Lettere |
Scritta alla fine del 418.
Agostino al vescovo Asellico dimostra che i Cristiani non devono giudaizzare, che i precetti della Legge giustificano solo mediante la grazia ( n. 1-6 ); alcuni Cristiani sono simili ai Giudei carnali come i Pelagiani ( n. 7-8 ); gli autentici Giudei nello spirito e i veri figli d'Abramo sono i Cristiani che ascrivono i loro meriti solo alla grazia ( n. 9-11 ), figura dei Giudei carnali è Ismaele, Isacco invece lo è dell'Israele spirituale ossia dei Cristiani, cui non si addice l'uso indifferente di Giudeo e di Cristiano ( n. 12-15 ); non si debbono più osservare i riti sacri, ma solo i precetti morali della Legge antica ( n. 16 ).
Agostino invia cristiani saluti ad Asellico, suo beatissimo fratello e collega nell'episcopato
La lettera da te inviata al venerando primate Donaziano, riguardante la controversia sul dovere di guardarsi dal Giudaismo, si è degnato egli stesso di farmela recapitare e chiedendomelo con molta insistenza mi ha obbligato a darle una risposta.
Poiché non ho osato mancargli di riguardo, rispondo come posso, con l'aiuto del Signore, pensando che sarà cosa grata anche alla tua Carità il fatto che, scrivendo a te, non ho rifiutato di aderire all'invito rivoltomi da lui, che ambedue veneriamo per i suoi meriti.
Che i Cristiani, soprattutto provenienti dal paganesimo, non debbano vivere alla maniera dei Giudei, lo insegna l'apostolo Paolo nel passo ove dice: In presenza di tutti dissi a Pietro: Se tu, pur essendo giudeo, vivi da pagano e non da giudeo, come mai costringi i pagani a vivere secondo la legge dei Giudei?
Noi, Giudei di nascita e non peccatori di origine pagana, sapendo che nessuno viene giustificato per le opere della Legge ma solo in forza della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati dalla fede di Cristo e non dalle opere della Legge, poiché mediante le opere della Legge non sarà giustificato alcun mortale. ( Gal 2,14-16; Rm 3,2 )
Ma le opere della Legge non sono soltanto quelle consistenti nei riti sacri dell'Antico Testamento e che adesso nella rivelazione del Nuovo Testamento non sono più osservati dai Cristiani, com'è la circoncisione del prepuzio, il riposo dal lavoro fisico nel sabato, l'astensione da certi cibi, l'immolazione di animali nei sacrifici, il novilunio, il pane azimo ed altre simili pratiche, ma anche il precetto della Legge che dice: Non aver desideri passionali, ( Es 20,7; Dt 5,21; Dt 7,25; Rm 7,7 ) precetto che certamente nessuno dei Cristiani mette in dubbio debba essere insegnato, non giustifica l'uomo se non mediante la fede di Gesù Cristo ( Gal 2,16 ) e la grazia di Dio ( che si ha ) per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 )
Il medesimo Apostolo infatti afferma: Che diremo, dunque?
Che la Legge è peccato? Nemmeno per sogno!
Io però non ho conosciuto il peccato se non attraverso la Legge; difatti non avrei conosciuto il desiderio passionale se la Legge non dicesse: Non avere desideri passionali.
Il peccato, trovata l'occasione per mezzo del comandamento, ha prodotto in me ogni sorta di desideri passionali; senza la Legge infatti il peccato è morto.
Ora io un tempo, pur senza la Legge, vivevo, ma poi, venuto il comandamento della Legge, il peccato tornò a vivere, ma io morii; si trovò così che il comandamento, che doveva essere causa di vita, divenne per me causa di morte.
Il peccato infatti, trovata un'occasione per mezzo del comandamento, mi sedusse e mi uccise per mezzo di esso.
La Legge pertanto, a dire il vero, è santa, e santo, giusto e buono è il comandamento.
Ma allora mi ha procurato la morte ciò che è buono? Niente affatto!
