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Promemoria di Agostino al santo fratello Alipio
Al ritorno dei nostri santi fratelli e colleghi nell'episcopato, sebbene io non li abbia visti, essendo tuttavia stato avvisato mediante una loro lettera che, se avessi voluto scriverti qualcosa, lo inviassi a Cartagine, ho dettato queste righe, con cui ti saluto, pur desiderando anche di vedere da un momento all'altro la Fraternità tua, dato che si aggiunge la speranza del tuo ritorno di cui mi hai dato notizia nella tua lettera.
Ti avevo inoltre già risposto che, insieme con il tuo promemoria, mi erano giunti i libri di Giuliano e di Celestio, da te inviatimi per mezzo del nostro figlio Commilitone; aggiungevo di meravigliarmi che non ti fossi dato alcun pensiero di farmi sapere nulla sul ravvedimento di Turbanzio, per il quale Giuliano ha scritto quattro libri.
In effetti da una persona, che non posso dire abbia mentito, ho sentito dire ch'egli ha condannato, con una confessione assai umile, la medesima eresia [ di Giuliano ] ed è stato accolto nella pace cattolica dal papa Celestino.
In realtà ho potuto supporre che di questo fatto ti fossi piuttosto dimenticato allorché mi scrivesti.
Sebbene dunque io avessi già scritto queste cose, ho tuttavia voluto ricordartele anche adesso, caso mai la Santità tua ricevesse la presente risposta prima di quella che ti ho inviato in precedenza.
Nel frattempo tra certi nostri foglietti ho trovato una copia del promemoria che t'eri fatto per tuo uso personale allorché dal concilio fosti inviato la prima volta alla corte imperiale.
Dopo averlo letto da capo a fondo, ho visto che tu allora non avevi potuto trattare molte faccende urgenti.
Toltene alcune questioni, o già trattate o che non sembrano impellenti, ho creduto beneinviartelo, caso mai potessero essere trattate adesso.
Aggiungo inoltre un altro problema: c'è in Africa un sì gran numero d'individui chiamati comunemente " mangoni " che in gran parte essi svuotano dei suoi abitanti, deportando nelle province d'oltremare coloro ch'essi comprano e che sono quasi tutti liberi.
In effetti se ne trovano a mala pena pochi che siano stati venduti dai genitori; i mangoni tuttavia non li comprano per occuparli in lavori per la durata di venticinque anni, come permettono le leggi romane, ma li comprano addirittura come schiavi e li vendono nei paesi d'oltremare; dai padroni invece comprano dei veri schiavi solo in casi assolutamente rarissimi.
Oltre a ciò, questa caterva di mercanti di schiavi ha fatto proliferare un'altra folla d'individui che preparano tranelli, e predoni così arroganti che - a quanto si narra - a bande urlanti atterriscono con il loro contegno soldatesco o barbarico e piombano su località rurali isolate ove sono pochi abitanti e conducono via a forza le persone da vendere a siffatti mercanti.
Passo sotto silenzio la diceria giunta alle nostre orecchie proprio ultimamente, che cioè in un piccolo possedimento rurale, in seguito a incursioni di tal genere, i banditi, dopo aver ucciso gli uomini, avevano rapito donne e bambini per venderli; ma non si diceva dove questo fatto fosse avvenuto.
Io tuttavia, a una ragazza del gruppo di quelle persone che venivano riscattate da quella miserevole schiavitù per opera della Chiesa, domandai in che modo fosse stata venduta ai mercanti e rispose d'essere stata rapita dalla casa dei suoi genitori; le chiesi poi se fosse stata trovata in casa da sola e mi rispose che il fatto era avvenuto alla presenza dei genitori e dei fratelli.
C'era anche un suo fratello venuto a riprenderla e, poiché essa era piccola, egli mi spiegò com'era accaduto il fatto.
