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Scritta dopo il 395.
Agostino accusa Elpidio d'arroganza e temerità ( n. 1; n. 5 ) dimostrando che il Figlio non è stato creato ma generato dal Padre ( n. 2-4 ); risponderà più ampiamente a uno scritto d'un certo Ariano se avrà tempo ( n. 5 ).
Agostino a Elpidio, illustre signore, degno d'essere onorato e amato
Chi di noi due abbia idee errate in materia di fede o per quanto riguarda la conoscenza della Trinità, è un'altra questione.
Ti ringrazio comunque che ti adoperi per allontanarmi dall'errore che tu supponi in me, sebbene tu non mi conosca di persona.
Dio ti renda merito di questa tua bontà e ti conceda la grazia di conoscere bene quanto credi di sapere, perché, per quanto io penso, è una cosa difficile.
Ti prego inoltre di non prendere come un insulto l'averti io augurato il dono di una conoscenza tanto importante.
Temo infatti che la tua presunzione d'una conoscenza solo immaginata ti faccia rigettare, come insopportabili ai tuoi orecchi, non dico gl'insegnamenti veridici che per nessuna ragione oserei arrogarmi il diritto d'indirizzarti, ma i sinceri nostri auguri che anche a me, quantunque non sia un dotto, è lecito formulare per te: essi infatti devono essere offerti non per sfoggiare la perizia ma per dimostrare l'amicizia.
Temo inoltre che, anziché ringraziarmi per averti implorato la sapienza, tu sia sdegnato con me per non essermi congratulato con te, come se già tu fossi sapiente.
Io tuttavia, sebbene gravato dal fardello della dignità episcopale, abbraccio col più grande trasporto ed affetto la Benevolenza tua per aver avuto la gentilezza di scrivere di me, perfino a due personaggi d'oltremare, quali sono Bonoso e Giasone, perché io possa ricavare abbondanti frutti dalle discussioni con loro; ti sei infine incaricato, con delicata sollecitudine, di mandarmi, al fine di dissipare le tenebre del mio errore, un trattato di un vostro vescovo che io non conosco, scritto con ingegno e con nerbo.
Se hai fatto tutto questo, quanto più è giusto che tu accolga con gratitudine il mio augurio che ti sia concesso da Dio Signore ciò che non può essere dato dall'ingegno e dalle forze umane!
Poiché l'Apostolo afferma: Noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo ma lo Spirito che viene da Dio affinché conosciamo le cose che Dio ci ha elargite.
E di queste cose noi discorriamo non già con parole insegnate dall'umana sapienza, ma con la dottrina insegnata dallo Spirito, adattando così a persone spirituali un linguaggio spirituale.
Ma l'uomo animale non accoglie le cose dello Spirito di Dio, perché per lui sono stoltezza. ( 1 Cor 2,12-14 )
Se fosse quindi possibile, vorrei piuttosto esaminare con te fino a qual punto può chiamarsi " animale " l'uomo, affinché, se ci siamo già elevati al di sopra di lui, ci rallegriamo con ragione d'aver raggiunto forse, almeno in qualche misura, le verità immutabili che sorpassano la mente e l'intelligenza umana.
Il motivo è che dobbiamo guardarci dal reputare come una cosa stolta l'affermazione che il Figlio è uguale al Padre; ( Gv 5,18; Fil 2,6 ) la causa di questo è che noi pensiamo ancora come l' "uomo animale" il quale, per testimonianza della S. Scrittura, reputa stoltezza le cose dello Spirito. ( 1 Cor 2,14 )
In realtà, sebbene la sublime maestà di Dio, che sorpassa infinitamente ogni cosa, possa essere pensata anche se non espressa a parole, è tuttavia facile, a mio avviso, vedere che non è stato fatto Colui, per mezzo del quale è stata fatta ogni cosa, e senza del quale nulla è stato fatto.
Poiché, se si è fatto da se stesso, esisteva prima che fosse fatto, perché potesse essere fatto da se stesso, cosa questa tanto più illogica a dirsi, quanto più stolta a pensarsi.
Se invece non è stato fatto da se stesso, non è stato fatto in nessun modo, assolutamente, poiché tutto ciò ch'è stato fatto, è stato fatto per mezzo di lui.
Tutto, infatti, è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui non è stato fatto nulla. ( Gv 1,3 )
Mi stupisco che si rifletta poco alla verità che ha voluto inculcare l'Evangelista con tanta precisione da non permettere ad alcuno di non tenerne conto.
Non gli bastò dire: Tutto fu fatto per mezzo di lui, ma volle aggiungere: e senza di lui non fu fatto nulla.
Per conto mio, malgrado la tardità e le tenebre della mia intelligenza e sebbene io abbia ancora l'occhio della mente troppo fiacco per contemplare l'incomparabile e ineffabile eccellenza della natura del Padre e del Figlio, tuttavia comprendo con tutta facilità la verità di cui il Vangelo ci ha dato i primi fondamenti, non perché comprendessimo la divinità, ma per ricordarci che non dobbiamo vantarci di una comprensione temeraria.