Ma è stato il peccato a procurarmi la morte per mezzo di ciò che è buono, in modo che il peccato si manifesti peccato, in modo che per mezzo del comandamento il peccato divenga peccaminoso al massimo.
Sappiamo infatti che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto schiavo al peccato.
In realtà non capisco quello che faccio, poiché non eseguo ciò che voglio, ma faccio quello che odio.
Se poi io faccio ciò che non voglio, riconosco che la Legge è buona. ( Rm 7,7-16 )
In queste parole dell'Apostolo noi vediamo dunque che la Legge non solo non è peccato, ma anzi è santa e che santo e giusto è il comandamento con cui è stato ordinato di non avere desideri passionali. ( Es 20,17 )
Ma il peccato seduce proprio mediante ciò che è buono e per mezzo di esso produce la morte di coloro i quali, essendo carnali, credono di poter adempiere con le proprie forze la legge spirituale e perciò diventano non solo peccatori, come lo sarebbero anche se non avessero ricevuto la Legge, ma anche trasgressori, come non lo sarebbero se non avessero ricevuto la Legge.
Così infatti l'Apostolo dice in un altro passo: Ove non c'è Legge, non c'è neppure trasgressione. ( Rm 4,15 )
La Legge dunque subentrò - come afferma lo stesso Apostolo in un altro passo - affinché si moltiplicasse il peccato; ma dove si moltiplicò il peccato, sovrabbondò anche la grazia. ( Rm 5,20 )
L'utilità della Legge consiste dunque nel fatto che mostra l'uomo a se stesso perché sia consapevole della propria debolezza e capisca come la concupiscenza carnale, mediante la proibizione, anziché venir guarita, viene aumentata.
Le cose proibite, infatti, sono desiderate più ardentemente, mentre l'uomo carnale si sente costretto ad osservare ciò che ( la Legge ) comanda in modo spirituale.
Spirituale poi, in modo che sia capace di adempiere la Legge spirituale, non lo diventa in virtù della Legge, ma della grazia, cioè non in forza di un comando, ma di un beneficio, non in forza dell'ordine scritto della Legge, ma dell'aiuto dello Spirito.
Ora il primo effetto della grazia nell'uomo è quello che egli comincia a rinnovarsi interiormente ( 2 Cor 4,16 ) nella misura della grazia ricevuta in modo da eseguire con l'anima ciò che vuole senza acconsentire alla carne che compia ciò per cui ha ripugnanza, ( Rm 7,15 ) cioè non in modo da non avere assolutamente alcun desiderio passionale, ma in modo da non assecondare i suoi desideri cattivi. ( Sir 18,30 )
Ciò è in verità un bene sì grande che, se si realizzasse completamente e, quantunque siano insiti in noi desideri peccaminosi finché siamo nel corpo che porta questa morte, ( Rm 7,24 ) se non acconsentissimo a nessuno di essi, non ci sarebbe motivo di dire al Padre nostro celeste: Perdonaci le nostre offese; ( Mt 6,9.12; Lc 11,4 ) tuttavia non per questo saremmo già tali quali saremo quando questo corpo mortale avrà rivestito l'immortalità; ( 1 Cor 15,54 ) poiché allora non solo non acconsentiremo ad alcun desiderio peccaminoso, ma non vi saranno più tali desideri ai quali ci è comandato di non acconsentire.
Ora, dunque, quando l'Apostolo afferma: Non sono più io a fare ciò ( che non voglio ) ma il peccato che abita in me, ( Rm 7,17.20 ) lo afferma della concupiscenza della carne che produce in noi i suoi movimenti, anche quando non li assecondiamo, mentre non regna il peccato nel nostro corpo mortale, sì da obbedire ai suoi desideri e non offriamo le nostre membra come armi d'iniquità per il peccato. ( Rm 6,12-13 )
Se noi progrediremo continuamente in questa santità ancora non perfetta, un bel giorno arriveremo alla sua perfezione, quando non sarà più necessario trattenere e frenare i desideri peccaminosi, ma non ce ne sarà più nessuno.