Disse che briganti di quel genere avevano fatto una razzia durante la notte e che gli abitanti, credendoli dei barbari, piuttosto che opporre loro resistenza, s'erano nascosti come avevano potuto.
Ora, se non ci fossero dei mercanti [ di schiavi ], fatti di questo genere non accadrebbero.
Non penso davvero che la notizia di questi mali dell'Africa non sia giunta costà dove siete voi, ma questi mali erano tuttavia senza paragone di gran lunga minori quando l'imperatore Onorio inviò al prefetto Adriano la legge per impedire traffici di tal genere e stabilì che i mercanti di un'empietà sì madornale fossero puniti con la flagellazione da eseguirsi con la sferza piombata, fossero loro confiscati i beni e mandati in perpetuo esilio; nella legge però non si parla di coloro che comprano delle persone libere attirate con tranelli e trascinate via dai briganti, come fanno quasi esclusivamente quegli individui, ma parla in genere di tutti coloro che deportano gruppi di schiavi da vendere nelle province d'oltremare e per conseguenza ordina d'associare al fisco anche quegli schiavi, cosa che non avrebbe detto in alcun modo, se si fosse trattato di persone libere.
A questo mio promemoria ho accluso la suddetta legge, sebbene forse possa trovarsi più facilmente anche a Roma, poiché è utile e potrebbe arrecare un rimedio a questo flagello; noi però ce ne siamo serviti solo nella misura in cui permette di liberare le persone e non per far punire con quel castigo quei mercanti, per causa dei quali vengono perpetrati tanto numerosi e gravi misfatti.
Con questa legge ci limitiamo a incutere spavento a quanti è possibile ma non li facciamo punire, e temiamo persino che per caso altri conducano a forza al castigo stabilito da detta legge codesti individui per quanto detestabili e degni di condanna essi siano.
Ecco perché particolarmente a questo proposito scrivo alla Beatitudine tua affinché - se la cosa è possibile - venga stabilito dai fedelissimi principi cristiani che tali individui, quando i loro prigionieri vengono liberati per opera della Chiesa, non debbano rischiare di subire la condanna stabilita da questa legge, e soprattutto il castigo della fustigazione con fruste piombate, in seguito alla quale sono facilmente condotti alla morte.
Inoltre per reprimerli è forse necessario che detta legge venga portata a conoscenza del pubblico per evitare che, mentre noi esitiamo d'intervenire per paura di queste sanzioni, delle sventurate persone libere vengano deportate per subire una perpetua schiavitù; poiché, se non faremo nulla a favore di esse, chi si potrebbe trovare facilmente che, se ha qualche potere sul litorale, non procuri a quei mercanti dietro pagamento il noleggio delle navi per il loro crudelissimo commercio anziché far discendere dalla nave o impedire d'imbarcare qualcuno di quegli infelici, spinto da un sentimento di compassione cristiana o umana?
Le autorità o i funzionari pubblici, con l'impegno dei quali potrebbe essere fatta osservare questa legge o qualunque altra promulgata su quest'argomento, hanno il dovere di provvedere che l'Africa non venga più oltre svuotata dei suoi abitanti indigeni e che una sì gran folla di gente d'ambo i sessi, trascinata via a truppe e a frotte come da un fiume che scorre senza tregua, non perda la propria libertà personale peggio che divenendo prigioniera dei barbari.
In effetti dalla schiavitù, in cui sono tenuti dai barbari, viene riscattato un gran numero di prigionieri, mentre quelli che sono deportati nelle province d'oltremare non trovano nemmeno l'aiuto per venir riscattati; eppure si resiste ai barbari quando una spedizione militare romana è condotta valorosamente e con successo affinché i romani non restino prigionieri dei barbari.
Chi mai, al contrario, resiste a codesti mercanti non di animali quali che siano ma di uomini, non di barbari di qualunque specie ma di cittadini romani delle province?
