere sommamente felice se non nell'assoluta certezza della propria eternità, le anime desiderino la bruttura dei corpi soggetti a corruzione e che di lì tornino in questa vita, come se la consumata purificazione comporti che si torni a cercare la contaminazione.
Se infatti il raggiungere la compiuta catarsi comporta che le anime si dimentichino di tutti i mali ma l'oblio dei mali comporta a sua volta il desiderio del corpo, in cui di nuovo siano imbrigliate nel male, allora la consumata felicità sarà causa di infelicità, la perfezione della sapienza causa dell'insipienza, la consumata purificazione causa della contaminazione.
L'anima in quello stato, fintantoché vi sarà, non sarà felice nella verità, perché per esser felice è necessario che sia nell'errore.
Infatti non sarà felice se non è tranquilla, ma per esser tranquilla dovrà pensare erroneamente che sarà sempre felice; invece tornerebbe ancora ad essere infelice.
Ma se l'errore sarà causa del godimento, non si godrà certamente della verità.
Lo capì Porfirio e per questo affermò91 che l'anima purificata torna al Padre affinché non rimanga, altre volte ancora, macchiata dalla contaminazione del male.
Erroneamente dunque fu ritenuto da alcuni platonici quasi necessario il ciclo del regresso e ritorno dell'identico.
Ed anche se fosse vero, che vantaggio se ne cava nel conoscerlo?
A meno che eventualmente i platonici osino considerarsi migliori di noi, perché noi ignoreremmo in questa vita ciò che essi ignorerebbero, sebbene già posti all'apice della purificazione e della sapienza, e diverrebbero felici credendo il falso?
Ma è proprio assurdo e sciocco l'affermarlo.
Quindi l'opinione di Porfirio si deve preferire a quella di coloro che hanno ammesso i cicli delle anime in un perenne alternarsi di felicità e infelicità.
Se è così, un platonico dissente da Platone per una dottrina più perfetta; ha visto ciò che l'altro non ha visto e, sebbene seguace di un così grande maestro, non ha rifiutato la rettifica e ha preferito la verità all'uomo.
Perché dunque più che sugli argomenti, che non possiamo investigare con l'intelligenza umana, non crediamo piuttosto alla rivelazione divina la quale afferma che l'anima stessa non è coeterna a Dio ma creata perché prima non esisteva?
I platonici per non ammetterlo ritenevano di dovere addurre questa ragione per loro valida, che in seguito non poteva essere indefettibile se non fosse preesistita da sempre.
Eppure Platone, sull'argomento del mondo e degli dèi che, come scrive, furono creati da Dio nel mondo, dice apertamente che hanno avuto una origine e un inizio e che tuttavia non avranno una fine e sostiene che rimarranno in eterno per un atto della volontà potentissima del Creatore.92
Però hanno trovato come spiegarlo: sarebbe, cioè, non un inizio di tempo ma di surrogazione.
Se un piede, dicono essi, sempre dall'eternità fosse stato nella polvere, sempre sotto di esso vi sarebbe l'orma.
Non si può mettere in dubbio che l'orma è stata prodotta da chi ha calpestato la polvere; eppure l'uno non sarebbe prima dell'altro, sebbene uno sia stato prodotto dall'altro.
Allo stesso modo, dicono, il mondo e gli dèi in esso creati sono esistiti nell'eternità, perché nell'eternità esisteva chi li ha fatti e tuttavia sono stati fatti.93
Ma allora se l'anima è sempre esistita, si deve affermare forse che è sempre esistita la sua infelicità?
Se dunque in essa qualcosa cominciò nel tempo, giacché non era dall'eternità, perché sarebbe impossibile che anche essa sia esistita nel tempo, poiché prima non esisteva?
Inoltre, anche la sua felicità resa più stabile e indefettibile dopo l'esperienza del male, senza dubbio, come Porfirio ammette, cominciò nel tempo, eppure durerà per sempre, sebbene prima non si sia avuta.