Questo è quello che la Legge espresse dicendo: Non avere desideri passionali, ( Es 20,17; Dt 5,21; Dt 7,25; Rm 7,7 ) cosa di cui non possiamo esser capaci quaggiù ma a cui dobbiamo tendere facendo continui progressi.
Ma ciò avviene non in virtù della Legge che lo ingiunge, ma della fede per cui lo si raggiunge; non della lettera con cui è comandato ma dello Spirito dal quale è donato; non dunque in virtù dei meriti dell'uomo che agisce ma della grazia del Salvatore, il quale ce la largisce.
L'utilità della Legge pertanto sta nel convincere l'uomo della propria infermità e nello spingerlo a implorare la medicina della grazia che si ottiene per mezzo del Cristo.
Chiunque infatti invocherà il nome del Signore, sarà salvo. ( Rm 10,13-14; Gl 3,5; At 2,21 )
In qual modo dunque invocheranno Colui nel quale non hanno ancora creduto?
E in che modo crederanno in Colui del quale non hanno sentito parlare?
Ecco perché l'Apostolo poco dopo afferma: La fede dunque dipende dall'annuncio e l'annuncio si attua per mezzo della parola di Cristo. ( Rm 10,17 )
Stando così le cose, coloro i quali si compiacciono d'appartenere alla stirpe israelitica ed estraniandosi dalla grazia del Cristo si vantano solo della Legge, sono quelli di cui l'Apostolo dice ugualmente che non volendo riconoscere la giustizia di Dio e cercando di far sussistere la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )
Chiamò giustizia di Dio quella che l'uomo ha da Dio, loro propria invece quella ch'essi credono sia loro sufficiente per compiere i comandamenti senza l'aiuto e il dono di Colui che ha dato la Legge.
Simili a questi poi sono coloro i quali, pur professandosi Cristiani, sono talmente contrari alla grazia di Cristo, da credere di poter adempiere i comandamenti di Dio con le sole forze umane; in tal modo, ignorando anch'essi la giustizia di Dio e cercando di far sussistere la propria, non si sono assoggettati alla giustizia di Dio e seguono i Giudei non certo nel nome, ma tuttavia nell'errore.
Questa razza d'individui s'era trovati come caporioni Pelagio e Celestio, accesissimi assertori di questa eresia; i quali, con recente sentenza di Dio, ad opera di diligenti e fedeli suoi servi, sono stati privati anche della comunione cattolica, ma, a causa della loro coscienza inaccessibile al pentimento, persistono ancora nella loro condanna.
Chi non vuole avere nulla in comune con questo giudaismo carnale e sensuale e perciò giustamente da biasimare e da condannare, non deve avere nulla a che fare con le pratiche dell'Antica Alleanza le quali, dacché è stata manifestata la Nuova Alleanza, senza dubbio hanno cessato d'essere necessarie dopo che sono sopraggiunte le realtà che quelle pratiche indicavano che sarebbero avvenute, di modo che nessuno sia giudicato quanto al mangiare o al bere, rispetto a feste annuali o noviluni o a sabati che sono solo ombra delle realtà che si sarebbero avverate; ( Col 2,16-17 ) ma oltre a ciò, nella Legge, vi sono anche delle prescrizioni efficaci a formare i costumi dei fedeli ( in modo cioè che, rinnegando l'empietà e le mondane cupidigie noi viviamo con saggezza, giustizia e bontà nella vita presente, ( Tt 2,12 ) da cui deriva anche il precetto della Legge scelto dall'Apostolo per metterlo in risalto: Non avere desideri cattivi, ( Rm 7,7; Es 20,17; Dt 5,21; Dt 7,25 ) e tutti gli altri precetti della Legge che non contengono alcun simbolismo e riguardano l'amore di Dio e del prossimo, i due precetti dai quali anche lo stesso Cristo nostro Signore afferma che dipendono tutta la Legge ed i Profeti; ( Mt 22,37-40; Mc 12,30-31; Lc 10,27; Dt 6,5; Lv 19,18 ) il Cristiano accoglie tali precetti, li ama, non dubita che siano da osservarsi in modo che tutti i progressi che fa in essi non li attribuisce a se stesso ma alla grazia di Dio derivante da Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 )
Si discute tuttavia con fondato motivo se uno, pur essendo in tal modo un Cristiano vero e sincero, possa chiamarsi anche Giudeo o Israelita.