A cotesti mercanti, sparsi dappertutto affinché nelle mani di coloro, che promettono ricompense in danaro, siano condotte, in ogni dove e da ogni dove, persone rapite con la forza o ingannate con tranelli, chi mai resiste in nome della libertà romana, non dico della libertà comune, ma della stessa libertà personale?
Anzi, al contrario, non può dirsi abbastanza quanti si sono lasciati andare al medesimo scellerato traffico, colpiti da un'incredibile cecità di cupidigia e da non so quale contagio di questa specie di malattia.
Chi mai crederebbe che proprio qui tra noi a Ippona è stata trovata una donna la quale, con il pretesto di comprar della legna, era solita attirare delle donne di Giddaba in un tranello, rinchiuderle, maltrattarle e venderle?
Un colono della nostra Chiesa molto agiato, contabile e segretario [ del municipio ], fu rapito con un tranello dal nostro monastero e poi venduto; a stento poté essere liberato grazie all'intervento della Chiesa.
Se volessi enumerare le scellerataggini di tal genere, di cui abbiamo avuto conoscenza noi soli, non ci riuscirei in alcun modo.
Sappi un solo esempio, dal quale potrai immaginare quali delitti si commettono in tutta l'Africa e lungo tutte le sue coste.
Circa quattro mesi prima che ti scrivessi la presente lettera, molte persone provenienti da diverse regioni, ma soprattutto dalla Numidia, radunate da mercanti della Galazia - sono essi soli o soprattutto essi che si dedicano avidamente a siffatta sorta di traffici - furono condotte per essere poi deportate dalla costa d'Ippona.
C'era però lì un fedele che conosceva la nostra usanza [ d'intervenire ] in tal genere di opere caritatevoli e ne fece arrivare la notizia alla Chiesa.
Subito dai nostri fedeli - io veramente non c'ero - furono liberate circa centoventi persone, alcune dalla nave in cui erano state imbarcate, altre da un posto isolato, ove erano state nascoste per essere successivamente imbarcate.
Tra esse se ne trovarono appena cinque o sei ch'erano state vendute dai genitori.
Quanto alle altre, a stento si possono trattenere le lacrime nel sentire le dolorose peripezie attraverso le quali arrivarono nelle mani dei Galati per opera di orditori di tranelli e di briganti.
Tocca ora alla tua santa Prudenza pensare a qual punto imperversi siffatta deportazione di sventurati lungo il restante litorale [ dell'Africa ], se così ardente l'avidità, così mostruosa è l'audacia dei Galati qui a Ippona ove, per la misericordia di Dio, sta in guardia, per quel poco che vale, la vigilanza della Chiesa, grazie alla quale vengono liberati degli sventurati da tale schiavitù e i mercanti di simili merci vengono puniti assai meno gravemente - è vero - che non dalla severità della suddetta legge, ma tuttavia vengono colpiti con la perdita dei soldi sborsati per acquistarli.
In nome della carità cristiana ti supplico di far sì che io non abbia scritto invano alla Carità tua.
I Galati infatti hanno i loro patroni, per mezzo dei quali reclamano come loro proprietà coloro che il Signore ha liberato per opera della Chiesa anche quando sono stati già restituiti ai loro familiari, che li ricercavano e a questo scopo erano venuti da noi con lettere dei loro vescovi.
Al momento in cui dettiamo queste righe quei tali hanno cominciato a molestare alcuni fedeli, nostri figli, presso i quali erano rimasti alcuni di essi, dato che la Chiesa non è in grado di sostentare tutti coloro ch'essa libera; e sebbene sia giunta una lettera di un'autorità, di cui essi avrebbero potuto aver paura, non hanno cessato per nulla di reclamare.
A tutti coloro che hanno voluto inviarci i loro saluti mediante la lettera della Venerabilità tua rendo, in ragione dei loro meriti, il saluto nella carità di Cristo.
Salutano la Santità tua i servi di Dio miei confratelli che sono insieme con me.
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