Quindi è demolito tutto il ragionamento con cui si dimostra che si può esistere senza cessare nel tempo, soltanto se non si ha inizio nel tempo.
Ci si presenta la felicità dell'anima che, pur avendo inizio nel tempo, non avrà la fine nel tempo.
Pertanto la scarsa intelligenza umana si arrenda all'autorità divina.
Inoltre, per quanto riguarda la vera religione, crediamo agli spiriti felici e immortali i quali non si arrogano l'onore che sanno dovuto al loro Dio che è anche il nostro.
Essi ci ordinano di offrire il sacrificio soltanto a lui, del quale anche noi con essi, come spesso ho detto e spesso si deve ripetere, dobbiamo divenire sacrificio per essere immolati mediante quel sacerdote che perfino con la morte si è degnato di divenire sacrificio per noi nell'uomo che ha assunto e nella cui forma ha voluto anche esser sacerdote.
Questa è la religione che indica la via aperta a tutti per la liberazione dell'anima.
Senza di essa non se ne libera alcuna.
Questa è, analogamente parlando, la via regia, perché essa soltanto conduce non a un regno vacillante per altezza terrena ma a un regno duraturo nella stabile eternità.
Dice Porfirio alla fine del primo libro Sul regresso dell'anima che ancora non è stata accolta in una qualche setta la dottrina che indichi la via aperta a tutti per la liberazione dell'anima, né per derivazione da una filosofia sommamente vera o dalla dottrina ascetica degli Indiani o dalla iniziazione dei Caldei o da una qualsiasi altra via e che non era ancora venuta a sua conoscenza una via trasmessa dalla storiografia.
Senza dubbio quindi ammette che ve n'è una ma che ancora non era venuta a sua conoscenza.
Perciò non gli bastava la dottrina che sulla liberazione dell'anima aveva appreso con tanta diligenza e di cui sembrava avere una profonda conoscenza non tanto per sé quanto per gli altri.
Sentiva che gli mancava ancora una dottrina sommamente autorevole da cui era necessario lasciarsi guidare in un problema tanto importante.
Quando poi dice che neanche da una filosofia sommamente vera era giunta a sua conoscenza una scuola che indichi la via aperta a tutti per la liberazione dell'anima, dichiara, per quanto ne capisco io, che neanche la filosofia, nella quale egli attese al filosofare, è sommamente vera e che neanche in essa è indicata la via suddetta.
E come potrebbe essere sommamente vera se in essa non è indicata questa via?
Infatti la via aperta a tutti per la liberazione dell'anima è quella soltanto in cui tutte le anime sono liberate e senza di cui non se ne libera alcuna.
Aggiunge poi le parole: O dalla dottrina ascetica degli Indiani o dall'evocazione dei Caldei o da qualsiasi altra via.94
Dichiara dunque in termini molto espliciti che la via aperta a tutti per la liberazione dell'anima non era indicata nelle dottrine che aveva appreso dagli Indiani e dai Caldei.
Eppure non poté passare sotto silenzio che dai Caldei aveva appreso gli oracoli divini.
Ne parla in continuazione.95
Quale via dunque vuol far intendere come aperta a tutti per la liberazione dell'anima?
Essa non era ancora accolta né per derivazione da una filosofia sommamente vera né dalle dottrine dei popoli, che erano considerate importanti per presunte esperienze religiose, perché presso di loro si verificò l'interesse smodato di conoscere e onorare certi angeli e comunque non era ancor giunta a sua conoscenza mediante la storiografia.
Qual è questa via valevole per tutti?
Non certamente quella propria di un popolo ma quella che è stata offerta da Dio perché fosse comune a tutti i popoli.
E questo uomo dotato di non mediocre ingegno non dubita che vi sia.
Non può ammettere che la divina provvidenza abbia potuto abbandonare il genere umano senza una via aperta a tutti per la liberazione dell'anima.
Non ha dichiarato che non v'è, ma che un così grande bene e aiuto non è ancora stato riconosciuto e che ancora non è stato fatto giungere a sua conoscenza.
Non c'è da meravigliarsene.