Veramente, anche se ciò si prende non già nel senso materiale ma in quello spirituale, il Cristiano non deve tuttavia imporsi una tale denominazione nel linguaggio consueto ma tenerla solo nel significato spirituale, per evitare che, a causa dell'ambiguità del termine, che non si distingue nel parlare quotidiano, appaia professare una religione contraria a quella cristiana.
La stessa questione, se cioè un Cristiano può considerarsi anche Giudeo o Israelita, ce la spiega e risolve il medesimo Apostolo nel passo ove afferma: La circoncisione in verità ha un'utilità se tu metti in pratica la Legge; ma se tu sei trasgressore della Legge, la tua circoncisione diventa incirconcisione.
Se dunque un incirconciso mette in pratica le opere prescritte dalla Legge, la sua incirconcisione non gli varrà forse come circoncisione?
L'incirconciso, inoltre, mettendo in pratica la Legge in ciò ch'è secondo natura, non giudicherà forse te che sei trasgressore della Legge con la lettera e la circoncisione?
Infatti non è vero Giudeo chi lo è in apparenza, né la vera circoncisione è quella che appare nella carne, ma ( il vero Giudeo ) è colui che lo è nell'intimo e per la circoncisione del cuore, chi lo è secondo lo Spirito non secondo la lettera; la sua lode non proviene dagli uomini, ma da Dio. ( Rm 2,25-29 )
Quando pertanto ascoltiamo l'Apostolo di Cristo presentarci come Giudeo autentico chi è tale nell'intimo della sua coscienza, non per la circoncisione della carne ma del cuore, secondo lo Spirito e non secondo la lettera, chi è costui se non il Cristiano?
In tal modo quindi noi siamo Giudei non materialmente ma spiritualmente, allo stesso modo che siamo discendenti di Abramo non per via della carne come quelli che si vantano di tale titolo con superbia basata sulla razza, ma in virtù dello spirito di fede, ch'essi non hanno.
Sappiamo infatti d'essere noi i discendenti promessi ad Abramo quando Dio gli disse: Ti ho costituito padre di molte nazioni. ( Gen 17,5 )
Sappiamo anche quante considerazioni fa l'Apostolo su questo argomento: Affermiamo infatti - egli dice - che ad Abramo la fede fu computata agli effetti della giustificazione.
In qual modo gli fu dunque computata? Quando era circonciso o quando era incirconciso?
Non già quand'era circonciso ma quando era incirconciso.
E ricevette il segno della circoncisione come sigillo della giustificazione ottenuta in virtù della fede quando era incirconciso, per essere padre di tutti coloro che credono senz'essere circoncisi ( perché fosse computata anche ad essi agli effetti della giustificazione ) ed essere padre dei circoncisi non solo in quanto questi provengono dalla circoncisione, ma anche in quanto seguono le orme della fede praticata dal nostro padre Abramo quand'era incirconciso. ( Rm 4,9-12 )
E poco dopo: Per tal motivo - dice - ( l'eredità promessa ) dipende dalla fede affinché sia gratuita e la promessa rimanga saldamente assicurata a tutta la discendenza, non solo a quella che è tale per la Legge, ma anche a quella che lo è per la fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi, come sta scritto: Ti ho costituito padre di molte nazioni. ( Rm 4,16-17; Gen 17,5 )
Ugualmente scrivendo ai Galati: Come Abramo - dice - credette a Dio, e ciò gli fu computato agli effetti della giustificazione.
Sappiate dunque che i veri figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede.
Ora la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani in virtù della fede, preannunciò ad Abramo: In te saranno benedette tutte le genti, di modo che tutti quelli che vengono dalla fede sono benedetti con Abramo ch'era pieno di fede. ( Gal 3,6-9; Gen 15,6; Rm 4,3; Gc 2,23; Gen 12,3; Gen 22,18; Gen 26,4; At 3,25 )
Subito dopo, nella stessa Lettera, afferma: Fratelli, parlo secondo il modo di parlare usuale tra gli uomini: un testamento valido, anche se è di un uomo, nessuno lo annulla o vi fa delle aggiunte.
