Lettere |
Scritta forse all'inizio del 423.
Agostino al papa Celestino congratulandosi per la sua elezione pacifica e unanime ( n. 1 ) ed esponendogli il caso di Antonio, giovane vescovo dei Fussalesi, convertiti dal Donatismo: colui, privato dell'amministrazione della propria diocesi a causa di gravi colpe, s'era appellato alla Sede Apostolica ( n. 2-8 ).
Agostino scongiura perciò il papa di mantenere in vigore la sentenza pronunciata contro di quello ( n. 9-10 ).
Al santo padre Celestino, signore beatissimo, degno di venerazione e di amore, Agostino invia saluti nel Signore
Anzitutto mi congratulo con i tuoi meriti, per il fatto che il Signore ti ha collocato su codesta Sede, senza alcuna scissione tra i suoi fedeli.
In secondo luogo ragguaglio la Santità tua sui fatti che ci riguardano, affinché tu ci venga in aiuto, non solo con la preghiera, ma altresì col consiglio e con la tua autorità.
Invio la presente alla Beatitudine tua trovandomi in una gran tribolazione poiché, volendo giovare ad alcuni membri di Cristo d'una località vicina a noi, agendo da incauto e da imprudente, ho provocato loro un grave danno.
Confinante col territorio d'Ippona v'è una borgata detta Fussala.
Finora non c'era mai stato alcun vescovo, ma apparteneva alla diocesi d'Ippona, con tutto il territorio contiguo.
La regione aveva pochi cattolici, mentre tutte le altre comunità, che lì erano molto numerose, appartenevano disgraziatamente all'eresia donatista, sicché nella medesima borgata non c'era affatto nessun cattolico.
È avvenuto che tutti quei luoghi tornassero, per misericordia di Dio, all'unità della Chiesa; attraverso quante nostre fatiche e pericoli sarebbe troppo lungo spiegarlo; basti dire che i sacerdoti, stabilitivi da noi in principio per ricondurre gli abitanti all'unità, sono stati depredati, bastonati, storpiati, accecati, uccisi.
Le loro sofferenze però non sono state né inutili né sterili, essendo stata raggiunta l'unità.
Ma detta borgata dista quaranta miglia da Ippona e io, per governare i suoi fedeli e per ricondurre quei pochi rimanenti scismatici, dell'uno e dell'altro sesso, che si sbandavano non più minacciosi ma solo ritrosi, vedevo che esplicavo la mia attività in un campo più vasto di quanto avrei dovuto, e non ero in grado d'usare quella debita diligenza che capivo si dovesse usare con criteri molto ben determinati; per questi motivi mi preoccupai che fosse ordinato un vescovo che si stabilisse in quel luogo.
Per questo scopo cercavo una persona adatta e confacente per quella località, che sapesse bene la lingua punica; avevo anche un prete, proclive allo scopo che avevo in mente.
Scrissi allora al santo vegliardo, che in quel tempo era primate della Numidia, pregandolo - come ottenni - che venisse da lontano per ordinarlo.
Quando il primate si trovò lì presente tra noi, e tutti gli animi erano in trepidante attesa d'un avvenimento sì importante, il prete, che mi pareva disposto, all'ora fissata non volle più saperne e ci piantò in asso opponendo un netto rifiuto.
Io avrei dovuto certamente rimandare la cosa, come poi dimostrarono i fatti, anziché precipitare una faccenda sì rischiosa, ma siccome non volevo che il reverendissimo e venerando vegliardo, giunto a noi con tanta fatica, se ne tornasse a casa senza compiere la funzione per la quale era venuto da tanto lontano, presentai ai fedeli, senza che me lo avessero chiesto, un giovane chiamato Antonio che, allora, si trovava con me, educato bensì da noi nel nostro monastero fin dall'infanzia, ma ch'era ancora soltanto lettore, e non era conosciuto per nessun altro grado e per nessun'altra attività nel clericato.
Quei poveri fedeli che non sospettavano quanto sarebbe accaduto, si affidarono con la massima arrendevolezza a me che loro lo presentavo.
Basta: fu ordinato e cominciò ad essere il loro vescovo.
Che dovrei ora fare? Da un lato non voglio aggravare, presso la Santità tua, la condizione d'una persona da me stesso allevata; dall'altra non voglio abbandonare a se stessi i fedeli che ho aiutati a ritornare all'unità a prezzo di tante ansie e di tanti dolori; ma non mi è possibile trovare in qual modo fare l'una e l'altra cosa.
Ed ecco perché: la faccenda giunse a uno scandalo così grave, che vennero qui da noi a presentare delle accuse contro di lui quegli stessi che, nell'accettarlo come vescovo, avevano ottemperato al nostro consiglio, pensando di procurare il proprio bene.