Porfirio attendeva alla cultura quando Dio permetteva che la via aperta a tutti per la liberazione dell'anima, non altra dalla religione cristiana, fosse attaccata dagli adoratori degli idoli e demoni e dai re della terra; e questo per accrescere ed immortalare il numero dei martiri, cioè dei testimoni della verità.
Per loro mezzo si dimostrava appunto che tutti i mali fisici si devono sopportare per la fedeltà alla religione e la difesa della verità.
Porfirio conosceva questi fatti e pensava che a causa di persecuzioni di quel genere questa via sarebbe scomparsa e che pertanto non fosse quella aperta a tutti per la liberazione dell'anima.
Non capiva che il fatto che lo turbava e che temeva di subire nello sceglierla si volgeva al consolidamento e irrobustimento della religione stessa.
Questa è dunque la via aperta a tutti per la liberazione dell'anima, cioè concessa per divina bontà a tutti i popoli.
La notizia della sua esistenza ad alcuni è venuta, ad altri verrà.
Non le si doveva né le si dovrà dire: "Perché adesso? così tardi?".
La decisione di chi la invia non può essere penetrata dall'intelligenza umana.
Lo capì anche Porfirio quando disse che questo dono di Dio non era ancora conosciuto e che non ancora era stato fatto giungere a sua conoscenza.
Per questo si è guardato dal ritenerlo falso, perché non l'aveva accolto nella sua fede o non ne aveva ancora avuto conoscenza.
Questa, ripeto, è la via aperta a tutti per la liberazione dei credenti.
In proposito Abramo uomo di fede ricevette il responso di Dio: Nella tua discendenza saranno benedetti tutti i popoli. ( Gen 22,18 )
Egli era caldeo di stirpe; ma gli si ordinò di uscire dalla propria terra, dal proprio clan, dalla casa di suo padre per accogliere le promesse.
Da lui si sarebbe propagata la discendenza ordinata al fine per mezzo dei santi angeli in mano al Mediatore, ( Gal 3,19 ) nel quale fosse la via aperta a tutti per la liberazione dell'anima, cioè concessa a tutti i popoli. ( Gen 12,1 )
Egli stesso, liberato per primo dalle superstizioni dei Caldei,96 adorò seguendolo un solo vero Dio e credette fedelmente a queste sue promesse.
Questa è la via aperta a tutti.
Di essa nel libro ispirato è stato detto: Dio abbia pietà di noi e ci benedica, faccia risplendere il suo volto sopra di noi affinché conosciamo la tua via in terra e la tua salvezza in tutti i popoli. ( Sal 67,2-3 )
Per questo, tanto tempo dopo, il Salvatore presa la carne dalla discendenza di Abramo diceva di se stesso: Io sono la via, la verità e la vita. ( Gv 14,6 )
Questa è la via aperta a tutti, di cui tanto tempo prima fu preannunciato: Negli ultimi tempi il monte della casa del Signore sarà manifesto, perché sarà sulla montagna e si alzerà sopra tutti i colli.
Verranno ad esso tutti i popoli e lo saliranno molte nazioni e diranno: venite, saliamo sul monte del Signore e nella casa del Dio di Giacobbe.
Ci annunzierà la sua via ed entreremo in essa.
Da Sion infatti uscirà la legge e la parola del Signore da Gerusalemme. ( Is 2,2-3 )
Questa via dunque non è di un popolo ma di tutti i popoli, la legge e la parola del Signore non rimasero in Sion e in Gerusalemme ma di lì avanzarono per diffondersi in tutto il mondo.
E per questo il Mediatore stesso dopo la sua resurrezione dichiarò ai discepoli impauriti: Era necessario che si adempissero le cose che sono state scritte su di me nella Legge, nei Profeti e nei salmi.
Allora manifestò loro il significato perché intendessero le Scritture e disse loro che era necessario che il Cristo subisse la passione e risorgesse da morte il terzo giorno e che fossero annunziate da loro in mezzo a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme, la conversione e la remissione dei peccati. ( Lc 24,44-47 )
Questa è dunque la via aperta a tutti per la liberazione dell'anima.