Ora le promesse sono state fatte ad Abramo e alla sua discendenza. ( Gal 3,15-16 )
La Scrittura non dice: ai discendenti, come se fossero molti, ma a uno solo, al tuo discendente, ( Gen 13,15; Gen 17,8 ) cioè a Cristo.
Ugualmente poco dopo: Tutti voi infatti - soggiunge - siete uno solo in Cristo Gesù; ma se voi siete di Cristo, vuol dire che siete discendenti di Abramo, eredi secondo la promessa. ( Gal 3,28-29 )
In conformità dunque a questa interpretazione dell'Apostolo si viene a costatare che i Giudei che non sono Cristiani non sono figli di Abramo pur traendo origine dalla carne di Abramo.
Quando infatti dice: Sappiate che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede, ( Gal 3,7 ) ci vuol far comprendere che quelli che non vengono dalla fede non sono figli di Abramo.
Se perciò Abramo non sarà per i Giudei padre allo stesso modo che lo è per noi, che cosa gioverà loro d'essere discendenti dalla sua stirpe e conservare il suo nome senza la sua virtù?
Quando però passano a Cristo e cominciano ad essere figli di Abramo in virtù della fede, allora saranno Giudei non esternamente ma intimamente per la circoncisione del cuore, secondo lo spirito e non già secondo la lettera, la gloria dei quali non proviene dagli uomini ma da Dio. ( Rm 2,28-29 )
Essi, al contrario, essendosi allontanati da questa fede, saranno considerati come rami spezzati dell'olivo nella radice del quale, come dice il medesimo Apostolo, viene innestato l'olivo selvatico, ( Rm 11,17-24 ) cioè i pagani; tale innesto non avviene in virtù della discendenza carnale ma della fede, non della Legge ma della grazia, non della lettera ma dello spirito, non mediante la circoncisione della carne ma del cuore, non all'esterno ma all'interno dell'essere, non con la gloria proveniente dagli uomini ma da Dio.
Così ogni Cristiano, allo stesso modo che sarà figlio di Abramo non carnale ma spirituale, così sarà anche un Giudeo o Israelita non carnale ma spirituale.
A proposito di questo termine l'Apostolo dice: Non tutti i discendenti da Israele sono ( il vero ) Israele, né tutti i discendenti da Abramo sono i suoi ( veri ) figli, ma: In Isacco avrai il tuo discendente, cioè figli di Dio sono non già i discendenti carnali ( da Abramo ), bensì ( veri ) suoi discendenti sono da considerarsi i figli della promessa. ( Rm 9,6-8; Gen 21,12; Eb 11,18 )
Queste cose non sono forse una grande meraviglia e un profondo mistero, ( Sal 136,4 ) che cioè molti discendenti d'Israele non sono il vero Israele e molti non sono ( veri ) figli di Abramo pur essendo suoi discendenti?
Ma perché mai non lo sono come lo siamo noi, se non perché non sono figli della promessa appartenenti alla grazia di Cristo, ma figli carnali che portano un nome privo di significato?
Per questo motivo essi non sono Israele come lo siamo noi e noi non siamo Israele come lo sono essi, poiché noi lo siamo secondo la rigenerazione spirituale, essi invece solo secondo la generazione carnale.
Bisogna considerare infatti e distinguere che ben diverso è l'Israele, che ha ricevuto tale denominazione a causa della discendenza carnale, dall'altro Israele che in virtù dello spirito possiede la realtà indicata da quel termine.
Sono forse nati gli Israeliti da Agar, la schiava di Sara?
Da essa infatti non nacque forse il solo Ismaele il quale propagò con la sua discendenza la razza degli Ismaeliti e non già quella degli Israeliti?