Se in realtà tutto è stato fatto per mezzo di lui, tutto ciò che non è stato fatto per mezzo di lui non è stato fatto.
Egli da solo non si è fatto e quindi non è stato fatto.
L'Evangelista poi ci obbliga a credere che tutto è stato fatto per mezzo del Figlio e perciò a credere ch'egli non è stato fatto.
Allo stesso modo, se senza di lui non è stato fatto nulla, per conseguenza egli stesso sarebbe nulla, perché sarebbe stato fatto senza di lui.
Orbene, se è una cosa sacrilega pensare ch'egli sia nulla, non ci resta che ammettere o ch'egli è stato fatto per mezzo di lui o che non è stato fatto.
Noi possiamo però affermare che sia stato fatto per mezzo di lui, poiché se si fece da se stesso, esisteva già prima che fosse fatto; se invece per fare se stesso prestò aiuto a un altro dal quale fu fatto, nondimeno perché fosse fatto col proprio aiuto esisteva già prima che fosse fatto.
Non resta quindi altra possibilità se non che sia stato fatto senza di lui; ma tutto ciò ch'è stato fatto senza di lui non esiste affatto; perciò o non esiste affatto oppure non è stato fatto; ma egli non può affatto non esistere, e perciò non è stato fatto.
Ma se non è stato fatto e tuttavia egli è il Figlio, senza dubbio è nato.
" Come mai - tu domandi - il Figlio è potuto nascere dal solo Padre, uguale a colui dal quale è nato? ".
Io non posso proprio spiegarlo e lascio la parola al Profeta che dice: Chi mai potrà spiegarne la generazione? ( Is 53,8 )
Se tu pensi che questa frase debba intendersi della generazione umana, riguardo alla quale ( il Figlio di Dio ) è nato per mezzo della Vergine, esamina te stesso e interroga la tua anima se mai può spiegare quella divina, se non ha potuto spiegare quella umana!
" Dunque - tu dici - non affermarlo uguale ( al Padre ) ".
Ma perché mai non dovrei ripetere l'affermazione dell'Apostolo secondo la quale Gesù Cristo non reputò una rapina l'essere uguale a Dio? ( Fil 2,6 )
Sebbene infatti l'Apostolo non abbia spiegato quella eguaglianza alla mente umana ancora ingombra di tenebre, ha però indicato, a proposito del Verbo, ciò che l'anima purificata potrebbe trovare rispetto a questo argomento.
Sforziamoci dunque di purificare il nostro cuore, affinché ne risulti l'acume con cui esser capaci di veder queste cose; infatti: Beati i puri di cuore - dice la Scrittura - perché vedranno Dio. ( Mt 5,8 )
In tal modo, innalzandoci al di sopra delle immagini nebulose dell'uomo, giungeremo alla limpidezza e purezza che ci renderà capaci di vedere ciò che comprendiamo non potersi esprimere a parole.
Quanto al trattato che mi hai gentilmente inviato, se avrò tempo e possibilità di rispondere a ciascuno degli argomenti, penso che comprenderai che quanto più uno presume di mostrare la verità, tanto meno è illuminato dalla sua luce.
Infatti, per non parlare di altre espressioni di quel trattato e citarne, per il momento, una sola che soprattutto ho deplorata, chi potrebbe tollerare che l'autore del trattato dica appunto " d'aver tolto ogni velo alla verità e di mostrarla nuda ", mentre l'apostolo Paolo afferma: Ora noi vediamo solo come attraverso uno specchio, in confuso; allora invece vedremo a faccia a faccia? ( 1 Cor 13,12 )
Se costui avesse detto: " Noi vediamo la verità svelata", non vi sarebbe nulla di più cieco dell'arroganza di una tale visione.
Egli però non disse: "Noi la vediamo", bensì: " Noi la mostriamo ( agli altri ) ", per far credere ch'essa non solo è senz'altro manifesta alla coscienza dell'intelletto ma che è anche facile esprimerla a parole.
Vi sono molte cose che si potrebbero dire dell'ineffabilità della Trinità, non già perché essa possa essere espressa con parole - perché altrimenti non sarebbe ineffabile - ma perché da esse si comprenda ch'essa non può esprimersi a parole.
Ma ormai - penso - la mia lettera ha oltrepassato la misura, mentre con la tua mi avevi esortato a scriverti solo poche righe; ma poiché ti sei degnato di scusarti richiamandoti all'insegnamento degli antichi, non ti sembrerò indiscreto, se non ti rincrescerà di ricordarti della lunghezza d'alcune lettere di Cicerone, dal momento che nella tua lettera hai fatto menzione anche di lui.
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