Gli angeli santi e i santi profeti l'hanno significata col tabernacolo, col tempio, col sacerdozio e i sacrifici e l'hanno preannunciata con parole, qualche volta aperte, più spesso allegoriche, dapprima a pochi uomini che scoprivano, se riuscivano, la grazia di Dio, soprattutto fra il popolo ebraico.
Il suo stato, analogicamente parlando, era stato consacrato alla predizione e al preannuncio del raduno della città di Dio da tutti i popoli.
Il Mediatore stesso presente nel mondo e i suoi Apostoli, che rivelavano ormai la grazia del Nuovo Testamento, dichiararono più apertamente le cose che nei tempi precedenti erano state figurate e significate in forma più misteriosa in considerazione della ripartizione delle epoche del genere umano, come Dio sapiente volle stabilirla.
I segni degli straordinari interventi divini erano una conferma.
Precedentemente ne ho già citato alcuni.
Non si manifestarono soltanto visioni angeliche e non si udirono soltanto parole di messaggeri celesti, ma anche per opera di uomini di schietta pietà con la parola di Dio furono scacciati dal corpo e dai sensi degli uomini gli spiriti immondi, furono guariti i difetti fisici e le malattie, gli animali selvaggi della terra e dell'acqua, i volatili, gli alberi, gli elementi e le stelle eseguirono gli ordini divini, le forze dell'inferno si arresero, i morti tornarono in vita. ( 1 Re 17,17-24; 2 Re 4,33-37 )
Si passano sotto silenzio i fatti straordinari riguardanti personalmente il Salvatore, soprattutto quelli della nascita e della resurrezione.
Nel primo presentò soltanto il mistero della maternità verginale, nell'altro il modello di quelli che risorgeranno alla fine.
Questa via purifica tutto l'uomo e sebbene mortale lo dispone all'immortalità dalla prospettiva di tutte le sue componenti.
Infatti perché non si cercasse una purificazione a quella componente che Porfirio chiama intellettuale, un'altra a quella che chiama spirituale e un'altra al corpo stesso, il Purificatore e Salvatore, che è sommamente veritiero e potente, ha assunto tutto l'uomo.
Fuori di questa via che mai è mancata al genere umano, né prima quando questi fatti si attendevano come futuri, né poi quando si rivelarono come passati, nessuno fu liberato, nessuno è liberato, nessuno sarà liberato.
Porfirio dice che la via aperta a tutti per la liberazione dell'anima non era stata fatta giungere alla sua conoscenza mediante la storiografia.
Che cosa si può scoprire di più illustre di questa storia che ha conquistato tutto il mondo con un'autorità tanto sublime? che cosa di più degno di fede, giacché in essa si narra il passato in modo da predire anche gli eventi futuri?
Di essi, come sappiamo, molti si sono adempiuti e attendiamo che i rimanenti si adempiano.
Porfirio e gli altri platonici non possono disdegnare la predizione da parte di Dio, sia pure nell'ordine di eventi apparentemente terreni e attinenti all'esistenza destinata a finire.
Essi stessi a buon conto lo fanno con la mantica e con le divinazioni dalle varie forme e pratiche.
Affermano appunto che anche le predizioni riguardanti grandi uomini non si devono tenere in molta considerazione; e giustamente.
Infatti possono avvenire o per un certo presentire gli agenti naturali, come dalla medicina si precorrono molte condizioni che si verificheranno nella salute in base ad alcuni sintomi già presenti; oppure i demoni immondi preavvertono avvenimenti, perché da loro disposti, anzi se ne arrogano in certo senso il diritto tanto sulle passioni della mente degli empi per condurle a determinati fatti corrispondenti, come pure sulla materia più bassa della umana debolezza.
I santi uomini, che hanno camminato su questa via aperta a tutti per la liberazione delle anime, non si sono curati di predire questi eventi come importanti, sebbene loro non sfuggissero e spesso per stimolare la fede dei presenti abbiano predetto fatti che non potevano essere comunicati ai sensi e tradotti immediatamente in esperienza.