Da Sara invece provenne Israele per opera d'Isacco che era nato ad Abramo in virtù della promessa. ( Gen 18,10 )
Ciò nondimeno, anche se le cose stanno così riguardo alla discendenza carnale, quando s'arriva alla discendenza nel senso spirituale, si constata che ad essa non appartengono affatto gli Israeliti carnali, discendenti da Sara per via della generazione carnale, mentre vi appartengono piuttosto i Cristiani i quali non sono figli della carne come Ismaele, ma figli della promessa come Isacco, appartenenti non già alla discendenza carnale dello stesso Isacco ma alla realtà spirituale di cui egli era simbolo.
Ecco infatti come l'Apostolo si esprime scrivendo ai Galati: Ditemi, voi che volete stare sotto la Legge; non avete forse udito ciò che dice la Legge?
Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla libera. ( Gen 16,15; Gen 21,2 )
Ma quello avuto dalla schiava nacque secondo la carne, mentre quello avuto dalla libera nacque in virtù della promessa.
In termini simbolici ciò significa: le due donne sono le due alleanze, una è quella del monte Sinai che mette al mondo i figli per la schiavitù ed è Agar ( il monte Sinai infatti è in Arabia ) la quale corrisponde alla Gerusalemme di adesso: difatti si trova in stato di schiavitù con i suoi figli.
La Gerusalemme celeste, invece, è libera ed è la nostra madre.
Sta infatti scritto: Rallègrati, o sterile che non partorisci, prorompi in grida di gioia tu che non soffri le doglie del parto, poiché molti sono i figli della donna che è sola, più di colei che ha marito. ( Is 54,1 )
Ora noi, fratelli, siamo figli della promessa come Isacco.
Ma allo stesso modo che allora il figlio ch'era nato secondo la carne perseguitava il figlio nato secondo lo spirito, così avviene anche adesso.
Ma che cosa dice la Scrittura?
Caccia la schiava e il figlio di lei, poiché il figlio della schiava non avrà parte all'eredità col figlio della libera. ( Gen 21,2-10 )
Noi, pertanto, fratelli, non siamo figli della schiava, ma della libera, poiché Cristo ci ha liberati per la libertà. ( Gal 4,21; Gal 5,1 )
Secondo questo senso spirituale spiegato dall'Apostolo, i veri figli della libera Sara siamo piuttosto noi che da lei non discendiamo affatto per via della carne.
È dimostrato invece che i Giudei, i quali discendono da lei per via di propagazione carnale, appartengono piuttosto alla schiava Agar pur senza discendere da questa per via di propagazione carnale.
Questa grande e profonda realtà spirituale si trova adombrata simbolicamente anche nei nipoti di Abramo e Sara, cioè nei figli di Isacco e di Rebecca, nei due gemelli Esaù e Giacobbe il quale poi fu chiamato Israele.
Parlando di questa realtà spirituale, l'Apostolo, dopo aver ricordato i figli della promessa discendenti da Isacco e appartenenti alla grazia di Cristo, aggiunge: E non solo questo, ma anche Rebecca la quale concepì da un solo uomo, Isacco padre nostro.
Quando non erano ancora nati, quando non avevano compiuto nulla di bene o di male - in modo che il disegno di Dio rimanesse secondo la sua scelta e non dipendesse dalle opere ma dall'iniziativa di colui che chiama - fu detto a lei: Il maggiore servirà il minore, conforme a quanto sta scritto: Ho amato Giacobbe, ho odiato Esaù. ( Rm 9,10-13; Gen 25,23; Ml 1,2-3 )
Questa dottrina apostolica e cattolica ci mostra con sufficiente chiarezza che i Giudei, cioè gl'Israeliti secondo la nascita carnale, hanno rapporto con Sara, e gl'Ismaeliti con Agar; ( Gen 25,30 ) quanto però alla realtà spirituale, nascosta sotto queste figure, i Cristiani hanno relazione con Sara e i Giudei con Agar.
Allo stesso modo, a causa dell'origine carnale, la nazione degli Idumei ha relazione di sangue con Esaù, chiamato anche Edom, mentre la nazione dei Giudei ha relazione di sangue con Giacobbe, chiamato Israele: ( Gen 32,28 ) quanto invece alla realtà spirituale adombrata nelle figure i Giudei appartengono alla stirpe di Esaù, i Cristiani a quella d'Israele.