Poiché però, in quei processi, non poterono provarsi affatto certe accuse capitali rinfacciategli non dai fedeli di chi è vescovo, ma da certi altri individui, e sembrava che si fosse discolpato anche degli altri capi di accusa, che gli venivano addebitati con acceso malanimo, fece tanta compassione non solo a noi, ma anche agli altri, che non credemmo a nessuna delle accuse mossegli dagli abitanti della borgata e della contrada, circa l'intollerabile prepotenza esercitata su di loro, le rapine e le altre oppressioni e vessazioni di cui lo accusavano; per tutte queste accuse, e per tutte le altre accumulate insieme, non ci parve giusto di deporlo dall'episcopato, ma ci limitammo a ordinargli di restituire le cose che si fosse provato essere state rubate.
Alla fine abbiamo mitigato i nostri verdetti in modo che, lasciandogli la piena dignità episcopale, non rimanessero del tutto impunite certe azioni che non si sarebbero dovute compiere in seguito di nuovo da lui medesimo né essere proposte all'imitazione degli altri.
Gli abbiamo pertanto lasciata intatta la dignità episcopale dato che è giovane e può emendarsi ma, poiché dev'essere castigato, gli abbiamo diminuito la potestà, in modo che non fosse più a capo di coloro coi quali s'era comportato in maniera tale ch'erano tanto esacerbati da non poter sopportare in alcun modo che fosse il loro capo e mostravano che l'incapacità di sopportare il dolore sarebbe forse potuta sboccare in qualche delitto con pericolo di loro e di lui.
Siffatto loro stato d'animo si è manifestato con molta evidenza anche allorché i vescovi hanno discusso il suo caso con quelli, dato che l'illustrissimo Celere, del cui prepotente modo d'agire contro di lui s'era lamentato Antonio, non esercita più alcuna carica né in Africa né in alcun altro luogo.
Ma perché dilungarmi? Aiutaci, ti scongiuro, a risolvere questo caso con l'augusta tua pietà, Padre santo, degno d'essere venerato con la dovuta carità, e dà ordine che ti vengano lette tutte le relazioni che ti sono state inviate.
Considera come ha adempiuto l'ufficio di vescovo, come si è sottomesso alla nostra sentenza in forza della quale è stato scomunicato, fino a quando non fosse restituita ogni cosa agli abitanti di Fussala, e come subito dopo ha messo da parte una somma di monete d'oro superiore a quella stabilita dai verbali perché gli fosse resa la comunione ecclesiale; considera con quanta accortezza ha saputo convincere quel santo vegliardo del nostro primate, persona di grande prudenza, sì da indurlo a prestargli fede in tutto fino al punto di raccomandarlo, come se fosse del tutto innocente, al venerabile papa Bonifacio.
Considera inoltre tutte le altre circostanze che non occorre siano ricordate da me, avendole già riferite alla Santità tua il suddetto venerabile primate.
D'altra parte, in relazione ai numerosi verbali in cui è registrato il processo da noi svolto nei suoi confronti, avrei maggior motivo di temere che tu possa avere l'impressione che noi abbiamo preso provvedimenti meno severi di quanto sarebbe stato necessario, se non ti conoscessi tanto incline all'indulgenza, che crederai opportuno perdonare non solo a noi, che siamo stati indulgenti con lui, ma anche a lui stesso.
Egli però tenta di valersi del trattamento benevolo, o addirittura troppo debole, usato nei suoi riguardi come d'un precedente da cui possa derivare un suo diritto.
" O mi si doveva lasciare nella mia cattedra - va egli protestando a gran voce - o non dovevo essere vescovo! " come se ora occupasse una cattedra diversa dalla propria.
In effetti gli sono state lasciate e affidate le località ov'era già vescovo, proprio per non dare l'impressione che fosse stato trasferito, illecitamente, ad altra sede, contro le leggi stabilite dai Padri della Chiesa.
Dunque un giudice dev'essere tanto severo oppure tanto indulgente che, se un vescovo non è stato reputato meritevole d'essere privato della carica episcopale, non si dovrebbe prendere alcun provvedimento nei suoi riguardi, o se c'è un vescovo nei confronti del quale si crederà opportuno prendere qualche provvedimento, lo si dovrebbe forse privare della carica episcopale?
Come risulta chiaro da sentenze perfino del tribunale della Sede Apostolica o da quelle di altri tribunali, confermate da essa, alcuni vescovi non sono stati privati della carica episcopale, ma neppure lasciati del tutto impuniti.
Per non rifarmi ad esempi troppo lontani dai nostri tempi, ricorderò solo quelli recenti.
Anche Prisco, vescovo della provincia Cesariense, potrebbe protestare ad alta voce: "O doveva essere lasciata anche a me, come a tutti gli altri, la possibilità d'arrivare alla dignità di primate o non doveva essermi lasciato l'episcopato".