Erano ben altri gli avvenimenti divinamente grandi che annunziavano come futuri pur nei limiti loro consentiti dalla conoscenza della volontà di Dio.
Nelle Scritture di questa via sono state promesse mediante profezia la venuta di Cristo nella terrenità, i grandi fatti da lui compiuti e quelli operati in suo nome: la penitenza degli uomini e la conversione delle volontà a Dio, la remissione dei peccati, la grazia della giustificazione, la fede dei credenti e la moltitudine di coloro che per tutto il mondo credono in una vera divinità, la fine dell'idolatria e demonolatria, la prova delle persecuzioni, la santificazione di chi avanza nella perfezione e la sua liberazione da ogni male, il giorno del giudizio, la risurrezione dei morti, l'eterna condanna della società degli empi e il regno eterno della gloriosissima città di Dio che eternamente godrà della visione di lui.
Osserviamo che molti di questi fatti sono avvenuti; attendiamo quindi con fede ragionevole il verificarsi degli altri.
Chi non ha fede e per questo neanche intelletto che questa via è la linea retta fino alla visione di Dio e alla eterna unione con lui, in base alla verità delle Scritture da cui viene formalmente dichiarata, può combatterla, non abbatterla.
Dunque in questi dieci libri, anche se meno di quanto si riprometteva l'attesa di alcuni individui, ho soddisfatto tuttavia, nei limiti in cui il vero Dio e Signore si è degnato di aiutarmi, all'interesse di altri col confutare le contraddizioni degli infedeli che ritengono superiori i propri dèi al fondatore della città di cui ho preso a trattare.
Dei dieci libri i primi cinque sono stati scritti contro coloro i quali ritengono che gli dèi si devono adorare per i beni di questa vita; gli altri cinque contro coloro i quali sostengono che il culto degli dèi si deve mantenere per la vita che verrà dopo la morte.
In seguito dunque, come ho promesso nel primo libro, tratterò con l'aiuto di Dio quel che riterrò di dover dire sull'origine, sullo svolgimento e relativi fini delle due città che, come ho detto, in questo mondo sono indiscriminatamente mescolate assieme.
Indice |
33 | Agostino, C. Faustum 22, 27 |
34 | Gen
3,8; Gen 6,12; Gen 12,1; Gen 28,13; Gen 32,30; Es 3,6; Nm 12; Agostino, Quaest. in Heptat. 2, 9, 101; Epp. 147-148: NBA, XXII |
35 | Erodoto, 1, 65; Plutarco, Licurgo 6 |
36 | Agostino, De div. qq. 83, 58, 2. 64, 2: NBA, VI/2; De Gen. c. Man. 1, 39 |
37 | Plotino, Enn. 3, 2, 13, 22-33 |
38 | Agostino, Enarr. in ps. 45, 5 |
39 | Agostino, C. Faustum 4, 2 |
40 | Plotino, Enn. 1, 6, 7, 34-39; cf. 6, 7, 34 |
41 | Valerio Massimo, 1, 8, 7; G. Nepoziano, Ep. 9, 8; Varrone, De ling. lat. 5, 54; Origo Gen. rom. 17, 2, 3; Sopra 1,3 |