In tal modo viene ad adempiersi ciò che sta scritto: Il maggiore servirà il minore, cioè il popolo giudaico nato prima servirà il popolo cristiano nato dopo.
Ecco in qual modo siamo Israele e ci vantiamo dell'adozione divina e non della parentela umana; siamo Giudei non all'apparenza ma nell'intimità, secondo lo spirito e non secondo la lettera, per la circoncisione del cuore e non della carne. ( Rm 2,28-29 )
Anche se le cose stanno così, non dobbiamo tuttavia sconvolgere il modo usuale d'esprimersi degli uomini con una terminologia usata a sproposito, con l'adoperare cioè termini usuali in senso alterato per le realtà che devono rimanere distinte tra loro; può succedere in tal modo che qualcuno abbia la smania di chiamare Giudei, con un termine insolito, coloro che sono Cristiani e si chiamano così con un termine ormai entrato completamente nell'uso; oppure che, essendo uno e chiamandosi Cristiano, si compiaccia d'essere chiamato piuttosto Israelita e preferisca ripetere continuamente con stravaganza da pedante e, se così può dirsi, con scienza da ignorante, un termine che si deve comprendere sempre in rapporto alla realtà spirituale ch'esso raffigura e che si deve profferire piuttosto di rado.
Forse che gli Apostoli ignoravano queste verità che noi abbiamo imparate da loro, che cioè noi siamo piuttosto discendenti di Abramo, eredi della promessa come Isacco ( Gal 3,29; Gal 4,28 ) e Giudei non tanto nel senso letterale quanto in quello spirituale, in virtù della circoncisione del cuore e non della carne, ( Rm 2,28-29 ) che siamo l'Israele di Dio e non quello secondo la carne?
Le sapevano senz'altro con molta maggiore perspicacia e certezza di noi, pur tuttavia, attenendosi al linguaggio usuale, chiamavano Giudei e Israeliti coloro i quali, discendendo dalla stirpe di Abramo secondo la carne, erano chiamati comunemente da tutti con questo termine.
I Giudei - dice l'apostolo Paolo - chiedono miracoli ed i Greci cercano la sapienza; noi invece predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati alla salvezza, siano essi Giudei o pagani, Cristo è la potenza di Dio e la sapienza di Dio. ( 1 Cor 1,22-24 )
Coloro ch'egli chiama Greci li indicò anche col nome di pagani, poiché la lingua greca è la più diffusa tra i pagani, mentre chiama Giudei quelli chiamati con questo termine da tutti.
Se infatti Cristiani sono gli stessi Giudei, allora per i Cristiani è scandalo Cristo crocifisso, del quale è stato detto che è scandalo per i Giudei.
Chi, se non uno completamente pazzo, potrebbe pensare una simile cosa?
L'Apostolo dice anche: Non siate di scandalo né ai Giudei né ai Greci né alla Chiesa di Dio. ( 1 Cor 10,32 )
Come mai l'Apostolo avrebbe potuto fare questa distinzione, se nel modo di esprimersi consueto di ogni giorno avesse dovuto chiamare Giudei anche gli stessi fedeli della Chiesa di Dio?
Così pure egli dice: Noi che siamo stati chiamati da Dio non solo di tra i Giudei, ma anche di tra i pagani. ( Rm 9,24 )
In qual modo Dio li chiamò di tra i Giudei se li chiamò piuttosto di tra coloro che non erano Giudei, affinché fossero Giudei?
Lo stesso dice a proposito degli Israeliti: Che diremo dunque?
Che i pagani i quali non ricercavano la giustificazione, hanno ottenuto la giustificazione, quella cioè che deriva dalla fede.
Israele invece, che pur ricercava la Legge dalla quale doveva derivare la giustificazione, non è arrivato alla Legge datrice della giustificazione.
E perché mai? Perché l'hanno cercata non già come effetto della fede ma come se essa derivasse dalle opere.