Allo stesso modo anche Vittore, vescovo della medesima provincia, lasciato nella medesima pena che ha dovuto subire Prisco, e col quale non è in comunione alcun altro vescovo, tranne che nella propria diocesi, potrebbe protestare a gran voce e a buon diritto: " O avrei dovuto poter comunicare coi miei colleghi in ogni luogo, oppure non avrei dovuto essere in comunione neppure nei luoghi della mia diocesi".
Infine un terzo vescovo della medesima provincia, Lorenzo, potrebbe ripetere le identiche, precise parole di costui e protestare a gran voce: " O dovevo restare vescovo nella cattedra per la quale sono stato ordinato, oppure non dovevo essere vescovo ".
Ma chi potrebbe biasimare i provvedimenti presi nei confronti di siffatti vescovi, tranne chi non considera abbastanza che non tutte le colpe dei vescovi devono essere lasciate impunite né tutte devono essere punite alla stessa ed unica maniera?
Poiché dunque il beatissimo papa Bonifacio, nella lettera a noi inviata, parla di Antonio con pastorale e vigile prudenza, dicendo: " Purché egli ci abbia esposto fedelmente i fatti come si sono svolti davvero ", apprendi adesso come veramente si sono svolti i fatti ch'egli ha taciuti nel suo memoriale; eccoti inoltre i fatti avvenuti in Africa dopo che si è conosciuto il contenuto della lettera scritta da quel Papa di santa memoria.
Ma porgi anche aiuto alle persone che te lo chiedono per la misericordia di Gesù Cristo con molto maggiore premura di lui, dalla turbolenza del quale desiderano essere liberati.
Sia lui stesso, sia voci maligne assai frequenti, fanno a quella gente minacce di procedimenti legali e di ricorsi a pubblici funzionari, nonché di attacchi da parte dei militari, come se avessero il compito di eseguire la sentenza della Sede Apostolica.
Per conseguenza questi sventurati, sebbene Cristiani cattolici, temono punizioni più rigorose da parte d'un vescovo cattolico che non ne temessero, mentre erano eretici, da parte delle leggi degli Imperatori cattolici.
Non permettere che si portino ad effetto tali minacce, te ne scongiuro per il sangue di Cristo, per la memoria dell'apostolo Pietro, il quale esortò i capi della Chiesa a non dominare da tiranni sui loro fratelli. ( 1 Pt 5,3 )
Da parte mia raccomando alla bontà e alla carità della Santità tua gli abitanti di Fussala, miei figli in Cristo, e il vescovo Antonio, anch'egli mio figlio in Cristo, poiché voglio bene agli uni e all'altro.
Non mi sdegno contro gli abitanti di Fussala per le giuste lagnanze fatte giungere alle tue orecchie per avere io imposto loro come vescovo, perché fossero così duramente trattati da lui, una persona non ancora da me sperimentata, non ancora rafforzata almeno dall'età.
Non voglio però che si faccia del male nemmeno a costui, alla perversa cupidigia del quale mi oppongo, tanto più fortemente quanto più sincero è l'affetto che nutro per lui.
Meritino l'uno e l'altro la tua misericordia: quelli, perché non abbiano più a soffrire altri mali; questo, perché mai più ne commetta; quelli, perché non abbiano in odio la Chiesa cattolica se essa non corre in loro aiuto da parte dei vescovi cattolici e soprattutto da parte di codesta Sede Apostolica contro un vescovo cattolico; questo, per impedire che si macchi d'una colpa sì grave, allontanando da Cristo coloro che vuol tenere soggetti contro la loro volontà.
Quanto a me, debbo confessarlo alla Beatitudine tua, sono tormentato da tanto timore e dolore per il pericolo in cui si trovano gli uni e l'altro, che penso di ritirarmi dall'ufficio d'amministrare l'episcopato per dedicarmi a piangere, come si conviene, il mio errore, qualora dovessi vedere questa Chiesa di Dio messa a soqquadro da un individuo, che per la mia imprudenza ho favorito perché diventasse vescovo, e dovessi anche ( Dio non voglia ) vederla andare in rovina insieme con colui che ve la sta mandando.
Memore di quanto dice l'Apostolo: Se noi ci giudicassimo da noi stessi, non saremmo giudicati da lui, ( 1 Cor 11,31 ) giudicherò me stesso, affinché mi perdoni Colui che verrà a giudicare i vivi e i morti. ( 2 Tm 4,1 )
Ma se tu solleverai da un micidiale timore e tristezza i fedeli di Cristo che abitano in quella contrada, e consolerai la mia vecchiaia con un atto di giustizia e di misericordia, te ne darà la ricompensa, ricambiandoti del bene col bene in questa vita e in quella futura, Colui che grazie al tuo intervento, ci soccorre in questa tribolazione e che ti ha posto in cotesta Sede episcopale.
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