42 | Valerio Massimo, G. Paride, G. Nepoziano, 1, 4, 2; Cicerone, De divinatione 1, 17; De nat. deor. 2, 3; T. Livio, 1,36 |
43 | Valerio Massimo, 1, 8, 11; G. Nepoziano, 9, 12; T. Livio, Epit. 11; Ovidio, Met. 15, 622-744 |
44 | Valerio Massimo, 1, 8, 11; G. Nepoziano, Ep. 9, 12; Cicerone, De har. resp. 13; Ovidio, Fasti 4, 295-325; Lucano, Phars. 6, 503 |
45 | Valerio Massimo, 8, 1, 5 |
46 | Lucano, Phars. 6, 506 |
47 | Sopra 14 |
48 | Sopra 10,1 |
49 | Epicuro, Epist. a Men. 129-130 |
50 | Gli stoici, in Cicerone, Tuscul. 4, 17, 37; Seneca, Ep. 31, 8 |
51 | Platone, Timeo, 39e-41a; Plotino, Enn. 5, 8, 3 |
52 | Oltre Porfirio (l. c.), cf. Plotino, Enn. 3, 4, 6. 3, 5, 6 |
53 | Agostino, Contra adv. Leg. et proph. 1, 38 |
54 | Ap
6,11; Tertulliano, Apol. 50 |
55 | Sopra 4,10 |
56 | Virgilio, Aen. 7, 310 |
57 | Virgilio, Aen. 3, 438-39 |
58 | Dal De regr. an. (Bidez, op. cit., fr. 5) |
59 | Dal De regr. an. (Bidez, op. cit., fr. 8) |
60 | Plotino, Enn. 5, 1 |
61 | Plotino, Enn. 5, 1, 3. 6. 7 |
62 | Tertulliano, Adv. Prax. 2. 9 |
63 | Porfirio, C. Christ., fr. 94, Harnach |
64 | Gv 8,25; Agostino, In Io. Ev. tr. 38 |
65 | Agostino, Ep. 140, 4, 10 |
66 | Porfirio, De abstinentia 2, 60 |
67 | Porfirio, dal De regr. an. (Bidez, op. cit., fr. 6; cf. supra, 9); De abst. 2, 34ss.; Ep. ad Marc. 16ss |
68 | Eusebio di Cesarea, Praep. evang. 4, 9-10 |
69 | Apuleio, De deo Socr. 12 |
70 | Eusebio di Cesarea, Praep. evang. 4, 4 |
71 | Virgilio, Ecl. 4, 13-16 |
72 | Virgilio, Ecl. 4, 4 |
73 | Porfirio, dal De regr. an. (Bidez, op. cit., fr. 3. 4. e Appendice, pp. 31ss.) |
74 | Porfirio, dal De regr. an. (Bidez, op. cit., fr. 7) |
75 | De civ. Dei 19, 23 |
76 | Porfirio, dal De regr. an. (Bidez, op. cit., fr. 9) |
77 | Platone, Fed. 67b-68b |
78 | Porfirio, De regr. an., fr. 10; Platone, Timeo 30c-d |
79 | Motivo ricorrente in Porfirio: cf. es. Sent. 7-9 |
80 | Platone, Timeo 30b, 32c-34a. 92c; Plotino, Enn. 2, 1, 1; Agostino, Retract. 1, 11, 4 |
81 | Platone, Ep. VII, 341 |
82 | De civ. Dei 22, 5 |
83 | Agostino,
Conf. 8, 2, 4; De Praed. Sanctorum 4: NBA, XX |
84 | Gv
1,14; Agostino Conf. 7, 9, 13ss |
85 | Platone, Fed. 239b; Fedone 81e-82a; Tim. 42b-c, 91c-92b; Polit. 10, 618 |
86 | Plotino, Enn. 3, 4, 2, 15-30 |
87 | Porfirio, dal De regr. an. (Bidez, op. cit., fr. 11, 1, e Appendice, pp. 38ss.) |
88 | Platone, Fedone 70c |
89 | Virgilio, Aen. 6, 750-751; Platone, Polit. 10, 619b-621d |
90 | Agostino, Sermo 241, 6 |
91 | Porfirio, dal De regr. an. (Bidez, op. cit., in Appendice, p. 40) |
92 | Platone, Timeo 41a-b; Cicerone, Timeo 11, 40 |
93 | Platone, Timeo 40d-41b; Plotino, Enn. 3, 5, 6; Plutarco, De Ei Delph. 19-21, 392e-394a |
94 | Porfirio, dal De regr. an. (Bidez, op. cit., fr. 12, Appendice, p. 42) |
95 | Porfirio, dal De regr. an., fr. 1 |
96 | De civ. Dei 16, 12 |