E così inciamparono nella pietra di scandalo. ( Rm 9,30-32 )
E così ancora: Ad Israele invece dice: Per tutto il giorno tesi le mani ad un popolo disobbediente e ribelle. ( Rm 10,21 )
E immediatamente dopo aggiunge: Dico dunque: ha forse Dio ripudiato il suo popolo?
No, assolutamente, poiché io stesso sono un Israelita, appartenente alla discendenza di Abramo, proveniente dalla tribù di Beniamino.
Dio non ha ripudiato il suo popolo, da lui stesso eletto nella sua prescienza. ( Rm 11,1-2 )
Come mai l'Apostolo chiama qui Israele disubbidiente e ribelle, se i Cristiani sono Israele?
Oppure come mai chiama se stesso Israelita? Forse perché era diventato Cristiano?
Non certo per questo motivo, ma perché era discendente di Abramo secondo la carne e apparteneva alla tribù di Beniamino; noi invece non siamo discendenti di Abramo secondo la carne sebbene lo siamo secondo la fede e perciò lo siamo anche di Israele.
Ma una cosa è la realtà riconosciuta da chi comprende il piano misterioso e più profondo adombrato e un'altra cosa è l'esatto significato del termine nell'uso quotidiano.
Infine codesto non so qual Atto, di cui mi hai scritto, che insegna ai Cristiani di seguire la Legge e le usanze dei Giudei - come la Santità tua mi ha fatto capire - chiama se stesso Giudeo e Israelita in modo da vietare i cibi proibiti dalla Legge data per mezzo del santo servo di Dio Mosè, ( Lv 11,1-42; Dt 14,3-21 ) com'era conveniente per quel tempo, e in modo da indurre ad osservare tutte le altre pratiche ormai abolite e sorpassate presso i Cristiani, chiamate dall'Apostolo ombra di quelle future, ( Col 2,16-17 ) per farci intendere ch'esse erano un simbolo profetico e che la loro pratica è ormai priva affatto di valore.
Da ciò è chiaro che codesto Atto vuol farsi chiamare Israelita e Giudeo nel senso carnale e non in quello spirituale.
Noi invece non solo non siamo obbligati a quelle pratiche che hanno perduto ogni valore da quando è stata rivelata la Nuova Alleanza; ma abbiamo anche imparato e insegniamo che bisogna osservare i comandamenti della Legge antica, ancora necessari al nostro tempo, come i seguenti: Non commetterai adulterio; Non commetterai omicidio; Non avrai desideri passionali, ( Es 20,13-17 ) e tutti gli altri comandamenti che si compendiano nella seguente massima: Amerai il tuo prossimo come te stesso, ( Lc 10,27; Gal 5,14; Gc 2,8 ) senza far conto sulle forze umane come se volessimo far leva su di una giustizia propriamente nostra, ( Rm 10,3 ) ma sulla grazia di Dio per mezzo di Cristo nostro Signore, ( Rm 7,25 ) sulla giustizia che ci deriva da lui.
Con questo però non neghiamo d'essere discendenti di Abramo, dal momento che l'Apostolo ci dice: Voi dunque siete discendenti di Abramo, ( Gal 3,29 ) o d'essere Giudei nell'intimo del cuore, a proposito dei quali il medesimo Apostolo dice: Il vero Giudeo infatti non è quello che lo è all'esterno né la vera circoncisione è quella che appare nella carne, ma il vero Giudeo è colui che lo è nel suo intimo e la vera circoncisione è quella del cuore, quella conforme allo Spirito, non quella conforme alla lettera; questi ha lode non dagli uomini ma da parte di Dio. ( Rm 2,28-29 )
Noi non neghiamo neppure d'essere Israeliti nello spirito, appartenenti cioè a colui al quale fu predetto che il maggiore avrebbe servito a lui ch'era il minore. ( Gen 25,23; Rm 9,12 )
Noi però non ci imponiamo questi nomi che sono disdicevoli e li circoscriviamo in un senso simbolico, non li sbandieriamo in un senso improprio e inconsueto.
Indice |